Non amo molto parlare di me stessa, ma è giusto che chi legge quello che scrivo deve sapere anche chi sono, anticipo tutto questo perchè a parte il mio essere riservata quando parlo di me entra in gioco un’altra componente che è la timidezza. E’ una breve parentesi per rompere il ghiaccio e dire chi sono. Sono originaria dell’Abruzzo, una bellissima terra e come dicono degli abruzzesi siamo forti e gentili e questo mi rispecchia molto. Il mio motto è ‘Nec Recisa Recedit’. Ho frequentato l’Istituto Magistrale ‘G. Milli’ di Teramo e ho conseguito il Diploma di maturità Magistrale.

Ho frequentato l’Università di Lingue e Letterature Straniere alla ‘G. D’Annunzio’ di Pescara. Nell’Ateneo il mio indirizzo era Filologico Didattico, e prendo spunto per salutare il mio Prof. di Filologia Latina Medioevale e Umanistica, G. De Petris, che ricordo sempre con molta stima e ringrazio anche il prof. Antonio Sorella, per avermi fatto conoscere una bellissima parte della Letteratura Italiana: Varchi e la questione della lingua, e il famoso Ercolano. Ringrazio anche la mia prof. di Storia dell’Arte, Brigida di Leo, perchè mi ha sostenuto a superare l’emozione del mio primo esame di Storia dell’Arte all’Università, il prof. di Glottologia Carlo Consani, voglio anche ringraziare il team di spagnolo il docente di spagnolo, Menei, perchè mi ha insegnato che “La vida es como una corrida a veces uono torea y otra veces es toreado lo importante es seguir en la arena”, e la prof.ssa Diaz. Prendo spunto proprio da quest’ultima parte per continuare a parlarvi del mio iter scolastico, superato l’esame scritto di spagnolo, sono partita per Barcellona dove ho frequentato un corso di lingua spagnola presso l’International House de Barcelona, ho ottenuto un attestato a livello III e a riguardo voglio ricordare l’economa della scuola Conchita, e posso testimoniare che gli spagnoli hanno veramente una ‘acogida muy calurosa’, voglio ringraziare Jordy Serrano Martin per avermi aiutato a curare la mia bronchite e tutte le persone che ho conosciuto a Barcellona delle quali conservo ancora le foto, e il ricordo delle grandi mangiate di bocadillos, le visite alla città, che dire è stata una esperienza bellissima non ricordo tutti i nomi ma ho vissuto dei bei momenti ed è stata una bella esperienza. Ritornata in Italia, con grande rammarico del prof. De Petris e dei suoi 30 e lode ai suoi esami di Filologia medioevale e umanistica, ho deciso di abbandonare l’Università e di iscrivermi alla Scuola privata per Interpreti e Traduttori, di Pescara al tempo era ubicata in C.so Vittorio Emanuele sempre a Pescara e in questa scuola mi hanno riconosciuto tutti gli esami che io avevo conseguito all’Università di Lingue e Letterature straniere e ho conseguito il mio Diploma universitario di Interprete e Traduttore con relativo Patentino I.A.T.I. nr.58. per le lingue spagnolo e francese, e ho portato come tesi l’Euro e la Comunità Europea. Ricordo ancora che per prepararmi al mio ultimo esame di francese ho passato tutta la notte a ripetere Lupin e in simultanea e consecutiva le canzoni di Celine Dion. Finiti i miei studi ho iniziato a lavorare ma l’Italia non era ancora preparata a dei progetti che permettevano di sviluppare quello che avevo acquisito, ogni volta che facevo una domanda mi chiedevano l’inglese che io mastico a livello di base anche se tramite internet sono riuscita ad adeguarmi. Proprio a causa di questo “handicap” linguistico mi sono adattata a fare i lavori più umili e non ne faccio “Nisi Caste, Saltem Caute” non è uno scandalo o non rinnego di aver fatto la lavapiatti, di aver lavorato in pizzeria, o di essermi adattata a tutto per arrivare alla fine del mese, anzi sono orgogliosa di me stessa perchè potevo poltrire a casa aspettando la manna dal cielo ma si dice “Aiutati che Dio ti aiuta” e ringraziando Dio sono andata avanti con enormi sacrifici perchè purtroppo a volte vale più un curriculum senza esperienza che l’esperienza stessa. Ho lavorato per Africa Business una ex società italo-senegalese, ho lavorato per tanti anni in un call center partner Telecom Italia, ho lavorato presso il Museo d’Arte Ceramica di Castelli in provincia di Teramo e nonostante le mie qualifiche, nonostante i sacrifici fatti, e gli studi tutt’oggi sono rimasta precaria. Devo ringraziare il mio amico, José Manuel Zapico (Virutasdegoma) che mi ha aiutata a entrare nel mondo del giornalismo e la Etleboro che mi ha insegnato tanto nello stesso campo. A volte le opportunità lavorative sfumano perchè ci si trova in ambienti e posti completamente sbagliati, non preparati alle idee a 360°. Sono una persona che legge e che ha letto molto l’ultimo libro che ho letto è ‘I tre inverni della paura’ di Giampaolo Pansa, ma ho letto volentieri Paulo Coelho ‘Lo Zahir’, tanti tanti libri, ‘Un Uomo’ di O. Fallaci, H. Hesse ‘Il Lupo della steppa’ e ho letto anche il Corano sebbene sono di religione cattolica ma non emargino le altre religioni. Ho viaggiato e mi piace viaggiare l’ultimo viaggio è stato nella bellissima Repubblica di Malta complimenti ai governanti perchè è una Repubblica simbolica per la cortesia, l’eleganza e la riservatezza e molto altro ancora. Ho visitato Lugano, Munich, Innsbruck, Barcellona, e ho visitato l’Italia Milano, Cremona e il famoso Torrazzo, Roma, Venezia, il sud i bellissimi trulli di Alberobello, Capri, Anacapri. Adoro gli animali anche se ho la fobia per i volatili, ma simpatizzo per cani e gatti. Sono terribilmente romantica e mi emoziono facilmente perchè sono molto emotiva. Mi piace aiutare il prossimo ed è per questo che ho intrapreso il mio volontariato con l’Accademia Internazionale Umanitaria Opere(AIUO) ed è per questo che ho costruito il giornale online AIUO e qui ringrazio vivamente chi mi è rimasto accanto in questo percorso, Sua Eccellenza Dr. Acc. Colombo Marco Lombardo di Villalonga che è una persona che stimo e della quale ho piena fiducia. Aggiungo che mi sarebbe piaciuto fare la mediatrice di pace, credo che il dialogo sia una cosa fondamentale, parlare, ascoltare e capire ma quello che posso fare è scrivere i miei pensieri, siamo tutti esseri umani, guerre, violenze, abusi, non hanno un senso non ha senso prendere in ostaggio persone per farne uno scudo, tante cose non hanno senso se le guardiamo con la giusta ottica dell’essenza della vita. La vita è una legge ed è uguale per tutti. Non sono portata per il disegno ma mi piace ricamare a punto croce e lavorare a filet. Il mio desiderio? Vedere le persone felici, un mondo diverso, vedere tutti con un grado sociale adeguato, un lavoro e una famiglia sana e spero che un giorno Traducoonline possa diventare davvero un giornale online che che aiuti il prossimo, e che dia lavoro a tante donne che come me o a tante persone che come me hanno conosciuto il precariato. Sono stata piuttosto prolissa ma quando uno apre la schermata di un web è giusto che ti conosca per quella che sei, nella mia semplicità e nella mia umiltà perchè è questo il mio carattere.


 

Il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) ha dichiarato che è “inorridito” per la “crudeltà con la quale hanno agito gli autori di omicidi e mutilazioni verso i bambini” in Centrafrica e sono indignati “per l’impunità della quale godono”. “Le ultime settimane del mese di febbraio, sono state caratterizzate da livelli senza precedenti di violenza contro i bambini durante attacchi settari e rappresaglie da parte delle milizie (a maggioranza cristiana) anti-Balaka ed ex-combattenti Seleka (a maggioranza musulmana)” indica l’organizzazione in un comunicato ricevuto dall’AFP nel mese di febbraio. “I bambini sono sempre più presi di mira a causa della loro religione o per la comunità alla quale appartengono”, ha citato nel testo, Manuel Fontaine, direttore regionale dell’UNICEF per l’Africa occidentale e centrale. “Un paese dove gli adulti possono, impunemente, e crudelmente mirare ai bambini innocenti non ha futuro”, ha aggiunto, “è imperativo porre fine all’impunità”. “Almeno 133 bambini sono stati uccisi e mutilati, in una maniera particolarmente orribile, mentre la violenza etnico-religiosa continua a dilagarsi intensamente da due mesi”, ha riferito la stessa fonte. “L’UNICEF ha verificato casi di bambini decapitati e mutilati intenzionalmente e ed è venuta a conoscenza che ai bambini rimasti feriti nelle sparatorie hanno dovuto amputare gli arti perché l’insicurezza ha impedito loro di raggiungere l’ospedale in tempo per il trattamento”, continua la nota. “Tutti i gruppi hanno commesso atti di violenza, ma la recente determinazione orientata verso i musulmani ha portato all’evacuazione di intere comunità e all’aumento significativo del numero dei bambini non accompagnati, separati dalle loro famiglie in subbuglio. Questi bambini sono particolarmente vulnerabili”, ha reso noto l’UNICEF. Il CAR è sceso nel caos dopo il golpe di marzo del 2013 di Michel Djotodia, capo della coalizione ribelle Seleka a maggioranza musulmana. Diventato Presidente, è stato costretto a dimettersi dalla comunità internazionale il, 10 gennaio, per la sua incapacità di fermare le uccisioni tra l’ex Seleka e le milizie anti-Balaka, che ha portato a un esodo di massa dei civili musulmani.

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Alcuni non hanno neanche 13 anni, ma si immergono con coraggio nelle viscere della fortuna: a Burkina Faso, la febbre dell’oro non risparmia i bambini, che rischiano la vita per garantire un futuro a questo povero Stato saheliano. Tra il mezzo milione e i 700.000 adolescenti o pre-adolescenti lavorano a Burkina Faso nel settore minerario, ha reso noto l’Unicef. Il fenomeno è diffuso in uno dei paesi più poveri del mondo dove il 60% della popolazione dei 17 milioni di abitanti hanno meno di 25 anni. L’oro è il principale prodotto di esportazione, che fornisce il 20% del suo PIL. A Nobsin una struttura clandestina situata a un’ora di auto da Ouagadougou, centinaia di ragazzi, minori e giovani adulti, lavorano intorno a un gran numero di piccoli fori rettangolari, che riuniscono alcune centinaia di metri quadrati. Alcuni di loro arrivano fino a 20 o 30 metri per rompere la roccia. Le loro voci soffocate e il suono duro delle martellate difficilmente echeggiano in superficie. I loro compagni di squadra si alternano nel sollevare le pietre raccolte in contenitori rotti. Altri rompono le pietre, sperando di trovare l’oro. Tutti hanno la pelle macchiata di fango o di polvere di colore giallo, lavorano sotto terra o all’aria aperta. Respirano con difficoltà in questo paesaggio arido e ventoso. Seduto sul bordo di un tubo, Joel Sawadogo, di 13 anni, è in procinto di scendere con una ridicola lampada di plastica con l’effigie di Dubai legata a un elastico che circonda la sua testa. A piedi nudi, questo piccolo uomo, indossa solo pantaloncini blu, e ha dichiarato che aspira a un “lavoro meno faticoso”. “Sotto c’è molta umidità”, ha aggiunto grattandosi le braccia sporche. “Penso soprattutto che posso farcela”, ha commentato Joel che svolge il lavoro di minatore già da due anni. Lontano dai suoi sogni, il suo stipendio è misero: “5.000″ (CFA 7,5 €) al giorno, “qualche volta 10.000″ (15 €), spesso niente. Hamidou, è molto gracile ma ha asserito che ha 15 anni, togliendosi una spina dal piede. “Io non ho paura”, ha commentato scherzando il figlio di un contadino che vive in un villaggio vicino, e in cerca di fortuna. Tutti sognano di un trovare un “buco”, dal quale emerge il metallo, che li potrà rendere degli uomini ricchi. Non importa i rischi. Tuttavia le miniere illegali uccidono. Nella parte occidentale di Burkina Faso i primi di dicembre, una frana ha provocato 28 vittime, tra queste 14 sono decedute.

Paura

“Qui il terreno è solido. Ma a volte la terra è molto fragile, lo sentiamo quando picchettiamo. “Ciò fa paura” riflette Tindiébeogo Frederick, di 23 anni, la cui t-shirt nera è segnata con la scritta, +It’s only funny when someone gets hurt+ (E’ divertente quando qualcuno si fa male), un testo che non capisce, ma che suona stranamente preveggente. I bambini, che vengono inviati nei pozzi inferiori a causa delle loro piccole dimensioni, sono poi le prime vittime. Un quarto di loro è vittima di incidenti, osserva David Kerespars responsabile della Fondazione ‘Terre des Hommes’ a Burkina Faso, attiva su una dozzina di aree minerarie d’oro, tra queste Nobsin. Il giorno prima dell’arrivo di AFP su questo sito, cinque minatori sono rimasti feriti, l’età non è stata specificata, mentre qui un uomo è morto quest’anno, racconta uno dei decani, Ouinin Ouedraogo, di 50 anni, aggiungendo che “la disperazione” porta i bambini a lavorare nelle miniere.

Source: slateafrique

La politica del savoir-faire dell’America, è stata ricordata da Obama a Putin in una lunga telefonata fatta dal Premier americano al suo omologo russo prima del Referendum in Crimea. La domanda è d’obbligo anche il commercio delle armi è un savoir-faire? L’America osanna i diritti umani e intanto soddisfa con la politica delle armi il desiderio del Medio Oriente, uno dei mercati più redditizi del mondo a livello di armi, con due paesi del Golfo Persico, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, in testa. Durante il 2009-2013, il 22% dei trasferimenti di armi verso il Medio Oriente è stato assegnato negli Emirati Arabi Uniti, il 20% in Arabia Saudita e il 15% in Turchia. In questo modo, gli USA rappresentano il 42% della fornitura totale di armi nella regione. L’America nel periodo sopra analizzato è stato uno dei maggiori fornitori di armi con una quota del 29% a livello mondiale, secondo un rapporto pubblicato dall’Istituto Internazionale di Studi di Pace di Stoccolma (SIPRI, per il suo acronimo in inglese). I maggiori acquisti di armi in Medio Oriente sono attribuiti a diversi fattori, tra questi le minacce percepite dall’Iran, il crescente conflitto confessionale tra sunniti e sciiti, i diffusi timori di terrorismo nell’interno, l’instabilità politica e i forti proventi del petrolio, cita lo studio. Gli Emirati Arabi Uniti sono il quarto importatore di armi al mondo e l’Arabia Saudita, il quinto più grande (che rappresenta un notevole salto, dopo essere stato il XVIII nel 2004 -2008). Entrambi i paesi investono una parte consistente del loro bilancio militare nell’acquisto e negli ordini negli Stati Uniti di migliaia di aerei da combattimento aria-terra e bombe capaci di distruggere strutture missilistiche nucleari sotterranee. Con ciò, l’Iran, considerato da queste due nazioni e dagli Stati Uniti come la più grande fonte di pericolo, ha ricevuto solo l’1% delle importazioni di armi della regione nel 2009-2013. Gli Stati Uniti, a quanto pare, stanno giocando un doppio gioco con la vendita di enormi quantità di armi sofisticate in Medio Oriente e, allo stesso tempo, sostiene che garantirà sempre il vantaggio militare qualitativo di Israele sulle nazioni arabe.

Source: actualidad.rt

Sabrina Carbone

Quello che ora si vive in Crimea è solo un altro esempio della volontà della potenza russa. Mentre l’Unione europea è paralizzata e soffre un disarmo strutturale che già interroga sulla sua capacità di dissuasione e gli Stati Uniti accelerano la loro ritirata strategica (anche se ancora continua a essere l’unica superpotenza militare), la Russia è determinata a essere nuovamente presa in considerazione oltre i suoi confini. Innalzata nella sua ricchezza energetica (che fornisce circa il 50% delle entrate statali) e guidata dalla determinazione di Putin negli ultimi 15 anni, la Russia è lo studente che ha meglio interiorizzato i dettami della geo-economia e geopolitica a servizio della sua amata grandezza. Nel primo caso, come abbiamo visto più volte in questi ultimi anni, ha convertito il petrolio e il gas in armi potenti, non solo per consolidare la propria influenza nel suo near aboroad (l’Ucraina è un esempio), ma anche per ammanettare i potenziali rivali (come la Germania) per renderli vitalmente dipendenti dalla sua fornitura. Allo stesso modo, come ora vediamo in Ucraina, gioca con i prezzi del gas per premiare o punire chi intende mantenere sotto il suo controllo. Ma usa anche questo trucco per neutralizzare ogni possibile fonte alternativa a Kiev (invertendo la direzione dei collegamenti con la Slovenia dei gasdotti o terminali di costruzione per portare gas liquefatto da altri paesi), dal momento che potrà sempre ridurre ulteriormente il prezzo. Nel secondo caso, Mosca rimane fedele all’idea che il potere e il potere militare sono essenzialmente le stesse cose. Di qui il suo sforzo sostenuto (supportato dalla sua condizione di essere il primo esportatore mondiale di idrocarburi) di modernizzare le proprie capacità militari, sognando di essere nuovamente riconosciuta come una superpotenza. Dopo aver superato l’impatto di cadere nel baratro che ha portato alla implosione dell’URSS nel 2000, l’allora esordiente Putin aveva utilizzato il disastro del sottomarino Kursk per promuovere una riforma militare profonda che ora comincia a dare i suoi frutti. La sua costante ambizione militarista significa che nel periodo 2013-2016 il bilancio della difesa è destinato a salire del 60%. La sua priorità attuale è quella di aumentare l’operatività di una forza sempre più professionalizzata e che comprende armi sempre più sofisticate, potenziando le unità operative speciali, per non parlare del combattimento convenzionale e della modernizzazione delle sue forze strategiche. Con un bilancio della difesa che raggiunge il 4,4% del PIL (simile agli Stati Uniti, anche se in termini assoluti, il totale è di quasi otto volte inferiore) e che rappresenta il 17,8% del bilancio dello Stato (dovrà raggiungere il 20,6% nel 2016) Mosca sostiene che entro il 2020 almeno il 70% di tutte le loro attrezzature, materiali e armi sarà modernizzato. Questa sfida diventa ancora più difficile se si considera che il Ministero delle Finanze aveva parlato nel 2012 della necessità di tagliare il bilancio dello Stato di circa 125.000 milioni di dollari entro il 2020, dal momento che almeno il 20% del bilancio è sprecato o rubato direttamente, che la base industriale preoccupa per la sua inefficacia (ciò spiega l’acquisto delle navi Mistral in Francia) o che il declino demografico non garantisce le risorse umane adeguate e qualificate. Ma nel frattempo si percepiscono realtà come l’attivazione nel 2013 di una nuova Task Force nel Mediterraneo, l’entrata in servizio del sottomarino classe Borei dotato di SLBM Bulava-M o il riavvio dei pattugliamenti aerei sull’Atlantico. Sotto questa visione, attualmente ciò che vivono in Crimea è solo un altro esempio della volontà della potenza russa, come per esempio l’uso di forze militari senza identificazione ufficiale e il crollo della propria nave antisommergibile all’ingresso della baia di Donuzlav, accerchiando solo sette delle 25 navi della Marina ucraina nel porto di Novoozerne. Putin chiede in sostanza di neutralizzare la debole capacità operativa delle forze ucraine, creando una situazione de facto che eviti i rinforzi dall’estero: il controllo di due strade che collegano la penisola con il resto dell’Ucraina, l’aeroporto internazionale di Simferopol Sebastopoli e le basi aeree di Kacha e Gvardeysky. Inoltre, circondando le principali installazioni militari, cerca di bloccare le truppe ucraine nelle loro caserme, allo scopo di dissuaderle dal tentare di forzare ogni movimento che potrà causare un incidente frontale condannato a essere mortale. In breve, è (anche se dal punto di vista del diritto internazionale è totalmente condannabile) uno stratagemma intelligente per garantire una situazione favorevole nei negoziati tra Kiev e i suoi presunti alleati, possedendo finalmente tutta la Crimea o, meglio ancora, tutta l’Ucraina. E tutto senza combattere.

Source: internacional.elpais

Sabrina Carbone

La creazione artificiale della vita è quasi garantita. La clonazione di un essere umano e lo scioglimento dei poli sono “probabili”, mentre la ricerca dell’intelligence extraterrestre e la terza guerra mondiale nucleare sono praticamente scartati. Questo è il giudizio della rivista Scientific American, che ha sviluppato una lista di dodici possibili scenari che possono cambiare la vita come noi la conosciamo, e sono stati classificati in base alla probabilità di accadimento prima del 2050.

La creazione di una vita artificiale: quasi certamente

“Creare la vita dal nulla può essere imminente”, dichiara la rivista, la quale spiega che gli scienziati sono già riusciti a creare artificialmente il genoma di un batterio. Tuttavia, la stessa avverte che la biologia sintetica più che fabbricare vite in un tubo, è concentrata sulla modifica delle attuali forme di vita affinchè, per esempio, una pianta di bambù possa crescere a forma di sedia e gli alberi invece di trasudare resina trasudino diesel.

Terremoto sulla faglia di Sant’Andreas: quasi certamente

I ricercatori danno per scontato un terremoto di almeno 6,7 gradi sulla faglia di Sant’Andreas (California). Gli scenari sono stati previsti a 8,2 gradi, e ciò causerà migliaia di vittime, 200.000 milioni di danni e anche lo spostamento della città di Los Angeles. Anche se gli esperti avvertono che “predire i terremoti è come cercare di prevedere il tempo la prossima settimana poichè si conoscono il clima del luogo”, i nuovi edifici sono già progettati per resistere ai terremoti.

Clonazione umana: probabile

Gli scienziati erano riusciti, nel 2001, a clonare embrioni umani, ma negli esperimenti condotti fino ad ora non sono riusciti a svilupparli con successo. Come spiega lo scienziato Robert Lanza alla rivista, la clonazione di un embrione umano “è come inviare un bambino nello spazio su un razzo con il cinquanta per cento di possibilità di riuscita”. Il giornale non menziona i fattori che possono consentire la clonazione umana, ma Lanza prevede che “possono verificarsi in una zona con leggi molto restrittive, probabilmente spinti da qualche abbiente eccentrico”.

Fusione dei poli: probabile

“Gettare le sedie a sdraio: l’aumento del livello del mare ristrutturerà letteralmente il mondo”, osserva la pubblicazione. Nonostante le previsioni dei più pessimisti sul cambio climatico – come lo Stato della Florida a cinque metri sotto il mare, è ancora a secoli di distanza – il completo disgelo dell’Artico e la modifica delle coste di tutto il mondo può essere un realtà nel 2100. Il ghiaccio continua a sciogliersi più velocemente del previsto, e anche se le emissioni che provocano l’effetto serra sono state ridotte, la rivista è schietta: “è un fattore irrimediabile”.

Coscienza delle macchine: probabile

Oggi, la ricerca nell’intelligence artificiale sviluppa macchine per eseguire determinati compiti e fantasie. Tuttavia, un giorno saranno create macchine che potranno prendersi cura di noi stessi, permettendo alla fine il nostro auto-miglioramento. Volendo anche gli esseri umani potranno essere superati. Che sia positivo o negativo, la polemica è servita, e le polemiche dal più pessimista ai più cauti, come il cita filosofo Selmer Bringsjord: in ogni caso, “le macchine non avranno nessun superpotere”.

Materiali superconduttori a temperatura ambiente: 50-50

Un cavo superconduttore potrà essere la soluzione al problema principale delle energie rinnovabili: il suo trasporto. Quelli che esistono già hanno lo svantaggio che devono essere preservati a -196 gradi, e quindi stanno tentando di svilupparne uno che funziona a temperatura ambiente. Attualmente, la rivista mette in guardia, sul lento progresso.

Nuove dimensioni: 50-50

Il lavoro del temuto acceleratore delle particelle, che significa che è possibile creare un buco nero che inghiotte la terra – il Large Hadron Collider o LHC – potrà dimostrare l’esistenza di nuove dimensioni se riuscirà con precisione a creare buchi neri subatomici. Tuttavia, tutto ciò può rimanere un puro concetto: un essere umano non potrà mai visitare una ipotetica quarta dimensione perché i suoi atomi sono destabilizzati.

Pandemia mortale: 50-50

Secondo la rivista, il virus H1N1 “ha scoperto alcune verità scomode sulla nostra preparazione, o sua mancanza, contro un agente patogeno mortale. “Una epidemia globale non solo potrà portare a terribili perdite economiche, ma alcuni i confini potranno essere chiusi e alcuni paesi e alcuni cittadini discriminati.

Aliens: improbabile

Il progetto americano SETI conta 50 anni di ricerca di vita extraterrestre, senza risultati. Il più ambizioso dei suoi progetti ha appena passato al setaccio 800 stelle in nove anni, l’uno per cento della Via Lattea. Inoltre, anche in questo caso può sfuggire qualcosa, forse solo perché non erano in ascolto nel momento giusto. Se doveste trovare alieni, il SETI ha i protocolli di attuazione, ma non i Governi o le Nazioni Unite.

Collisione di un asteroide con la Terra: improbabile

La NASA ha individuato 940 comete o asteroidi di grande diametro che passeranno vicino alla Terra, ma fino ad ora nessuno di quelli identificati entreranno in collisione con il pianeta. Eppure, stanno già delineando i piani di emergenza per questi casi (la detonazione nucleare). La grande minaccia sono gli asteroidi o comete più piccoli, che possono devastare una metropoli. Secondo gli investigatori, un oggetto di questa natura si scontra con la Terra ogni 200 anni: in questi casi, l’evacuazione è l’unica soluzione possibile.

Guerra nucleare:  improbabile

Perchè un attacco nucleare abbia conseguenze a livello globale, decine di bombe dovranno esplodere, ciò potrà succedere, per esempio, in un confronto tra il Pakistan e l’India che possono sfruttare tutto il loro potenziale nucleare. Come ben ricorda la rivista scientifica, “Tutto dipende dalle capacità e dalle responsabilità dell’essere umano”.

L’energia di fusione: Molto improbabile

La fusione nucleare potrà essere la soluzione alla crisi energetica, ma secondo la rivista questa generazione non la vedrà. Forse si può optare per un ibrido con la fissione, ma il primo prototipo non vedrà la luce fino al 2030.

Source: http://suite101.net/

Sabrina Carbone

Molte cose possono cambiare in un decennio. Nel 2003, molti paesi ancora dipendevano dalla clorochina, sempre meno efficace per il trattamento della malaria. Il depistaggio della malaria è stato affidato ai tecnici di laboratorio e ai loro microscopi e al trattamento, agli operatori sanitari. I responsabili per la salute pubblica hanno digerito il fallimento degli sforzi fatti negli anni 1950 e 1960 per sradicare la malattia. Dieci anni dopo, la situazione sembra diversa. Ciò è dovuto in gran parte al significativo incremento dei fondi disponibili, compreso il Fondo Globale, l’iniziativa presidenziale contro la malaria (un programma del Governo degli Stati Uniti) e la Bill and Melinda Gates Foundation. Le combinazioni di farmaci contenenti artemisinina (ACT) hanno dimostrato la loro affidabilità ed efficienza e allo stesso tempo hanno sostituito la clorochina. Test diagnostici rapidi e il trattamento presso le comunità come anche la distribuzione di diversi milioni di zanzariere hanno ridotto il propagarsi della malattia. Tuttavia l’eradicazione della malattia è ancora una priorità. “La notizia è eccezionalmente buona”, ha riferito Desmond Chavasse, responsabile del programma Population Services International per la lotta contro la malaria e la sopravvivenza dei bambini. “Dal 2000, siamo riusciti a ridurre di un terzo l’incidenza della malattia e a dimezzare i decessi dei bambini provocati dalla malaria. Nell’Africa sub-sahariana, circa il 42 per cento delle persone hanno ora accesso alle zanzariere trattate. “Possiamo dire che c’è stato fantastico progresso”, ha osservato. Ma non è tutto, c’è stato tuttavia anche un cambiamento in peggio. Le ACT – che in gran parte spiegano questi sviluppi – hanno cessato di essere efficaci nelle zone vicino al confine tra la Thailandia e la Cambogia, una zona che è spesso la prima a essere colpita dalla resistenza ai farmaci. Finora, i ceppi resistenti sono stati contenuti, ma Chavasse teme che i recenti successi siano “estremamente fragili”.

Source: allafrica

Sabrina Carbone

Il rappresentante speciale del Segretario Generale sui bambini e i conflitti armati, Leila Zerrougui, e il direttore generale del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF), Anthony Lake, Giovedì, 6 marzo, hanno lanciato una nuova campagna per porre fine al reclutamento e l’uso dei bambini nelle forze governative nei conflitti entro il 2016. “E’ stato raggiunto un consenso tra gli Stati membri affinchè nessun bambino sia assunto o utilizzato dalle forze governative durante il conflitto”, ha dichiarato Zerrougui in un comunicato stampa. “È giunto il momento per la comunità internazionale per essere uniti e voltare pagina, allo scopo di portare a termine una volta per tutte, il reclutamento e l’impiego dei bambini da parte delle forze di sicurezza durante i conflitti”. In tutto il mondo, migliaia di ragazzi e ragazze vengono reclutati nelle forze governative e dai gruppi armati dell’opposizione e sono utilizzati come cavie, come combattenti, cuochi, facchini, messaggeri, o altri ruoli. Le ragazze – e talvolta i ragazzi – sono anche reclutati per scopi sessuali. “Il reclutamento e l’impiego dei bambini da parte delle forze armate deve cessare”, ha scandito Lake. Con la campagna ‘Bambini, non soldati’, la questione può avere la priorità e l’attenzione che merita. Quando aiutiamo un ex bambino soldato a superare una terribile esperienza e a prepararsi per un nuovo futuro, noi non mettiamo solo riparo a una vita spezzata, ma cominciamo a sanare le ferite di una nazione dilaniata dalla guerra”. L’elenco delle parti in conflitto che reclutano e utilizzano dei bambini è incluso nell’allegato della relazione annuale del Segretario Generale sui bambini e i conflitti armati. Da dieci anni, il Consiglio di Sicurezza ha invitato tutte le parti a lavorare con le Nazioni Unite e a preparare piani d’azione con un calendario per fermare e prevenire il reclutamento e l’impiego dei bambini. Attraverso questo meccanismo, il Consiglio ha consentito ai Governi di affermare il loro impegno a garantire che i bambini non facciano parte delle forze di sicurezza e che ricevano l’aiuto di cui hanno bisogno per trasformare questo impegno in realtà. Attualmente, otto forze di sicurezza governative sono sulla lista delle forze che reclutano e utilizzano i bambini. Negli ultimi tre anni, sei di questi paesi hanno sottoscritto piani d’azione con le Nazioni Unite: in Afghanistan e in Ciad nel 2011, seguiti dal Sud Sudan, Myanmar, dalla Somalia e dalla Repubblica Democratica del Congo, l’anno dopo. Lo Yemen e il Sudan hanno espresso il loro impegno a creare forze di sicurezza senza bambini, e a proseguire un dialogo con le Nazioni Unite. Nel corso dei prossimi due anni, l’Ufficio del Rappresentante speciale, l’UNICEF, i partner delle Nazioni Unite e delle ONG intensificheranno il proprio sostegno agli sforzi di questi otto Governi a llo scopo di garantire che i bambini tornino alla vita civile e affinchè siano pienamente attuati i piani d’azione contro il reclutamento. Ciò include competenze tecniche, individuazione di lacune e ostacoli per l’implementazione di piani d’azione e la mobilitazione di risorse aggiuntive per sostenere i programmi in loco. Mentre la campagna è concentrata sulle forze governative elencate nella relazione del Segretario Generale, le Nazioni Unite continuano a combattere contro le gravi violazioni commesse dai gruppi armati.

Source: allafrica

Sabrina Carbone

Il progetto è stato sviluppato in collaborazione con l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani. Il Governo mauritano adotterà il prossimo, 6 marzo, una ‘roadmap’ per sradicare la schiavitù. L’annuncio è stato dato Giovedì, 28 febbraio, a Nouakchott dal relatore speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di schiavitù, Gulnara Shahinian, dopo una visita di quattro giorni svolta in Mauritania. Questo è un ulteriore passo verso l’eliminazione della schiavitù nel paese. Shahinian aveva fatto la sua prima visita ufficiale in Mauritania nel 2009. Lo scopo del suo recente soggiorno è quello di valutare gli sviluppi fin dal primo viaggio in uno degli ultimi paesi in cui la schiavitù persiste. Il piano è stato sviluppato in collaborazione con l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani. Il relatore delle Nazioni Unite ha reso noto che sono stati registrati dei progressi nella lotta contro la schiavitù moderna nel paese, ma ha invitato Nouakchott a fare di più per eliminare questa piaga una volta per tutte. “Mi congratulo con il Governo della Mauritania per le misure prese dalla mia ultima visita nel 2009 e per il suo impegno a porre fine alla schiavitù nel paese”, ha commentato Shahinian. Nel 2007, il Governo mauritano aveva adottato la legge che criminalizza la schiavitù, ma questa legislazione, “deve essere ancora pienamente attuata per portare cambiamenti positivi nella pratica”, ha aggiunto. L’esperto ha espresso la sua preoccupazione per il basso numero di procedimenti penali ai sensi della legge del 2007, che dovrà essere modificata per garantire una migliore protezione delle vittime riconosciute come schiavi. La pratica è, comunque, vietata in Mauritania dal 1981 ed è considerata un crimine in seguito alla riforma della Costituzione nel 2012. Inoltre, le persone incolpate di schiavitù possono essere condannate fino a dieci anni di prigione. Il relatore delle Nazioni Unite ha accolto con favore l’annuncio della creazione di un tribunale speciale per perseguire i crimini della schiavitù. Ha anche elogiato l’arsenale legislativo varato nel 2011 per proteggere i diritti dei lavoratori domestici. Shahinian ha asserito, tuttavia, che è indispensabile implementare soluzioni mirate e su misura per gli ex schiavi. Pertanto, a suo giudizio, la tabella di marcia sarà sviluppata con una “serie di progetti economici che saranno un grande contributo per le popolazioni interessate”. Durante il suo soggiorno che è iniziato il, 24 febbraio, ha incontrato il Il Presidente Mohamed Ould Abdel Aziz, il capo del Governo Moulaye Ould Mohamed Laghdaf, come anche le organizzazioni che difendono i diritti umani e il lavoro. Le ONG anti-schiavitù sono molto attive nel paese, ma non hanno il diritto a costituirsi parte civile nel processo contro gli accusati di schiavitù.

 

Sabrina Carbone

Diversi canali possono essere presi dall’Occidente per cercare di fermare Mosca nel suo uso dell’esercito in Crimea. Eppure sembrano essere tutti dei vicoli ciechi. Mentre i 28 membri della NATO sono riuniti questa Domenica, 2 marzo, l’Europa e i paesi del Nord America sono impegnati al capezzale dell’Ucraina. Barack Obama ha usato parole molto forti avvisando Vladimir Putin di possibili rappresaglie. Al Parlamento, a Kiev, i deputati hanno fatto appello alla comunità internazionale, invocando la violazione da parte di Mosca del “Memorandum di Budapest” firmato nel 1994. Ma che cosa esattamente possono fare gli occidentali in questa crisi?

La violazione del Memorandum di Budapest

Mentre il Presidente russo Vladimir Putin ha ricevuto ieri, Sabato, 1 marzo, dal Parlamento il via libera per “l’uso della forza armata” in Ucraina, soprattutto in Crimea, il Primo Ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk ha invitato Mosca a “non violare il Memorandum di Budapest”. Che cosa è questo testo al quale fa riferimento il nuovo Primo Ministro? Può questo documento impedire a Mosca di annettere la Crimea? Il testo chiamato pienamente “Memorandum di Budapest sulla garanzie di sicurezza” era stato firmato nel 1994 dall’Ucraina, dalla Russia, dagli Stati Uniti è un protocollo diplomatico nel quale i firmatari si assumono l’impegno gli uni verso gli altri della denuclearizzazione delle ex Repubbliche sovietiche. In particolare, l’Ucraina aveva promesso di eliminare tutte le armi nucleari dell’epoca sovietica dal suo territorio coinvolgendo gli altri firmatari a riconoscere e a rispettare l’integrità e la sovranità dell’Ucraina come Stato indipendente. I firmatari si impegnavano inoltre nell’articolo 2 del memorandum a non lanciare qualsiasi operazione militare in Ucraina, e nessuna operazione di occupazione. Alcuni impegni oggi sono stati negati dalla Russia se ammettiamo che Mosca ha infatti inviato truppe in Crimea – gli uomini armati presenti sul territorio non portano in gran parte nessun segno distintivo. Tuttavia, il memorandum non ha alcuna misura restrittiva in caso di mancato rispetto di uno o più punti del trattato. Il 5° e ultimo articolo si limita ad indicare che gli Stati firmatari si impegnano a “consultarsi nel caso in cui venga posta una questione in merito agli eventuali impegni” di cui sopra. Nessuna eventuale sanzione.

Che possono fare gli Stati Uniti?

“Gli Stati Uniti saranno solidali alla comunità internazionale sottolineando che qualsiasi intervento militare in Ucraina avrà un costo”. Barack Obama è stato molto deciso Venerdì, 28 Febbraio. Ma quale può essere il costo di cui parla il Presidente degli Stati Uniti? Diverse opzioni a sua disposizione:
La prima: annullare la presenza della Russia al vertice del G8 di giugno, tappa per un possibile accordo commerciale con la Russia, o semplicemente annullare il vertice. I preparativi per la riunione sono già congelati e il Presidente degli Stati Uniti ha avvertito il suo omologo russo Sabato durante una conversazione telefonica che se “la Russia continuerà a violare il diritto internazionale ciò comporterà un maggiore isolamento politico ed economico”. Questa minaccia è stata accentuata oggi Domenica, 2 marzo, dal segretario di Stato degli Stati Uniti sulla NBC: “Vladimir Putin, non potrà avere (vertice) il G8 a Sochi, e se continuerà in questo modo non parteciperà al G8″. “Se la Russia vuole essere un membro dei paesi del G8 deve comportarsi come un paese del G8″, ha ribadito ancora una volta il capo della diplomazia americana.

Prendere in considerazione sanzioni economiche.

Per l’ex ambasciatore americano Michael McFaul, che ha appena dato le dimissioni, “bisogna aprire un dibattito serio e in tempi stretti sulle sanzioni economiche in modo che i russi si rendano conto che ci saranno dei costi”. “Devono sapere che avranno delle conseguenze che dovranno essere identificate prima di prendere altre misure”. Ma resta difficile precisare queste leve, spiega Peter Baker al “New York Times”: la Russia è ricca di risorse naturali e, quindi, è indipendente in questo senso. E’ anche la principale fonte di gas naturale in gran parte dell’Europa, che gli offre un grande vantaggio rispetto a molti alleati degli Stati Uniti. Rimane la questione delle sanzioni bancarie, ma ancora una volta, alcuni europei possono essere riluttanti a sostenere questa tendenza.

Infine. Organizzare lo spiegamento delle navi da guerra americane nella regione

Già nel 2008, durante lo spiegamento delle truppe russe in Georgia per l’annessione dell’Ossezia del Sud, George W. Bush aveva mosso le navi statunitensi nella regione e aveva fornito un trasporto di truppe ai soldati georgiani stazionati in Iraq, allo scopo di farli tornare a casa. Una sorta di minaccia militare rimane senza giorno. Mosca sa che gli Stati Uniti non sono preparati a una eventuale guerra.

E la NATO?

“Ciò che fa la Russia in Ucraina viola i principi della Carta delle Nazioni Unite. Ciò minaccia la pace e la sicurezza in Europa”, ha spiegato il segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, Domenica, 2 marzo, poco prima dell’inizio di una riunione di crisi a Bruxelles, convocata su richiesta della Polonia. “La Russia deve fermare le sue minacce e le attività militari”, ha aggiunto. L’Ucraina ha collaborato per molti anni con la NATO, con la quale ha firmato nel 1997 un partenariato. Ma non è un membro. La NATO non può quindi intervenire ulteriormente sulla questione ucraina. La sola manovra: una protesta in forma corretta.

Le Nazioni Unite?

Unico organo competente ad intervenire nel caso dell’Ucraina, le Nazioni Unite anche loro rimangono paralizzate. Oltre al Memorandum di Budapest, molte disposizioni di diritto internazionale garantiscono all’Ucraina e a gli Stati Uniti in generale, il rispetto della loro integrità territoriale. In primo luogo l’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite nel quale si afferma che uno degli obiettivi dell’istituzione è quello di “reprimere gli atti di aggressione o altre violazioni della pace”. Il Ministro degli Esteri, Laurent Fabius ha certamente fatto appello questa Domenica a una “mediazione diretta tra i russi e gli ucraini, sia attraverso l’ONU o l’OSCE” (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa)”. Ma questa via sembra già da adesso difficile da prendere, appena incaricato della missione di andare in Crimea, l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Ucraina , Robert Serry, Sabato già era tornato indietro. A proposito di una remissione del Consiglio di Sicurezza, a cosa servirà, con la possibilità per la Russia di porre il veto a qualsiasi risoluzione?

Source:tempsreel.nouvelobs

A Dakar Martedì, 18 febbraio, è stato allestito un forum nazionale sull’alimentazione scolastica sotto il tema “Investire nella alimentazione scolastica è una garanzia dello sviluppo sostenibile”. La manifestazione, organizzata sotto l’egida del Ministero della Pubblica Istruzione, in collaborazione con il Centro di Eccellenza contro la Fame del PAM in Brasile e l’Ufficio Nazionale per il PAM in Senegal propone di mobilitare gli attori intorno al tema della alimentazione scolastica. Questo incontro, dedicato alla alimentazione scolastica, è il primo del suo genere organizzato dal dipartimento incaricato della Pubblica Istruzione. Inaugurato Martedì, 18 febbraio, all’incontro hanno partecipato il Ministro dell’Educazione Nazionale, Serigne Mbaye Thiam, il Ministro di Capo Verde dell’Istruzione e dello Sport, l’ambasciatore brasiliano residente in Senegal, il rappresentante residente del Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite (FAO), il Direttore e rappresentante residente del Programma alimentare mondiale (PAM) e diversi attori del sistema educativo, ma anche esperti provenienti da ambienti diversi. Accogliendo con favore l’organizzazione di questo forum che sancisce lo sviluppo delle strategie per la lotta contro la fame e lo sviluppo sostenibile nelle scuole, il Ministro dell’Educazione Nazionale, Serigne Mbaye Thiam ha riaffermato l’impegno delle autorità senegalesi a promuovere “un ambiente sano e sicuro segnato dalla creazione di mense scolastiche”, e, ha aggiunto che, “lo sviluppo di un paese comporta necessariamente la formazione di un capitale umano di qualità. Siamo ora convinti che senza l’istruzione, il futuro del mondo è vulnerabile. Tuttavia, questa nobile azione sfrutta a lungo termine i benefici senza una corretta alimentazione e la conseguente sicurezza alimentare”. Da parte sua, il rappresentante residente del PAM, ha sottolineato che lo svolgimento di questo incontro dimostra la forte volontà delle autorità pubbliche senegalesi a stabilire un programma nazionale di educazione alimentare e di nutrizione sostenibile. Il direttore e rappresentante residente del Pam ha chiesto anche la mobilitazione di tutti gli attori intorno alle autorità pubbliche per informare, educare e condividere le politiche e le esperienze nell’alimentazione scolastica e per raggiungere la convalida di un piano d’azione nazionale per un programma di dieta e di educazione alimentare per il quadriennio 2014-2017. Convinto che il raggiungimento di questo obiettivo sarà una svolta importante per le attività dell’alimentazione scolastica in Senegal. Ingeborg Maria Breuer ha avvertito, tuttavia, che il successo di questo programma dipende dall’impegno di tutti gli attori, non solo intorno al tavolo, ma anche sul campo.

Source: allafrica

Signed Sabrina Carbone

Ukraine, the Parliament hunting Yanukovych, Tymoshenko’s regime collapses.Ukraine is free from the regime, but we also hope here is not a déjà vu.The schemes fall, dictatorships fall, but in the end, in the end, the people still keep coming back hungry for freedom.In most cases there has not been a correct dose of use of power. When elections are held, regardless of political orators that they are in power or in opposition use their dialectic, the only weapon conviction, to urge people to vote for this candidate or the other.The words are never alone but is accompanied by the facts. But in the end there are only a river of words, the trade does not penetrate, employment does not increase, and everything remains passive, a rain demagogic words that serves as an umbrella to take power, and anyone who goes up must ensure that he promised and build a constructive dialogue with the opposition, it is a moral obligation.Regardless of whether the State is a Republic or a Monarchy or a scheme, every person who rules or reigns must give thanks to His people without creating his discontent.When the people did not approve it means that the power in his hands has not been used well.Dear politicians are not always sit in the chair to get off the streets and meet your people, what they pay their taxes, what gave you a vote to get on the chair, and what he believed in you, whom you have chosen. In this talk I am reminded of a wonderful book that I invite everyone to read Kafka’s “The Castle”.In Kafka’s Castle everyone had a job, paid all duties and silence reigned.This is the opening scene of this beautiful book. The life of every State should use a hypothetical to be. Idyllic, but we all aspire to peace and serenity.A government or a ruler must ensure their people the rights and duties. Every people has the right to live in their protected status in his work, in his family and in his business.It is not a diplomat, and is also unethical overpower the people, taking advantage of the bread that they bring.Remember that it is the people that come from all over and no one else. To prepare a people to democracy and freedom, one must first be democratic and free to understand that in a democracy there is no inequality in freedom.The ‘Mea culpa’ is not only to all those who have mismanaged political theater, bringing on stage their own interests. Mea culpa is also outside of these states that invade the territory of another State to bring peace, or as they say, a margin of civilization.The great powers like the U.S., France, Britain, Russia, which are the eternal colonists ever, go on-site with the eternal excuse of a peacekeeping mission but it is only to fatten their oil companies, their trade , and once the area has been well drained and saturated is the conclusion of the maintenance of peace.Peace can not be maintained is a constant of freedom and democracy. These invasions of the field I consider futile.They arrive in the area, explain their forces because otherwise they do not know what to do, explain the latest state of war, supersonic aircraft, weapons, the latest fashions, oil giants, energy, but the war never ends like that? Where is this peace-keeping then if they themselves are on the political stage to orchestrate the moves?Eventually they, the powers that are in vogue and people continue to perish. In Afghanistan, the U.S. military created a structure as large as a city that is useless, worse yet it will never be used. In Libya it is even worse.The audience does not applaud this massacre. It seems really all a farce since in this way they can streamline everything they have accumulated and invested in armaments by land, air and sea.Where they land there is always a big mess, the people is not a puppet, the people first of all is a person.I hope that Ukraine is not a déjà vu, Mea culpa to those who have not been able to administer, and mea culpa to those who wanted to colonize unknowingly do.No one is without sin on this globe. All this only leads to a dearth of mankind, all that you have done it did not do anything, and then all this war, this war atmosphere has only served to encourage comfortable but not all of the people.

Firmato Sabrina Carbone

Ucraina, il Parlamento caccia Yanukovic, crolla il regime Timoshenko. L’Ucraina è libera dal regime ma speriamo anche qui non sia un déjà vu. I regimi cadono, le dittature cadono ma alla fine, a conti fatti, il popolo resta sempre indietro affamato di libertà. Nella maggior parte dei casi non c’è stata una giusta dose di uso del potere. Quando vengono organizzate le elezioni, gli oratori politici indipendentemente che essi siano al potere o all’opposizione usano la loro dialettica, unica arma di convinzione, per sollecitare il popolo a votare per questo o l’altro candidato. Le parole non stanno mai da sole ma sono accompagnate dai fatti. Ma alla fine restano solo un fiume di parole, il commercio non sfonda, l’occupazione non aumenta, e tutto resta passivo, una pioggia demagogica di parole che serve da ombrello per arrivare al potere e chiunque ci sale deve garantire ciò che ha promesso e costruire un dialogo costruttivo con l’opposizione, è un obbligo morale. Indipendentemente che lo Stato sia una Repubblica o una Monarchia o un Regime, ogni persona che governa o regna deve rendere grazie al suo popolo senza creare il suo malcontento. Quando il popolo non approva vuol dire che il potere nelle proprie mani non è stato impiegato bene. Cari politici non state sempre seduti in poltrona scendete per le strade e incontrate il vostro popolo, quello che paga le tasse, quello che vi ha dato un voto per salire sulla poltrona e quello che ha creduto in voi eleggendovi. In questo discorso mi viene in mente un bellissimo libro di Kafka che invito tutti a leggere “Il Castello”. Nel Castello di Kafka tutti avevano una mansione, pagavano tutti i dazi e regnava il silenzio. Questa è la scena che apre questo bellissimo libro. La vita di ogni Stato dovrebbe, uso un ipotetico, essere così. Idilliaco, ma tutti aspiriamo alla pace e alla serenità. Un Governo o un regnante devono garantire al proprio popolo diritti e doveri. Ogni popolo ha il diritto di vivere nel proprio Stato tutelato nel suo lavoro, nella sua famiglia e nel suo commercio. Non è diplomatico ed è anche anti-etico sovrastare il popolo, approfittarsi del pane che loro portano. Ricordate che è dal popolo che arriva tutto e da nessun altro. Per preparare un popolo alla democrazia e alla libertà bisogna essere in primo luogo democratici e liberi per capire che nella democrazia nella libertà non c’è disuguaglianza. Il ‘Mea culpa’ non è solo di tutti coloro che hanno gestito male un teatro politico, portando in scena i propri interessi. Mea culpa è anche di questi Stati esterni che invadono il territorio di un altro Stato per portare la pace, o come dicono loro un margine di civiltà. Le grandi potenze come USA, Francia, Gran Bretagna, Russia, che sono gli eterni colonizzatori di sempre, vanno sul posto con l’eterno alibi di una missione di mantenimento della pace ma è solo per far ingrassare le loro compagnie petrolifere, il loro commercio, e una volta che il territorio è stato ben prosciugato e saturo c’è la conclusione del mantenimento della pace. La pace non si mantiene è una costante della libertà e della democrazia. Queste invasioni di campo le reputo futili. Arrivano sul territorio, spiegano le loro forze perchè altrimenti non sanno cosa farsene, spiegano le ultime trovate belliche, aerei supersonici, armi all’ultima moda, giganti petroliferi, energetici, ma la guerra non ha mai fine come mai? Dov’è questo mantenimento della pace se poi sono loro stessi sullo scacchiere politico a orchestrare le mosse? Alla fine sono loro, le potenze che rimangono in auge e il popolo continua a perire. In Afganistan gli USA hanno creato una struttura militare grande quanto una città che non serve a nulla, peggio ancora non sarà mai utilizzata. In Libia è ancora peggio. La platea non applaude questo scempio. Sembra realmente tutta una farsa dal momento che in questo modo possono snellire tutto quello che hanno accumulato e investito negli armamenti terrestri, aerei e marittimi. Dove approdano c’è sempre un grande scompiglio, il popolo non è un burattino, il popolo prima di tutto è persona. Auguro all’Ucraina che non sia un déjà vu, Mea culpa a chi non ha saputo amministrare, e mea culpa a chi ha voluto colonizzare senza saperlo fare. Nessuno è senza peccato su questo mappamondo. Tutto questo porta solo a una carestia del genere umano, tutto quello che avete fatto non è servito a niente, e allora tutta questa guerra, questa atmosfera bellica è solo servita a incoraggiare i comodi di tutti ma non del popolo.

L’ONU ha proposto un piano di sei punti per monitorare la Repubblica Centrafricana, allo scopo di “salvare vite umane”. Ban Ki-moon ha chiesto la rapida implementazione di almeno 3.000 soldati e poliziotti supplementari nel paese. Per il segretario generale delle Nazioni Unite, la partizione della Repubblica Centrafricana sta per “accadere”, a seguito di scontri tra musulmani e cristiani. Una partizione che, a suo giudizio, “stabilisce le basi del conflitto”, che potrà durare anni, e anche generazioni. Questo è il motivo per cui Ban Ki-moon ha chiesto un aumento delle truppe schierate sul posto, come anche il funzionamento del mantenimento della pace sotto l’egida dell’ONU. Questa richiesta è in linea con il desiderio espresso nei giorni scorsi, dal Presidente del Ciad, Idriss Deby, il cui paese è un attore chiave nella crisi nel CAR.

Arrivo di una commissione d’inchiesta

Ban Ki-moon ha annunciato anche l’arrivo la prossima settimana a Bangui, del Presidente della Commissione d’inchiesta sulle violazioni dei diritti umani. Questa notizia è stata accolta con favore da Joseph Bindoumi, il leader della Lega centrafricana per i diritti umani, ma ha lamentato che la visita sia arrivata in ritardo. “Siamo d’accordo sull’arrivo di questo comitato, ma ci dispiace che questa decisione abbia richiesto del tempo. Se tutto questo accadeva in precedenza, potevamo evitare un certo numero di appropriazioni indebite. Ma ci rendiamo conto che le persone che hanno commesso i crimini più gravi devono rispondere delle loro azioni davanti ai tribunali nazionali o internazionali, come la Corte penale internazionale”.

Accelerare la riconciliazione

Il piano proposto dal segretario generale delle Nazioni Unite chiede anche l’accelerazione del processo di riconciliazione politica nella Repubblica Centrafricana “onde evitare una ulteriore disintegrazione dei legami della comunità e gettare le basi per porre fine al conflitto”. Ban Ki-moon ha inoltre accolto con favore il mediatore capo della Comunità economica degli Stati dell’Africa centrale, ECCAS, per il Centro Africa, Denis Sassou Nguesso, Presidente congolese, anche se alcuni ancora criticano la sua passività. Ma secondo il politologo gabonese Jean Bintoungi Delors, se la mediazione non ha ancora dato i suoi frutti, il Presidente congolese non è l’unico a doversi assumere le responsabilità: “Abbiamo bisogno che tutti i capi di Stato della sub-regione facciano uno sforzo collettivo per parlare la stessa lingua e avere la stessa visione di pace in Africa centrale invece di tirare le redini dalla propria parte”. Infine, il Governo centrale dovrà fornire assistenza finanziaria per ripristinare alcuni servizi pubblici essenziali e per pagare gli stipendi della polizia, dei giudici e delle guardie carcerarie in particolare.

Source: allafrica

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Sabrina Carbone

Oggi, tra i 250.000 e i 300.000 bambini stanno combattendo nel mondo. Il reclutamento inizia all’età di 10 anni. I bambini soldato vengono sfruttati come macchine da guerra che colpiscono parenti e amici.

“I bambini sono i migliori combattenti del secolo, mio caro fratello. Hanno più energia dei vecchi. Resistono, senza sentire il dolore fisico”.

Lucien 12 anni, un ex bambino soldato nella Repubblica democratica del Congo (1)

“Alla nostra età, è più complicato per i ribelli. Allora loro usano dei modi più duri, come la droga o il denaro, per attirarci. Mi ricordo l’attacco al villaggio di Njola-Kombouya, a sud della Sierra Leone. Ci siamo alzati all’una di notte e abbiamo camminato per 7 ore. Un medico è venuto. C’era un piccolo piatto di acqua fredda, e due siringhe che sciacquava nell’acqua, e c’era sempre una piccola boccetta con liquido rosso. All’inizio, mi sentivo rammollito mentre dopo ho avuto l’impressione di sentirmi potente come se avevo raggiunto grandi dimensioni, mi sentivo capace di tutto. Provavo rabbia, odio, volevo rompere tutto. Non potete capire, ci mettono in uno stato tale che siamo malati prima di tutta questa violenza, la nostra eccitazione, non ha limiti”.

Moussa, 15 anni, ex-bambino-soldato Sierra Leone (2).

Definizione di un bambino soldato

Un bambino soldato bambino è un essere umano sotto i 18 anni ed è reclutato da un esercito o semplicemente impegnato in un conflitto armato. In alcune società, i bambini sono considerati adulti all’età di 14 o 15 anni. Un giovane di 15 anni unito a un gruppo armato può essere considerato come un combattente adulto secondo la propria cultura. Il diritto internazionale attualmente in vigore fissa a 15 anni di età come minimo il reclutamento militare e la partecipazione ai conflitti. Tuttavia, la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia stabilisce che tutto questo può avvenire a 18 anni di età.

Il ruolo dei bambini soldato

Un bambino soldato non è solo un membro di un gruppo armato che partecipa attivamente alle ostilità. Un bambino soldato non significa necessariamente indossare un’uniforme e un’arma: può essere reclutato nell’esercito come cuoco, facchino, portiere, spia, corriere, guardia del corpo, schiava del sesso, “rilevatore” di mine.

Le cause del reclutamento dei bambini soldato

I bambini vengono reclutati perché sono più docili, più obbedienti e anche più facili da gestire rispetto agli adulti. I bambini sono anche più ignari dei pericoli e non vedono la minima differenza tra “l’assenza” e la “morte”. In combinazione con questioni come la povertà, la mancanza di accesso all’istruzione o alla formazione, la discriminazione e la vulnerabilità, i bambini sono facili bersagli per il reclutamento da parte dei gruppi armati. Orfani, non accompagnati o che vivono in un ambiente familiare difficile, vedono l’arruolamento come una soluzione ai loro problemi, e per loro fare parte dei gruppi armati sembra più sicuro che affrontarli. La vendetta, l’identità della comunità e l’ideologia possono anche influenzare i bambini. I gruppi armati spesso prendono di mira i bambini, perché “costano meno” gli investimenti necessari nel reclutamento, nella formazione e l’armamento dei bambini sono inferiori a quelli dedicati agli adulti. Inoltre, i bambini di oggi sono generalmente reclutati in contesti di guerra civile, che sono lunghi e contano molte vittime. I bambini rimpiazzano gli adulti morti in battaglia.

Reclutamento dei bambini soldato

Il reclutamento dei bambini soldato è in gran parte volontario, a causa di una combinazione di molteplici fattori le cui motivazioni sono state espresse sopra. Tuttavia, il reclutamento forzato è comune ed è un processo attentamente pianificato dove i bambini vengono rapiti e torturati. In caso di reclutamento forzato, i reclutatori di solito prendono di mira luoghi dove i bambini sono più vulnerabili e dove sono riuniti in gran numero tra questi bisogna menzionare i bambini rapiti nelle scuole, gli orfanotrofi, i campi profughi, gli stadi e le chiese. I bambini sono valutati in base alla loro dimensione e alla condizione fisica. Per sottometterli, i reclutatori non esitano a stuprarli, a picchiarli, a torturarli e uccidono perfino i loro familiari, quando non li obbligano a farlo autonomamente.

“Ti danno una pistola, e devi uccidere il tuo migliore amico. Lo fanno per vedere se possono fidarsi. Se non uccidi il tuo amico allora ricevi l’ordine di uccidere. Ho dovuto farlo, perché altrimenti sarei stato ucciso. Ecco perché ho lasciato. Non potevo sopportare tutto questo”.

Colombia, ragazzo reclutato all’età di 7 anni da un gruppo paramilitare. (3)

Bambini soldato: vittime o volontari?

I bambini soldato sono generalmente presentati come vittime degli adulti, preferiscono il reclutamento forzato che è più facile di quello volontario. Tuttavia, la maggior parte dei bambini scelgono di diventare soldati e sono attori dei conflitti reali. Il tabù dei bambini soldato negli eserciti e la visione semplicistica del fenomeno tra il pubblico è una grande sfida per risolvere il problema, perché si tende a voler dare una certa immunità ai bambini soldato, indipendentemente dalla complessità del problema e dalla volontà consapevole dei bambini soldato.

Source: humanium

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“Quando consideriamo la disabilità prima di ogni cosa dobbiamo considerare il bambino, questo non riguarda solo il bambino in questione, ma anche priva la società di ciò che il bambino ha da offrire”, ha dichiarato il Direttore esecutivo dell’UNICEF, Anthony Lake. Spesso lasciati ai margini della società e vittime di discriminazioni, i bambini disabili subiscono una particolare forma di oppressione che impedisce loro di crescere e sviluppare il loro pieno potenziale. L’UNICEF ricorda che un terzo dei paesi del mondo non ha ratificato la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, a scapito del loro riconoscimento e della loro integrazione sociale. In effetti, è nell’interesse dei Governi stimolare questi bambini a svolgere un ruolo attivo nella società. Migliorando le loro competenze e le loro potenzialità, della loro inclusione può beneficiare l’intera comunità. Ragione per cui, l’accessibilità e la progettazione di ambienti di vita accessibili a tutti sono di interesse pubblico. “Affinchè i bambini con disabilità possano contare, devono prima essere contati – alla nascita, a scuola e nella vita in generale”, ha concluso Lake per celebrare l’uscita del rapporto “La situazione dei bambini nel mondo nel 2013″.

Source: humanium

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Nella RDC, l’oppositore Vital Kamerhe ha chiesto che venga aperta un’indagine indipendente dopo i fatti avvenuti giovedì, 20 febbraio, a Bukavu. Gli antagonisti, avevano tenuto una riunione nel quadro del programma “Carovana per la Pace” nel capoluogo del sud Kivu. Il giorno prima, le autorità locali avevano dichiarato che l’adunanza non poteva essere ritenuta nello spazio previsto a causa di alcuni lavori. Infine, decine di poliziotti stavano aspettando il convoglio, quando migliaia di persone sono state aggredite e la polizia ha iniziato a sparare. Secondo un ultimo rapporto fornito dalla Croce Rossa congolese, 24 feriti sono stati ricoverati all’ospedale di Bukavu, e uno solo è stato colpito da un proiettile. Kamerhe aveva iniziato Martedì a Goma, capitale del Nord Kivu, questo tour nella RDC orientale. Con l’arrivo a Goma – dopo essere stato invitato due volte a lasciare Kinshasa da parte delle autorità – ha lanciato questa “Carovana per la Pace” per fargli attraversare in quindici giorni, le province del Nord e del Sud Kivu, annientate da quasi due decenni di conflitto. Perché la dispersione della manifestazione è stata così autoritaria? La domanda rimane, per il momento, completamente aperta. Il portavoce del Governo, Lambert Mende, ha comunque confermato che dodici civili sono rimasti feriti di questi otto sono delle forze dell’ordine. Quello che è certo è che fin dall’inizio c’è stata una disputa sul luogo del raduno, che inizialmente, doveva ritrovarsi a Piazza Indipendenza Mercoledì ma improvvisamente la radio televisione Nazionale congolese ha rilasciato una dichiarazione del sindaco che annunciava dei lavori su questo stesso luogo, rendendo impossibile tenere la riunione. Una seconda opzione allora è stata considerata. L’incontro con i sostenitori è stato spostato allo stadio di calcio di Bukavu ma c’erano, ancora una volta, dei problemi. Secondo Vital Kamerhe, due match erano stati organizzati nello stesso momento e quindi il suo corteo ha scelto di trasferirsi a Piazza Indipendenza, transennata dalla polizia. Nel momento in cui Kamerhe è salito su una piattaforma di fronte alla piazza, intorno alle 17:00 ora locale (16.00 GMT), sono stati utilizzati i gas lacrimogeni. Un centinaio di poliziotti stazionati presso Piazza Indipendenza hanno impedito ai manifestanti di andare oltre e la situazione allora è degenerata. Secondo diverse fonti, sono stati sparati dei proiettili anche di gomma, ma questo non è ancora stato confermato. Secondo il portavoce del Governo tutto ciò era per impedire a Kamerhe di tenere il suo meeting sulla piazza e di conseguenza la polizia è intervenuta e ha sparato gas lacrimogeni, ma la stessa fonte non conferma gli spari dei proiettili o di quelli di gomma. Secondo Lambert Mende, nessun ufficiale della polizia di Bukavu aveva in mano un’arma letale. Solo quindici poliziotti venuti da Kinshasa hanno protetto Kamerhe ed erano armati. Molti elementi sono ancora da confermare. L’unica certezza è che migliaia di persone erano venute ad accogliere Kamerhe nella sua provincia del Sud Kivu.

Source: rfi.fr

Sabrina Carbone

Il Presidente Viktor Yanukovich e il leader dell’opposizione hanno firmato questo Venerdì, 21 febbraio, alla presenza dei difensori civici europei un accordo per porre fine alla crisi in Ucraina, che prevede le elezioni presidenziali anticipate, un ritorno alla Costituzione del 2004 e la formazione di un Governo di unità nazionale. Dopo infinite ore di attesa e di incertezza, con molte richieste di cautela, un passo avanti è stato fatto. Il Presidente ucraino e il leader dell’opposizione hanno firmato l’accordo per porre fine alla crisi, alla presenza dei mediatori europei, del leader tedesco e del Ministro polacco degli Esteri, rispettivamente Frank-Walter Steinmeier e Radoslav Sikorski. I leader dell’opposizione hanno firmato il progetto di accordo europeo dopo aver ottenuto l’approvazione del comitato di Maidan. Da parte sua, il rappresentante russo non ha firmato il documento. Tuttavia se la firma è una base eccellente per porre fine alla crisi, in realtà nulla è definitivo. L’opposizione ha proposto nuove condizioni: l’attuale Ministro degli Interni non deve fare parte del prossimo Governo e il procuratore generale deve essere dimesso dalla sua funzione. Questo è il motivo per cui il diplomatico polacco ha raccomandato la massima cautela fino all’ultimo minuto, insistendo sul fatto che tutti i partiti non sono soddisfatti dell’accordo al 100%. A questo punto, un compromesso è stato raggiunto su tre proposte principali, vale a dire il ritorno alla Costituzione del 2004, che riduce i poteri del Presidente, l’organizzazione delle elezioni anticipate, a data da fenire, e infine, la formazione di un Governo di unità nazionale. A Maidan, è tornata la calma, ma i manifestanti sono molto mobilitati. Il posto è pieno di gente e le barricate non sono ancora state rimosse. I parlamentari ucraini hanno a loro volta adottato lo stesso giorno a larga maggioranza una risoluzione che sostiene un ritorno alla Costituzione del 2004, che limita i poteri del  capo di Stato a favore del Parlamento, in conformità all’accordo redatto per porre fine alla crisi e firmato a metà giornata dal Presidente Viktor Yanukovich e dai capofila dell protesta. La Rada, il Parlamento monocamerale dominato dal Partito delle Regioni di Yanukovich ha anche votato l’amnistia incondizionata per tutte le persone arrestate o suscettibili a essere perseguiti per il loro coinvolgimento nel movimento di protesta contro l’attuale Presidente.

Source: rfi.fr

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Sabrina Carbone

La violenza in Siria ha costretto più di due milioni di persone a fuggire dal paese. Uno di questi è Marwan. La storia di questo bambino di soli quattro anni ha fatto il giro del mondo dopo che Andrew Harper, rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) in Giordania, ha pubblicato sul suo account Twitter una foto della piccola passeggiata lungo il deserto. Come è possibile vedere dalla foto, Marwan, che porta un sacchetto di plastica, ha raggiunge diversi operatori dell’UNHCR al confine tra la Siria e la Giordania. Secondo la giornalista della CNN Hala Gorani, citando fonti della agenzia delle Nazioni Unite, il bambino si è allontanato dalla sua famiglia, che è stata trovata poco dopo. Oltre ai due milioni di siriani che hanno cercato rifugio in altri paesi, più di 6,5 milioni sono sfollati all’interno del paese. a aprtire dal mese di marzo del 2011, la Giordania ha ospitato un gran numero di profughi siriani e, secondo fonti ufficiali del regno hashemita ha raggiunto 600.000 persone. Con la breve tregua concordata a Ginevra tra il regime di Bashar al-Assad e i rappresentanti dell’opposizione presenti nella città svizzera, 1.400 persone sono uscite da Homs, una delle città più colpite dalla guerra. Tuttavia, l’UNHCR afferma che altre 2.500 persone devono essere evacuate con urgenza.
Oltre alla evacuazione dei civili, la tregua umanitaria è servita anche a introdurre sollievo per coloro che sono ancora in città, un’operazione che, secondo il portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, Jens Larke, “è stato un successo, ma sviluppato in circostanze estremamente difficili”. Il convoglio delle Nazioni Unite che è stato attaccato dentro e fuori di Homs, portava razioni di cibo sufficienti per un mese per 500 famiglie – 2500 persone in condizioni di vulnerabilità e 600.000 chili di farina. Larke spera che questa operazione possa essere effettuata anche altrove in Siria, dove 250.000 persone sono intrappolate nelle zone assediate mentre circa 3 milioni di persone vivono in zone inaccessibili alle agenzie umanitarie.

Source: publico.es

Sabrina Carbone

La stampa venezuelana ha condannato le violenza esplose, l’11 febbraio, dopo le contestazioni pacifiche studentesche svolte a Caracas e in altre città in tutto il paese. “Il Governo venezuelano sostiene che è aperto al dialogo, ma non fa che adottare delle misure unilaterali che non affrontano i problemi del quotidiano venezuelano”, scrive El Universal, e aggiunge che pensa sia logico “questo contesto di malcontento riversato sulla strada. Gli attacchi contro gli studenti che dimostrano pacificamente possono essere descritti solo come una repressione politica”. “Tuttavia, scaglia il giornale contro il Governo, le bugie, le calunnie e gli insulti non hanno mai contribuito al mantenimento della pace. In una democrazia degna di questo nome, le autorità non giocano a alimentare le paure, o a causare la diffidenza tra le persone e ancor meno tra le istituzioni”, conclude El Universal. Per il quotidiano El Nacional “i tragici eventi di martedì, la dolorosa perdita di vite umane e la repressione dell’esercito contro una popolazione inerme, sono un’ulteriore prova che questo regime ha le mani intrise di sangue”. L’editorialista di El Nacional era molto pessimista quando ha scritto: “Niente e nessuno fermerà questa escalation repressiva e mortale del Governo”. Da parte sua, il quotidiano Tal Cual cerca di fare un passo indietro “Le versioni sull’origine delle violenze sono contraddittorie”, pubblica il giornale. “Sembra che gli attivisti armati filo-governativi abbiano cercato di replicare quello che è successo Martedì nella città di Merida, dove il Governo aveva permesso di agire con impunità, causando cinque feriti con arma da fuoco. D’altra parte, le autorità venezuelane, compreso il Presidente dell’Assemblea Nazionale, “accusano i leader dell’opposizione di essere responsabili delle violenze”. Infine Tal Cual conclude: “Deve essere vietato l’uso di armi da fuoco per controllare gli eventi, e gli attivisti filo-governativi, che sono in realtà gruppi informali, vengono sostituiti in alcune zone dalla polizia e devono essere disarmati. Casi di violenza sono stati registrati anche in altre città del Venezuela. Quella che doveva essere una giornata civica esemplare ha preso una piega deplorevole.

Source:rfi.fr

Firmato Sabrina Carbone

I diritti naturali assegnati a ogni individuo, riguardano proprio la vita, la libertà, la libertà di circolazione, di religione o la fede interiore che insegna la pratica, la devozione e il rispetto. Quindi ogni persona ha il diritto alla vita, alla libertà e alla tutela della persona, e nessuno è soggetto a essere sottoposto a un regime di schiavitù o di servitù; Ognuno ha il diritto alla libertà di circolazione e alla residenza all’interno dei confini di ogni Stato, e ha il diritto a lasciare e a ritornare al suo paese, come anche a lasciare e a ritornare dai suoi cari. Ogni soggetto ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione; compresa la libertà di opinione senza interferenze allo scopo di cercare di ricevere e comunicare le informazioni e le idee a tutti i media e indipendentemente dalle frontiere. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; compresa la libertà a cambiare la sua religione o il suo credo, da solo o nella comunità con altre persone, in pubblico o in privato, per manifestare la sua religione o il suo credo nell’insegnamento, nella pratica, nel culto e nel rispetto. Tuttavia il comunismo, il nazismo, la Talibanizazzione, o alcuni gruppi estremisti indù, o estremisti cristiani e le ideologie sioniste, sono contro la volontà e il desiderio delle persone, perchè pensano di avere l’autorità conferitagli dal divino a governare sulla gente del paese o sul mondo. Tutti gli attivisti e le organizzazioni a favore dei diritti umani devono sostenere la causa delle persone vulnerabili nel mondo e non devono potenziare l’autorità di tutti i dittatori con il supporto morale, andando contro la libertà di parola e di espressione e implementando delle ideologie religiose fabbricate per gli interessi personali. Per concludere ognuno di noi ha il diritto alla vita che oltre a un diritto è una legge e ha il diritto a difendersi o a essere difeso, a tutelarsi o a essere tutelato e ha oltre a tutti gli altri diritti, il diritto alla parola. Nel mondo questi diritti sono ancora poco osservati, e poco autorizzati in realtà nessuno ha il diritto di decidere per gli altri.

firmato Sabrina Carbone

La disuguaglianza economica e sociale e una squilibrata atmosfera sociale alimenta la povertà che colpisce le persone più vulnerabili e viene definita come disuguaglianza economica di posizione o sociale degli individui. In questa società umana molto sviluppata 3 miliardi di persone vivono con meno di 2 (USD) al giorno mentre 1,4 miliardi di individui vivono con meno 1.25 (USD) al giorno. La povertà è un fronte molto pericoloso e prende forma in questo mondo lussuoso e moderno dove i timori prendono corpo in essa. I mezzi non sono sufficienti per alimentare e per coprire le esigenze di una famiglia, alla quale viene negato ogni accesso agli edifici scolastici o alle cliniche, e addirittura non hanno neanche un lotto di terra da coltivare o che gli permetta di nutrirsi o un lavoro per guadagnarsi da vivere, e non hanno accesso al credito. 925 milioni di persone soffrono di fame cronica, tra questi 800 milioni vivono nelle zone rurali e dipendono dall’agricoltura per soddisfare le esigenze alimentari e avere una sicurezza economica. 2,6 MILIARDI di persone in tutto il mondo non hanno accesso a un risanamento idrico e territoriale adeguato e approssimativamente 780 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile. Ogni giorno oltre 4.000 bambini muoiono a causa di una diarrea severa come conseguenza di un risanamento difficile e di una scarsa igiene. Quasi 11,700 persone muoiono ogni giorno di HIV/AIDS, di tubercolosi e di malaria. Quasi due terzi di loro vive nell’Africa Subsahariana. Quasi metà della popolazione del mondo — oltre 3 miliardi di persone — vive con meno di 2,50 dollari al giorno. Oltre 1,3 miliardi di persone vivono nella povertà estrema (con meno di 1,25 dollari al giorno). 1 miliardo di bambini nell’universo vivono nella povertà. Secondo l’UNICEF, 22.000 bambini muoiono ogni giorno a causa della povertà. Oltre 1 miliardo di persone non hanno un accesso adeguato all’acqua potabile pulita e tra questi 400 milioni in base ai calcoli sono bambini. Nel 2011, 165 milioni di bambini al dì sotto dei 5 anni (tasso ridotto di crescita e di sviluppo) sono morti a causa di una malnutrizione cronica. 870 milioni di persone nell’universo non hanno una alimentazione di base. Le malattie evitabili come la diarrea e la polmonite stroncano la vita a 2 milioni di bambini ogni anno i quali sono troppo poveri per permettersi un trattamento adeguato. Nel 2011, 19 milioni di bambini nell’universo non sono stati vaccinati. Un quarto di tutti gli esseri umani vive senza elettricità — circa 1,6 miliardi di persone. Il 80% della popolazione mondiale vive con meno di 10 dollari al giorno. Quasi 40 miliardi di dollari sono devoluti all’istruzione di base, all’acqua pulita e al risanamento, alla riproduzione delle donne, alla sanità e alla nutrizione di base per ogni individuo che vive nei paesi in via di sviluppo. Il Programma mondiale sulla alimentazione dichiara: “il povero ha fame e la sua fame lo intrappola nella povertà”. La fame è la causa numero uno nel mondo che è motivo di decessi, ed è ancora più mortale rispetto all’HIV/AIDS, alla malaria e alla tubercolosi combinata. Il fondo dello sviluppo economico e agricolo è un fondo specifico destinato a autorizzare le comunità a usufruire delle risorse necessarie per alimentare per stabilizzare la nutrizione e la sicurezza economica, che può conseguentemente e direttamente migliorare la salute e l’istruzione. Le Nazioni Unite e i paesi sviluppati devono migliorare i fondi di sviluppo economico e agevolare le famiglie, le comunità e le nazioni che dipendono dall’agricoltura, allo scopo di incoraggiarle a coltivare i prodotti alimentari tramite delle tecnologie avanzate e moderne e con una giusta pianificazione per introdurli sul mercato. 800 milioni di persone che vivono nelle zone rurali, appartengono all’ONU e ai paesi in via di sviluppo, 800 milioni di persone impiegano le loro abilità e lavorano la terra ottenendo buoni profitti. Le Nazioni Unite e i paesi sviluppati piantano i migliori semi e usano i migliori fertilizzanti liberi tramite una eccellente linea guida di produzione e ricevono un addestramento per la coltivazione agricola. Le donne devono essere incoraggiate a comprendere questo campo dell’agricoltura, e un gran numero di loro in Asia e in Africa lo hanno già capito, ma solo quando i continenti europei e gli americani sono stati completamente coinvolti gli obiettivi per evincere la povertà sono stati raggiunti. Bisogna incoraggiare l’industria manifatturiera allo scopo di sviluppare le fonti di vendita. Creare una finestra di tante piccole industrie alle quali viene attribuito un prestito a tasso agevolato, allo scopo di fondare la base per una buona coltivazione agricola e per l’allevamento degli animali e del bestiame.

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Sabrina Carbone

Una ragazza musulmana di 11 anni è stata trovata in un villaggio a ovest di Bangui, sola, e circondata da cadaveri e nulla da mangiare o da bere dopo un massacro che aveva avuto luogo quattro giorni prima. Traumatizzata, si nascondeva dopo che i suoi genitori e i suoi vicini erano stati assassinati a sangue freddo. Non lontano, i cani divoravano i corpi. Quei 20 o più anziani abitanti, giacevano per le strade. La squadra di Amnesty International ha trovato la bambina nel villaggio di Bouguere, a ovest della capitale, Bangui. La giovane è stata portata in un luogo sicuro. “Era accovacciata in un angolo, in una casa abbandonata e in rovina. Era terrorizzata e riusciva a malapena a parlare. Cercava di occultarsi dopo il massacro avvenuto nel suo paese quattro giorni prima”, ha dichiarato Donatella Rovera, una specialista in situazioni di crisi di Amnesty International. “Non avendo nulla da mangiare o da bere durante questo periodo, a causa della sua stremezza non riusciva a stare in piedi. Era l’unica musulmana ancora viva nel villaggio, tutti gli altri o erano riusciti a fuggire o erano stati uccisi”. “La scena alla quale abbiamo assistito nel paese di Bouguere è rappresentativa degli orrori subiti da decine di migliaia di musulmani nella Repubblica Centrafricana”. “Se la comunità internazionale vuole davvero fermare questi massacri, deve necessariamente distribuire dove c’è più bisogno le forze di pace le quali devono inoltre disporre di risorse sufficienti per svolgere il proprio mandato allo scopo di proteggere i civili”.

Source:amnestyalgerie

firmato Sabrina Carbone

Non si può morire giovani e sciupare la propria vita in pseudo paradisi. Drammi ancora sulle strade all’uscita dai pub o dalle discoteche. Non è giusto morire in questo modo, credendo di vivere con gli allucigeni il ‘paradiso’ e poi ritrovarsi veramente con i piedi nella fossa. Non è sufficiente vigilare sul tasso alcolico, non è sufficiente dire “se hai bevuto troppo fai guidare un amico”, non è sufficiente vietare l’alcool se poi è possibile, da parte dei minori, acquistarlo clandestinamente. Tutte queste misure non sono più sufficienti. Un giovane su quattro tra i 15 e i 29 anni in Europa muore a causa dell’alcool. Primo fattore di rischio d’invalità, mortalità prematura e malattia cronica nei giovani. Un goccio di vino non fa male a nessuno ma allora cos’è che porta i giovani a strafare a cercare rifugio nell’alcool, nelle droghe o nei cocktail che a mio giudizio, non essendo un’ottima bevitrice, considero delle vere bombe a orologeria, che la morte fa scoppiare nel momento desiderato. Il ruolo dei genitori oggi non è solo un ruolo è un lavoro, una passione la cui costante è l’amore per il proprio congiunto. Non è facile oggi giorno, fare il genitore, la vita richiede non solo enormi sacrifici, ma soprattutto un pò più di accortezza. La scuola, non deve svolgere solo il proprio ruolo, o il proprio lavoro, deve sensibilizzare. Il comune denominatore in entrambi i casi è l’amore di un genitore e l’amore per il proprio lavoro di insegnante che sensibilizza su questa reale piaga che continua affamata a mangiare cadaveri. Ed è da loro che deve iniziare questa campagna massiccia di sensibilizzazione. Chi inizia a bere prima dei 16 anni ha un rischio maggiore di sviluppare l’alcoldipendenza in età adulta rispetto a chi inizia non prima dei 21 anni. Attenzione sottolineo la parola dipendenza. Perchè i giovani dipendono dall’alcool, dalle droghe o da altri allucinogeni. Come cita il Treccani la parola dipendenza indica: “l’impossibilità di determinare da soli le condizioni della propria esistenza, anche in senso psicologico”. Molti giovani oggi sembrano dei veri automi, al comando di ciò che impone la società rispondono. Non è questa la gioventù, non è “Gioventù bruciata” (J.Dean), un viaggio, non solo metaforico, nelle inquietudini e nelle speranze di una generazione che si era riconosciuta nella cultura alternativa degli anni Sessanta. I giovani non hanno un modello ma sono il nostro futuro, e hanno bisogno di tutte le necessarie e corrette informazioni per prevenire le tragedie sulla strada, per risolvere in maniera corretta i problemi, prima che possano dipendere dai paradisi artificiali che offre la società. Ricordiamo ai giovani che non serve essere dipendenti da queste false utopie, bisogna reagire, essere forti e non lasciarsi mai andare, bisogna vivere per la pace, per l’amore tra i popoli ma soprattutto bisogna amarsi e vivere per se stessi, solo così avremo altri modelli ai quali compararci, perchè LA VITA E’ BELLA! Non sciuparla con pseudo paradisi…CARPE DIEM! 

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Sabrina Carbone

Solo l’entità sionista imprigiona i morti. Centinaia di martiri palestinesi e arabi sono sepolti e confiscati dagli occupanti che rifiutano di restituire i corpi alle loro famiglie. 4 “cimiteri” sono tenuti segreti, ma le loro posizioni sono ormai note. E’ probabile che ce ne siano altri. Dopo numerose battaglie legali, alla fine, le autorità dell’occupazione hanno accettato di rilasciare i corpi dei martiri. Fatima Abdel Karim, capo dell’informazione della “campagna nazionale per il recupero dei corpi dei martiri”, ha dichiarato che l’occupante dei martiri imprigionati per 40 anni, rifiuta anche di confermare alla famiglia che il loro figlio è morto, senza fornire altre notizie sulla sua sorte. Secondo la “campagna”, 446 corpi dei martiri sono sepolti nei cimiteri. Per Abdel Karim, la prigionia dei corpi dei martiri è un mezzo di tortura per le famiglie palestinesi e per i martiri. Per l’entità sionista, è un mezzo di pressione e di punizione collettiva dei palestinesi. Gli avvocati ritengono che la confisca dei corpi dei martiri è un “crimine di guerra” che la “comunità internazionale” coscientemente ignora, perché si tratta di uno Stato di occupazione. Nei mesi scorsi, quando il primo corpo (91) è stato rilasciato, i palestinesi avevano organizzato il funerale collettivo in Cisgiordania e a Gaza, ricordando a loro stessi e al mondo gli atti eroici e il coraggio dei martiri caduti per liberare la Palestina. Sono stati momenti intensi, politicamente, moralmente e emotivamente, sia per le famiglie che per le organizzazioni palestinesi ai quali questi combattenti martiri appartengono. Temendo una ripetizione di quei momenti, l’occupazione sionista ha deciso che la seconda consegna dei 36 corpi avverrà con il contagocce. Da metà gennaio, quindi i corpi dei martiri sono stati rilasciati, uno alla volta, o talvolta due alla volta, con l’obbligo di seppellirli nel silenzio. L’entità coloniale teme ciò che i rappresentanti di questi martiri e le lezioni che possono trasmettere al loro popolo. Il corpo legislativo dei coloni (Knesset) ha approvato il progetto di legge che impone l’alimentazione forzata dei prigionieri palestinesi in sciopero della fame. Dopo l’eroico sciopero della fame di Samer Issawi e il grave deterioramento del suo stato di salute, che ha rappresentato una forte pressione sui sionisti, ma anche su molti prigionieri in detenzione “amministrativa” o sui pazienti che hanno iniziato lo sciopero della fame negli ultimi anni, i sionisti hanno voluto aggiungere un carattere “legale” ai loro crimini votando la legge. Tuttavia, essi hanno ucciso i prigionieri palestinesi in sciopero della fame nel 1980 alimentandoli in maniera forzata, anche senza delle norme: Ali Jaabari, Rassem Murawgha Halawi e Ishaq sono stati uccisi da questo metodo. Da parte sua, Issa Qaraqi, Ministro incaricato dei prigionieri liberati nel Governo di Ramallah ha chiesto l’intervento della comunità internazionale per abolire la legge, che come lui stesso ha dichiarato è “la legge della morte” dei prigionieri.

Source: info-palestine

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Sabrina Carbone

Rafah, striscia di Gaza – Non lontano dal valico di frontiera di Rafah, dove migliaia di viaggiatori sono rimasti bloccati dopo la chiusura del passaggio da parte delle autorità egiziane, c’è l’aeroporto internazionale di Gaza. L’aeroporto era costituito da tre grandi edifici decorati con mosaici marocchini. Il primo edificio, era sormontato da una cupola dorata, ed era riservata ai viaggiatori VIP, il secondo era un sala di imbarco e sbarco, mentre il terzo ospitava la direzione dei palestinesi Airlines. Dietro queste strutture c’è una pista lunga. L’aeroporto aveva anche una grande porta d’ingresso e una laterale. Se visti da una certa distanza, questi edifici sembrano essere operativi, ma è sufficiente avvicinarsi per notare l’entità della distruzione. Nessun passeggero o aeromobile. Gli edifici sono stati bombardati e svuotati, e quindi rimane solo lo scheletro esterno. Anche le pietre che componevano l’asfalto sono state rubate mentre la pista è diventata un luogo di pascolo invernale per le pecore dei nomadi che vivono nelle zone limitrofe. Questo è quello che rimane dell’aeroporto di Israele e i suoi bulldozer hanno raso al suolo gran parte delle strutture, il 4 dicembre 2001. Otto giorni dopo, gli aerei da guerra israeliani hanno bombardato la torre di controllo. Il 15 dicembre, un nuovo attacco ha provocato la distruzione completa della pista. Il 26 giugno 2006, l’esercito israeliano ha cominciato a occupare le strutture aeroportuali e a utilizzarle come base militare.

L’aeroporto era stato inaugurato nel 1998 dall’ex Presidente dell’Autorità palestinese, Yasser Arafat, il progetto aveva ricevuto un sostegno finanziario dalla Spagna, dalla Germania e da altri paesi. Gli architetti marocchini erano stati commissionati per decorare e progettare il sito. Le rovine della sala VIP, sormontata da una cupola dorata e coperta con pareti a mosaico, sono l’unico frammento dell’architettura dell’aeroporto. Parte dei locali dell’aeroporto sono stati trasformati in una discarica.

Nasma Sawarka, una pastorella di 15 anni, indicando casa sua, ha raccontato: “Sono cresciuta vedendo l’aeroporto vicino casa nostra. Ricordo quel suono orribile dei bombardamenti. A volte guardo le foto di mio padre, che lavorava lì”. Sua sorella Isra, 18 anni, ha ricordato: “C’era l’aeroporto e gli aerei che atterravano. Erano giorni felici. Mio padre e i miei zii hanno lavorato fino a quando non c’è stato il bombardamento. Poi questo aeroporto è diventato una maledizione più che una benedizione. Dopo il bombardamento, abbiamo visto persone che saccheggiavano la struttura cercando di recuperare i materiali da costruzione”.

L’aeroporto internazionale di Gaza è stato il primo nella lista degli aerodromi attesi nei Territori palestinesi, oggi, tuttavia, solo gli aeroporti israeliani e i valichi di frontiera terrestri permettono di lasciare il paese. I palestinesi fanno andata e ritorno negli aeroporti della Giordania e dell’Egitto. Secondo Khalil Shehin, esperto legale a capo dell’Unità per i diritti economici e sociali e al Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR), la distruzione dell’aeroporto ha impedito a milioni di palestinesi di viaggiare e di andare a trovare i loro parenti. Ora devono affrontare costi elevati e situazioni di stanchezza e di umiliazione negli aeroporti, oltre a dover passare attraverso altri paesi. “Adesso non abbiamo un aeroporto, anche se abbiamo un passaporto riconosciuto, ha spiegato. Quando c’era un aeroporto a Gaza, era relativamente facile viaggiare. Oggi, ogni cittadino che vuole viaggiare (in volo) deve lasciare Gaza pochi giorni prima della sua partenza, in modo da essere sicuri di arrivare in aeroporto in tempo. I viaggiatori devono poi passare la notte nei saloni dell’aeroporto”. Il portavoce del Governo di Gaza, Ihab Ghussein ha reso noto che il popolo palestinese ha il diritto ad avere un aeroporto nel suo territorio, ma che l’occupazione israeliana ha negato questo diritto distruggendo l’aerodromo, e prendendo il controllo dello spazio aereo palestinese e istituendo un blocco aereo, terrestre e marittimo sulla Striscia di Gaza. “La sede è attualmente in vigore rende impossibile ripristinare l’aeroporto”, ha comunicato. Osama Shahaibir, il controllore delle vendite per Palestinian Airlines ha chiarito che i piccoli uffici sono tutto ciò che rimane di Palestinian Airlines dopo la chiusura della sua sede a Gaza. Non lontano da ciò che resta dell’aeroporto di Gaza, la sensazione di essere intrappolati diventa palpabile in questi bus riuniti al passaggio di Rafah dai pellegrini costretti ad aspettare ore per attraversare il confine ed entrare dopo 8 ore di viaggio al Cairo, sperando di volare in Arabia Saudita.

Source: info-palestine

 

Sabrina Carbone

Un’inchiesta pubblica è stata aperta in Nigeria sugli “omicidi di Stato” avvenuti negli ultimi 20 anni. Crimini che risalgono soprattutto agli anni Abacha, ma anche al periodo in cui Obasanjo era al potere. Ma questa indagine riguarderà le istituzioni, non gli individui. L’apertura di questa indagine segue una dichiarazione pubblica nel mese di dicembre del 2013 dell’ex Presidente, Olusegun Obasanjo, che ha accusato il Presidente Goodluck Jonathan di mantenere una milizia privata allo scopo di procedere agli “omicidi” politici. Goodluck Jonathan ha smentito l’accusa, e ha assicurato che ordinerà di aprire un’inchiesta. Con la creazione di un comitato che lavora sul periodo che parte dal mese di novembre del 1995, quando la Nigeria era sotto il regime militare di Sani Abacha, fino ad oggi, il Presidente Jonathan ha guadagnato due punti. In primo luogo si pone al di sopra del braccio di ferro che l’oppone direttamente a Olusegun Obasanjo che non vuole indire le elezioni presidenziali il prossimo anno.

Obasanjo nel mirino

Ma compromette anche l’ex Presidente. Infatti, nel mese di dicembre del 2001, Bola Ige, il Ministro della Giustizia di Obasanjo, era stato ucciso nella sua casa di Ibadan, e parallelamente una figura leader dell’opposizione, Harry Marshall, veniva assassinato nella sua casa nella capitale federale Abuja. C’è anche il caso di Aminosari Dikibo, Vice Presidente del PDP, il partito al potere. E’ stato ucciso da uomini armati non identificati che gli hanno sparato alla testa, nei pressi di Asaba, la capitale dello Stato del Delta, dove stava partecipando a una riunione politica. Durante la presidenza di Olusegun Obasanjo, una squadra è stata formata per indagare sulle violazioni dei diritti umani, in particolare sugli omicidi politici sotto i regimi militari precedenti. Ma il rapporto di questa indagine non è mai stato reso pubblico. La pubblicazione dei risultati di questa indagine dovrà contribuire a garantire che le elezioni del prossimo anno vengano realizzate senza violenza.

Source: allafrica

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Sabrina Carbone

Nonostante i progressi e le riforme intraprese dalle varie autorità, è necessario rafforzare il rispetto dei diritti umani nell’amministrazione della giustizia in Togo e migliorarne il funzionamento, secondo un rapporto pubblicato Venerdì, 14 febbraio, dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani (OHCHR). La relazione è basata sulle attività svolte dall’OHCHR in Togo, comprese le visite regolari nei luoghi di detenzione, seguite dai dossier giudiziari e dalle formazioni dispensate per i professionisti legali. Il rapporto valuta il rispetto e l’attuazione dei diritti umani nell’amministrazione della giustizia, analizza le cause dei principali problemi del sistema giudiziario in Togo e le raccomandazioni. Nonostante il vasto programma di modernizzazione della giustizia varato dal Governo togolese nel 2005 che ha portato ad alcuni risultati concreti, la relazione solleva diverse questioni relative al funzionamento del sistema giudiziario. Sottolinea, in particolare, il mancato rispetto, in alcuni casi, dei principi di separazione dell’azione penale, la ricerca e la sperimentazione, e le distorsioni del diritto d’appello in una sentenza davanti a un tribunale superiore. La relazione rileva inoltre interferenze che compromettono l’indipendenza della magistratura, e evidenzia inoltre il ricorso quasi sistematico al warrant, i lunghi ritardi nella custodia in vista della detenzione, e l’assenza di un Foro presso la Corte d’Appello di Kara, che limita l’accesso all’avvocato all’interno del paese. Concentrandosi sulle principali cause di fallimento della magistratura, la relazione sottolinea l’insufficienza e l’inadeguatezza delle infrastrutture e della logistica, come anche i casi di corruzione, in particolare nel contesto di ottenere copia delle decisioni della giustizia. Il dossier evidenzia anche il crescente fenomeno dei “bagarini della giustizia” intermediari senza personalità giuridica che si moltiplicano nei Palazzi della giustizia e servono da interfaccia tra alcuni giudici e le parti in causa, promuovendo in questo modo pratiche di corruzione. “Di fronte alle carenze e alle sfide evidenziate dalla relazione, invito le autorità togolesi a perseguire le riforme legislative e a organizzare quanto prima, le dichiarazioni generali del diritto. Queste iniziative contribuiranno a ripristinare la fiducia nel loro sistema giudiziario del Togo”, ha affermato l’Alto Commissario dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, Navi Pillay. L’Alto Commissario ha anche reso noto che la sua organizzazione è pronta a fornire un sostegno multiforme al Governo togolese per contribuire a migliorare il rispetto e l’attuazione dei diritti umani nell’amministrazione della giustizia.

Source: allafrica

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Sabrina Carbone

Il figlio del defunto leader libico Muammar Gheddafi e alcuni dignitari del regime, tra i quali l’ex capo dei servizi segreti Abdullah al-Senussi, sono accusati di soppressione della rivolta del 2011, e sono ancora privati ​​dell’assistenza dei loro avvocati. Ciò ha portato giovedì, 13 febbraio, Human Rights Watch ha invitare il Governo libico a consentire l’accesso agli avvocati per la loro difesa. “Il Governo libico deve compiere maggiori sforzi per garantire che questi ex funzionari attualmente in detenzione abbiano il supporto e la difesa di un avvocato e la possibilità di difendersi davanti a un giudice”, ha dichiarato Nadim Houry, Vicedirettore aggiunto del Medio Oriente e del nord Africa delle organizzazioni di difesa dei diritti dell’uomo. Per il responsabile di Human Rights Watch, che afferma di aver incontrato i quattro detenuti, l’appello che il suo movimento ha lanciato verso i leader libici giunge in seguito alla stessa richiesta delle parti interessate. Seif al-Islam Gheddafi e al-Senoussi hanno precisato che non hanno avvocati, mentre Bouzid Dorda (ex capo dei servizi segreti) e al-Baghdadi al-Mahmoudi (ex Primo Ministro) hanno, in ciò che li concerne, indicato che ai loro difensori è stato negato un accesso adeguato. Come promemoria, ricordiamo che alla fine di ottobre, la giustizia libica aveva accusato trenta principali dirigenti del deposto regime di Muammar Gheddafi, tra questi Seif al-Islam Senoussi per la repressione della rivolta del 2011. I due detenuti sono oggetto del mandato di cattura internazionale della Corte penale internazionale (ICC), e sono sospettati di crimini contro l’umanità durante la rivolta. Nel mese di maggio, la Corte penale internazionale aveva respinto le la richiesta delle autorità libiche di giudicare davanti ai tribunali libici Seif al-Islam in ragione dei dubbi sulla capacità di Tripoli a garantire loro un processo equo. Da allora, c’è stato un braccio di ferro tra le due parti che disputano la responsabilità dei giudici. Oltre alle rivelazioni fatte da Human Rights Watch, anche Amnesty International non ha mai smesso di condannare le pratiche sleali in Libia, in particolare la regressione della libertà di espressione tre anni dopo lo scoppio della rivolta che ha rovesciato nel paese il regime di Gheddafi. Amnesty International rileva inoltre che le autorità libiche attuali hanno ‘consolidato una legge dell’epoca Gheddafi che criminalizza gli insulti allo Stato, al suo emblema o alla sua bandiera”. Inoltre hanno “proscritto qualsiasi critica della rivoluzione del, 17 febbraio o insulti ai funzionari”.

Source: allafrica

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Sabrina Carbone

Il rappresentante speciale del segretario generale per la Repubblica Centrafricana, Babacar Gaye, ha giudicato giovedì, 6 gennaio, “inammissibili”, gli incidenti che hanno avuto luogo ai margini di una cerimonia ufficiale che hanno segnato ieri la rinascita dell’esercito nazionale a Bangui. “Ho avuto, in diverse occasioni, l’opportunità di richiamare l’attenzione dell’élite e del pubblico sulla necessità di evitare un’ondata di violenze indiscriminate e di brutalità inutili alle quali stiamo assistendo oggi. E i risultati di questa aggressività si traducono nella lacerazione del tessuto sociale, nel disorientamento senza precedenti in questo paese”, ha scandito Gaye nel corso di una conferenza stampa tenuta a Bangui. ”Accolgo con favore a questo proposito il volontarismo del Presidente. Ma gli incidenti che hanno avuto luogo ieri dopo la visita di rimobilizzazione delle Forze Armate dell’Africa centrale (FACA) sono degli incidenti che rivelano, anche eventi inaccettabili”, ha aggiunto Gaye. “Devono essere indagati e puniti in maniera esemplare”. Secondo la stampa al termine della cerimonia durante la quale il Presidente Catherine Samba Panza ha celebrato la riforma delle forze centrali un uomo sospettato di essere un ribelle Seleka è stato linciato dai soldati FACA. L’ONU in seguito a questo linciaggio ha reagito come anche la Francia ed è stata ordinata l’apertura di una inchiesta.

Source: fr.allafrica

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Sabrina Carbone

Liz Carolina e Mariela hanno molte cose in comune. Entrambe sono del Paraguay, e sono coetanee, hanno 10 anni. Le accomuna la povertà, e anche il lavoro. Liz fa la raccolta differenziata nella discarica di Cateura, una delle più grandi in Paraguay. Anche Mariela lavora per alleviare le penurie economiche della sua famiglia. Tuttavia la storia di entrambe non finisce allo stesso modo. Mariela fa parte del programma Abbraccio, e ha abbandonato la vita di strada, mentre Liz è stata investita da un auto sul luogo dove lavorava ed è morta sul colpo. Il caso di Liz Carolina Villasanti ha riproposto ancora una volta nell’agenda del paese il lavoro infantile, una realtà inevitabile che colpisce oltre 420.000 bambini in tutto il territorio. “Loro devono giocare e studiare”, reclamano le organizzazioni per i diritti umani. Ma non lo fanno. Mariela è una ragazza che ora ha 10 anni, energica e allegra, nonostante la sua storia, parla quasi urlando e gioca con le sue amiche e con i suoi amici del posto. E’ figlia di una umile donna di sei figli. Per alleviare le necessità della sua famiglia, Mariela si prende cura di sua nonna. Ha iniziato a lavorare da quando aveva sei anni. Il Programma Abbraccio ha dato a Mariela una luce di speranza quando la nonna ha visitato il centro e ha accettato l’invito di iscrivere Mariela al programma. Da allora Mariela studia, gioca e non lavora. La sua condotta a scuola è aumentata notevolmente. E’ uno degli esempi positivi. Tuttavia la realtà è ben diversa. In Paraguay oltre, 416.000 bambini, bambine e adolescenti, il 22,4% del totale, vivono una situazione di lavoro infantile, e la maggior parte di loro realizza lavori infantili pericolosi secondo l’Indagine Nazionale sulle Attività dei bambini e delle bambine e degli adolescenti 2011, pubblicata dal Programma Internazionale per sradicare il lavoro infantile, (IPEC), dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, (OIL), e la Direzione Generale delle Statistiche, delle Indagine e dei Censimenti, (DGEEC), nel 2013. Poche ore dopo la morte della ragazza, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF), in Paraguay ha lamentato pubblicamente che continuano a esserci decessi dei bambini e degli adolescenti che fanno diversi tipi di lavoro nel paese. “L’ultimo caso registrato questa settimana, è quello di una bambina di 10 anni che è morta schiacciata dai macchinari pesanti nella discarica di Cateura sita a Asuncion, ciò dimostra che i bambini continuano a lavorare in quel luogo, alla ricerca dei materiali riciclabili tra i rifiuti, mettendo a repentaglio la loro salute, la loro sicurezza e la loro vita”, ha denunciato Diego Brom dell’area di Comunicazione dell’organizzazione.

Source: .elmundo

Sabrina Carbone

Appello ai corpi diplomatici ucraini nel mondo: non accettate più di rappresentare un potere criminale!

Perché è importante?

A partire dal 22 novembre 2013, milioni di cittadini ucraini hanno iniziato a lottare per il loro diritto a vivere in un paese libero e democratico. Un territorio dove il Governo deve essere il garante dei diritti e delle libertà costituzionali! Contro la volontà del popolo e gli interessi dell’Ucraina, il Presidente Viktor Yanukovich continua a condurre, con arroganza e intransigenza, una politica di distruzione dei diritti e delle libertà in Ucraina, a discapito degli interessi dello Stato e della società e quindi, utilizza spudoratamente lo Stato solo per i propri intenti allo scopo di consolidare un regime totalitario e criminale! In due mesi, la situazione in Ucraina è cambiata radicalmente: da una dimostrazione a sostegno dell’accordo con l’Europa, i cittadini sono stati costretti a dover proteggere i loro diritti e la loro libertà di espressione e d’opposizione, e questo a causa dei voti a “mano libera” e alle leggi dittatoriali firmate dal Presidente Viktor Yanukovich. Nella prima fase dell’intervento, il regime ha risposto con tentativi di provocazione attraverso delle considerazioni illegittime e la dispersione con estrema violenza dei manifestanti radunati nella piazza centrale di Kiev (Maidan) per esprimere il loro punto di vista. Nel secondo, il potere ha cambiato strategia, e ha portato ai sequestri, alle uccisioni e alle torture. I giornalisti che hanno cercato di far luce su questi ultimi eventi sono stati brutalmente picchiati. Tuttavia, in Ucraina, anche in epoca medievale, la vita umana non aveva alcun valore e i crimini ci sono inesorabilmente sempre stati. L’unica differenza è che oggi, questi crimini non sono giudicati dai tribunali subordinati al Presidente, ma dal Tribunale internazionale dell’Aia. Oggi, il popolo ucraino è sceso per le strade di diverse città allo scopo di tutelare i propri diritti e la propria libertà. Queste migliaia di persone sono arrivate da ogni dove per difendere il loro territorio, e per evitare la divisione del paese e per impedire che la dittatura seppellisca la democrazia. I recenti avvenimenti dimostrano che Viktor Yanukovich, attraverso la sua politica di umiliazione e al suo diktat, è responsabile di aver portato il paese all’isolamento e alla miseria, un clima nel quale vivono gli ucraini. La evidente crudeltà, le dichiarazioni in contrasto con la realtà, la sua ritirata nel suo bunker a “Mezhhir’ya” costituiscono elementi di prova che sono alla base dell’incompetenza di Viktor Yanukovich, il quale è ormai diventato una vittima delle sue stesse paure. Nessun altro paese al mondo sostiene Yanukovich! Nessuna persona sensata è a sostegno del male, del disprezzo e della crudeltà! Al contrario, milioni di persone provenienti da tutti i continenti, come in diverse città italiane, protestano contro l’umiliazione della dignità umana e contro una politica di convenienza, simboleggiata da Yanukovich e dal suo clan, rimettendo in discussione i diritti e le libertà fondamentali in Ucraina! Facciamo appello ai rappresentanti diplomatici delle ambasciate e ai consolati dell’Ucraina, come anche all’élite intellettuale dell’Ucraina. Non restate in disparte! State dalla parte del popolo ucraino! Oggi, è ancora possibile esprimere la vostra posizione e il vostro coraggio, in qualità di civili. Ma domani, voi figurerete e forse per sempre nei libri di storia i quali mostreranno l’Ucraina come una dittatura semi-criminale, e voi, voi non sarete più nessuno. Prendete la parola a favore della tutela dei cittadini ucraini, che difendono oggi il diritto di essere un popolo libero nella nostra terra! Non siate indulgenti ai capricci di una organizzazione criminale che tenta di stabilire una dittatura sotto l’egida di un clan nell’Ucraina indipendente! Sostenete i nostri fratelli e sorelle in Ucraina, i quali hanno più che mai bisogno del vostro supporto!

Source: maidantranslations.wordpress

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Firmato Sabrina Carbone

Nisi caste, saltem caute. Il prossimo mese di marzo, o più precisamente alla fine del mese di marzo del corrente anno saranno chiusi gli OPG. La chiusura degli Ospedali Pschiatrici Giudiziari, (OPG), è un argomento poco denunciato dalla stampa nazionale, ma al contrario è un tema del quale bisogna parlare dal momento che non è una questione di “Nisi caste, saltem caute. Come promemoria e ripercorrendo la storia degli OPG, ricordiamo che il, 13 maggio del 1978, veniva adottata la Legge italiana nr. 180  ”Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” detta colloquialmente Legge Basaglia. Franco Basaglia è stato un psichiatra e neurologo italiano, ed è stato il fondatore della concezione moderna della salute mentale, riformatore della disciplina psichiatrica in Italia. La Legge 180 è la prima e unica legge quadro che ha imposto la chiusura dei manicomi e ha regolarizzato il trattamento sanitario obbligatorio attraverso l’attivazione dei servizi d’igiene mentale pubblici. Attualmente e nonostante la Legge sopra menzionata gli OPG continuano a esistere e sono 6 (Barcellona Pozzo di Gotto-Messina, Aversa, Napoli Secondigliano, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere–Mantova) e in totale nel loro interno vivono quasi un migliaio di persone, e entro la fine di marzo di quest’anno saranno chiusi. A distanza di 35 anni sono allo studio progetti di riforma della legge chiesti a gran voce dalle famiglie dei malati i quali denunciano che de facto la Legge 180 scarica solo sulle loro spalle il peso di una cura che sono incapaci di prestare. Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono un reale scempio. Sono strutture obsolete, dove i malati mentali vengono parcheggiati e sottoposti a ‘cure’ e a volte anche maltrattati. Spostiamo il baricentro e poniamoci dalla parte degli internati. Pensate che siano felici della loro condizione di come vengono trattati e soprattutto come vengono considerati? In molti ospedali si abusa delle loro contenzioni fisiche e si eccede spesso con gli psicofarmaci. Da un lato le famiglie che realmente risentono di questo trauma, dall’altro gli OPG sono stati dei comodi rifugi per rinchiudere i propri congiunti perchè erano considerati, e lo sono tutt’ora con coscienza diversa, uno scandalo o un fagotto scomodo da mantenere. Quanta ignoranza ancora a questo mondo, loro guardano da dietro le grate e le sbarre un mondo del quale non conoscono la sua evoluzione. E’ davvero uno scenario triste. E guardando loro, gli internati, è d’obbligo porsi la domanda ma cosa c’è in fondo al cuore di un essere umano. La risposta è nella scarsa sensibilizzazione. Questo argomento non ha ricevuto la giusta dose di sensibilizzazione, non ha ricevuto la giusta dose di aggiornamento culturale. E’ un tema messo lì, occultato, e parcheggiato è lì senza peso e senza valore. Simbolo della lotta per la chiusura degli ospedali psichiatrici civili, è il cavallo di cartapesta azzurro, alto quattro metri che nel, febbraio del 1973, aveva guidato il corteo degli internati fuori dalle mura dell’Ospedale psichiatrico di San Giovanni a Trieste e tutt’oggi continua la sua battaglia. Con la chiusura prossima degli OPG c’è il serio rischio che vengano create delle mini-OPG a livello regionale, con dimensioni diverse e diversa distribuzione territoriale ma con lo stesso approccio delle strutture soppresse. Morale della favola cambia l’etichetta ma non la sostanza. 

Sabrina Carbone

E la lotta contro gli arsenali chimici a cosa è servita se gli Stati Uniti hanno completato con successo i primi test del nuovo modello della bomba nucleare B61-12 come parte del loro sforzo in corso per rinnovare l’arsenale atomico? Da quale pulpito arriva la predica! La National Nuclear Security Administration (NNSA in breve) ha annunciato sul suo sito che i laboratori nazionali di Los Alamos e Sandia hanno condotto dei test sulla meccanica dell’intero sistema del modello aggiornato della bomba nucleare B61, chiamata Mod. 12. “La prova è un risultato importante e incita a dare fiducia alla nostre capacità e ad andare avanti con i nostri sforzi allo scopo di aumentare la sicurezza e la protezione della bomba”, ha riferito il Vice amministratore NNSA per programmi di difesa Don Cook. La B6-12 consoliderà le parti di quattro bombe nucleari, i modelli 3, 4, 7 e 10 nell’arsenale degli Stati Uniti, ed eventualmente sostituirà i vecchi modelli. Il modello B61-12 potrà diventare la principale arma nucleare tattica utilizzata nei caccia bombardieri. Il Governo degli Stati Uniti ha descritto il progetto B61-12 come un prolungamento della vita delle armi già esistenti, ma molti esperti credono che sia solo un pretesto per implementare un nuovo modello di un’arma nucleare senza violare gli accordi di non proliferazione. Secondo la NNSA, la proposta di estendere la vita dei B-61 è quello di mantenere le bombe pronte per l’uso potenziale come anche di aumentare la loro affidabilità e la loro sicurezza. Secondo la dichiarazione della NNSA, il Dipartimento di Energia che ha la responsabilità di supervisionare lo sviluppo e la manutenzione dell’arsenale nucleare USA, la prova meccanica dell’intero sistema, è la prima di una serie di analisi per verificare le funzionalità del B61-12. Come cita il sito Defense News, un recente rapporto dell’Ufficio finanziario del Congresso degli Stati Uniti ha rivelato che i piani nucleari dell’amministrazione Obama per il prossimo decennio costeranno in totale 355,000 milioni di dollari, che comprendono il costo per lo sviluppo del B61-12, e la produzione e la progettazione di nuove apparecchiature finanziate dalla Air Force degli Stati Uniti necessari per convertire la bomba in un missile tattico capace di incorporarsi ai caccia.

Source: actualidad.rt

Sabrina Carbone

Lo Stato di Israele e l’India hanno deciso di costruire insieme un sistema antimissilistico di difesa per spiegarlo contro i missili nucleari e convenzionali della Cina, informa il settimanale americano ‘Defense News’. Il nuovo programma, che non ha ancora un nome, è stato approvato dal Ministero della Difesa dell’India, ha segnalato a ‘Defense News’ uno scienziato dell’Organizzazione di Ricerca e di Sviluppo per la Difesa dell’India nei corridoi della esposizione internazionale delle armi Defexpo-2014, che viene svolta a New Delhi. Secondo le prime informazioni, l’India e Israele sono in attesa di firmare il contratto per i prossimi sei mesi. Le fonti di’ Defense News’ hanno riferito che il programma di difesa antimissilistico proposto sarà caratterizzato dalla partecipazione di due società israeliane: Rafael Defense Advanced e Israel Aerospace Industries e l’Organizzazione di Ricerca e di Sviluppo per la Difesa dell’India e due imprese indiane di proprietà statale, la Bharat Dynamics Limited e la Bharat Electronics Limited. Con tutta ipotesi, il nuovo programma integrerà il sistema Indiano di difesa aerea Prithvi. “Il programma di difesa missilistica proposto prevede una rete di sistemi di difesa aerea e di radar in India e a Israele”, ha confessato un dirigente di Rafael Advanced Defense al settimanale statunitense. Inoltre ha osservato che la sua azienda ha offerto un sistema C4I per costruire il programma, il quale è un tipo di sistema automatico integrato, di riconoscimento, di controllo, di comunicazione e di orientamento. In India manca ancora di questo tipo di complesso per respingere le minacce missilistiche.

Source: actualidad.rt

firmato Sabrina Carbone

Ho guardato per ore le foto di Giles Clarke, che raccontano il quotidiano della capitale dell’Ucraina, Kiev, il cuore pulsante del paese. Piazza Indipendenza è piena di barricate ma un deserto che fa rabbrividire. La crisi in Ucraina è scoppiata quando Yanukovich, ha snobbato un patto di cooperazione con l’Unione europea a favore di un prestito di 15 miliardi di dollari e un taglio sul prezzo del gas fornito dalla Russia. L’Ucraina deve 3,3 miliardi di dollari alla Russia per le forniture di gas del 2013. Come sempre a pagarne le spese è sempre il popolo. Sette manifestanti sono morti a causa degli scontri, le persone sono scese in strada al freddo riscaldandosi le mani sui falò accesi. Le loro mani sono screpolate dal freddo, ma non mollano e continuano la loro battaglia. Vitali Klitschko, il capo dell’opposizione del partito Udar ha ripetuto che bisogna indire le elezioni presidenziali o attuare un cambio costituzionale. Il Parlamento ucraino in base alle previsioni dovrà riunirsi in una sessione speciale per discutere questa situazione. La Banca centrale “sembra non avere nessun potere per fermare la svalutazione della grivna” scrive in una sua relazione, Tatiana Orlova economista presso la Royal Bank of Scotland Group Plc a Londra. Tutto questo indebolisce l’Ucraina. I manifestanti continuano il loro faccia a faccia contro la polizia e numerose le barricate sono state poste nel centro di Kiev, e una scatola per medicinali è esplosa ferendo un manifestante. “Sosteniamo Klitschko perchè lui sostiene la volontà del popolo” ha dichiarato Viktor un ucraino che non ha voluto dichiarare la sua identità per paura delle rappresaglie. “Le sanzioni contro il gruppo di Yanukovych sono un modo per negoziare. Il denaro è l’unica cosa che capiscono, e le sanzioni servono ad attirare la loro attenzione”. Goodbye Kiev ha scritto Giles Clarke sopra una sua foto che reputo bellissima oltre che emozionante. Giles Clarke è un fotografo eccezionale ma soprattutto è una persona con un grande cuore, non servono le parole guardando le sue immagini, raccontano perfettamente la storia di questo popolo, il loro quotidiano. “Goodbye Kiev, loro continuano a combattere, la vita continua il suo percorso ma il messaggio che abbiamo ricevuto grazie alle immagini di Giles Clarke è molto forte”. Questo è quello che ho scritto in inglese sotto la foto di Giles Clarke, Grazie Kiev, grazie Giles.

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Sabrina Carbone

Se gli Stati Uniti dovevano ad affrontare i violenti radicali come i manifestanti che protestano in Ucraina, rispondevano con la “forza letale” per proteggere se stessi e i cittadini, scrive l’ex agente della CIA e dell’FBI, Chuck Joyner. L’ex poliziotto statunitense che ha rilasciato una dichiarazione perla RT ha condiviso la sua visione professionale sulla preoccupante situazione in Ucraina, in particolare, ha valutato i violenti disordini. “I video che ho visto sono spaventosi. I funzionari addetti al controllo ucraino, a mio parere, hanno mostrato un’incredibile moderazione. Negli Stati Uniti, una situazione di questa portata, veniva repressa con la forza letale”, ha osservato. Inoltre Joyner ha sottolineato che nelle proteste di massa è necessaria una massiccia presenza della polizia per controllarle e perché è difficile fermarle, ha aggiunto. “Se non c’è una forte presenza della polizia negli scontri, gli agitatori diventano più violenti e aggressivi”, ha spiegato. Alla domanda di commentare le dure critiche dell’Occidente nei confronti della Polizia Ucraina, in particolare quelle fatte da Washington, l’intervistato ha risposto “Non posso entrare in merito all’ambito politico, ma posso fare una valutazione dal punto di vista di poliziotto, e ritengo che la polizia ucraina, ha dimostrato un’incredibile moderazione”, ha osservato. ”Un ufficiale che deve far fronte una situazione di questo genere, ho visto i video dove gli agenti della polizia bruciano, affronta  una situazione mortale. E’ Vero che negli Stati Uniti hanno il diritto legale a usare la forza letale in risposta agli attacchi, ma qualsiasi critica della polizia in queste circostanze, a mio giudizio non è giustificata”, ha precisato. “Gli ufficiali della polizia sulla scena delle proteste sono apolitici. Sono lì solo per proteggere le vite delle persone e le proprietà. E la loro preoccupazione principale è quella di capire chi sono questi manifestanti, anche se non sono agitatori violenti. La polizia è responsabile di rispondere a questo agire”, ha concluso l’ex agente della CIA.

Source: actualidad.rt

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Sabrina Carbone

Un fisico 80 anni fa aveva previsto che nell’Universo esistono delle particelle magnetiche con un unico polo. Anche se finora nessuno aveva fornito prove sulla loro esistenza uno studio ha dato un grande contributo alla creazione di un laboratorio. Nel 1930 il famoso fisico inglese Paul Dirac, uno dei padri della fisica quantistica, aveva sostenuto che nell’universo c’erano delle particelle con un unico polo magnetico. Da allora, gli scienziati di tutto il mondo hanno cercato invano di trovare queste particelle. Tuttavia, un team di fisici provenienti dall’Amherst College, negli Stati Uniti d’America, e dall’Aalto University in Finlandia, è riuscito a ottenere monopoli in condizioni di laboratorio. “La creazione di monopoli magnetici artificiali offre un’opportunità senza precedenti per conoscere meglio la natura dei monopoli naturali”, ha spiegato il coautore dello studio, David Hall. Tutti sanno che qualsiasi calamita, anche se la dividiamo fino a un livello atomico, ha due poli: quello positivo nord e quello sud. Al momento Dirac, informa che esistono i monopoli in natura, ma nessuno è mai riuscito a fornire le prove della loro esistenza, anche sul suolo lunare e negli antichi depositi fossili.

Un campo magnetico artificiale

La squadra di Hall ha deciso di utilizzare un approccio diverso e creare tali particelle in laboratorio. I fisici quindi hanno creato un campo magnetico artificiale generato dalla condensazione di Bose-Einstein , dove la temperatura è vicina allo zero assoluto. In questo caso, gli atomi non si comportano più come una singola particella e dimostrano un comportamento quantistico collettivo. “Le equazioni che sono state applicate al nostro monopolo sintetico come viene fatto con i monopoli magnetici naturali sono esattamente le stesse”, ha continuato Hall. “Il nostro metodo per generare un campo magnetico sintetico si sta sviluppando molto rapidamente e può portare alla creazione di superconduttori ad alta temperatura o a fenomeni fisici mai visti prima d’ora”, cita lo scienziato in un articolo pubblicato sulla rivista ‘Nature’. I ricercatori sperano che la loro scoperta con conseguenti esperimenti Collider per ottenere monopoli naturali riconosciuti riesca almeno a indicare in quale parte del mondo possono essere trovati.

Source: actualidad.rt

Sabrina Carbone

Le forze di sicurezza irachene hanno distrutto un laboratorio per la produzione di gas sarin nei pressi di Falluja, segnala la pagina della RT araba. Il laboratorio apparteneva allo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (EIIL) un’organizzazione estremista legata ad Al Qaeda e coinvolta nella guerra in Siria. Questa è la notizia riferita ai giornalisti dal rappresentante del Ministero degli Esteri del paese, Adnan al-Asadi, il quale ha aggiunto che tutti i materiali ritrovati sono sotto il controllo del Governo. Le forze governative hanno attaccato oggi i militanti che hanno la loro base nella città, ma a Falluja permangono ancora diversi gruppi, ha confermato il rappresentante. “Nel prossimo futuro libereremo questa città da tutti i terroristi”, ha concluso.

Source: actualidad.rt
 

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Firmato Sabrina Carbone

Ai Governi piace nascondere e a noi piace rivelare per dovere d’informazione e per sensibilizzare l’opinione pubblica. Quello che sto per esporre non è solo una piaga ma è una vera e propria vergogna di come vengono trattati i nostri simili indipendentemente dalla razza, dall’estrazione sociale e dalla religione. A 50 isolati dalla spiaggia, 100 bambini mangiano e lavorano in condizioni disumane, senza nessuna salvaguardia per la salute e la sicurezza. Nella discarica comunale di Mar de Plata, a 50 isolati dalla spiaggia, mangiano e lavorano 100 bambini, e affrontano le stesse condizioni disumane anche 410 adulti. I fatti denunciati dalla Fondazione Alameda per la lotta contro lo Slave Labor, (lavoro schiavistico), avvengono in quella che è conosciuta come la “vecchia masseria destinata allo smaltimento dei rifiuti agricoli”, che è ubicata tra via Antartide e la 57° strada. Indipendentemente che sia la stagione estiva, quella delle vacanze o la fredda stagione invernale, per sopravvivere i bambini e gli adulti per trovare il cibo cercano tra la spazzatura e i materiali riciclabili. Lavorano senza misure di sicurezza e di igiene (stivali, guanti), e non hanno una fornitura stabile di acqua potabile, come è possibile vedere nel video e nella denuncia presentata da Gustavo Vera, Presidente della Fondazione Alameda alla giustizia marplatense. A causa di queste calamitose condizioni, L’ospedale Materno e Infantile di Mar de Plata deve prestare frequentemente le sue cure a alcuni minori incidentati nella discarica. La denuncia penale indica che gravi incidenti sono accorsi in quell’area provocando delle discapacità permanenti ad almeno 4 lavoratori e sono stati registrati casi di tubercolosi. Il testo giudiziale segnala anche che negli ultimi anni la situazione dei minori è peggiorata a causa del consumo di droghe che vengono commercializzate nella discarica comunale. Mentre Gustavo Vera e l’avvocato penalista, Mario Ganora, hanno presentato una denuncia penale davanti al giudice di Mar de Plata, a Buenos Aires sarà tenuta una manifestazione presso la Casa di Mar del Plata, sita su via Maggio 1278, per presentare la documentazione della denuncia e il ripudio dello sfruttamento dei bambini e delle loro famiglie. In parallelo la HABO terrà una conferenza stampa sempre a Mar del Plata.

Source: lanacion

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Sabrina Carbone

E’ stata una settimana ricca di avvenimenti, iniziata con l’ondata di violenze in Ucraina, seguita dalla ricerca di una riconciliazione in Siria nella riunione di Ginevra 2, e la convention dei più ricchi del mondo a Davos. Questi e altri argomenti,  hanno monopolizzato l’attenzione di tutto il pianeta questa settimana. Gli scontri tra i manifestanti e la polizia in Ucraina sono stati intensi questa settimana che ha registrato le prime vittime. Gli oppositori concentrati sulla piazza centrale di Kiev hanno bruciato numerosi pneumatici, trasformando la zona in un campo di battaglia. Le autorità sono disposte a stabilire un dialogo con l’opposizione e a “formattare il Governo”. Tuttavia, le proteste sono ancora in corso, e a giudizio di alcuni esperti sono i nazionalisti radicali coloro che buttano legna sul fuoco. Il Governo siriano cerca di negoziare con l’opposizione a Ginevra 2. Mercoledì nella città svizzera di Montreux è iniziata la conferenza di pace Ginevra 2, che mira a porre fine al conflitto scoppiato quasi tre anni fa in Siria. I rappresentanti del Governo di Bashar al Assad e l’opposizione siriana hanno avuto un incontro, per la prima volta, nella stessa stanza per avviare un dialogo. Nonostante questo primo passo, nessun diplomatico nasconde che sarà una trattativa ardua e difficile. Questa settimana è stato anche inaugurato nella città svizzera di Davos, il World Economic Forum, che ha ospitato oltre 2.500 partecipanti, allo scopo di analizzare, come ogni anno, la situazione economica e finanziaria mondiale. L’ex-contractor CIA, Edward Snowden, ha rilasciato la sua prima intervista televisiva da Mosca, dove è rifugiato dallo scorso agosto. Snowden ha rivelato al giornalista tedesco e documentarista, Hubert Seipel, che non è più in possesso dei documenti riservati e ha dichiarato che la NSA è coinvolta in un’attività di spionaggio industriale. Come era già successo, durante quella che è stata la sua prima videoconferenza a partire dall’estate del 2013, riproposta da Mosca lo scorso Giovedì, 23 gennaio, Snowden ha parlato delle recenti misure annunciate dal Presidente Barack Obama per limitare lo spionaggio della NSA e ha ricordato che le leggi per la tutela degli informatori negli Stati Uniti sono inefficaci e hanno bisogno di una “riforma seria”. Questa settimana la Russia e la Cina hanno condotto sul Mediterraneo delle esercitazioni navali congiunte con la partecipazione dell’incrociatore carico di missili nucleari dell’Armata russa Pyotr Veliky e del pattugliatore, Yan Chen, della marina cinese. Lo scopo di questi esercizi era quello di aumentare il livello della inter-operabilità. Il Governo argentino Venerdì, 24 gennaio, ha annunciato un allentamento delle restrizioni che erano state stabilite nel mese di ottobre del 2011 per l’acquisto dei dollari, come misura per frenare la svalutazione del pesos argentino dopo la pubblicazione del più grande calo contro il dollaro registrato in oltre un decennio. Nel frattempo, in Venezuela, le autorità, hanno presentato Giovedì il nuovo sistema di scambio del paese, destinato a bilanciare la gestione dei cambi. Quindi, l’80% dell’economia venezuelana avrà il dollaro come moneta preferenziale a 6,30 bolivares, mentre il restante 20% avrà accesso al tasso indicato nell’asta del Sistema complementare dell’Administration di Foreign Exchange. I residenti della città russa di Kazan si sono svegliati Lunedì, 20 gennaio con uno spettacolo insolito: tre soli in una sola volta nello stesso cielo. Questo fenomeno meteorologico raro è stato considerato da alcuni come “un miracolo”. La scena si è ripetuta il giorno dopo nella città russa di Samara.

Source: actualidad.rt
 

Sabrina Carbone

L’Egitto, apprestandosi a celebrare il terzo anniversario della “rivoluzione del 25 gennaio 2011,” è stato segnato dal proliferare degli attacchi terroristici. Un attentatore suicida ha fatto precipitare la sua autobomba contro il quartier generale della polizia egiziana, il primo di una serie di tre attentati che hanno ucciso sette persone Venerdì, 24 gennaio, al Cairo, alla vigilia del terzo anniversario della rivolta che ha deposto Hosni Mubarak dal potere. Gli attacchi mirati contro le forze di sicurezza sono aumentati da quando l’esercito ha destituito il, 3 luglio del 2013, l’islamista Mohamed Morsi, l’unico Presidente eletto democraticamente in Egitto, e ha soppresso con il sangue qualsiasi manifestazione dei suoi seguaci. Poco dopo l’alba di Venerdì, un uomo ha aspettato che la polizia alzava la sbarra che ostruisce l’accesso alla strada che conduce alla sede della Direzione della polizia nel centro della città, per far precipitare la sua auto imbottita di esplosivo contro il pesante cancello che chiude l’accesso che porta all’edificio. L’esplosione ha scavato un profondo cratere sulla carreggiata e ha devastato la facciata del quartier generale della polizia distruggendo diverse sale del Museo d’Arte Islamica, che è sito di fronte all’edificio delle Forze dell’ordine. Quattro persone sono state uccise e oltre 70 sono i feriti. Tre ore più tardi, un’altra bomba di minore potenza è esplosa al passaggio di un’auto della polizia un pò più avanti, uccidendo un poliziotto. Un’ora dopo, un terzo ingegno ha causato solo danni materiali davanti a una stazione della polizia su un viale che porta alle piramidi di Giza in Cairo. Il Governo istituito dal capo dell’esercito e uomo forte del Paese, il generale Abdel Fattah al-Sisi, reprime da sette mesi ogni manifestazione dei sostenitori di Morsi. Oltre 1.000 persone sono state uccise e migliaia sono stati incarcerati, e sono per lo più membri della Fratellanza Musulmana, l’influente confraternita di Morsi che ha vinto tutte le elezioni dopo la caduta di Mubarak. Allo stesso tempo, decine di poliziotti e soldati sono deceduti negli attacchi rivendicati per lo più da un gruppo della penisola del Sinai ispirato ad Al-Qaeda, Ansar al-Beit Maqdess, rivendicando il “massacro” dei pro-Morsi. Il Governo, ha attribuito gli attentati ai Fratelli Musulmani, decretando questi ultimi una “organizzazione terroristica”. “Condanniamo l’attentato al Cairo e riaffermiamo il nostro impegno a lottare pacificamente contro il colpo di Stato”, ha immediatamente scritto su twitter venerdì una coalizione pro-Morsi guidata dai Fratelli Musulmani. L’Egitto  era in procinto sabato, 25 gennaio, di celebrare il terzo anniversario della “rivoluzione del 25 gennaio”, lanciata nel 2011 nel tumulto della primavera araba. Alla vigilia di questa giornata piena di pericoli, la polizia e i soldati sono stati schierati pesantemente nel centro del Cairo, dove ha sede l’iconica piazza Tahrir, cuore della rivolta. I pro-Morsi hanno invitato a manifestare per 18 giorni – la durata del movimento popolare che ha messo fine l’11 febbraio del 2011, ai tre decenni di potere assoluto di Hosni Mubarak. Ma il Ministro degli Interni ha avvertito che la polizia risponderà con “fermezza” a ogni tentativo “di sabotaggio delle cerimonie dei Fratelli Musulmani”, e ha invitato gli egiziani a scendere pesantemente in piazza per celebrare il, 25 gennaio, e per sostenere il Governo. A partire da Venerdì, due persone sono state uccise nelle proteste pro-Morsi fuori dal Cairo, i decessi come accade ogni giorno in questi raduni sono stati registrati anche a metà agosto. Un centinaio di manifestanti sono stati arrestati. Poco dopo l’attacco contro la direzione della polizia, in mezzo ai vetri rotti, al ferro e al legno, decine di residenti hanno schernito la Fratellanza Musulmana, agitando il ritratto del generale Sissi, Vice Primo Ministro e Ministro della Difesa, che non fa più mistero delle sue intenzioni di volersi candidare alle elezioni presidenziali, promesse per il 2014. Giovedì scorso, Amnesty International ha denunciato la “violenza senza precedenti” dei diritti dell’uomo da parte delle autorità e di un “tradimento di tutte le aspirazioni” della rivolta del 2011.

Source: lexpressiondz

Sabrina Carbone

I servizi d’intelligence stranieri sono “dietro” gli attacchi suicida che hanno ucciso 21 persone Venerdì, 17 gennaio, a Kabul, questa è la dichiarazione rilasciata questa Domenica, 19 gennaio, dal Consiglio di sicurezza nazionale afgano presieduto dal Presidente Hamid Karzai, un’accusa che sembra mirare al vicino Pakistan. Questi atti complessi e sofisticati possono essere solo opera dei talebani”, ha reso noto la Presidenza afghana in un comunicato rilasciato dopo una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale afgana (NSC). Quest’ultimo pensa che non c’è “nessun dubbio nell’ammettere che i servizi segreti stranieri possono essere dietro questi attacchi”, continua la stessa fonte, riferendosi apparentemente al potente servizio d’intelligence pakistano (ISI). Kabul accusa regolarmente il Pakistan, di essere il primo supporto dei talebani da quando erano al potere (1996-2001) e dove molti di loro hanno trovato rifugio dopo la caduta del loro regime, e il sostegno per la loro ribellione a difendere i loro interessi strategici nella regione, che invece Islamabad ha sempre negato. Venerdì sera, un attentatore suicida ha effettuato una spedizione omicida contro “La Taverna del Libano”, un ristorante sito nel centro della città frequentato dalla comunità di espatriati, uccidendo 21 persone, compreso 13 stranieri. Poco dopo le 19:00 (14.30 GMT), un attentatore suicida si è fatto esplodere davanti alle porte blindate dello stabilimento. Approfittando della confusione causata dalla potente esplosione, che ha irradiato tutto il centro di Kabul, due aggressori armati sono riusciti a entrare nel ristorante e hanno aperto il fuoco sui clienti prima di essere uccisi dalle forze speciali afghane. Diversi sopravvissuti hanno descritto scene di estrema violenza, le vittime che cercavano di nascondersi dietro i mobili del ristorante hanno provato invano a fuggire dalla carneficina. “C’era sangue dappertutto, sui tavoli, sulle sedie. Gli assalitori hanno sparato a distanza ravvicinata”, ha dichiarato Atiqullah, uno dei titolari del ristorante. Tra le vittime, c’erano tre americani, due britannici, due canadesi e due libanesi: un rappresentante del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e il proprietario del ristorante che è stato ucciso dagli assalitori mentre cercava di difendersi. Anche un membro danese delle forze di polizia dell’Unione europea (EUPOL) e un funzionario delle Nazioni Unite russo sono stati freddati. L’attacco, rivendicato dai talebani, è stato condannato all’unanimità dalla comunità internazionale, che ha denunciato questo atto di una “violenza spaventosa” e “ingiustificabile”. Questa domenica, 19 gennaio, centinaia di persone hanno marciato per le strade di Kabul gridando “No al terrorismo”. “Vogliamo onorare le vittime e dimostrare che gli afgani restano uniti contro questi attacchi”, ha comunicato all’AFP uno dei partecipanti, Lailee Rahimi, un operatore umanitario. Presente alla parata, il portavoce del Ministero degli Interni afghano, Sediq Sediqqi, il quale ha informato che un’indagine è stata condotta per cercare di capire come il commando talebano è riuscito a eludere i molti posti di blocco attraversando la capitale afgana. Tre funzionari della polizia responsabili della sicurezza del quartiere Wazir Akbar Khan dove è sita ‘La Taverna del Libano’, sono stati sospesi nelle ore successive l’attacco. “Saranno interrogati per scoprire come questo attacco è potuto accadere”, ha scandito Sediqqi. “Non è impossibile che tutto è stato fatto alla perfezione, ma dobbiamo attendere l’esito delle indagini. Se sono stati commessi errori, faremo in modo che non vengano ripetuti”. L’attacco contro ‘La Taverna del Libano’ è stato quello più sanguinoso commesso in Afghanistan contro i civili stranieri dopo la caduta dei talebani nel 2001. Questi eventi hanno luogo in un contesto di violenze persistenti mentre la NATO dovrà ritirare le sue truppe dal paese entro la fine dell’anno. Il ritiro viene fatto soprattutto in un contesto politico sensibile, le elezioni presidenziali in programma il, 5 aprile del 2014.

Source: lepoint.fr

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Firmato Sabrina Carbone

(Foto Kevin Carter)

Troppe domande e poche risposte a questo mondo. Le grandi organizzazioni elargiscono soldi come dei pozzi senza fondo e la fame continua a non essere sazia, la povertà continua a lacerare gli strati etnici più vulnerabili e il popolo a livello mondiale piange il frutto di questo prodotto. Dove vanno realmente le liquidità sborsate se poi leggendo, MSF reclama aiuti, i popoli profughi reclamano aiuti e il mondo reclama un grosso “HELP TO ME”. Quanti guai a questo mondo, eppure le grandi potenze continuano a investire dove?

10) – Turchia

Forza enorme ma comunque staccata, dalla nona. La Turchia investe circa 31 miliardi di dollari l’anno per difendersi e impiega più di mezzo milione di personale militare. La flotta conta quasi 200 imbarcazioni e gli aeroplani sono più di 1500. Complessivamente si estende su 783.562 km² (sesta per estensione fra le dieci presenti in classifica)

9) – Giappone

Per estensione è settimo. Per forza militare nono. Investe 44 miliardi di dollari e ha un esercito di quasi quattrocentomila unità. La flotta navale dispone di 150 imbarcazioni e quella aerea di 1650 velivoli. Il Giappone è uno stato più piccolo di chi in classifica lo precede. Per questo nel complesso del calcolo è soltanto nono.

8) – Brasile

Investe meno della Turchia e del Giappone pur precedendoli in classifica. Ma dispone di un territorio enormemente più grande. Considerando che il Giappone si estende su 377,835 km² e il Brasile su 8,511,965 km² capiamo bene che il complesso per stimare la potenza militare dello Stato non può prescindere totalmente dalla estensione. Fra i dieci comunque è quello con la flotta meno equipaggiata.

7) – Germania

La sorpresa parziale è già qui. Fra gli europei “forti” la Germania arranca. 46 Miliardi di investimento, 250 mila unità nell’esercito e la flotta aerea più debole (numericamente parlando) della top ten. Lo stato tedesco ha pagato la sconfitta nella seconda guerra mondiale.

6) – Francia

Se consideriamo soltanto il budget che i francesi destinano ogni anno a spese militari questo Stato sale al secondo posto. Nel complesso la potenza francese è la sesta del mondo. 225 mila i militari addestrati, 1100 aerei a disposizione. Nella classifica è sopra la Germania ma sotto alla…

5) – Inghilterra

INVESTIMENTO: 53 MILIARDI DI DOLLARI

PERSONALE MILITARE : 195.000 UNITÀ

La potenza scende, inesorabilmente.
Se questa classifica veniva stipulata cinquanta anni fa, era al secondo posto ma oggi l’esercito di sua maestà paga dazio. Soprattutto alla dimensione perchè delle dieci in classifica è la più piccola. Nel lungo periodo probabilmente andrà fuori dalla top 5.
Oggi è ancora lì, grazie a 53 miliardi di dollari di investimenti (già inferiori ai francesi) e una flotta aerea di tutto rispetto (quasi 2 700 aeroplani). Militari totali duecentomila.

4) – India

INVESTIMENTO: 33 MILIARDI DI DOLLARI

PERSONALE MILITARE : 1.325.000 UNITÀ

Investe meno dell’Inghilterra ma ovviamente è più forte. Merito di un territorio di dieci volte superiore e di un esercito con 1 milione e duecentomila unità in più! Con L’India proprio l’esercito, il personale umano supera il milione.

Una spaccatura è evidente fra le prime quattro (tutte sopra il milione) e le altre sei. L’India è uno stato emergente che di anno in anno investe più risorse per l’esercito. Attualmente però flotte aeree e navali sono ancora più deboli, numericamente e tecnologicamente, rispetto alla Francia e all’Inghilterra!

3) – Russia

INVESTIMENTO: 43 MILIARDI DI DOLLARI

PERSONALE MILITARE : 1.245.000 UNITÀ

Il podio divide il mondo. Il grande nemico degli Stati Uniti è stata la Russia che oggi però è solo il nemico numero due. Spende meno di Francia e Inghilterra, ha meno uomini dell’India ma ha una flotta aerea enorme, 6500 velivoli e un territorio letteralmente sconfinato.
La potenza della Russia (la storia di Hitler e quella di Napoleone lo hanno insegnato) si staglia su un paese impenetrabile, inconquistabile, grande il doppio degli Stati Uniti, quasi dieci volte l’Inghilterra. La classifica non può non tenerne conto. E così, se gli investimenti non sono nemmeno superiori a quelli giapponesi, come il Brasile anche la Russia vive lo spettacolo della propria immensità come una fra le armi più affilate da poter esibire.

2) – Cina

INVESTIMENTO: 59 MILIARDI DI DOLLARI

PERSONALE MILITARE : 2.225.000 UNITÀ

Tantissimi uomini. L’unica potenza in grado di contare su oltre due milioni di uomini. Ma: investe e spende meno della Francia ha una flotta navale un terzo di quella russa e un territorio enorme ma grande la metà. Il confronto con la prima, immaginiamo che è chiaro fin dall’inizio chi è il vincitore di questa classifica, la penalizza sotto ogni aspetto, soprattutto quello che concerne gli investimenti.
Ma la Cina è oramai una potenza economica consolidata e non è utopistico sostenere che nei prossimi anni il divario con l’esercito più potente del mondo tenderà ad assottigliarsi. Attualmente è seconda, e enormemente distante dal diventare prima. Ma ambiziosa quanto basta per volerlo diventare

1) – Stati Uniti

INVESTIMENTO: 515 MILIARDI DI DOLLARI

PERSONALE MILITARE : 1.380.000 UNITÀ

La spesa militare statunitense è stratosferica. Da sola supera la somma delle altre nove potenze. Attestandosi a 515 miliardi di dollari. Più o meno nove volte gli investimenti cinesi. E’ stato calcolato che la Cina è la sola a superare i 2 milioni di soldati. Gli Stati Uniti ne impiegano 1,3 milioni ma: dispongono di 1600 navi (vs 760) di 22700 aerei (vs 2400) e, fattore fondamentale, è l’esercito più addestrato, tecnicamente più forte e tecnologicamente più all’avanguardia. La leadership degli Stati Uniti non pare essere in dubbio.
La forza dei numeri li colloca saldamente all’apice della classifica. Questo aspetto pare il solo a non essere in discussione, la forza “potenziale” di uno Stato si scontra con l’atto, la guerra in sé, che molto spesso esula dalle armi che si possiedono. 

La fame di potere, continua a partorire le assurde posizioni delle grandi potenze, e rimane indifferente di fronte al megafono di Dio per risvegliare un mondo sordo: il dolore. Non c’è dolore presuppongo giustamente se gli eserciti continuano a essere alimentati e la popolazione continua a morire di fame.

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Sabrina Carbone

Lo Stato dell’Ohio ha eseguito Giovedì, 16 gennaio, una condanna a morte tramite una iniezione letale di un cocktail di droga, mai provato prima. Il caso ha sollevato interrogativi sulla sofferenza che il prigioniero ha dovuto sopportare. La pratica è durata 26 minuti. Dopo aver trascorso 25 anni nel braccio della morte, Dennis McGuire è stato in agonia per 26 minuti prima di morire, dopo che gli avevano iniettato un cocktail di droga, mai usato prima. Condannato a morte nello Stato dell’Ohio, Stati Uniti, Dennis McGuire, di 53 anni, è stato giustiziato con una sofferenza insopportabile, violando l’ottavo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, chi condanna “le punizioni crudele e inusuali”? La Giustizia deciderà. La famiglia del condannato ha esposto delle lamentele, Venerdì, 17 gennaio, contro il Governo degli Stati Uniti.

“Soffocava, ma lottava per respirare”

Presente con il fratello nel carcere di massima sicurezza a Lucasville, Amber McGuire osservava la scena dietro uno specchio, a pochi metri dal tavolo dove suo padre stava morendo: “Poco dopo l’inizio dell’esecuzione, mio padre ha cominciato dare segni di soffocamento e lottava per respirare” ha descritto così il figlio Venerdì in una conferenza stampa il tragico epilogo di suo padre. “Vedevo il suo stomaco sollevarsi. Ho visto mio padre che cercava di sedersi, nonostante le cinghie che lo tenevano sul tavolo. L’ho guardato stringendo i pugni diverse volte. Ho avuto l’impressione che stava lottando per rimanere in vita, ma è soffocato” ha riferito. Inoltre ha assistito alla scena, il giornalista del quotidiano locale “Columbus Dispatch”, Alan Johnson, il quale ha aggiunto che l’uomo “è soffocato dalle venti alle trenta volte in dieci minuti prima di morire”. “La sostanza mortale è stata iniettata per via endovenosa alle 10:27 (ora locale) e la sua morte è stata segnalata alle 10:53. 26 minuti contro i cinque che di solito prende una esecuzione. Dall’altro lato della stanza, la famiglia di Joy Stewart, vittima di McGuire, ha partecipato all’esecuzione. Secondo i congiunti di Stewart, non c’è motivo per aprire una discussione: “C’è una polemica sui farmaci utilizzati in questa implementazione, delle inquietudini sul fatto che poteva essere spaventato o ha potuto soffrire. Joy era terrorizzata e ha sofferto. E’ stato trattato molto più umanamente rispetto ai suoi trattamenti”, ha risposto la famiglia Stewart in una dichiarazione. Dennis McGuire è stato giustiziato per l’omicidio nel 1989 di Joy Stewart, di 22 anni, sposata e incinta di sette mesi e mezzo. Lui l’ha violentata, strangolata, pugnalata al petto e gli ha tagliato la gola. Il suo bambino non ancora nato è morto con lei in un bosco nei pressi di Eaton, nell’Ohio, dove il corpo è stato trovato due giorni dopo. La pena di morte è avvenuta utilizzando questi tre veleni: un sedativo per dormire, un paralizzante, e il cloruro di potassio che uniti provocano un infarto.

Source: france24

Sabrina Carbone

Un’Autorità corrotta palestinese non è in grado di affermare la dignità di autodeterminazione palestinese. Niente di buono arriverà per i palestinesi dalle attuali discussioni sul Medio Oriente. Peggio ancora, sono previsti numerosi problemi, non c’è dubbio. Questi negoziati minacciano di distruggere il lavoro svolto in tanti anni dalla società civile palestinese e dai suoi partner in solidarietà con tutto il mondo che hanno lavorato instancabilmente per una pace giusta. Il loro lavoro è stato fatto – soprattutto – attraverso campagne di resistenza non violenta come il Boicottaggio, Disinvestimento Sanzioni (BDS), il Tribunale Russell, e l’aumento delle proteste popolari locali e internazionali, per citare solo alcune tattiche. Quello che apprendiamo è che il Ministro degli Esteri degli Stati Uniti, John Kerry, a entrambe le parti ha presentato un accordo provvisorio allo scopo di “fornire un quadro per il prosieguo dei negoziati verso un accordo globale”. “La convenzione definitiva sullo status” è basata “sui confini del 1967″. Concessioni concrete, con profonde implicazioni, sono state richieste dalla parte palestinese, ma non è il caso di Israele che “negozia” sui territori, i diritti e le risorse che già appartengono ai palestinesi. Gran parte di questa retorica è familiare, dal momento che è un rimpasto mancato degli Accordi di Oslo, dove era stato raggiunto un accordo che estorceva le concessioni permanenti ai palestinesi per una promessa israeliana di reciprocità mai materializzata. Pertanto, ora vengono vendute ai palestinesi le stesse bugie che avevano comprato 20 anni fa. Questa volta, le concessioni richieste dai palestinesi sono equivalenti a un completo abbandono dei diritti a questo popolo considerato come indigeno, in cambio delle stesse promesse vuote e un pò di soldi in tasca provenienti dagli Stati Uniti e dall’UE per mantenere lo status quo un pò più a lungo, abbastanza da alterare in modo permanente il paesaggio e completare pienamente la trasformazione economica, politica e sociale della popolazione palestinese per immergerla in una impotenza permanente, dove le divisioni profonde, la corruzione e la dipendenza impediscono l’emergere di una resistenza organizzata ed efficace.

Alto tradimento

Dal momento che Israele non ha alcun argomento legittimo per le richieste dei palestinesi a favore dei loro diritti di quelli più elementari, si tenta di sradicare il BDS come è stato fatto con la prima Intifada (entrambi i movimenti di resistenza popolare non violenta), riciclando la maschera dei negoziati. Ma il popolo palestinese non può essere ingannato una seconda volta, questo tipo di accordi provvisori di contro rischiano di gettare polvere sugli occhi dei partner nella solidarietà. E così la posta in gioco attualmente è molto più alta. Mandare in Corto circuito l’espansione del BDS potrà infine trasformarsi in una ciliegina sulla torta. Il vero problema nella ideologia della supremazia imperialista del sionismo è il riconoscimento da parte dei palestinesi di Israele come stato ebraico. Molti chiedono perché questo è un obiettivo così importante per Israele. La risposta è semplice. Quando i veri eredi della terra, quelli che sono nati lì nel senso senso lato del termine – storicamente, culturalmente, giuridicamente, geneticamente – riconosceranno Israele come uno Stato ebraico, rinunceranno in realtà alle loro rivendicazioni sulla propria patria. Come un proprietario di casa che vende ufficialmente la sua casa a un occupante abusivo, i palestinesi daranno a Israele la sola legittimità reale che possono sperare di ottenere. Fare una simile dichiarazione significa non solo rinunciare al diritto di tornare in un paese che viene santificato proprio come appartenente alla comunità ebraica mondiale, ma vorrà anche dire abbandonare i fratelli e le sorelle palestinesi che hanno la cittadinanza israeliana al loro statuto permanente di cittadini di seconda classe e abbandonarli a una disuguaglianza razzista istituzionale. Perseguire i negoziati bilaterali in questo attuale squilibrio di potere li distruggerà. Citando le parole di Richard Falk, “La diplomazia intergovernativa non è la strada per una pace giusta, ma piuttosto un drenaggio di rete per i diritti dei palestinesi”. Possiamo perdonare all’OLP di essersi fatto ingannare da Oslo la prima volta (nonostante gli avvertimenti delle persone illuminate come Edward Said). Ma tutto ciò conduce nella stessa trappola utilizzando lo stesso linguaggio e le stesse promesse vuote è totalmente irragionevoli. Attualmente, qualsiasi accordo interinale non metterà fine completamente all’occupazione israeliana, all’Apartheid Israeliana (compresa la piena uguaglianza per i palestinesi di cittadinanza israeliana) ed escludendo il rimpatrio dei rifugiati palestinesi dovrà essere considerato un atto di alto tradimento contro il popolo palestinese.

Source: info-palestine

Sabrina Carbone

Un monumento in memoria delle vittime omosessuali del nazismo è stato inaugurato Venerdì, 10 gennaio, nel centro di Tel Aviv, alla presenza del sindaco e dell’ambasciatore tedesco in Israele. La stele, che comprende le iscrizioni in ebraico, tedesco e inglese, è un triangolo in pietra come il triangolo che gli omosessuali erano costretti a portare sui loro abiti nei campi nazisti. La stele è stata collocata nel parco della città, “Gan Meir”, che è il principale centro della comunità di gay, di lesbiche e di transessuali a Tel Aviv, una delle principali capitali gay del mondo. “Oltre allo sterminio degli ebrei europei, i nazisti hanno commesso molte atrocità nel tentativo di distruggere chiunque era ‘diverso’ “, ha dichiarato il sindaco Ron Huldai. “Questo monumento ricorda quanto è importante rispettare tutti gli esseri umani. È assolutamente opportuno che questo tipo di richiamo sia a Tel Aviv, una città che accoglie calorosamente tutti i gruppi e le minoranze”. L’Ex membro del consiglio municipale di Tel Aviv, Eran Lev, ha spiegato che “commemorare le vittime del regime nazista, non significa solo rendere omaggio a quelli ebrei, ma a tutti gli individui”. L’ambasciatore tedesco Andreas Michaelis, da parte sua ha commentato: “a Israele, dobbiamo concentrarci principalmente sulla Shoah”, ma “non dobbiamo dimenticare gli altri gruppi che sono stati vittime della macchina della morte del regime tedesco in questi anni bui. Oggi, ricordiamo coloro che hanno sofferto e perso la vita proprio a causa del loro orientamento sessuale”. Migliaia di omosessuali sono stati inviati nei campi di concentramento e la Gestapo, la polizia segreta del regime nazista ha arrestato decine di migliaia di uomini gay.

Source: 7sur7

Sabrina Carbone

Il 21% dei disabili sono disoccupati, più del doppio della media della popolazione. Il tasso di disoccupazione per i lavoratori disabili era del 21% contro il 9% in media per l’intera popolazione in età lavorativa (15-64 anni) nel 2011. Più alto è l’handicap, maggiore è anche il tasso di disoccupazione. Il 44% dei disabili esercitano un’attività lucrativa contro il 71% della popolazione totale di tutte le età. Questo divario arriva al massimo tra i 40 e i 49 anni: mentre il 90% di questa parte della popolazione è attiva, solo il 53% delle persone sono disabili. Coloro che lavorano sono più spesso impiegati in settori meno specializzati. Il 74% dei lavoratori riconosciuti dalla Commissione per i diritti umani e dell’autonomia delle persone con disabilità (CDAPH) sono sia operai disabili che dipendenti, contro il 50% dell’insieme di tutte le attività, e solo il 6% sono dirigenti contro il 18% degli attivi. Le difficoltà di integrazione per quanto riguarda le persone con disabilità nel mondo del lavoro sono duplici. Da un lato, la scuola è più difficile, ma risentono di un livello di qualifica inferiore alla media. D’altra parte, senza trascurare le difficoltà che esistono per le imprese, vengono fatti pochi sforzi per facilitare l’accesso ai portatori di handicapal mondo del lavoro: il dovere giuridico dei datori di lavoro delle aziende pubbliche o private che comprendono nel loro organico 20 dipendenti è del 6% verso le persone con disabilità. In media raggiunge il 3,1% nel settore privato (dati 2011, Ministero del Lavoro). Il 22% delle imprese soggette all’obbligo invece sono senza dipendenti con disabilità. Infine citiamo che con una media del 4%, il settore pubblico è migliore, ma non rispetta l’obbligo legale.

Source: inegalites.fr

Sabrina Carbone

Ogni giorno, a Awerial sulla riva occidentale del fiume Nilo nello Stato dei Laghi, in Sud Sudan arrivano delle barche che trasportano le persone che sono sfuggite dalle violenze di Bor, capitale del vicino Stato di Jonglei, e sono per lo più donne e bambini. In quasi due settimane, oltre 75.000 persone sono arrivate nella città di Awerial portando con sé un paio di cose che sono riuscite a salvare. La città, che di solito conta circa 10.000 abitanti, ora trabocca di famiglie sfollate. Mentre alcuni sono stati accolti dai parenti, la maggior parte vivono all’aria aperta. Molte famiglie dimorano sotto gli alberi che offrono un pò di ombra durante il giorno. Le loro condizioni di vita sono deplorevoli, ma a causa dei continui combattimenti a Bor, la città di Awerial rimane l’opzione più sicura. Maria Aluer, di 19 anni, stava studiando in Kenya, ed è tornata a Bor per trascorrere il Natale con la sua famiglia quando è stata fatta prigioniera nel corso di alcuni combattimenti. “E’ successo intorno a mezzanotte, ha dichiarato Maria. C’era un fuggi, fuggi in tutte le direzioni. Abbiamo preso i bambini e tutto quello che potevamo prendere prima di scappare. Quando siamo arrivati ​​a Awerial, la città era già sovraffollata. Abbiamo messo le nostre cose sotto un albero durante il giorno è possibile stare lì, ma di notte fa molto freddo. Molti bambini sono malati, e la maggior parte soffrono di diarrea”. Al mercato locale, le materie prime sono scarse e i loro prezzi sono alle stelle. C’è una grave carenza d’acqua potabile e di latrine, e ciò espone le popolazioni che vivono a Awerial a rischio di epidemie. “L’accesso all’acqua pulita è un problema perchè i cinque pozzi della città sono a secco dalle dieci del mattino”, commenta David Nash, capo missione di MSF in Sud Sudan. Il Nilo è l’unica vera fonte idrica, ma la qualità è scarsa. L’acqua per bere è la stessa di quella utilizzata per il lavaggio e le lavanderie. Inoltre, non ci sono latrine. “Un team di MSF pompa acqua dal Nilo e la tratta per fornire alla popolazione acqua potabile. Lo staff medico di MSF fornisce assistenza medica essenziale agli sfollati in due cliniche nelle popolazioni della città di Awerial. Una è installata in una scuola elementare, l’altra in un ospedale del Ministero della Salute. “Vediamo circa 150 pazienti ogni giorno, la maggior parte di loro soffrono di diarrea acuta, di infezioni respiratorie e di malaria, ha dichiarato il Dr. Moussa Oussman, referente medico di MSF. Oggi abbiamo anche istituito un servizio ospedaliero per i pazienti critici e abbiamo creato uno spazio per le donne incinte allo scopo di fornire loro migliori condizioni”. C’è un urgente bisogno di fornire assistenza alle popolazioni sfollate che dimorano fuori Awerial le quali sono senza cibo e acqua potabile. MSF ribadisce il suo appello alle altre organizzazioni umanitarie di intervenire con urgenza.

Source: allafrica

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Sabrina Carbone

Il 6 gennaio del 1945, nell’ambito della Seconda Guerra Mondiale in Polonia, le truppe sovietiche avevano occupato il campo di concentramento di Auschwitz e avevano liberato più di cinque mila prigionieri. L’Esercito russo era entrato in campo e la maggior parte delle persone erano nascoste o confinate nell’infermeria. Pochi giorni prima, il personale nazista aveva iniziato l’evacuazione del campo di sterminio, portando i prigionieri capaci di camminare verso ovest. Coloro che invece erano troppo deboli per camminare furono lasciati indieitro, e per fortuna furono i prigionieri riscattati.

Sabrina Carbone

Il numero degli sfollati in Sud Sudan è già di 190.000 persone, ha riferito Lunedì, 6 gennaio, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA). Solo tre sfollati hanno cercato rifugio nei pressi delle basi delle Nazioni Unite nel paese. Secondo un rapporto preparato congiuntamente tra OCHA e i suoi partner umanitari, dal 15 dicembre quasi 23.000 persone sono fuggite nei paesi vicini. L’Uganda è quello che ha ricevuto il maggior numero di rifugiati, seguito da dall’Etiopia e dal Sudan. La maggior parte degli sfollati e dei rifugiati hanno ricevuto qualche tipo di aiuto. OCHA ha anche sottolineato che le parti nel conflitto hanno avviato i negoziati Venerdì, 3 gennaio, ad Addis Abeba per un cessate il fuoco nel paese, senza aver raggiunto un Accordo.

Source: un.org

Sabrina Carbone

Lo Stato Islamico in Iraq e il Levante, un affiliato di al-Qaeda in Iraq e in Siria, che recentemente ha preso la città di Falluja, a 60 km da Baghdad, hanno rivendicato Sabato, 4 gennaio, l’attacco suicida di Giovedì avvenuto nei sobborghi meridionali di Beirut, in Libano contro il movimento sciita di Hezbollah. Un atto che ha ucciso quattro persone. Il primo a scoprire la rivendicazione da parte di al-Qaeda per l’attentato nella periferia sud di Beirut, avvenuto Giovedì, è stato il centro statunitense di monitoraggio dei siti web islamisti, SiTE. Lo Stato Islamico in Iraq e il Levante, un ramo di al-Qaeda in Iraq e in Siria avocano a loro la responsabilità di questo attacco suicida cita un comunicato pubblicato sul suo sito web. Il testo poi postato su Twitter designa gli sciiti come “Rafidah”, un vocabolo usato dagli estremisti sunniti per denigrare questa comunità. Lo Stato islamico afferma anche che sono ” riusciti a penetrare nel sistema di sicurezza del partito del diavolo”, in riferimento a Hezbollah, che in arabo significa “partito di Dio”, e ha colpito i suoi capisaldi nel cuore del quadrato della sicurezza. Il gruppo estremista sunnita ha promesso che “un prezzo pesante sarà pagato da questi vili criminali”. Tuttavia la dichiarazione non menziona il nome del kamikaze che che è stato comunque identificato dagli investigatori libanesi, il cui nome è Qutaiba Mohamad al-Satem, un giovane estremista sunnita del nord del Libano. Il suo corpo, o ciò che resta di esso, è stato consegnato alla sua famiglia questo Sabato, 4 gennaio. Le sue spoglie sono state accolte sparando dei tiri in aria a Tripoli, causando notevoli tensioni tra i quartieri sunniti e alawiti della città, tra i quali c’è stato uno scambio di raffiche con armi automatiche, e lanci di granate.

Source:rfi.fr

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Sabrina Carbone

Lo Stato Islamico in Iraq e il Levante, un affiliato di al-Qaeda in Iraq e in Siria, che recentemente ha preso la città di Falluja, a 60 km da Baghdad, hanno rivendicato Sabato, 4 gennaio, l’attacco suicida di Giovedì avvenuto nei sobborghi meridionali di Beirut, in Libano contro il movimento sciita di Hezbollah. Un atto che ha ucciso quattro persone. Il primo a scoprire la rivendicazione da parte di al-Qaeda per l’attentato nella periferia sud di Beirut, avvenuto Giovedì, è stato il centro statunitense di monitoraggio dei siti web islamisti, SiTE. Lo Stato Islamico in Iraq e il Levante, un ramo di al-Qaeda in Iraq e in Siria avocano a loro la responsabilità di questo attacco suicida cita un comunicato pubblicato sul suo sito web. Il testo poi postato su Twitter designa gli sciiti come “Rafidah”, un vocabolo usato dagli estremisti sunniti per denigrare questa comunità. Lo Stato islamico afferma anche che sono ” riusciti a penetrare nel sistema di sicurezza del partito del diavolo”, in riferimento a Hezbollah, che in arabo significa “partito di Dio”, e ha colpito i suoi capisaldi nel cuore del quadrato della sicurezza. Il gruppo estremista sunnita ha promesso che “un prezzo pesante sarà pagato da questi vili criminali”. Tuttavia la dichiarazione non menziona il nome del kamikaze che che è stato comunque identificato dagli investigatori libanesi, il cui nome è Qutaiba Mohamad al-Satem, un giovane estremista sunnita del nord del Libano. Il suo corpo, o ciò che resta di esso, è stato consegnato alla sua famiglia questo Sabato, 4 gennaio. Le sue spoglie sono state accolte sparando dei tiri in aria a Tripoli, causando notevoli tensioni tra i quartieri sunniti e alawiti della città, tra i quali c’è stato uno scambio di raffiche con armi automatiche, e lanci di granate.

Source:rfi.fr

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Sabrina Carbone

Ancora incertezze Venerdì mattina, 3 dicembre, sulla organizzazione e la tempistica precisa dei colloqui di pace in Sud Sudan. I dialoghi nella capitale etiope Addis Abeba, dovranno portare alla realizzazione di un cessate il fuoco. Le delegazioni sono arrivate ​​sul posto, ma non sono al completo. Sul terreno, l’esercito ha reso noto che marcia verso la città strategica di Bor, 200 chilometri a nord della capitale, Juba. La città ha cambiato Governo tre volte dall’inizio del conflitto. I combattimenti continuano a nord, vicino ai campi petroliferi. Venerdì 3 gennaio, l’IGAD, che comprende i paesi dell’Africa orientale e del Corno d’Africa e che ha fatto da cappello alle discussioni, spera di tenere riunioni informali e separate con le due delegazioni, per poi impostare un calendario per i dialoghi. Per quanto riguarda il loro contenuto, l’IGAD vuole prima concentrarsi su come implementare un cessate il fuoco. Ma entrambe le parti, che continuano ad affrontarsi sul campo, potranno presentare delle precondizioni. I ribelli hanno precisato Giovedì, 2 gennaio, quali sono le loro rivendicazioni. Yohanis Pouk Musa, portavoce del loro leader, Riek Machar, è con la delegazione ad Addis Abeba. “Siamo in attesa che i nostri rivali rilascino i nostri uomini, che sono i nostri principali negoziatori”, ha scandito. “Dopo discuteremo un cessate il fuoco, è importante mettere in campo gli osservatori dell’IGAD e dell’Unione Africana, perché senza di loro, non può esserci un ritorno alla pace. Penso che la condivisione del potere sia un’altra soluzione”. Il Presidente Salva Kiir ha comunicato che non ha potuto rilasciare gli ex Ministri detenuti da quando è iniziato il conflitto, poichè non è stata aperta un’indagine e ha anche rifiutato di condividere il potere. I negoziati, se saranno tenuti come previsto, saranno difficili.

Source: allafrica

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Sabrina Carbone

Non smette, macabramente, di stupirci il numero uno della Corea del Nord, Kim Jong-Un, che stavolta ha letteralmente superato i limiti dell’orrore lasciando la stampa completamente di ghiaccio. Le esecuzioni sommarie in Corea del Nord sono regolari, scrive espacemanager, ma stavolta aggiunge “ha letteralmente superato ogni limite”. Il giovane leader, Kim Jong-Un ha ordinato che suo zio, Jang Song-Thaek, di 67 anni doveva essere dato in pasto ai cani affamati. Questo caso, ha creato un’onda d’urto in tutto il mondo, cita il giornale Asiareport, che descrive questo fatto “di incredibile brutalità”. Citando il rapporto a differenza delle precedenti esecuzioni dei prigionieri politici che sono state condotte mediante i plotoni di esecuzione con le mitragliatrici, Jang è stato spogliato e gettato in una gabbia con cinque collaboratori più stretti, all’interno della quale c’erano 120 cani, che da tre giorni non mangiavano, e sono stati lasciati liberi per inseguire le loro prede fino a quando non le hanno completamente divorate. Questa punizione viene chiamata “quan Jue”, o esecuzione tramite i cani, e sembra, sempre secondo quanto rapportato, che la prestazione sia durata un’ora e che il leader supremo Kim Jong Un congiuntamente a 300 ufficiali abbiano seguito direttamente quello che avveniva. Jang Song-Thaek, zio per alleanza del giovane leader Kim Jong-Un, è stato arrestato, e giudicato in un processo veloce e giustiziato il, 12 dicembre, perchè accusato di cospirazione e di corruzione. Lo zio del leader nordcoreano e ufficiale numero due del regime è stato giustiziato perché aveva cercato di prendere il controllo a scopo di lucro delle esportazioni di carbone, ha spiegato Lunedì, 31 dicembre 2013, il capo dell’intelligence della Corea del Sud.

Source:espacemanager

Sabrina Carbone

Alcuni medici e oncologi hanno lanciato l’allerta Sabato, 28 dicembre 2013, contro il rischio di cancro a causa della presenza di residui di pesticidi nella catena alimentare. Uno studio sulla contaminazione della catena alimentare provocata dai residui di antiparassitari svolto dall’agenzia del controllo sanitario e dell’ambientale, ha rilevato l’1,6% dei residui di insetticidi su una selezione di 247 prodotti analizzati, ha rivelato il direttore dell’agenzia, Hamadi Dkhil. L’analisi ha mostrato che il 74% dei campioni dei prodotti selezionati conteneva alcune tracce di residui di pesticidi, mentre il 13,8% dei prodotti conteneva piccole tracce di insetticidi e il 1,6% ha mostrato un tasso preoccupante di insetticidi che vanno al di là della media internazionale.

Sabrina Carbone

In occasione del suo LXVII anniversario, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) ha pubblicato un nuovo rapporto, dal quale apprendiamo che la nascita di quasi 230 milioni di bambini sotto i 5 anni non è mai stata registrata, o meglio detto un bambino su 3 sotto i 5 anni nel mondo non esiste ufficialmente. Le informazioni sono state fornite dall’UNICEF in una nuova relazione. “Secondo i sondaggi – Eds-Mics 2010-2011, Senegal 2005-2011, il tasso dei bambini sotto i 5 anni di età registrati alla nascita è passato dal 55 al 75% . Tuttavia, nonostante questo incremento, bisogna rilevare che “solo il 60% dei bambini sotto i 5 anni registrati sono in possesso di un certificato di nascita”, informa l’organizzazione delle Nazioni Unite in un comunicato. Tuttavia, l’UNICEF riconosce che gli sforzi fatti da parte dello Stato e della società civile allo scopo di raggiungere questo risultato, sono significativi, ma ha aggiunto “affinchè ogni bambino possa essere preso in considerazione, deve avere accesso alla prima legge, vale a dire l’esistenza e l’identità attraverso lo stato civile, indipendentemente dal suo status o dalla sua situazione finanziaria”. L’UNICEF ha reso noto anche che sostiene il Centro Nazionale dello stato civile per la formalizzazione e il consolidamento di tutti questi sforzi attraverso lo sviluppo di una strategia nazionale per la registrazione dei bambini all’anagrafe. Un laboratorio di condivisione e capitalizzazione delle buone pratiche è stato tenuto il, 18 e 19 dicembre, a Dakar, nel quadro dello sviluppo di questa strategia nazionale. Questo nuovo rapporto UNICEF, dal titolo ‘Diritto di ogni bambino alla sua nascita: le disuguaglianze e le tendenze nella registrazione delle nascite”, raccoglie delle analisi statistiche elaborate su 161 paesi e presenta i dati e le valutazioni da parte dei paesi che sono più soggetti alla mancata registrazione delle nascite. “Le etnie non potranno essere eque e solidali quando saranno conteggiati tutti i bambini. La registrazione delle nascite ha delle conseguenze non solo sul benessere dei bambini, ma anche sullo sviluppo delle loro comunità e dei loro paesi”, ha evidenziato Geeta Rao Gupta, Vice Direttore Esecutivo dell’UNICEF. Secondo il rapporto, solo il 60% di tutti i bambini nati nel 2012 nel mondo sono stati registrati alla nascita. I 10 paesi con i più bassi livelli di registrazione delle nascite sono: la Somalia (3%), la Liberia (4%), l’Etiopia (7%), lo Zambia (14%), il Ciad (16%) la Repubblica Unita di Tanzania (16%), lo Yemen (17%), la Guinea-Bissau (24%), il Pakistan (27%) e la Repubblica Democratica del Congo (28%).

Source: allafrica

Sabrina Carbone

Nel dedalo delle strade di Atene, quattro anni dopo l’inizio della crisi, i segnali di ripresa sono bassi, e i greci che protestano sono decine di migliaia, ma stremati dalle politiche di austerità non scendono neanche più per le strade. Eppure, a prima vista, è difficile percepire la sofferenza della popolazione. Nelle zone dove i negozi hanno messo la chiave sotto la porta nel 2011 sono stati aperti numerosi bar, caffetterie e ristoranti. Durante le vacanze e i week-end, le terrazze sono piene, come anche le stazioni per gli sport invernali e i grandi hotel nelle località balneari. Ma tutto questo è solo un aspetto. Bisogna riconoscere che la maggior parte dei greci stanno lottando per sbarcare il lunario. Alcuni soffrono in silenzio, la maggior parte delle, “persone stringono la cinghia, e tutte le sfere della società sono interessate”, spiega Giannis Elafrou, il giornalista del più grande quotidiano Kathimerini. “C’è una pletora di esempi: le donne partoriscono a casa per non pagare le fatture ospedaliere, le famiglie riprendono i loro genitori a casa per ricevere la loro pensione e ritirandoli dalle di case di riposo, e la maggior parte gli automobilisti non fanno più il pieno, a causa della impennata dei prezzi della benzina, mettono due o tre euro di carburante, sufficienti per raggiungere la stazione della metropolitana più vicina”. Quasi un terzo della forza lavoro è disoccupata (27%), tre volte di più rispetto a due anni fa, e circa un greco su due a malapena riesce a pagare le tasse o le scadenze bancarie, le bollette dell’acqua o dell’elettricità. “L’indebitamento delle famiglie verso la società elettrica DEI ammonta supera i 700 milioni di euro su una popolazione totale di 10 milioni di persone”, ha reso noto Takis Bratsos, un economista.

Source: lepoint.fr

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Sabrina Carbone

La violenza nella Repubblica centro Africana obbliga ogni giorno sempre più persone a lasciare le loro case, a causa di tutto ciò le Nazioni Unite hanno richiesto oggi alla comunità internazionale dei donatori 152 milioni di dollari allo scopo di aiutare nei prossimi tre mesi la popolazione degli sfollati in questo paese. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha riferito che il numero degli sfollati nella capitale Bangui è cresciuto nelle ultime due settimane e ha già superato le 370.000 persone. Le agenzie umanitarie stimano che quasi un terzo di loro hanno cercato rifugio presso l’aeroporto e si cerca in qualche modo di fornire cure mediche e altra assistenza a queste persone. Il World Food Programme (WFP) ha distribuito 555 tonnellate di cibo a oltre 133.000 residenti di Bangui e ha fornito cibo anche a altre migliaia di persone nelle città di Bossangoa e Bouar. Elisabeth Byrs, portavoce del WFP a Ginevra, ha reso noto che l’agenzia sta espandendo le sue operazioni per aiutare 1,2 milioni di persone nei prossimi otto mesi. “Esortiamo le parti coinvolte in questo conflitto a garantire al personale umanitario un accesso sicuro. Il PAM è neutrale e provvede a fornire assistenza a seconda dei bisogni”, ha continuato Byrs, aggiungendo che nella Repubblica Centro Africana oltre il 30% delle famiglie non ha una alimentazione di base. La OCHA ha stimato che 800.000 è il numero degli sfollati nel paese e calcola che circa due milioni di loro hanno bisogno di aiuto per sopravvivere.

Source: un.org

Sabrina Carbone

L’Istituto per le donne migranti ha denunciato un aumento degli attacchi nei loro confronti quando passano attraverso il Messico: torture, rapimenti, traffici e omicidi. Negli ultimi 6 anni sono morte in totale 47.000 persone. L’Istituto ha rilevato che le statistiche ufficiali esposte dalle autorità messicane, in particolare quelli che riguardano gli omicidi, sono semplicemente inesistenti, come riporta il quotidiano locale ‘La Jornada’, il quale sottolinea inoltre che i dati del Governo sulle vittime che sono state soggette a sequestri, sono apparsi in molti altri rapporti, ma sono stati documentati solo 393 casi di 393 migranti, a riguardo gli esperti pensano che un tasso così basso è legato a una scarsa denuncia dei migranti. “Chiariamo che il termine esatto per quello che accade ai migranti in Messico, non è ‘sterminio’, ma ‘olocausto’, perché per essere una popolazione migrante e per restare qui, le persone sono esposte a tutto dall’inizio alla fine. La violenza ha inizio fin da quando emigrano dal loro paese. Abbiamo centinaia di migliaia di estorsioni, quante donne sappiamo che non sono state violentate, quante non sono state maltrattate, e soprattutto di quante persone non sappiamo più nulla. Se tutto questo non è un olocausto, in realtà, non so cosa sia”, ha dichiarato lo scorso, 18 dicembre, Padre Alejandro Solalinde durante la commemorazione della Giornata Internazionale dei Migranti. Secondo diverse stime, 400.000 clandestini degli Stati centroamericani entrano ogni anno in Messico per andare negli Stati Uniti, mentre tra i 10.000 e i 70.000 sono dispersi. Questa tendenza ha portato il Governo messicano a stabilire quest’anno una speciale unità di indagine per mettersi sulle tracce dei migranti che non rispondono all’appello.

Source: actualidad.rt

Sabrina Carbone

L’associazione Stop Acid Attacks aiuta le donne vittime di questi atti barbari e ha chiesto una legge per regolamentare la vendita dell’acido. FRANCE 24 ha incontrato Lakshmi, una donna il cui volto è stato bruciato dall’uomo che ha rifiutato di sposare. Quando i passanti la guardano, Lakshmi non rimane più sorpresa. Il suo volto porta i segni di un attacco realizzato con l’acido. La giovane indiana racconta come l’uomo che ha rifiutato di sposare ha deciso di punirla per il resto della sua vita. “Ha messo la sua mano sul mio viso e mi ha fatta cadere”, ha dichiarato. Quando ero stesa al suolo, mi ha buttato l’acido”. Nonostante le numerose operazioni, gli effetti sono ancora evidenti. “Questo non è stato solo un attacco alla mia faccia, ha anche bruciato la mia anima, continua Lakshmi, ho abbandonato i miei studi, tutti i miei sogni si sono infranti”.

“E’ ancora doloroso”images

Poco dopo l’attacco, Lakshmi ha presentato ricorso davanti alla Corte Suprema indiana allo scopo di bloccare la vendita dell’acido. Se lei prima era sola a portare avanti questa battaglia, alla fine ha ricevuto il sostegno di un gruppo di attivisti che lottano insieme a lei per arginare la piaga. Stop Acid Attacks è una associazione, con sede a nord di New Delhi, lancia campagne sui social network per denunciare le barbarie degli attacchi con l’acido. “Il nostro obiettivo è sempre stato quello sensiblizzare l’opinione pubblica allo scopo di garantire che le coscienze si risveglino, ha spiegato Alok Dikshit, Presidente del gruppo. Le vittime devono essere incitate a parlare per rendere ancora più manifesta questa lotta”. L’associazione, che offre riparo alle donne che hanno bisogno di protezione, ha chiesto una legge per regolamentare la vendita dell’acido conosciuto sotto il nome “Tezaab”, normalmente destinato a pulire gli utensili arrugginiti. Oggi, Lakshmi è diventata l’icona della lotta che purtroppo conta ancora molte vittime. La giovane donna ora sostiene coloro che bussano alla porta dell’associazione, come Sapna, che ha subito una aggressione lo scorso agosto. Quattro mesi più tardi, nonostante i trattamenti il dolore è ancora difficile da sopportare. “L’intervento è finito ora faccio dei trattamenti, che tirano molto la mia pelle, e provo ancora molto dolore”, ha raccontato.

Libero su cauzione

L’unico sollievo per Sapna è il sostegno di questa associazione. “Quando sono stata bruciata con l’acido, tutti mi hanno abbandonata. Ho presentato una denuncia e la mia famiglia è stata riluttante ad aiutarmi. E’ per questo che mi sento più sicura qui, sto bene e mi sento amata”. La condizione delle donne in India e le frequenti aggressioni che loro subiscono sono sotto i riflettori da quando c’è stato lo stupro e la morte di una studentessa a Nuova Delhi nel dicembre del 2012. Attualmente, gli autori degli attacchi con l’acido incorrono in una pena che va dagli 8 ai 12 mesi di detenzione a seconda della gravità delle ferite provocate alle vittime ma generalmente sono in libertà su cauzione. I parlamentari hanno votato contro una proposta di legge che mirava a condannare i responsabili degli attacchi con l’acido all’ergastolo.

Source: france24

Sabrina Carbone

Un’autobomba ha scosso il centro di Beirut Venerdì, 27 dicembre, mirando a un convvoglio di Mohammad Chatah, uno stretto consigliere dell’ex Primo Ministro delle Finanze, Saad Hariri. Quest’ultimo ha accusato implicitamente Hezbollah di esserne l’autore. Almeno cinque sono morti e oltre 50 i feriti, secondo una prima valutazione della Croce Rossa libanese. Saad Hariri ha risposto immediatamente rilasciando un comunicato pubblicato sul suo account Facebook, dove implicitamente accusa Hezbollah di essere l’autore dell’attentato. “Questo attacco è un nuovo attentato terroristico contro di noi, e quelli che hanno ucciso Mohammad Chatah sono gli stessi che hanno ucciso Rafik Hariri (ex Primo Ministro libanese assassinato nel febbraio 2005)”. ”Per noi, gli accusati, sono quelli che sfuggono alla giustizia internazionale e quelli che hanno propagato l’incendio regionale nella nazione libanese”, ha aggiunto in riferimento a Hezbollah , che rifiuta di sottomettere alla giustizia internazionale cinque dei suoi membri incriminati per l’assassinio di suo padre, Rafik Hariri, i cui combattenti sostengono il regime di Damasco nella sua lotta contro i ribelli. Da parte sua, Hezbollah ha dichiarato poche ore dopo l’attentato che “dell’assassinio di Mohammad Chatah ne hanno beneficiato solo i nemici del Libano e ciò fa parte di una serie di crimini e di attacchi volti a distruggere il Paese”. Il regime siriano, che ha anche accusato la coalizione libanese ostile al potere di Damasco di essere dietro l’attacco, ha negato ogni coinvolgimento. “Queste accuse arbitrarie e indiscriminate sono emanate da un odio politico”, ha insistito il Ministro dell’Informazione siriano Omran al-Zohbi, le cui osservazioni sono state riportate dall’agenzia di stampa ufficiale SANA. “Alcune personalità in Libano non hanno mai smesso di accusare il potere a Damasco ogni volta che c’è stato un omicidio doloroso nel paese fratello che è il Libano”,  ha continuato,  riferendosi alla coalizione del 14 marzo ostile a Damasco.

Source: france24

Sabrina Carbone

Incapace di sostenere i suoi quattro figli, a 20 anni la giovane keniana ha deciso di sbarazzarsi di sua figlia di 4 anni e l’ha messa in vendita per 1000 scellini (circa $ 11.5) su Facebook. La pubblicazione della vendita ha attirato l’attenzione di una giornalista del quotidiano ‘Nation’, Stella Cheronoque, che ha immediatamente contattato Agnes Mueni. Dopo due ore di conversazione telefonica entrambe hanno deciso di incontrarsi a Siani (un sobborgo di Nairobi) per concludere la transazione, riporta El Mundo. Tuttavia, all’incontro, Agnes ha dichiarato che non gli conveniva vendere la bambina per il prezzo antecedentemente concordato e ha iniziato a negoziare sul prezzo di vendita della minore trattandola come una merce. Alla fine ha accettato di venderla per 20.000 scellini (230 $), che equivale al doppio della retribuzione mensile media in Kenya. Per evitare sospetti, le donne hanno viaggiato verso la periferia del borgo per chiudere la trattativa, dove c’era un posto di blocco della Polizia, allertata prima dell’arresto di Agnes e di sua sorella Lucy. “Non posso prendermi cura della ragazza e se ho la possibilità di darle una vita migliore, non me la lascio sfuggire”, ha esposto la giovane, senza alcun segno di pentimento. Il dramma di Agnes è un problema quotidiano in Kenya, dove le gravidanze indesiderate sono recidive tra le ragazze adolescenti e le donne adulte. Nelle baraccopoli di Nairobi, per esempio, sette su otto donne sotto i 20 hanno almeno un figlio e la metà di loro sono ragazze madri, il 20% addirittura non sa neppure chi è il padre.

Source: actualidad.rt

Sabrina Carbone

Il paese più giovane del mondo, il Sud del Sudan, è di nuovo minacciato dalla guerra. Questa volta le tensioni non sono con Khartoum, dal quale il Sud Sudan si è separato nel luglio del 2011 dopo più di due decenni di conflitto (1983-2005), ma riguardano una possibile guerra civile del sud che ha causato già centinaia di morti a Juba, la capitale. Gli scontri sono scoppiati Domenica, 15 dicembre, dopo l’annuncio di un tentativo di colpo di Stato contro il Presidente Salva Kiir dal campo dell’ex Vicepresidente Riek Machar.

Quali sono le radici di questi conflitti?

Durante lo scorso anno, sono aumentate le tensioni tra i campi del Presidente Salva Kiir e il suo ex-Presidente Riek Machar. C’è stato il licenziamento di Riek Machar e del Gabinetto del Presidente. Machar e il suo campo hanno accusato Salva Kiir di “tendenze dittatoriali”. Il Presidente ha ritardato il Congresso del Partito, il Movimento di Liberazione del Popolo (SPLM). Questa lotta per il controllo dello Stato e del potere è dovuta alle differenze di opinioni, di stili di governance. L’approssimarsi del Presidente Kiir ai suoi omologhi sudanesi è stato disapprovato nel Sud del Sudan. Ma non è finita c’è anche una questione economica: il Sud del Sudan è uno stato ricco. L’azienda BP pensa che il paese ha le maggiori riserve di petrolio greggio dell’Africa Orientale, e essere al capo dello Stato significa avere le sue riserve. Il Sud del Sudan ha una lunga storia di violenza etnica. Le due più grandi comunità Dinga e Nuer hanno avuto relazioni abbastanza vicine al conflitto tra John Garang e Machar ai margini dell’ALPSN nel 1991.  Duemila Nuer sono stati uccisi a Bor nel 1991 da truppe fedeli a Machar. Il conseguente conflitto etnico che ne è scaturito è rimasto irrisolto. La violenza etnica ha raggiunto livelli allarmanti in alcune aree, come lo Stato di Jonglei, dove i poteri pubblici fanno fatica a riconciliare il popolo con le varie fazioni dell’armata. Purtroppo questa questione non è stata sufficientemente presa in considerazione in passato. Prima degli scontri di questa settimana, i politici hanno ripetutamente chiesto l’unità, ma ora la questione etnica è manipolata dai politici.

Come porre fine al combattimento?

Bisogna cessare immediatamente le ostilità con dei negoziati sotto l’egida dell’IGAD. Qualsiasi accordo deve andare al di là di una riconciliazione politica. Deve riparare il divario etnico allargato da un processo di riconciliazione nazionale. L’accento deve essere posto sulla democratizzazione, in particolare sul pluralismo politico e sull’accettazione delle critiche.

Sabrina Carbone

La campagna nazionale “Lotta contro la violenza sui bambini, rendendo visibile l’invisibile” è stata lanciata presso l’Hotel Hilton ed è stata organizzata lunedì, 9 dicembre, dagli scout musulmani algerini (SMA), dalla rete Nada, Wasilla, dal CIDDEF la Federazione algerina per le persone con disabilità e dall’UNICEF, in collaborazione con i Ministeri della Solidarietà Nazionale, della Famiglia e della condizione delle donne e dell’istruzione nazionale e altre reti di partner istituzionali. La violenza sui bambini in Algeria è diventata un fenomeno che sta diventando sempre più importante. Ogni anno la stampa nazionale ha riportato casi di violenza inimmaginabil. Sequestri, omicidi, violenze sessuali. Una quotidianità che diventa sempre più drammatica e che terrorizza i genitori. In Algeria, e in generale, la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, rileva delle disposizioni costituzionali che garantiscono la protezione dei cittadini. In modo particolare, è assicurata dalle disposizioni e consacrata nella legislazione e in specifici regolamenti. L’ultimo rapporto dell’UNICEF nel campo della tutela, a causa della mancanza di un meccanismo utile a segnalare i casi di violenza sui bambini non dispone di dati sufficienti. L’indagine elaborata su campioni a indicatori multipli (MICS 3) indica che l’86% dei bambini dai 2 ai 14 anni sono vittime di maltrattamenti fisici o psicologici, ma i dati disaggregati per regione, genere o mezzi non hanno mostrato differenze significative secondo queste variabili. Per quanto riguarda il lavoro minorile, lo stesso sondaggio ha rivelato che il Sud sembra conoscere una prevalenza maggiore di questo fenomeno rispetto all’Oriente e all’Occidente. Gli adolescenti nelle scuole subiscono differenze significative nella realizzazione dei loro diritti alla partecipazione a seconda se l’argomento riguarda il Sud o il Nord. L’Algeria ha registrato numerose importanti iniziative intraprese dalla società civile,  dalle associazioni per la lotta contro la violenza nei confronti dei bambini. Questa dimensione è compresa tra gli obiettivi delle 47 associazioni nazionali, di queste 9 sono nazionali e trattano dell’infanzia o sostengono le vittime del terrorismo o sono dedite a promuovere la pace e la fratellanza nei vari strati etnici. Queste azioni ruotano intorno alla organizzazione di incontri di sensibilizzazione e alla diffusione di brochure per la promozione dei diritti dei bambini, all’organizzazione di colonie estive per i bambini vittime di violenza, comprese quelle del terrorismo e al sostegno psicologico di questi bambini. Varie attività di queste associazioni sono generalmente incoraggiate e materialmente finanziate dal Governo algerino. Il supporto è messo a disposizione dal Ministero del Lavoro e della Solidarietà Nazionale di punti di appoggio: stanze, case associazioni di solidarietà. Per quanto riguarda l’assistenza finanziaria, questo settore rappresenta il 40% dell’importo totale degli aiuti finanziari concessi dal Dipartimento a beneficio delle associazioni. In questo quadro, un gran numero di associazioni, che operano nel campo dell’infanzia hanno deciso di formare una rete di solidarietà, sperando di vedere emergere nella società civile una rete solida, e suscettibile a divulgare i valori comuni per la protezione del bambino. Questa decisione ha dato luogo alla rete algerina NADA per la difesa dei diritti dei bambini, il cui compito principale è quello di promuovere i diritti dei bambini,  proteggere i minori e costruire ponti tra la società civile e le istituzioni. Fin dalla sua istituzione, la Rete NADA ha condotto diverse azioni che hanno toccato zone molto sensibili nella nostra società. L’obiettivo è quello di sviluppare uno spazio di espressione e di incontro per i bambini, di istituire meccanismi per combattere contro ogni forma di abuso e di violenza perpetrata contro i bambini, creare un centro di risorse sui diritti dei bambini e di agire con le autorità giudiziarie allo scopo di prendere decisioni urgenti a favore dei bambini a rischio. Cinque importanti programmi sono stati avviati dalla Rete, e hanno avuto un impatto positivo e molto soddisfacente a sostegno dei bambini, tra questi il programma “Ti ascolto”, attraverso un numero verde “30 33″, il progetto “Agire Insieme” contro la violenza nelle scuole, “Child rifugiati”, per migliorare la tutela dei diritti dei bambini rifugiati,  per il rafforzamento delle competenze tecniche e organizzative dei membri del progetto per la lotta contro gli abusi sessuali contro i bambini in Algeria e il progetto “Giustizia minorile”. Lo sviluppo di un rapporto alternativo sui diritti dei bambini rientra nel quadro della difesa della rete di Nada, ed è un documento importante e prezioso presso gli organismi nazionali e internazionali che trattano di problemi dell’infanzia. Questa è una prima iniziativa, che non affronterà la situazione dei bambini in tutta la sua diversità, ma si limita ad affrontare tre temi principali che saranno sviluppati attraverso l’esperienza della rete di Nada. Tuttavia, questa relazione fornirà informazioni utili sugli abusi e sulla violenza sui bambini, alle organizzazioni delle Nazioni Unite, incaricati di monitorare l’attuazione della CRC.

Sabrina Carbone

Il km 5, di solito è il cuore economico della città di Bangui. Ma dopo l’attacco condotto dalle milizie cristiane anti-balakas sui musulmani del quartiere, il km 5, è diventata una zona senza legge dove i civili non si avventurano più senza avere un machete in mano. Nella notte di Mercoledì a Giovedi, 4 e 5 dicembre, dei gruppi anti-balakas, le milizie di autodifesa antagonisti degli ex ribelli della Seleka, hanno attaccato la capitale centro africana e sono penetrati in diversi quartieri. Un’operazione coordinata, supportata da elementi della guardia del corpo del deposto Presidente François Bozizé, che ha preso gli elementi della ex Seleka. Nel quartiere km 5, una moschea è stata attaccata e 58 musulmani sono morti. In totale, almeno 130 persone sono state uccise nella capitale solo Giovedì, 5 dicembre. Gli osservatori di Bangui sono preoccupati, ed è anche giustificato, dal momento che questa operazione, che ha preso di mira principalmente i musulmani della città, accusati di sostenere l’ex Seleka, inizia a precipitare in una spirale di violenze settarie. Al km-5, come in molti altri settori, i civili si sono muniti di armi e sono stati segnalati attacchi di rappresaglia contro la comunità cristiana.

Source: observers.france24

Sabrina Carbone

Al-Qaeda nella Penisola Araba (AQAP) ha rivendicato la responsabilità Venerdì, 6 dicembre, l’attacco contro la sede del Ministero della Difesa yemenita, che ha ucciso 52 persone nella città di Sanaa, in un comunicato diffuso da una sua branca responsabile dei mezzi di comunicazione.  Il Dipartimento della Difesa è stato “preso d’assalto Giovedì, 5 dicembre, dopo i mujahidin (combattenti in nome della religione) hanno dimostrato che questo ospita delle sale di controllo per i droni, e gli esperti degli Stati Uniti”, ha indicato l’organizzazione su Twitter.  ”I mujahidin hanno inferto un duro colpo ad una di queste sale”, ha reso noto in una dichiarazione la fondazione di Al-Malahem.  ”Questi quartieri generali, in collaborazione con gli americani nella loro guerra contro i musulmani, sono un bersaglio giustificato”, ha avvertito AQAP.  I combattenti di al-Qaeda sono regolarmente presi di mira da attacchi dei droni svolti nello Yemen.  Queste azioni, che hanno ucciso quest’anno decine di insorti sono state condotte dagli Stati Uniti, che aiutano le autorità yemenite nella lotta contro la rete estremista e che sono gli unici ad avere i droni nella regione. Giovedì, gli attaccanti hanno concentrato il loro assalto contro l’ospedale militare del grande complesso che ospita il Ministero ubicato all’ingresso della vecchia città di Sanaa.  L’assalto è stato lanciato da un kamikaze alla guida di un’autobomba che ha forzato una entrata del Ministero ed era seguito da alcuni complici a bordo di un altro veicolo. Cinque medici – due tedeschi, due vietnamiti e uno yemenita – e tre infermieri – due Filippini e un Indiano, sono stati uccisi in un attacco che anche ferito altre 167 persone, informa il Comitato Supremo della Sicurezza.  Il Ministero degli Affari Esteri delle Filippine, ha reso noto che sette filippini del personale ospedaliero sono morti, tra questi un medico. Gli Stati Uniti hanno condannato fermamente l’attentato, descritto come “folle”.  Al-Qaeda ha sfruttato l’indebolimento del potere centrale nello Yemen per favorendo la rivolta popolare contro l’ex Presidente Ali Abdullah Saleh nel 2011, per rafforzare la sua impresa nel paese.

Source: libe.ma

Sabrina Carbone

Le autorità del Mali devono urgentemente identificare i 21 corpi trovati in una fossa comune la notte dello scorso, 3 dicembre, che sembrano essere quelli dei soldati rapiti nel maggio del 2012, ha dichiarato Amnesty International. ”Dal momento che questi militari sono stati rimossi dal campo militare di Kati, i loro parenti, che non sanno che cosa gli è successo, sono in preda all’ansia. Le autorità devono ora fare tutto quanto è in loro potere per rivelare la verità alle famiglie”, ha ammonito Gaëtan Mootoo, specialista di Amnesty International in Mali, che ha incontrato alcuni soldati la scorsa settimana. “Purtroppo, le prime informazioni ottenute sembrano confermare i nostri timori e cioè che i 21 soldati sono stati giustiziati”, ha aggiunto Gaëtan Mootoo. “Amnesty International esprime le proprie e sincere condoglianze a tutte le famiglie che sono state colpite”. La fossa comune è stata scoperta dopo l’arresto del generale Amadou Haya Sanogo, autore di un colpo di Stato militare in Mali nel marzo 2012. Molti dei suoi soldati sono stati arrestati e sono stati accusati di sequestro di persona, di omicidio e di scomparsa di 21 “berretti rossi” sospettati di avere sostenuto un colpo di stato contro il generale Sanogo. La scorsa settimana, una delegazione di Amnesty International, guidata da Salil Shetty, Segretario generale dell’organizzazione, ha incontrato i genitori di questi soldati dispersi. Fatima Cissé, il cui marito è uno dei 21 uomini in questione, ha riferito alla delegazione: “E’ assolutamente traumatico, non so cosa sia successo a mio marito. Non posso andare avanti in questo modo. Anche se il suo corpo è in una fossa comune, ho bisogno di saperlo”. Sagara Binto Maiga, Presidente del Collettivo delle mogli e dei parenti dei dispersi dei berretti rossi, ha dichiarato: “Avevamo riferito al Ministro della Difesa che sfilevamo nudi nelle moschee se non rivelavano cosa era successo ai nostri cari, e come termine di scadenza avevamo dato l’arrivo della delegazione di Amnesty International (a fine novembre). Lui ha risposto che dovevamo essere pazienti e che ha fatto tutto ciò che era in suo potere. Il giorno successivo, Sanogo è stato arrestato e accusato”. ”Amnesty International ha preso atto con soddisfazione degli sforzi compiuti dal Governo per ristabilire la giustizia e lo stato di diritto”, ha confermato Gaëtan Mootoo. “Tuttavia, questa è solo la punta dell’iceberg. C’è ancora molto da fare per stabilire la verità su tutte le gravi violazioni dei diritti umani commesse negli ultimi due anni”. Durante la sua recente visita in Mali, Amnesty International ha lanciato un’agenda per i diritti umani, e ha invitato le autorità ad indagare su tutti i presunti colpevoli di violazioni dei diritti umani commessi negli ultimi due anni, e di assicurare alla giustizia tutti i colpevoli di reato. In particolare, l’Agenda richiede maggiori informazioni su quanto è successo ai 21 soldati, come anche sul’esecuzione di oltre 40 civili da parte dei servizi di sicurezza del Mali.

Source: amnestyalgerie

Sabrina Carbone

Gli Stati Uniti, distruggeranno una parte dell’arsenale chimico siriano su una delle loro navi, ha annunciato la OIAC, sabato, 30 novembre. Adottato il, 15 novembre, il piano di sitruzione di queste armi prevede un annientamento dell’arsenale entro il 2014. Una parte dell’arsenale chimico siriano, soprattutto dei prodotti giudicati ‘prioritari’,  sarà distrutto in mare su una nave che appartiene agli Stati Uniti, ha annunciato la Organizzazione contro le armi chimiche, (OIAC), sabato, 30 novembre. “Il direttore generale, (dell’OIAC), ha indicato che le operazioni di neutralizzazione, (delle armi chimiche, ndlr), saranno condotte in mare su una nave degli Stati Uniti utilizzando la tecnica dell’idrolisi”, ha spiegato la organizzazione basata all’Aia nel comunicato. “Una nave attualmente sta per essere modificata per poter accogliere le operazioni e supportare quelle di verifica dell’OIAC”, ha aggiunto. Il, 15 novembre, il consiglio esecutivo dell’OIAC aveva adottato una road map sulla distruzione dell’arsenale chimico siriano entro il primo semestre del 2014, che comprende un piano dettagliato sui possibili metodi di distruzione di queste armi, fuori dalla Siria, su terra o mare. Ma a dispetto del consenso sulla distruzione dell’arsenale chimico siriano fuori del paese in guerra, nessuno Stato ha fino ad oggi accettato di effettuarlo sul proprio territorio. In base ai termini dell’accordo, le armi siriane le più pericolose devono essere trasportate fuori dal paese in guerra prima del 31 dicembre. La maggior parte delle altre armi chimiche e dei precursori che rientrano nella composizione dei prodotti tossici fatta eccezione dell’isopropanolo possono servire alla fabbricazione del gas sarin, e dovranno essere ritirate dal paese entro il 5 febbraio del 2014. Le installazioni di produzione dichiarate dal regime saranno distrutte tra il 15 dicembre e il 15 marzo del 2014 cita l’organizzazione.

Source: france24

Sabrina Carbone

Come ogni anno, la Giornata mondiale della lotta contro l’aids, viene celebrata il 1° dicembre, e come ogni anno porta buone e cattive notizie, ma anche speranza, dal momento che i pazienti sanno che un mondo senza AIDS è ora possibile. Tuttavia, due milioni di nuove infezioni sono state registrate quest’anno e oltre un milione e mezzo di persone sono morte di AIDS, mentre 16 milioni di persone hanno ancora bisogno di trattamento. Tuttavia i progressi compiuti nell’ultimo decennio allargano ancora i divario tra nord e sud. Le associazioni ricordano alla fine, che nel 2013, i dati sono incoraggianti ma i malati, troppo malati, non hanno accesso allo screening e ai trattamenti. Il trattamento in Africa è in gran parte inadeguato, nonostante gli impegni governativi e i fondi elargiti per la lotta contro l’AIDS. Nel 2001, 50.000 persone hanno avuto accesso alle cure nell’Africa sub-sahariana, oggi meno di sette milioni ne hanno un bisogno vitale. La stima di un ulteriore miliardo di dollari per rompere la dinamica dell’epidemia potrà essere a corto di necessità.  L’accesso ai farmaci antiretrovirali nelle donne in gravidanza può salvare la loro vita e anche bloccare la trasmissione del virus al loro bambino, che in qualche modo è l’unica strategia. Oggi i bambini più piccoli spesso orfani a causa della malattia, diventano un bersaglio. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha pubblicato un nuovo rapporto in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS e dimostra che le persone che vivono con l’HIV e che hanno un impiego in media hanno il 39% in più delle probabilità a seguire il loro programma antiretrovirale rispetto a coloro che sono disoccupati. Secondo Alice Ouedraogo, Direttrice del Programma dell’ILO sull’HIV e il mondo del lavoro, l’occupazione è essenziale per raggiungere l’obiettivo di 15 milioni di persone che vivono con l’HIV e sono sottoposte a trattamenti entro il 2015.

 

Sabrina Carbone

Il secondo progetto multi-settoriale per la lotta contro l’HIV / AIDS in Burundi, realizzato tra il 2008 e il 2011, è stato elaborato per sviluppare la gamma e l’utilizzo dei servizi di prevenzione per i gruppi più vulnerabili o individui affetti da HIV / AIDS. Tutto ciò ha permesso di ridurre il tasso di prevalenza nazionale da 3 a 1,4%, e moltiplicare oltre il doppio del numero di persone che ricevono terapia anti-retrovirale e distribuire oltre 4 milioni di preservativi.

Sfida

Con il reddito lordo pro capite di 380 dollari, il Burundi è uno dei paesi più poveri del mondo. Le spese sanitarie individuali sono meno di 49 dollari l’anno. Secondo un sondaggio del 2007, il tasso di prevalenza di HIV nella popolazione generale era stato del 3%, incommensurabile con quello dei professionisti del sesso (38%), sapendo che la rapida diffusione è stata osservata nelle aree rurali. Diversi fattori sono alla base di questa epidemia, compreso la prostituzione, la molteplicità dei partner sessuali e i bassi tassi di circoncisione maschile. L’implementazione della strategia nazionale contro l’HIV / AIDS 2002-2006 è affondata a causa della quantità di ostacoli istituzionali, tecnici, finanziari e dell’ordine della capacità connesse, le nozioni sono state ritirate allo scopo di guidare lo sviluppo verso una seconda strategia. Per questo motivo, il paese ha cercato il sostegno della International Development Association (IDA) per l’orientamento strategico, le risposte e l’assistenza tecnica, e ha anche voluto assicurare la sinergia tra il rafforzamento del sistema sanitario e gli interventi mirati a livello di HIV / AIDS. Infine, il Governo ha sostenuto il prosieguo del sostegno IDA alla società civile, considerata essenziale, attraverso sotto-progetti e attività per lo sviluppo delle capacità.

Soluzione

Il progetto mira “all’uso di una più ampia gamma di servizi di prevenzione tra i gruppi ad alto rischio o quelli affetti da HIV / AIDS. “Sono professionisti del sesso, uomini tra i 15 e i 49 anni, che hanno avuto più partner sessuali negli ultimi 12 mesi e le donne in gravidanza affette da HIV;

-Aumento del valore e del volume dei sotto-progetti destinati alle popolazioni vulnerabili e ai gruppi a rischio;
-Aumento della percentuale del numero dei pazienti con infezione avanzata che beneficiano della terapia anti.retrovirale;
-Aumento del numero delle donne incinte sieropositive che ricevono terapia anti-retrovirale per prevenire la trasmissione madre-figlio;
-Aumentare il numero di persone, che affette da HIV / AIDS, a ricevere piccole sovvenzioni;
-Aumento del numero delle organizzazioni del settore pubblico con piani o strategie settoriali annuali allo scopo di includere le attività connesse alla lotta contro l’HIV. Per raggiungere questi obiettivi, le attività progettuali finanziate volte a modificare il comportamento in un certo numero di organizzazioni, hanno fornito supporto alla prevenzione della trasmissione madre-figlio e alla circoncisione maschile attraverso trasferimenti diretti al Ministero della Salute. Il piano ha inoltre sostenuto la scaling up terapia antiretrovirale (ART), utilizzando un sistema di contratti relativi alle prestazioni amministrative del Dipartimento della Sanità. Piccoli contributi sono stati assegnati alle famiglie vulnerabili e alle attività per combattere l’HIV / AIDS e sono stati promossi all’interno dei Ministeri chiave e dei Governi locali.

Risultati

-Declino in prevalenza dell’HIV tra le prostitute, dal 37,7 al 19,8%.
-Declino del tasso nazionale tasso dell’HIV dal 3 al 1,4% nello stesso tempo con almeno un raddoppio del trattamento ARV.
-Aumento del numero dei pazienti in terapia ARV, da 10 928 a 25 117.
-Aumento della percentuale di donne in gravidanza infette che ricevono un trattamento ARV completo per ridurre il rischio di trasmissione materno-infantile dal 6 al 32%.
-Aumento del tasso di uso del preservativo tra professionisti del sesso, dal 82 al 91,2%.
-Aumento della percentuale dal 15 ai 49 anni che hanno avuto più di un partner sessuale negli ultimi dodici mesi, che hanno usato un preservativo durante l’ultimo rapporto sessuale:
• Uomini: 6-13,9%
• Donne: 10, 9-14,3%.
Un totale di 272 educatori del sesso sul posto di lavoro sono stati formati onde prevenire le infezioni trasmesse sessualmente (IST). 4.426.322 preservativisono stati distribuiti a 28.573 uomini e donne.
169 sex workers e 189 agenti della sicurezza sono stati formati sui diritti dei professionisti del sesso.
5 292 professionisti del sesso hanno beneficiato di un depistaggio del quale conoscono i risultati.

Contributo del Gruppo della Banca Mondiale

Questo progetto ha ottenuto una sovvenzione dell’IDA di oltre 9 milioni di dollari, a sostegno di 247 attività del quale hanno beneficiato 94.763 abitanti.

Source:  banquemondiale

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Sabrina Carbone

Le donne in alcuni paesi asiatici, devono spesso affrontare forti pressioni quando partoriscono e l’aborto selettivo in questi paesi è molto diffuso. Squilibri di questo genere possono diventare catastrofici per la popolazione, allarmano gli esperti. La pediatra, Mitu Khurana, è uno dei principali oppositori della selezione del sesso dopo che è stata messa sotto pressione dai suoceri che la obbligavano a abortire due figlie gemelle e infine a causa di tutto ciò è stata abbandonata dal marito. Cinquantasei donne sono state uccise in Pakistan quest’anno, perchè avevano dato alla luce delle neonate, ha spiegato l’attivista per i diritti umani IA Rehman, in un simposio per celebrare la “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”, che è stato svolto a Lahore, lunedì 25 novembre, ha pubblicato il quotidiano pakistano Tribune Express. “Un paese dove le madri vengono uccise, per aver dato alla luce delle bambine non può essere chiamato una società etnica”, ha ammonito Rehman al convegno organizzato dalla Associazione a favore delle donne All Pakistan, dal titolo: “Giovani emergenti la forza per un cambiamento positivo”. In una analisi effettuata nel 2011 sugli effetti che provoca l’aborto selettivo in Cina, in India e in Corea del Sud, il dottor Therese Hesketh, del centro internazionale UCL per la salute e lo sviluppo congiuntamente ai suoi colleghi ricercatori ha notato che le conseguenze sono potenzialmente catastrofiche e aumentano gli squilibri di genere in questi paesi, tra questi l’aumento della violenza.

Source: hazteoir.org

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Sabrina Carbone

Una squadra dell’esercito israeliano ha fatto irruzione nella casa di una famiglia araba a est Gerusalemme, con l’ordine di arrestare Mohammad al Majeed, il presunto aggressore di un colono ebreo. Ma Mohammad è un bambino di 4 anni. Secondo il racconto di suo padre ai lavoratori del centro informazione Silwan Information Center (un quartiere in disputa con l’adiacente ‘Città di Davide’), un ufficiale gli ha ordinato di elencare tutti i suoi figli, e lo ha fatto dopo che l’ufficiale aveva dichiarato che aveva un mandato di arresto contro uno dei loro figli, in particolare contro Mohammad. Il padre ha risposto che Mohammad, il quale dormiva al momento, ha quattro anni. L’esercito, non convinto, ha chiesto di svegliare tutte le persone che dormivano in quella casa. Dato questo caso palese di perquisizione domiciliare, Al Majid non ha apposto nessuna resistenza. Tutto quello che ha chiesto davanti all’inevitabile era che i soldati se dovevano arrestare il suo piccolo era che il funzionario arrestando Mohammad, “doveva portare con sè latte e pannolini, perché il bambino ne aveva ancora bisogno”. Ma i peggiori auspici per la famiglia Al Majid erano terminati finalmente,  e i soldati israeliani se sono andati senza prendere il bambino. Tuttavia, scene come questa sono già parte della vita quotidiana nei territori palestinesi occupati da Israele. Decine di casi simili si verificano ogni mese, ma nella maggior parte delle volte i soldati non si tirano indietro quando la persona che vogliono mettere in galera è un minore. Senza andare oltre, Mercoledì scorso sono stati arrestati Ahmed Dahbour, di 9 anni, Gafari Fadi, di 11 anni, e suo fratello Mohammed, di 10 anni, come anche Mohammad e Abdul Rahman Hijazi,  gemelli di 16 anni. Le forze dell’occupazione, spesso accusano i bambini di gettare pietre contro i soldati o i cittadini degli insediamenti ebraici. Nello stesso quartiere di Silwan, nel febbraio 2012 è stato demolito un centro comunitario di nuova costruzione che ospitava l’unico posto in animazione per i bambini della zona. Inoltre hanno anche demolito le case degli abitanti del villaggio presumibilmente coinvolti in attacchi  con le pietre che sono risultati fatali.

Source: lapatilla

Sabrina Carbone

Decine di militanti yemeniti hanno lanciato una petizione reclamando le dimissioni del Ministro dell’Energia elettrica, degli Interni e della Difesa, considerati come i responsabili dei tagli frequenti dell’elettricità in questo paese. Dopo la rivolta nel 2011, che ha fatto decadere l’ex Presidente Ali Abdallah Saleh, le violenze perpetrate dalle tribù armate hanno moltiplicato il loro volume nel paese. In questo contesto, a causa del numero dei reati di sabotaggio delle centrali e delle reti elettriche la situazione è collassata. La rete di inoltro dell’energia che parte dalla centrale di Marib, (a est del paese), e arriva a Sanaa, la capitale, è particolarmente presa di mira da questi attacchi, il cui obiettivo è generalmente fare pressione sul Governo centrale allo scopo di ottenere nuovi posti di lavoro e gli aiuti economici.

Le persone non hanno l’elettricità per 23 ore al giorno

Akram al-Chaouafi, il coordinatore della campagna, “Il Governo vive nella luce e il popolo nell’oscurità”, è costernato a causa della posizione di lassismo che le autorità hanno verso i sabotatori. “Questa situazione, è insopportabile. Gli Yemeniti sono privati dell’energia elettrica in media 12 ore al giorno, fino ad arrivare a 23 ore quando le centrali elettriche subiscono degli attacchi. I prezzi dei prodotti soprattutto alimentari, sono alti da tre anni. I commercianti sono costretti ad aumentare i loro prezzi dal momento che loro devono impiegare dei generatori elettrici e comprare il diesel per farlo funzionare”, ha raccontato Akram al-Chaouafi. Quest’ultimo ha aggiunto che “questi generatori elettrici sono pericolosi e hanno provocato numerosi incidenti mortali, (a fine settembre 2013, cinque membri di una famiglia di questi quattro erano bambini,  sono morti in un incendio causato dal cattivo funzionamento di un generatore). Da sei mesi, stiamo organizzando numerose manifestazioni e anche un sit-in davanti la residenza del Presidente Mansour Hadi, allo scopo di raggiungere delle soluzioni, ma non siamo stati ascoltati. Di conseguenza abbiamo deciso, a metà ottobre, di lanciare questa campagna di firme esigendo le dimissioni del rappresentante ministeriale dell’Energia elettrica, come anche quelle del Ministro degli Interni e della Difesa.

Source: http://observers.france24.com

Sabrina Carbone

E’ luogo comune credere che la Risoluzione 181 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha ‘creato’ Israele, chiariamo che questa risoluzione è stata condivisa da Israele e conferisce una autorità legale o una legittimità alla dichiarazione dell’esistenza dello Stato d’Israele. A dispetto della sua popolarità, questa convinzione non è basata su nessun fondamento concreto come un ritorno storico alla risoluzione e un riesame dei principi giuridici lo dimostrano in maniera incontestabile. La gran Bretagna aveva occupato la Palestina nel corso della Prima Guerra mondiale nel luglio del 1922, la Società delle Nazioni le aveva conferito un mandato per la Palestina che riconosceva il Governo britannico una Potenza occupante e gli conferiva in realtà una autorità giuridica allo scopo di amministrare provvisoriamente il territorio,(1). Il 2 aprile del 1947, cercando di uscire dal conflitto che era esploso in Palestina tra gli ebrei e gli Arabi, conseguenza del movimento sionista per stabilire in Palestina “un focolare nazionale per il popolo ebreo, (2), il Regno Unito aveva inviato una lettera alle Nazioni Unite nella quale chiedeva al Segretario generale “di includere la questione della Palestina all’ordine del giorno dell’Assemblea generale nella prossima sessione annuale ordinaria”, e domandava anche all’Assemblea di “formulare delle raccomandazioni sulla base dell’articolo 10 della sua Carta , che riguardavano il futuro Governo della Palestina,(3). Per questo motivo, il 15 maggio, l’Assemblea generale aveva adottato la Risoluzione 106 che creava la Commissione speciale delle Nazioni Unite in Palestina (UNSCOP), per esaminare “la questione della Palestina”, e “preparare un rapporto per l’Assemblea generale” basandosi sulle sue conclusioni, e “sottoporre le proposte che giudicaca appropriate per la soluzione del problema della Palestina, (4). Il 3 settembre, l’UNSCOP aveva esposto il suo rapporto alla Assemblea generale esprimendo la sua raccomandazione, alla maggioranza, dove la Palestina doveva essere divisa in uno Stato ebreo e in uno Stato arabo separati. La relazione sottolineava che la popolazione della Palestina fin dal 1946 contava a 1 846 000, di questi 1 203 000 erano Arabi, (65%), e 608 000 ebrei, (33%). La crescita della popolazione ebrea era dovuta essenzialmente alla immigrazione, mentre quella della popolazione araba era “quasi interamente” dovuta a una progressione naturale. Inoltre osservava il dossier che non “c’è nessuna separazione territoriale chiara tra gli ebrei e gli Arabi nelle vaste zone contigue e neanche nel distretto di Jaffam nel quale è sita Tel Aviv.  Gli Arabi costituiscono una maggioranza, (5). Le statistiche sulla proprietà fondiaria del 1945 dimostrano che gli Arabi possedevano più terre rispetto agli ebrei in ciascun distretto della Palestina. Quello che aveva la minore percentuale di proprietà ebree era quello di Jaffa dove il 39% delle terre erano di proprietà ebrea, comparate al 47% delle terre di poprietà araba, (6). Nel suo insieme, all’epoca in cui la UNSCOP, aveva steso il suo rapporto, gli Arabi possedevano il 85% delle terre, (7), mentre gli ebrei meno del 7%, (8). A dispetto di questa realtà, l’UNSCOP, aveva proposto che lo Stato arabo doveva essere formato solo dal 45,5% di tutta la Palestina mentre agli ebrei veniva accordato il 55,5%,(9). L’UNSCOP, ha ammesso che, “ciò che concerne il principio di autodeterminazione, benché il riconoscimento internazionale era stato esteso a questo principio alla fine della Prima Guerra mondiale che era stato rispettato dagli altri territori arabi al momento della istituzione del Mandato ‘A’, non doveva essere applicato alla Palestina dal momento che esisteva la volontà di rendere possibile la creazione di un focolare nazionale ebreo. Infatti si può dire che il focolaio nazionale ebreo e il Mandato per la Palestina sui generis violava quel principio di autodeterminazione”(10). In altre parole, la relazione riconosce esplicitamente che, la negazione dell’indipendenza palestinese, allo scopo di perseguire l’obiettivo di stabilire uno Stato ebraico, costituiva un rifiuto del diritto della maggioranza araba all’autodeterminazione. Eppure, nonostante questo riconoscimento, la UNSCOP ha accettato la negazione dei diritti arabi rimanendo entro i limiti del quadro legittimo e ragionevole per una soluzione. Dopo la pubblicazione del rapporto dell’UNSCOP, il Regno Unito aveva rilasciato una dichiarazione nella quale informava il suo accordo con le raccomandazioni del rapporto, ma aggiungeva anche che “se l’Assemblea doveva raccomandare una politica che non era accettabile nè per gli ebrei e neanche per gli arabi, il Regno Unito non era in grado di attuarlo” (11). La posizione araba era chiara fin dall’inizio, ma il Comitato Arabo aveva rilasciato una dichiarazione, il 29 settembre, dove ribadiva che “gli arabi della Palestina erano decisi a opporsi, con tutti i mezzi alle loro disposizioni, e a qualsiasi progetto sulla segregazione o partizione, o a concedere lo status speciale e privilegiato a una minoranza”. Mentre sosteneva: “la libertà e l’indipendenza di uno Stato arabo in tutta la Palestina, nel rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge, e la tutela dei legittimi diritti e degli interessi di tutte le minoranze, garantendo la libertà di culto e l’accesso ai luoghi santi. ” (12). Il Regno Unito aveva risposto con una dichiarazione nella quale ribadiva “che il Governo di Sua Maestà non poteva svolgere un ruolo importante nella realizzazione di un progetto che non era accettabile né per gli arabi e neanche per gli ebrei”, ma aggiungeva che “non voleva ostacolare l’attuazione di una raccomandazione approvata dall’Assemblea generale” (13). Il comitato ad hoc sulla questione palestinese era stato creato dall’Assemblea Generale poco dopo la pubblicazione del rapporto della UNSCOP volto a continuare lo studio del problema e a formulare alcune raccomandazioni. A sua volta era stato creato un sottocomitato, il cui ruolo era quello di esaminare le questioni giuridiche legate alla situazione in Palestina, e il suo rapporto era stato pubblicato con le sue conclusioni il 11 novembre. In esso veniva osservato che la relazione era stata accettata dalla UNSCOP come premessa di base dove le rivendicazioni per la Palestina sia arabe che ebree non erano una valida “premessa”. ” Con la fine del mandato e il ritiro britannico, “non c’era nessun altro ostacolo alla conversione della Palestina in uno Stato indipendente”, che “erano gli obiettivi del risultato logico del mandato” e del Patto della Società delle Nazioni. La relazione della Commissione aveva rilevato che “l’Assemblea Generale non era competente a raccomandare, tanto meno a imporre, qualsiasi soluzione diversa dal riconoscimento della Palestina, e che la costituzione del futuro Governo della Palestina era una questione solo del popolo della Palestinese”, e concludeva che “nessuna ulteriore discussione del problema della Palestina sembrava necessaria o appropriata, e che questo doveva essere rimosso dall’ordine del giorno dell’Assemblea Generale”, ma allo stesso tempo sottlineava che, “era essenziale, ottenere il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia su questo tema” come era stato richiesto dai diversi Stati arabi, e che il piano di spartizione era “contrario ai principi della Carta, e che le Nazioni Unite non erano competenti a dargli effetto”. Le Nazioni Unite non possono “privare la maggior parte del popolo palestinese del suo territorio e trasferirlo all’uso esclusivo di una minoranza nel paese. L’Organizzazione delle Nazioni Unite non ha la competenza di creare un nuovo Stato. Tale decisione può essere presa solo sotto la libera volontà del popolo nei territori in questione. Questa condizione non è stata raggiunta nel caso della proposta di maggioranza, perché comporta la costituzione di uno Stato ebraico contro la volontà totale degli interessi degli arabi di Palestina”(14). Eppure, l’Assemblea Generale ha approvato la Risoluzione 181 del 29 novembre, con 33 voti a favore, 13 voti contrari e 10 astenuti (15).

Source: info-palestine

Sabrina Carbone

Le autorità iraniane hanno recentemente espresso preoccupazione per una nuova ondata di infezioni di AIDS. Una nuova preoccupazione in un paese dove la prevenzione ai rischi di trasmissione della malattia è rara e dove i giovani hanno rapporti sessuali sempre più frequenti. Per le donne infette da HIV, la vita può diventare un inferno.

“Molte donne sono abbandonate dai loro mariti”

Mehdi lavora in un centro di assistenza a Alborz, un ente di beneficenza che aiuta le donne e i bambini infetti dal virus dell’AIDS nella città di Karaj, e organizza laboratori didattici sul tema. Il novanta per cento delle donne che risiedono nelle zone povere del Karaj e alla quali forniamo assistenza ha contratto il virus dai loro mariti, i quali a loro volta lo hanno contratto durante il periodo di detenzione, durante il quale hanno usato le stesse siringhe per drogarsi e hanno condiviso gli aghi, per farsi i tatuaggi, con persone infette. Altre invece sono donne eroinomani e sono state infettate dopo lo scambio di aghi contaminati. La maggior parte sono abbandonate dalle loro famiglie. Quando i loro mariti muoiono a causa della malattia, cerchiamo di trovare loro un lavoro o una fonte di reddito (Il Governo iraniano fornisce farmaci gratuiti ai malati di AIDS) in modo da sostenere le loro famiglie. Nel nostro centro, cerchiamo anche di ripristinare la loro fiducia e tentiamo di non farle vergognare della loro malattia. La cosa più sorprendente è il comportamento dei medici e dei dentisti i quali, anche se sono informati sul virus, rifiutano di trattare le donne infette. Dove invece c’è il nostro intervento mandiamo queste donne a farsi vedere dai medici e dai dentisti disposti a collaborare con noi. Ma bisogna sottolineare che “un medico è stato duramente criticato dai suoi colleghi dopo aver aiutato una donna con HIV”. Il problema in Iran è lo stigma associato alla malattia. Per esempio, la comunità medica ha ostracizzato un medico donna di Karaj perchè lavora con noi e ha aiutato una madre sieropositiva a partorire in ospedale. I suoi colleghi le hanno detto che non aveva il diritto di farlo in un istituto frequentato da utenti non infetti. Fortunatamente, il bambino è nato sano e non ha contratto il virus. Facciamo tutto il possibile per impedire che i pazienti tentino il suicidio, una di loro, per esempio, ha cercato di darsi fuoco. Esistono anche casi di donne che, per vendetta, hanno trasmesso volontariamente il virus ad altre. In questo modo, si vendicano contro la società, che le emargina. In questo caso cerchiamo di stabilire un dialogo per placare la loro rabbia. Ogni mese, diamo a ognuna di loro 1 o 2 milioni di rial (circa 30 o 60 euro), allo scopo di soddisfare le esigenze delle loro famiglie ma solo se la madre e il bambino partecipano ai nostri incontri. Insegniamo loro ad affrontare la malattia e le incoraggiamo a parlare con la gente della loro situazione. Cerchiamo anche di trovare loro degli alloggi, e le invitiamo ad andare dai psichiatri. E poi, di tanto in tanto, offriamo gite, pic-nic e passeggiate.

“Le scuole rifiutano di insegnare agli studenti a usare il preservativo”

Elaheh aiuta anche il centro di Alborz. Il pubblico deve essere sensibilizzato fin dalla tenera età. Quando Mohammad Khatami era al potere (Presidente dell’Iran dal 1997 al 2005), c’era una grande campagna nelle scuole allo scopo di far conoscere i metodi di prevenzione della malattia. Ma questa iniziativa è stata abbandonata sotto la Presidenza di Mahmoud Ahmadinejad. Dopo tre mesi che ha preso l’ufficio Hassan Rohani, non è cambiato nulla. Quando chiediamo alle autorità il permesso di fornire informazioni su questa malattia nelle scuole medie e superiori, rispondono che si parla troppo di sesso. Il problema è che in Iran, i giovani fanno molto più sesso adesso rispetto a prima, (Secondo un recente sondaggio, il 40% dei ragazzi e delle ragazze hanno avuto rapporti sessuali prima dei 18 anni e tra questi il 40% ha avuto il primo rapporto a 14 anni).

“Al liceo, su 1.500 studenti interrogati, 19 hanno avuto un test positivo”

In un liceo (di ragazze) situato in una zona popolare di Karaj, volevamo fornire una educazione sessuale sull’uso del preservativo, ma la direzione ha respinto la nostra proposta. Abbiamo scoperto che in questa scuola, su 1500 studenti esaminati, 19 hanno avuto un test positivo. Delle quattro prigioni che sono presenti a Karaj, uno è dedicato specificatamente ai tossicodipendenti. Anche se molti prigionieri sono infetti da HIV, i funzionari del carcere continuano a permettere rapporti coniugali durante le riunioni. Gli uomini non usano il preservativo e inevitabilmente passano il virus alle loro mogli. Abbiamo parlato di questo problema al direttore del carcere, ma quest’ultimo ha risposto che questo non è di nostra competenza. L’Iran non dispone di statistiche precise sui danni della malattia: coloro che muoiono sono “ufficialmente” morti di un attacco di cuore. Su questo tema, le autorità fanno orecchie da mercante.

Source:.france24

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Sabrina Carbone

All’inizio di questo mese di novembre la centrale elettrica di Gaza è stata chiusa a causa di ripetute mancanze di carburante industriale. Ciò ha comportato un aumento significativo delle interruzioni di corrente per la gente di Gaza (circa 1,7 milioni) e ora ogni giorno per 12 ore non c’è luce. Il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per la Cisgiordania e Gaza, James W. Rawley, ha riferito che i continui guasti  e la penuria di carburante “ha avuto un impatto negativo su tutti i servizi essenziali, come gli ospedali, le cliniche, i depuratori e le stazioni di pompaggio dell’acqua”. La centrale era stata riaperta nel 2012 dopo che era stato fatto un restyling, in seguito agli attacchi aerei israeliani nel 2006. Secondo l’Autorità per l’energia di Gaza, la centrale produce quasi il 30% dell’energia elettrica di questa città, mentre il resto proviene da Israele (120 megawatt) e dall’Egitto (27 megawatt). Dal mese di giugno del corrente anno, sono state rafforzate le misure di sicurezza sul lato del confine egiziano riducendo in modo significativo l’importazione del carburante attraverso i tunnel, e l’Autorità palestinese a Ramallah, in Cisgiordania, ha smesso di consegnare il combustibile a causa di una disputa fiscale. Per avere un’idea dell’impatto dei guasti sui palestinesi di Gaza, IRIN ha incontrato la famiglia Balaha nel campo profughi BeachCAMP. ”Le interruzioni dell’elettricità a Gaza sono sempre state molto dolorose, ma ora hanno raggiunto una dimensione completamente nuova”, ha rivelato Fuad Balaha un barbiere che possiede un negozio mal equipaggiato nel cuore del campo profughi. I servizi sono pochi e riescono a soddisfare solo un paio di clienti e ora anche l’elettricità è un lusso. “La situazione è molto difficile e speriamo che la situazione non continui a peggiorare, se non sarà posto un rimedio”.

Enormi debiti

Fuad è sposato e ha un bambino di quattro mesi. Una intera famiglia di 18 persone, compresi sua madre, i suoi fratelli e sua sorella, vedova, e tutti dipendono interamente dal suo piccolo negozio. Suo padre è morto sei mesi fa, aveva contratto dei debiti enormi a causa del suo matrimonio e di quello di suo fratello, e il nucleo famigliare ha anche dovuto prendere dei prestiti negli ultimi sette anni per finanziare la costruzione della casa di famiglia. A causa della mancanza di energia elettrica per gran parte della giornata, spesso deve dire ai suoi potenziali clienti di tornare più tardi. “Quando i tagli duravano otto ore, arrivavo a guadagnare tra i 50 e i 60 shekel (quasi$ 15) al giorno, ma attualmente l’energia viene tolta per 12 ore, e ciò ha ridotto il mio incasso a 30 o 40 shekel, tutto ciò ha reso ancora più difficile una situazione già disastrata”.

“Abbiamo solo le candele”

La madre di Fuad Enshirah, di 55 anni, accende una candela quando le ombre della sera cominciano ad allungarsi, e questo accade più spesso adesso dal momento che l’inverno è alle porte. La donna tiene sotto controllo l’ora in cui la compagnia che fornisce l’energia elettrica toglie la corrente allo scopo di garantire la luce delle candele quando vengono spente le luci. “Abbiamo solo un paio di candele. Il nostro generatore è stato danneggiato alcuni anni fa e non siamo riusciti a risolvere il problema perché è costoso. E anche se funziona, come possiamo ottenere il carburante e come possiamo pagarlo? Non possiamo contare solo sulle candele”. Una grande preoccupazione dei Balaha e di molte altre famiglie è il pericolo di incendio rappresentato dalle candele. “Controllo due volte che le candele siano spente, a Gaza ci sono stati numerosi incendi”, afferma Enshirah. Il mese scorso, mentre sua figlia e i suoi nipoti dormivano in casa una candela è caduta sul televisore e ha provocato un incendio. Un’altra preoccupazione di Enshirah è quella di garantire almeno un pò di luce in modo da consentire ai suoi nipoti di poter studiare. “E’ un compito difficile,” ha spiegato, “ma bisogna farlo perchè loro devono continuare a studiare”.

“La miseria! “

Yusri, ha 14 anni, siede accanto a suo fratello più giovane, anche lui seduto davanti a un piccolo tavolino basso, dove entrambi svolgono i compiti per il giorno dopo davanti a una sola candela. Il nipote di Yusri, Fuad è orfano ed è assistito da suo zio Mohammed, di 24 anni, che si è laureato all’università tre anni fa, ma è attualmente disoccupato. “Cerco per quanto possibile di fargli finire la lettura fino a quando c’è corrente, oppure sfruttano la luce del giorno”, ha raccontato Yusri. “La situazione è diventata per me molto più dolorosa di recente. L’oscurità non lascia molto tempo per rivedere e correggere i compiti. E gli esami di metà-sessione arriveranno presto. “Quando la corrente non c’è, i ragazzi vanno a dormire presto o restano fuori casa qualche ora in più. Le ore per guardare la televisione sono sei e gli spettacoli sono limitati.

Una zona d’ombra

Una volta che l’energia elettrica viene ripristinata, corrono in casa per finire tutti i compiti. Enshirah si occupa di tutto, prepara il pane riempie le lattine quando c’è l’acqua, fa il bucato, pulisce e prepara da mangiare. “A volte riusciamo a finire tutto, ma spesso questo non è possibile, a causa delle poche ore di luce”, ha rivelato. ”Non abbiamo la pompa dell’acqua per portarla in casa. Non abbiamo un generatore. Quello che abbiamo sono candele e un fuoco per cucinare, riscaldare l’acqua per uso domestico, e usiamo i ceppi di legna che mio figlio e mio nipote prendono e portano a casa” e ha aggiunto: “A volte quando la corrente è stata già tolta, mandiamo i bambini a lavare i vestiti a casa della mia famiglia, che è a pochi isolati di distanza, poichè possono offrirci hanno l’acqua e l’elettricità”. Più tardi la sera, Fuad torna al suo negozio, dove utilizza una batteria carica per compensare un pò delle interruzioni di corrente. Ogni volta che torna a casa, il quartiere è una grande zona d’ombra.

Questo articolo arriva via Irin, il servizio di notizie umanitario e informazione delle Nazioni Unite, ma può non riflettere necessariamente il punto di vista delle Nazioni Unite o delle sue agenzie. Tutto il materiale IRIN può essere ripubblicato o ristampato consultate la nota di copyright per i termini di utilizzo. IRIN è un progetto dell’ONU Agenzia per il Coordinamento degli Affari Umanitari.

Source: info-palestine.net

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Sabrina Carbone

A Miles Scott, è stata diagnosticata la leucemia a 18 mesi, ed è stato l’eroe per un giorno a San Francisco, indossando la maschera e il vestito di Batman, facendo dimenticare per un giorno alla città le sue tristezze, sotto lo sguardo di mille fans.L’evento organizzato dalla fondazione Make-a-Wish, che realizza i sogni dei bambini colpiti da gravi malattie, ha sedotto la folla e anche il Presidente americano Barack Obama, che ha lanciato un video sul suo account di Twitter della Casa Bianca e ha dichiarato: “Ben fatto, Mile Gotham è salvo!”, anche Michelle Obama ha partecipato scrivendo “Grazie per aver catturato tutti i cattivi. Batkid sei una fonte di ispirazione per tutti”. Le gesta di Batkid sono state sostenute dal Dipartimento di San Francisco Police, (Polizia di San Francisco), che ha pubblicato il grande gioco dando l’opportunità al ragazzo di svolgere l’arduo compito di sconfiggere Riddler, (la Sfinge), accompagnato da alcuni ufficiali. Anche gli atleti hanno elogiato l’evento. “Il nostro eroe è arrivato. Le strade di San Francisco sono vive!” hanno twittato il “49ers”, i giocatori della squadra di calcio della città.

“Non ho mai visto tanto sostegno”

“Batkid” ha immediatamente suscitato grande scalpore sui social media e ha ricevuto una copertura televisiva nazionale. Gli abitanti di San Francisco hanno risposto in massa, migliaia di loro sono usciti a festeggiare il mini eroe a Union Square, la piazza centrale della città. “Non ho mai visto tanto sostegno espandersi a macchia d’olio, è un contributo massiccio venuto da tutto il mondo”, ha dichiarato Patricia Wilson, della Fondazione Make-A-Wish. Miles Scott, la cui leucemia è in fase remissiva, ha ricevuto anche le chiavi della città di San Francisco dalle mani del sindaco, Ed Lee.

Source: lepoint.fr

Sabrina Carbone

Le foto da qualche giorno hanno fatto il giro di tutta l’Arabia saudita. Scattate nel centro per ritardati mentali nella città di Douasser, testimoniano le condizioni di degrado nelle quali vivono i pazienti affetti da deficienza mentale nel regno saudita. Il video è intitolato “Ecco come sono trattati i nostri figli nel centro di riabilitazione di Douasser”, una regione sita a sud del Paese. Il centro, una struttura pubblica e gratuita, avoca a sè la responsabilità di accogliere i pazienti che soffrono di disturbi mentali. La prima foto è quella di un adolescente che mangia per terra. L’illustrazione fotografica termina con le immagini di un malato completamente nudo in quello che sembra essere il cortile dell’Istituto.

“Una totale mancanza di professionalità”

Madiha, (pseudonimo), è colui che accompagna in Francia gli handicappati mentali e psichici. E’ andato in Arabia saudita per formare il personale che sono state messe a sostegno delle persone che soffrono di ritardo mentale. E’ indispensabile conoscere il contesto di ogni foto per capire. La cosa certa è che da queste immagini emerge una totale mancanza di professionalità. In una fotografia vediamo un paziente legato a una ringhiera e alle sue spalle una scala, per non parlare di coloro che mangiano per terra, è possibile che i pazienti vogliono mangiare in quel modo ma il personale deve controllarli e farli mangiare in una posizione corretta. In seguito all’uscita del video che ha scatenato un putiferio sui social network, il Ministero degli Affari sociali è stato indotto ad aprire un’inchiesta. Ghazi al-Massaari, che vive a Douasser, è stato uno dei primi giornalisti ad aprire un’indagine a riguardo, temendo che il personale di sostegno spesso stranieri non sono realmente qualificati. I membri della commissione d’inchiesta hanno visitato il centro di riabilitazione e hanno intervistato il personale. Sono ovviamente soddisfatti della risposta ricevuta dalle autorità. Tuttavia, hanno scandito che non vogliono badanti straniere dal momento che sono ritenute le uniche responsabili di questi abusi. Il centro ha anche un grande team di gestione, il cui obiettivo è proprio quello di sovrintendere e supervisionare il lavoro del personale che accompagna i pazienti. Khaled Ben Dakhilallah Thbiti, il responsabile delle comunicazioni del Ministero degli Affari Sociali ha precisato che i dipendenti colpevoli di abusi sono stati licenziati e perseguiti legalmente. L’Arabia Saudita conta una quarantina di centri per i disabili mentali che possono contenere dalle 150 alle 1500 persone. Lo scorso ottobre, il Governo ha autorizzato la creazione di centri di riabilitazione privati ​​allo scopo di recuperare la mancanza di spazio nelle strutture pubbliche.

Source: observers.france24

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Sabrina Carbone

Il frangente di tempo che Gaza può ancora disporre di un minimo di acqua potabile ha le ore contate. L’annoso blocco di 7 anni sulla striscia di Gaza ha avuto degli effetti devastanti nella maggior parte degli aspetti della vita degli abitanti. Dopo che Israele ha intensificato nel 2007 il blocco sul territorio circondato, è stata vietata l’importazione della maggior parte dei materiali per la costruzione delle infrastrutture, (che servivano alla gestione dell’acqua), rendendo la zona più concreta e più visibile nella vita quotidiana delle persone di Gaza. I palestinesi che vivono a Gaza devono affrontare terribili sfide che riguardano l’accesso all’acqua. La popolazione aumenta rapidamente, e da qui al 2020, è previsto che arriverà a 2 milioni, e questa risiede nelle zone limitrofe estremamente popolate. Le Nazioni Unite hanno stimato che la principale sorgente di acqua dolce, la falda freatica costiera sotterranea, non potrà essere più sfruttata nel 2016. Quasi 2 milioni di Palestinesi vivono nella striscia di Gaza e lamentano già da adesso la penuria dell’acqua potabile, la cui disponibilità non corrisponde agli standard per il consumo umano. il principale nosocomio di Gaza, Al-Shifa, ha reso noto che il problema della disponibilità dell’acqua a Gaza è all’origine dei problemi della sanità cronica e ha rilasciato dei tassi elevati sulla mortalità infantile. Con 4.500 persone che vivono in media su un chilometro quadrato, Gaza è una delle zone tra le più popolate al mondo. Tutto ciò ostruisce l’acceso all’acqua potabile e lo rende ancora più critico per questa giovane nazione. L’acqua fornita dalle reti municipali di Gaza è inquinata, e per minimizzare gli effetti di questa acqua sporca fornita dai servizi comunali, le persone acquistano a prezzi esosi l’acqua dissalata. Secondo la rete televisiva World Bulletin News, alcune famiglie che vivono già in estrema povertà, sono obbligate a spendere un terzo della loro rendita per l’acqua potabile imbottigliata. Gli abitanti dipendono da una falda acquifera sotterranea composta di acqua marina, e acqua già sfruttata e contaminata. Israele ha confiscato il 90% dell’acqua dolce disponibile per i propri bisogni, tant’è che meno del 10% è destinato ai palestinesi, secondo il dossier di Project Censured. http://www.projectcensored.org/2016-will-find-gaza-drinking-water/. Il problema dell’acqua di Gaza non è solo una questione umanitaria ma anche politica. Israele è la potenza occupante di Gaza. Citando il diritto internazionale la potenza occupante deve assicurare il benessere della popolazione che vive sotto l’occupazione e deve fornire i mezzi per una vita decente. I palestinesi, della striscia di Gaza hanno fatto appello alla comunità internazionale incitando il suo intervento immediatamente, e questo prima del 2016, dal momento che da qui al 2016 i danni nelle riserve idriche di Gaza saranno diventati irreversibili.

Source: info-palestine

Sabrina Carbone

Raggiungere una protezione sociale universale di base è un traguardo più volte ribadito. Ma sul nostro pianeta, le realtà sono mescolate. A Nord, il rigore, a Sud, il volontarismo e la mancanza di risorse. In occasione del Forum Sociale Mondiale sulla sicurezza, che è stato concluso Venerdì, 15 novembre, a Doha, Qatar – un quadro criticato dal movimento operaio che denuncia le condizioni di lavoro dei migranti in questo paese che nel 2022 ospiterà i Mondiali di Calcio 2022 – tutte le organizzazioni membri della International Social Security Association (ISSA) hanno costatato un importante progresso. Questa organizzazione, con sede a Ginevra, presso l’Ufficio internazionale del lavoro comprende 338 organizzazioni membri in 159 paesi. L’obiettivo di una protezione sociale accessibile a tutti i paesi del pianeta è supportato dall’Organizzazione internazionale del lavoro, (OIL), e a partire dal mese di giugno del 2012 è stato inserito nel programma del gruppo di lavoro internazionale presieduto da Michelle Bachelet, (ex Presidente dell’ONU-donne e ex Presidente del Cile). ”Le pressioni economiche e l’aumento delle richieste delle prestazioni sociali non hanno mai ricevuto molta considerazione dalle istituzioni e non hanno mai avuto peso nei programmi di molte regioni”, ha dichiarato Hans-Horst Konkolewsky, segreatrio generale dell’AISS. “Parallelamente, i progressi realizzati nell’ambito amministrativo, sostenuti da un consenso politico mondiale, hanno dato la possibilità a qualcuno, indipendentemente dall’origine del suo paese, di gioire di un diritto fondamentale, quello della sicurezza sociale”.  Sviluppi importanti sono stati registrati soprattutto dai giganti dei Paesi BRICS, (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa).L’unico aumento della copertura della sicurezza sanitaria lo ha confermato la Cina, passando dal 24% della popolazione nel 2005 al 94% nel 2010, con 1,26 miliardi di persone contro i 318 milioni di cinque anni fa, tutto ciò ovviamente modifica i dati globali. “Tuttavia gli sforzi dei grandi paesi non devono nascondere le ambizioni delle piccole nazioni, anche se quest’ultime incontrano delle difficoltà in questo contesto. I paesi più poveri purtroppo affrontano problemi di finanziamento”, ha spiegato Edmundo Martinho, diirettore dell’Osservatorio Sicurezza Sociale, ISSA. Al di là del consenso visualizzato, la lenta progressione verso questa “base” universale è stata adattata ai contesti nazionali, e  affronta ancora alcuni ostacoli. Nelle economie occidentali, la crisi ha portato ad un aumento delle domande di prestazione e a una diminuzione delle risorse, e dei contributi. La preoccupazione degli esperti della OIL e della ISS

Source:.lemonde.fr

Sabrina Carbone

Gli enormi investimenti in Arabia Saudita nei progetti nucleari in Pakistan hanno fatto in modo che i sauditi sentono di essere privilegiati nel diritto a ottenere bombe nucleari a volontà, informano diverse fonti vicine al caso. Sebbene uno dei suoi pilastri della strategia del regno saudita è la lotta contro il programma nucleare iraniano, è possibile che Riyadh possa disporre di queste armi con maggiore rapidità rispetto a Teheran, ha riferito la BBC, secondo la quale, all’inizio di quest’anno un importante funzionario della NATO aveva dichiarato di aver avuto l’accesso ai rapporti di intelligence i quali dimostrano che le armi nucleari prodotte dal Pakistan per l’Arabia Saudita sono pronte per la consegna. Lo scorso mese di ottobre, Amos Yadlin, l’ex capo dell’intelligence militare israeliana, aveva riferito in una conferenza in Svezia che se l’Iran otterrà la bomba, “i sauditi non aspetteranno nemmeno un mese, dal momento che hanno già pagato la bomba, e andranno in Pakistan per prendere ciò di cui hanno bisogno”. Dal 2009, quando il Re Abdullah dell’Arabia Saudita aveva avvertito l’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente, Dennis Ross, che l’Iran aveva oltrepassato la soglia e che stava per “ottenere le armi nucleari”, e che il regno aveva mandato numerosi segnali delle loro intenzioni agli Stati Uniti. L’ex aiutante nella lotta contro la proliferazione del Presidente, Barack Obama, Gary Samore, ha spiegato che “i sauditi credono di avere un certo accordo con il Pakistan e, in ultima istanza, pretendono di acquisire le armi nucleari pakistane”. Dal suo canto, il Pakistan ha negato queste informazioni, affermando che non prevede di offrire o vendere all’Arabia Saudita armi nucleari, riporta Al Arabiya. Il Ministero degli Esteri del Pakistan ha definito queste informazioni “speculative” e prive di fondamento. Bisogna ricordare che l’Arabia Saudita ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare e ha sostenuto la creazione di una zona denuclearizzata. Questa è stata una politica di menzogne ​​indottrinata secondo la scrittrice e analista internazionale, Concetta Dellavernia. “La dottrina dell’Arabia Saudita è la menzogna, l’inganno, e quindi questo programma segreto va al di là di ciò che è il Pakistan”, ha assicurato l’analista. “L’Arabia Saudita ha avuto colloqui molto stretti e segreti con Israele, e sembra che entrambi i paesi hanno formato un blocco sulla questione delle armi nucleari allo scopo di mantenere la loro egemonia in Medio Oriente”, ha concluso Dellavernia.
Fonte: BBC

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Sabrina Carbone

Una persona è morta a causa delle ferite riportate dopo l’esplosione che ha avuto luogo Venerdì sera, 8 novembre, presso il Palazzetto dello Sport di Parigi, durante una prova del musical “1789 Les Amants de la Bastille”. La tesi dell’incidente, fin dalle prime ore è apparsa quella privilegiata secondo gli inquirenti. Un uomo è morto mentre quindici sono i feriti registrati in seguito alla esplosione avvenuta la sera di Venerdì 8 novembre, al Palais des Sports di Parigi, durante le prove dello spettacolo “1789 Les Amants de la Bastille”. La vittima, un dipendente dello spettacolo ha avuto un arresto cardiaco, quando i vigili del fuoco sono intervenuti, è morto nella notte tra Venerdì a Sabato presso il nosocomio di Parigi, Georges Pompidou. La produzione ha annunciato Venerdì che le esibizioni previste per questo fine settimana sono state cancellate. Allo stesso tempo, le indagini sono in corso per capire i motivi della tragedia. Poco dopo le 18:00, mentre venivano predisposte le attrezzature in previsione dello spettacolo delle 20:30, un ordigno esplosivo ha causato una deflagrazione nei pressi del palco per motivi ancora sconosciuti. Un muro di blocchi di cemento e parte del soffitto sono crollati, non c’erano spettatori nella sala. La tesi dell’esplosione accidentale di un dispositivo pirotecnico è preferita in questo caso, secondo la fonte della polizia contattata da AFP. L’indagine è stata assegnata al terzo distretto della polizia giudiziaria e al distretto di repressione della criminalità contro le persone, ha informato la stessa fonte.

Source: france24.com

Sabrina Carbone

A causa di una esplosione accidentale di articoli pirotecnici avvenuta Venerdì sera, 8 novembre, presso il Palazzetto dello Sport nel XV dipartimento di Parigi, durante una prova del musical “1789 Les Amants de la Bastille”, (1789 Gli amanti della Bastiglia), 15 persone sono rimaste ferite, cinque sono gravi,i tecnici sono tra la maggior parte delle vittime. L’incidente è avvenuto durante una prova dello spettacolo alle Porte di Versailles, nel quindicesimo distretto.

Cinque feriti gravi

“Cinque sono le emergenze assolute, ciò significa che, la prognosi di questi feriti è riservata”, ha dichiarato a Reuters il tenente colonnello, Samuel Bernes, portavoce dei Vigili del fuoco. Quasi dodici vittime hanno riportato danni all’udito”, ha aggiunto. “I mezzi pirotecnici destinati allo spettacolo in base alle recenti segnalazioni possono essere stati la causa dell’esplosione”, ha rivelato Bernes. E’ stata avviata una inchiesta allo scopo di determinare la causa dell’esplosione, dal momento che sul posto non sono state adottate misure di sicurezza pirotecnica. “C’erano solo gli artisti” hanno chiarito fonti vicine al Palazzetto dello Sport. “I muri tremavano”, ha riferito un dipendente del teatro, contattato da AFP.

Manuel Valls è arrivato sul posto

I Vigili del fuoco sono arrivati subito sul posto spiegando una dozzina di autopompe. Sono stati mobilitati centinaia di pompieri provenienti da diciassette caserme. Il traffico sul viale vicino al Palais des Sports è stato interrotto. Alle 19.30 il Ministro degli Interni, Manuel Valls, è arrivato sul posto. Per mezz’ora ha parlato con il comandante che ha diretto le operazioni dei soccorsi e ha ringraziato i Vigili del fuoco e le Forze dell’ordine presenti sul luogo prima di ripartire senza rilasciare nessuna dichiarazione. Il Ministro della Cultura, Aurelie Filippetti, ha raggiunto nelle prime ore della serata uno dei produttori Albert Cohen, e ha inviato “un messaggio di solidarietà”, ha dichiarato un portavoce. “1789 Les Amants de la Bastille” è una commedia musicale prodotta da Dove Attia e Albert Cohen, che ha anche creato “Il Re Sole” e “I Dieci Comandamenti”. La rappresentazione di Venerdì sera è stata annullata. Alcuni spettatori che avevano iniziato la coda fuori, sono tornati indietro. Il musical è stato presentato per la prima volta a Parigi nel 2012 e ha fatto il giro della provincia. Caroline Rose, rivelazione nella prima stagione dello show televisivo “The Voice” , e il comico Willy Rovelli figurano nel cast.

Source: france24

Sabrina Carbone

La Polonia ha seppellito Domenica, 3 novembre, l’ex capo del primo Governo post-comunista, Tadeusz Mazowiecki. Alcuni giorni dopo il giornale RFI ha incontrato a Danzica, Lech Walesa, il suo ex compagno nel movimento di solidarietà. L’ex Presidente polacco e premio Nobel per la pace.

RFI: Come ha reagito alla notizia della morte di Tadeusz Mazowiecki?

Lech Walesa: Ero molto triste perché lui era con me durante lo sciopero dei cantieri navali di Danzica, e anche più tardi. Questa notizia mi ha colpito molto.

RFI: Lei dice che Tadeusz Mazowiecki è stato il miglior Primo Ministro della Polonia. Al giorno d’oggi esistono figure comparative?

Lech Walesa: Era un’epoca diversa, un momento molto difficile, era un’epoca di transizione dal comunismo al capitalismo e alla libertà. A suo tempo, è stato il miglior Presidente del Consiglio, questa epoca non tornerà mai più.

RFI: Molti polacchi pensano che è un peccato che la distruzione del muro è diventata il simbolo della fine del comunismo, mentre per loro la famosa frase è: “Oggi, il comunismo è terminato in Polonia” pronunciata in seguito alle prime elezioni libere nel 1989, che simboleggiano questa fine.

Lech Walesa: Non devono essre tristi, perché la caduta del muro è stato un evento spettacolare. Ma tutto questo non importa. La cosa più importante è stato il nostro movimento Solidarnosc. In quel periodo, c’era la convinzione che quel muro non aveva più ragione di esistere, perché i tedeschi dell’est erano fuggiti in Ungheria, e questo è il motivo per cui il muro è caduto. I tedeschi sono stati fortunati. Se io ero al posto di Gorbaciov, reagivo diversamente, e quello che potevo dire era: “Voi potete partire, anche senza passare per l’Ungheria, io apro semplicemente tutti i confini, ed è un bene che voi partite, tenete solo conto di due requisiti: In primo luogo, confermate per iscritto che non sono io a mandarvi via, ma lo fate di vostra spontanea volontà. La seconda condizione: Volete vedere nei vostri alloggi gli asiatici, gli ucraini? In URSS molte persone non hanno casa e li alloggerò negli appartamenti che voi libererete”. Al posto di Gorbaciov, dichiaravo: “Non posso annullare il Patto di Varsavia, ed è per questo che io devo mettere al vostro posto altre persone affinchè il patto possa continuare a funzionare”. In seguito convocavo gli osservatori europei, e organizzavo le elezioni, un referendum, in modo che questi territori non venivano restituiti alla Germania. Sono stato chiaro? Avrei semplicemente detto: “Puoi andare”. E che cosa poteva succedere? Il muro se ero al posto di Gorbaciov, diventava la più grande sconfitta nella storia della Germania. Ricordate, la Polonia ha lottato, la Polonia ha avuto problemi, e in quel periodo, i tedeschi erano fuggiti lasciando il vuoto dietro di loro. Questo è l’eroismo dei tedeschi, i quali avevano solo creato una minaccia per la nostra rivoluzione, perché potevano inviare un numero ancora maggiore di truppe sovietiche nella Germania orientale. Parliamo dunque un pò meno di quel muro.

RFI: Contro cosa combatte la Polonia oggi? La crisi economica?

Lech Walesa: No, oggi lottiamo affinchè il nostro posto e la nostra esperienza vengano considerati. Grazie alla sua posizione geografica tra la Russia e la Germania, la Polonia ha acquisito una ricca esperienza, e ha imparato a considerare le sue possibilità e a annusare i pericoli che la minacciano meglio di qualunque altra cosa.

RFI: Quali sono i punti nevralgici nei rapporti tra la Polonia e la Russia? Lei ha detto una volta che c’erano stati due Putin, un manager e un KGB. I vostri rapporti continuano a essere sempre difficili?

Lech Walesa: Per noi, tutto era molto più complicato con i tedeschi, il nostro rapporto è stato molto più doloroso di quello con la Russia. Ma dopo la guerra, i tedeschi hanno riconosciuto i loro errori. Loro hanno curato le loro ferite, e oggi possiamo costruire i nostri rapporti su basi solide. Per quanto riguarda la Russia, continua ancora a smentire. Non vuole riconoscere niente, e fa di tutto per discolparsi. La Polonia e la Russia non puliranno le loro relazioni, non ci saranno buone relazioni, rapporti di amicizia.

RFI: Abbiamo assistito un certo numero di rivoluzioni in questi ultimi tempi, la “primavera araba”, soprattutto. L’Unione europea ha una influenza sui leader antidemocratici oggi? Questa influenza è possibile?

Lech Walesa: Abbiamo anche assistito a una rivoluzione finanziaria negli Stati Uniti e abbiamo visto come le banche hanno espulso i manifestanti. A noi non c’è piaciuto. Questi non sono buoni metodi. Diverse sono le rivoluzioni e con diversi argomenti. La rivoluzione negli Stati Uniti è stata diretta anche contro il capitalismo.

RFI: Pensa che tra i leader mondiali di oggi c’è qualcuno che ha il suo stesso stile o quello di Vaclav Havel? Esistono delle figure comparabili?

Lech Walesa: No, quelli erano altri tempi e altri leader. All’epoca, avevamo a che fare con gli Stati che pretendeva di rappresentare gli operai e i contadini, con la classe operaia al potere. E tuttavia, anche i lavoratori con una elevata anzianità che avevano a loro carico i famigliari hanno finito per insorgere contro il sistema. Al giorno d’oggi, tali Stati non esistono più. Conducono una politica intelligente, e non usano slogan artificiali. E’ un’altra lotta con altri eroi.

Source: RFI 

Sabrina Carbone

Yasser Arafat è morto per avvelenamento? Questa è la tesi sostenuta dall’Autorità palestinese. Il capo della Commissione d’inchiesta palestinese ufficiale, Tawfiq Tiraoui, ha accusato Israele come “il principale e unico sospettato dell’assassinio”. Il laboratorio svizzero che ha analizzato una parte dei campioni prelevati sul corpo del deceduto afferma che la tesi è plausibile, ma non al 100%. Ad ogni modo, c’è stato bisogno dell’intervento di un terzo complice per l’iniezione al polonio. Questo caso è molto delicato dal momento che le relazioni tra i Palestinesi e gli Israeliani sono già molto tese, nel quadro dei portavoce della pace. Wassel Abou Youssef, membro del comitato esecutivo dell’OLP, ha chiesto che venga aperta una inchiesta internazionale sulla morte di Yasser Arafat. Dal suo canto, Abbas Zaki, un responsabile di Fatah, il partito dell’ex leader palestinese, ha scartato la tesi di morte per avvelenamento tramite un suo prossimo, come invece aveva sostenuto la vedova di Yasser Arafat. Numerosi responsabili israeliani hanno già smentito ogni loro complicità nella morte di Yasser Arafat.

Yigal Palmor: speculazioni ridicole

Yigal Palmor, il portavoce del Ministero degli Affari Esteri israeliano, considera queste speculazioni ridicole. “Cosa hanno da dire i Palestinesi? Che è l’opera di un traditore? Che è opera di uno di noi? Che dietro a ogni morte c’è un complotto? E’ evidente che accusano Israele. Cosa volete che facciano?”. Yigal Palmor, ha affermato che l’accusa sistematica contro Israele fa parte della strategia dei Palestinesi. “E’ quello che fanno da anni. Israele è responsabile di tutto e di niente, quando esistono dei sospetti sulla morte di qualcuno, come quella di Yasser Arafat, la prima ad assumersi le colpe è Israele”, ha ammonito. “Tuttavia, ribadisco, nonostante il clima teso, è una abitudine puntare il dito sempre contro Israele, ma costatiamo che attualmente né la vedova di Yasser Arafat, né i suoi successori a capo dell’Autorità palestinese fanno fondamento su queste accuse. Credo, che loro hanno una pesante responsabilità nella gestione di queste informazioni che loro possiedono. Loro non accusano Israele, e penso che hanno delle buone ragioni per non farlo, è ridicolo accusare Israele sulla base delle prove sopra menzionate, che non hanno stanno né in cielo né in terra”.

Source: .rfi.fr

Sabrina Carbone

Dopo l’allontanamento degli Stati Uniti dal conflitto in Siria, l’Arabia Saudita ha iniziato a intensificare i propri sforzi per formare i ribelli siriani che coinvolgono il Pakistan in questo processo. L’Arabia Saudita percepisce il suo piano di formazione dei ribelli siriani come “antidoto all’estremismo e non come una potenziale causa”, scrive la rivista ‘Foreign Policy’, ricordando l’esperienza e le conseguenze della cooperazione con il Pakistan negli anni ’80, quando preparavano i ribelli che, dopo tutto, non sono riusciti a stabilire l’ordine nel paese ma lo hanno immerso nel caos. Fonti anonime del giornale hanno riferito che l’Arabia Saudita ha due obiettivi: Porre fine al Governo di Bashar Al Assad e indebolire i gruppi di Al-Qaeda nel paese. La pubblicazione prende atto che l’Arabia Saudita ha deciso di fare questo passo dopo aver concretizzato che il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, non è disposto a rovesciare aggressivamente Assad. Il ruolo del Pakistan è relativamente minore, anche se un’altra fonte ha rivelato che Riad attualmente valuta la possibilità di rendere il paese responsabile della formazione di due brigate ribelli, che conta 5.000 o 10.000 combattenti. Yezid Sayigh, membro del Center for Middle East Carnegie, è stato il primo a parlare dell’uso di istruttori pakistani, affermando che i sauditi hanno messo in programma di formare un esercito di ribelli siriani di quasi 40.000 o 50.000 soldati. Secondo Sayigh, l’Arabia Saudita sta per formare “un nuovo esercito nazionale” per i ribelli, una forza di “ideologia sunnita” che può influenzare i principali gruppi dell’opposizione siriana. Oltre al suo programma di formazione in Giordania, l’Arabia Saudita ha anche contribuito a organizzare l’unificazione di circa 50 brigate ribelli dell’Esercito dell’Islam, sotto la guida di Alloush Zahran, un comandante salafita. Fonte: Foreign Policy

Sabrina Carbone

- Singapore e Hong Kong sono in testa alla classifica mondiale stabilita dal rapporto Doing Business per l’agevolazione degli affari

- Su 189 paesi le economie messe al vaglio quest’anno, il Ruanda, la Federazione Russa, e le Filippine sono tra quelle che hanno riportato maggiori progressi.

- Lo scarto che separa le economie che offrono prestazioni di alto livello delle lanterne rosse della classifica è ristretto grazie alle misure che mirano a stimolare l’imprenditoria e gli scambi.

La Georgia, la Malesia e altre otto economie occupano i primi dieci posti della statistica mondiale volta a agevolare il volume degli affari. Ma lo scarto tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo sono ristretti grazie alle misure che mirano a stimolare lo spirito imprenditoriale e gli scambi nei paesi come il Ruanda, le Filippine e la Federazione Russa. L’edizione del 2014 del rapporto Doing Business, che esamina ogni anno gli strumenti che agevolano gli investimenti nel mondo, ha constato un graduale aumento delle riforme nel corso dello scorso anno, con 238 riforme adottate in 114 economie, contro 201 riforme su 108 economie tra il 2011 e il 2012. “Le modifiche hanno avuto un progresso del 18% in questo esercizio, una cifra vicina al record registrato dopo la crisi finanziaria”, analizza Rita Ramalho, leader del programma Doing Business all’interno del gruppo della Banca Mondiale. “Questa accelerazione degli emendamenti regolari è una buona notizia soprattutto per le medie e piccole imprese che sono spesso quelle che offrono nuovi posti di lavoro”. Questa evoluzione rientra nel quadro di una tendenza osservata da dieci anni, che vede per esempio i paesi accorciare i termini necessari all’avvio di una attività o a razionalizzare i processi di import&export. Se le economie a alto reddito della Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economico (OCDE), continuano ad avere un tenore competitivo per la maggior parte degli indicatori esaminati dal Doing Business, i paesi dell’Europa e dell’Est dell’Asia centrale colmano il loro ritardo: in tre su dieci ambiti esaminati, la regione ha raggiunto o superato i paesi della OCDE e li tallona in altri due ambiti. Dopo il 2009, il 92% dei paesi della regione hanno migliorato le procedure destinate a avviare le imprese, in qualsiasi angolo del mondo, riporta l’indagine congiunta della Banca Mondiale-IFC pubblicata nel 2003. Sul filo degli anni, la regione Europa-Asia centrale, ha soppiantato l’Asia e l’Est del Pacifico in due ranghi dell’economia che agevolano le pratiche degli investimenti, dietro a quelle della OCDE. IN Africa il 66%, dei paesi hanno applicato almeno una riforma lo scorso anno, contro il 33% del 2005. Nove paesi africani figurano nelle top 20 dei paesi che hanno avuto il maggior progresso sul piano della regolamentazione dopo il 2009: Il Benin, il Burundi, la Costa d’Avorio, il Gana la Guinea-Biseau, la Liberia, Sierra Leone e il Togo. Nella sua edizione del 2014, l’undicesima dopo il lancio di questa pubblicazione di proiezione del Gruppo della Banca Mondiale, il rapporto Doing Business copre 189 economie e dieci ambiti: creazione delle imprese, rilascio dei permessi edili, allaccio elettrico, trasferimento della proprietà, pagamento delle tasse e delle imposte, commercio transfrontaliero, rilascio dei crediti, protezione degli investimenti, attuazione dei contratti e regolamento della insolvibilità. “I Paesi vogliono migliorare la loro competitività e essere vicini per il momento a quei mercati che saranno aperti al commercio internazionale” ha indicato Ramalho. Gli stessi vogliono avviare un ciclo di imprese capaci di sostenere la concorrenza degli operatori stranieri. Ramalho ha asserito anche che: “In tutto il mondo, i dirigenti hanno capito l’importanza del settore privato per la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro, e hanno compreso anche la necessità di una regolamentazione adatta a favorire lo sviluppo del settore privato”.

Una “ripresa impressionante”

La graduatoria mondiale può mascherare alcuni progressi considerevoli in alcuni paesi che hanno adottato delle riforme nello stesso momento in cui hanno affrontato immense sfide, come per esempio un conflitto o una povertà generalizzata. Per indicare un tabulato più completo, l’indicatore “distanza tra le frontiere”, permette di misurare l’efficacia di una economia che riformerà nel tempo le sue norme e la sua pratica nell’ambito degli investimenti. Ramalho, sottolinea che solo un terzo delle economie hanno guadagnato dei punti quest’anno nella classifica completa, il 80% hanno invece riportato un progresso secondo questo indicatore. Dei cinque paesi che hanno conosciuto il maggior sviluppo nel 2013, il Burundi, la Costa d’Avorio, lo Gibuti, le Filippine, e l’Ucraina, figurano sempre alla base del tabulato generale che valuta la facilità di fare affari. Grandi progressi sono stati realizzati su scala globale allo scopo di ridurre i termini di creazione di una impresa: nel 2005, mancavano 113 giorni per raggiungere il quartile dei paesi con basso reddito, contro i 29 giorni, ossia uno scarto di 85 giorni. Nel 2014, questo dato sarà di 33 giorni. Augusto Lopez-Claros, direttore del dipartimento di Analisi e indicatore mondiale del Gruppo Banca Mondiale, ha menzionato una ‘ripresa impressionante’. “Le economie che presentano regolari procedure, osservate nei paesi che hanno ottenuto i migliori risultati, e hanno innestato un processo di ripresa su un buon numero di ambiti studiati dagli indicatori del Doing Business”.

I motori della evoluzione

La Cina, la regione dell’Asia e dell’Est del Pacifico, la Colombia, l’America latina, i Caraibi, il Ruanda, l’Africa sub-sahariana e la Polonia, con un alto reddito dell’ODCE, fanno parte dei paesi che hanno raggiunto un maggiore sviluppo dopo il 2005. A giudizio di Ramalho, i punti comuni tra questi ‘campioni regionali’ e le altre economie che hanno riportato degli alti progressi sono l’esistenza di un governamento efficace e di istituzioni ben concepite, e di capacità che coordinano gli sforzi volti a migliorare il clima degli affari. “Le 20 economie che si sono più avvicinate alle ‘frontiere’, dopo cinque anni sono quelle che hanno dato prova di costanza per meglio gestire la regolamentazione delle imprese e hanno adottato riforme durature”. Il rapporto costata anche una correlazione tra il livello dell’attività informale e la classifica del Doing Business ed è emerso che: oltre un paese è collocato alla base della tabella, dal momento che l’economia sotterranea è sviluppata nel loro interno. Le economie che hanno maggiore perfomance, hanno la tendenza a essere anche più inclusive e quelle che hanno ridotto i limiti giuridici penalizzano le donne ad avere migliori posti nella classifica.

Source: banquemondiale.org

Sabrina Carbone

Un candidato albanese nel corso della Assemblea municipale della città di Sbrica nel nord del Kosovo, è morto questo sabato, 2 novembre, dopo essere stato colpito da un agente della Polizia kosovara che in quel momento era fuori sevizio, alla vigilia delle cruciali elezioni, ha reso noto il suo partito e la Polizia. Durante i comizi per la prima volta sono state incluse le aree del nord del Kosovo di maggioranza serba. La votazione è vitale per adempiere gli accordi che sono stati firmati ad aprile tra Belgrado e Pristina, in base ai quali le autorità serbe hanno rinunciato al controllo, ‘de facto’ del nord del Kosovo. La vittima è Bekim Birinxhikut, di 38 anni, candidato del Partito Alleanza per il Futuro del Kosovo, (AAK), del centro destra il cui principale granaio dei voti è la popolazione albanese che rappresenta il 90% degli abitanti del Kosovo. L’incidente è avvenuto nelle prime ore della sera, vicino a una moschea di Srbica (di maggioranza albanese), nel distretto di Mitrovica, nel nord del Kosovo. Birinxhikut, stava parlando al cellulare quando il suo aggressore, che è stato ricoverato al nosocomio in seguito alle ferite riportate durante l’attacco alla vittima, ha iniziato a sparare dall’interno di un auto, ha informato la stampa locale. “E’ certo che la vittima è stata assassinata da un membro della polizia del Kosovo, in borghese”, ha dichiarato il portavoce della Polizia kosovara, Brahim Sadri. “Dopo l’arresto l’agente ha riportato evidenti ferite alla mano e sono state necessarie le cure mediche. Dopo il suo trasporto in ospedale l’attentatore è stato posto sotto la sorveglianza della Polizia del Kosovo”, ha precisato un altro portavoce delle Forze dell’ordine, Avni Zahiti.

Senza un motivo preciso

Le forze della Polizia, al momento, non sono a conoscenza del movente anche se è chiaro che l’intenzione era quella di svincolarlo dalle elezioni locali di oggi domenica, 3 novembre. tuttavia “in base alle recenti informazioni, le circostanze (dell’assassinio), non sembrano essere relative al processo elettorale che sta avendo luogo oggi”, ha sottolineato la Polizia in un comunicato. Birinxhikut è stato un ex combattente dell’Esercito pro Liberazione del Kosovo (ELK), un gruppo armato indipendentista che era stato implementato nel 1990. Il defunto candidato al consiglio di Srica era rimasto ferito in due occasioni e, dopo la Guerra dei Balcani, aveva aperto in questo agglomerato urbano una attività commerciale. Un prominente dirigente di ELK, Hasim Thaçi, attualmente uno dei leader del partito Democratico del Kosovo, ha inviato le sue più sentite condoglianze alla famiglia.

Source: abc.es

Sabrina Carbone

Nel giro di due mesi, 360 corpi sono stati riesumati nel carnaio di Tomasica, in Bosnia-Erzegovina, il quale è stato scoperto all’inizio di settembre. La regione è stata una delle più marcate dalle campagne di depurazione etnica nel corso della guerra civile esplosa tra il 1992 e il 1995. I sacchi mortuari bianchi vengono allineati dall’inizio di settembre su un antico giacimento minerario di ferro. a Tomasica, nel nord-ovest della BiH. Nei primi due mesi, le autorità hanno scavato migliaia di metri cubi di terra, hanno rastrellato 5000 m2 di terreno, fino a ottobre hanno censito 360 corpi riesumati, come anche hanno ritrovato, sul posto, le carte d’identità appartenenti ai civili croati e bosniaci uccisi nel loro villaggio nel corso della guerra inter comunitaria della BiH (1992-1995). I ricercatori non prevedevano di scoprire tante salme. Hanno continuato ha scavare questo giacimento, dove secondo loro, “oltre cento” cadaveri, in base alle recenti stime, possono essere sepolti in questa zona e che saranno riesumati entro la prossima settimana. Il carnaio più grande attualmente in Bosnia-Erzegovina, era stato scoperto a Crni Vrh, presso Srebrenica, dove nel 2003 erano stati reperiti 629 corpi. Citando i dati dell’Istituto bosniaco per le persone scomparse, Tomasica è legata a un altro carnaio, scoperto a quasi dieci chilometri dall’attuale posto, dove i corpi di 373 persone erano stati scoperti nel 2001. Gli autori del massacro devono aver spostato le salme da una fossa all’altra avvalendosi dell’aiuto di bouldozeur allo scopo di mascherare la gravità del crimine: i resti di centinaia di vittime sono stati ritrovati nei due carnai.

Source:france24.com

Sabrina Carbone

2 settembre 2013 – Una manifestazione di diplomati – disoccupati a Laâyoune è stata repressa questo wee-end dalle Forze dell’ordine alcuni giorni dopo la visita sul posto di Jonathan Lis, assistente dell’eurodeputato britannico Charles Tannock, il quale è stato incaricato di elaborare un rapporto sui diritti dell’uomo nel Sahel e nel Sahara. Citando le fonti vicine a una associazione per la difesa dei diritti dell’uomo, due diplomati senza lavoro sono stati trasportati al nosocomio ‘Hassan Boumehdi’ della città di Laâyoune, dopo un intervento della polizia avvenuto sabato 31 agosto. Un rapporto di CODESA, informa che ” 14 sono i feriti. Alcune vittime di violenza hanno perso coscienza lungo la strada pubblica”, secondo la stessa fonte, “durante questi interventi, alcuni elementi della polizia e delle forze ausiliari hanno usato manganelli, spranghe di ferro e altri mezzi oltre alle minacce e agli insulti rivolti contro i manifestanti”. Tra questi figurava un gruppo di diplomati disoccupati ai quali il Ministero degli Interni aveva promesso nel 2011 l’integrazione diretta alla OCP (Ufficio marocchino dei fosfati), a Laâyoune, dopo che i membri di questo gruppo avevano accettato di seguire un programma di formazione OCP-SKILLS. Questi ultimi, chiedevano allo Stato marocchino di rispettare i suoi impegni presi a giugno del 2011.

Un rapporto dell’UE sui diritti dell’uomo

Questa manifestazione e l’intervento delle Forze dell’ordine, sono avvenuti tre giorni dopo la visita nel Sahara di Jonathan Lis, assistente dell’eurodeputato conservatore Charles Tannock. quest’ultimo è stato incaricato dal Parlamento europeo a elaborare un rapporto sulla situazione dei diritti dell’uomo nel Sahel (e nel Sahara), in seguito all’aumento dell’estremismo e delle tensioni sulla sicurezza nella regione. Il suo rapporto deve essere votato il 17 settembre davanti alla Commissione degli Affari stranieri del Parlamento europeo prima di essere adottato nella seduta plenaria che avverrà tra il mese di settembre e il mese di ottobre, secondo il calendario comunicato dall’UE. Se l’essenza del progetto del rapporto è consacrato alla situazione in Mali, la parte dedicata al Sahara è, secondo il testo iniziale, chiaramente a sfavore del Marocco. Charles Tannock. ha chiesto soprattutto che negli accordi commerciali tra l’UE e il Marocco non deve essere incluso il Sahara, “a meno che i consensi e l’interesse del popolo saraudita non sono chiaramente dimostrati”, riprendendo in questo modo l’avviso giuridico (non obbligatorio) dell’ONU del 2002. Il Parlamento europeo, “Temendo soprattutto che l’UE non concludeva il nuovo accordo con il Marocco sulla Pesca”, ha manda avanti il testo che fa riferimento a una futura ratifica del nuovo protocollo sulla convenzione alieutica tra il Marocco e l’UE. Secondo il progetto del dossier, il Parlamento europeo ha riferito che è “gravemente preoccupato per il recente resoconto dell’informatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura”, in seguito alla sua visita nel Sahara a settembre del 2012. Il testo ricorda anche “Le inquietudini espresse nella relazione del HCDH del 2006 che riguardano le restrizioni sulla libertà di pensiero, di associazione e di riunione nel Sahara occidentale”. Per ciò che concerne la sorveglianza e la protezione dei diritti dell’uomo nel Sahara, il programma del rapporto ricorda che l’ONU, non aveva steso nel mese di aprile del corrente anno il mandato della Minurso e “incoraggiava le Nazioni Unite a trovare una soluzione su questo problema o di creare un nuovo organo permanente e imparziale in materia di diritti umani che sarà incaricato di indagare sulle varie querele”. Il progetto della relazione, “chiede che questo organo inglobi la sezione del Sahara occidentale controllato dal Marocco, i campi di Tindouf come anche gli altri territori che sono sotto il controllo del Fronte Polisario”. Questo testo non era definitivo, soprattutto gli elementi dei discorsi relativi al Sahara: numerosi emendamenti sono stati disposti, a sua volta dagli eurodeputati a favore del Polisario e a favore del Marocco, che potranno cambiare le carte in tavola della versione finale del rapporto da qui alla sua adozione da parte del Parlamento europeo.

Source: lakome

Sabrina Carbone

La Comunità Economica dell’Africa Occidentale (ECOWAS) ha adottato una tariffa esterna comune che consentirà di creare un mercato regionale e una maggiore integrazione all’interno della zona. La delibera sarà messa in atto a partire dal mese di gennaio del 2015. Una volta non era costume, vedere i capi di Stato e il Governo dell’Africa dell’ovest partecipare in maniera congiunta a un vertice straordinario del tutto (o quasi) dedicato alle questioni economiche allo scopo di rafforzare l’integrazione regionale. Macky Sall, il Presidente del Senegal, ha convocato questa riunione che è stata tenuta venerdì, 25 ottobre, a Dakar, un evento “storico”, all’interno del quale i leader della Comunità Economica dell’Africa Occidentale (ECOWAS) hanno adottato una tariffa esterna comune (CET) per tutti i quindici Stati membri della Comunità. In sintesi, ciò significa che dalla applicazione di questo nuovo dispositivo in programma nel mese di gennaio del 2015, dove saranno riscossi i dazi doganali sulle merci all’ingresso di uno degli Stati nella sotto-regione, ciò offrirà la possibilità di muoversi liberamente in tutti gli altri paesi della regione. Inoltre, permetterà ai partner commerciali stranieri di avere accesso a un mercato di oltre 300 milioni di persone che è l’equivalente di questa comunità.

Misure di protezione

I capi di Stato della zona hanno anche acconsentito a completare questo meccanismo, introducendo alcune misure di protezione e tasse destinate a regolare l’importazione, oltre a una tassa supplementare di protezione, come anche un prelevamento di integrazione comunitario. La realizzazione di questo TEC, pianificato a partire dall’inizio della sua istituzione, nel 1975, è anche un argomento forte che la comunità potrà utilizzare nei negoziati commerciali. “Grazie alla tariffa esterna comune, noi formiamo oramai un blocco solido e competitivo”, ha esaltato Alassane Ouattara, il Presidente ivoriano e dirigente della Comunità. “Siamo stati in grado di elaborare nuove proposte che consentiranno di accelerare i negoziati per un accordo di partenariato economico (EPA) che governerà il commercio regionale con l’Unione europea”, ha scandito Kadre Desire Ouedraogo, Presidente della Commissione Ecowas.  In fase di stallo da diversi anni, l’EPA doveva sostituire “l’Accordo di Cotonou” in vigore dal mese di giugno del 2000 il quale aveva permesso ai prodotti provenienti dai paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) ad avere un accesso privilegiato sul mercato europeo. Tuttavia questo regime commerciale, in contrasto con le norme della OMC non ha permesso agli africani di sviluppare il proprio business e di diversificare le loro economie. In realtà, l’EPA non doveva solo rispettare gli standard internazionali, ma anche prendere in considerazione la dimensione dello sviluppo delle economie africane. “Ma,dal momento che l’EPA era stata proposta originariamente, (con un mercato più aperto in Africa), la sua firma con tutta ipotesi portava solo alla scomparsa di intere industrie nel nostro paese, in particolare nel settore agricolo”, ha confermato un economista.

Zona monetaria

“Con la CET CEDEAO, ora possiamo andare verso una maggiore apertura, tenendo conto che esistono prodotti sensibili che continueremo a proteggere”, ha informato Kadre Désiré Ouedraogo. Sotto la supervisione del Premier senegalese, Macky Sall, il Presidente della Commissione CEDEAO e la sua controparte nella UEMOA dovranno presto riprendere i negoziati con l’Unione europea. “In questo contesto, le nostre industrie nascenti e i settori prioritari delle nostre economie devono essere incoraggiati e sostenuti in conformità agli standard commerciali ai quali abbiamo aderito”, ha concluso Alassane Ouattara, il Presidente ivoriano. Inoltre, sono tutti volti a promuovere l’integrazione regionale, infatti i capi di Stato della CEDEAO sono impegnati ad adottare alcune misure allo scopo di creare, al più presto, la seconda zona monetaria dell’Africa dell’ovest. Ciò comprende i paesi non membri dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA). Il Presidente nigeriano, Mahamadou Issoufou e Ghana John Dramani Mahama sono stati incaricati di accelerare questo progetto. La creazione della seconda zona monetaria sarà il primo passo verso la creazione di una moneta unica della CEDEAO.  Basta dire che il percorso di una vera integrazione regionale è ancora lungo.


Source: jeuneafrique

Sabrina Carbone

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani è rimasto allibito dal gran numero di ragazze che non hanno accesso all’istruzione nel pianeta, in occasione della commemorazione della Giornata Internazionale della ragazza avvenuta Venerdì, 11 ottobre. L’ufficio dell’ONU, ha osservato che il numero di ragazze che non vanno a scuola nei paesi in via di sviluppo è passato da 102 milioni nel 2000 a 57 milioni nel 2011, il “divario di genere nell’ambito educativo è ancora molto elevato nella scuola primaria e secondaria”. Esaminando l’istruzione secondaria, il divario di genere è molto maggiore, soprattutto in alcune regioni, come per esempio l’Africa sub-sahariana e quella Asiatica-Pacifico, dove le ragazze rappresentano il 55% della popolazione totale che non ricevono questo tipo di educazione. L’Alto Commissario ha invitato i Governi, le organizzazioni, il settore privato e i politici “a dare a tutte le ‘Malala’ del mondo un futuro migliore attraverso l’istruzione”.  La citazione è riferita al caso di Malala Yousafzai, l’adolescente pakistana colpita dai talebani nel suo Paese quando aveva rivendicato il diritto all’istruzione delle ragazze e che di recente è stata insignita del Premio Sakharov per la libertà di pensiero assegnato dal Parlamento europeo. ”L’esclusione delle ragazze dal sistema dell’istruzione assume un costo troppo alto per le ragazze, per le loro famiglie e per la società in generale, per essere ignorato”, ha sottolineato l’ufficio delle Nazioni Unite in un comunicato. Tra le barriere che impediscono le ragazze a studiare, l’ONU ha evidenziato la ripartizione dei lavori domestici in una società patriarcale che sottovaluta le adolescenti, la minaccia delle violenze sessuali dentro e fuori la scuola, i matrimoni precoci e forzati, e le gravidanze adolescenziali. Inoltre, gli stereotipi culturali, i fattori religiosi e politici, secondo l’ONU, aiutano a contrastare la scolarizzazione femminile. Per sradicare il problema, alcuni esperti delle Nazioni Unite hanno proposto un accesso gratuito all’istruzione obbligatoria almeno per la scuola primaria, e la elargizione alle famiglie di risorse finanziarie allo scopo di compensare i costi aggiuntivi in ​​materia di istruzione. Di fronte al problema degli abusi sessuali, è stato consigliato di creazione servizi sanitari e ambienti sicuri dove la violenza sessuale e le molestie non sono tollerate, richiamando l’attenzione soprattutto lungo il tragitto che trasporta le adolescenti da casa a scuola e viceversa. Allo scopo di garantire la parità di genere è stato lanciato un invito a ostacolare la segregazione di genere a scuola e a permettere di conseguenza la partecipazione delle ragazze in aree non tradizionali. Eliminare gli stereotipi sessisti grazie alla introduzione di piani di studio e dei libri di testo, oltre ai corsi di sensibilizzazione del genere obbligatori per gli adolescenti, sono una delle tante misure proposte dalle Nazioni Unite.

Source: laotravozdigital

Sabrina Carbone

L’invio dei fondi ai lavoratori migranti verso i paesi in via di sviluppo dei quali sono originari ammonta nel 2013 a 414 miliardi di dollari, ossia un aumento del 6,3% rispetto all’esercizio precedente. Questa cifra salirà a 540 miliardi di dollari da qui al 2016. Tuttavia solo la Cina e l’India hanno rappresentato nel corso di questo anno quasi un terzo dell’importo totale della elargizione dei fondi verso i Paesi in via di sviluppo. In India, in particolare, la migrazione supera gli incassi della esportazione legati al settore informatico. Secondo le ultime stime della Banca mondiale delle migrazioni e dello sviluppo, il reddito accumulato dai 232 milioni di lavoratori migrati nel mondo, nel 2013 è di 550 miliardi di dollari e supererà i 700 miliardi da qui al 2016. Il documento sottolinea allo stesso tempo che il costo elevato delle transazioni attraverso i circuiti formali continui ostacola l’accesso ai fondi destinati a scopi evolutivi, e di conseguenza vengono privilegiati i mezzi informali per lo scambio del denaro. Il costo medio per inviare il denaro dei fondi nel mondo è del 9% quasi quanto quello del 2012. Se la somma per mandare i fondi sembra dunque essere stabile, gli istituti di credito di numerosi paesi hanno iniziato a imporre delle spese di ‘spedizione’ supplementari sul trasferimento monetario, le quali possono raggiungere il 5% del valore della transazione. Alcune banche internazionali hanno proceduto anche a congelare i conti degli operatori che elargiscono i fondi a causa del riciclaggio del denaro sporco e del finanziamento al terrorismo. Infine la nota di informazione insiste sulla necessità di ridurre i costi elevati delle migrazioni, e soprattutto le spese di reclutamento e quelle legate alla autorizzazione dei visti, dei passaporti e dei permessi di soggiorno.

Source: http://blogs.worldbank.org/

Sabrina Carbone

La Francia e la Germania hanno lanciato una iniziativa congiunta, sostenuta da altri europei allo scopo di raggiungere con gli Stati Uniti un terreno d’intesa entro la fine dell’anno sulle questioni che riguardano l’intelligence, dopo le rivelazioni sulla ampiezza dello spionaggio americano. “C’è stata una battuta d’arresto per chiedere alcuni chiarimenti”, ha dichiarato il Presidente francese, Francois Hollande, nel corso di una conferenza stampa dopo il primo giorno del Vertice dell’UE a Bruxelles. “Questo è ciò che hanno fatto gli europei stasera e all’unanimità riteniamo che sussistono con il nostro alleato americano una serie di interrogativi da chiarire” ha continuato, aggiungendo “sappiamo che saranno fatte altre rivelazioni”. L’iniziativa franco-tedesca è stata presentata in apertura del Summit, “allo scopo di trovare entro la fine dell’anno un accordo sulle reciproche relazioni” tra gli europei e gli americani sui casi di intelligence, ha spiegato il Presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. L’idea è quella di creare un contesto aperto agli altri Stati membri per trovare regole comuni in materia di intelligence con il gruppo di Washington, poichè “una perdita di fiducia potrà nuocere alla cooperazione nell’ambito dell’intelligenza”, ha ammonito. “Siamo tutti d’accordo sul testo, tutti i 28″, ha chiarito, dal momento che alcune informazioni avevano scaturito la riluttanza degli inglesi, alleati tradizionali degli Stati Uniti e che anche loro sono stati accusati di spiare gli altri paesi europei, soprattutto l’Italia. Il Primo Ministro britannico, David Cameron, ha avuto un “atteggiamento positivo”, ha rivelato il suo omologo italiano, Enrico Letta. In modo molto insolito, David Cameron non ha rilasciato nessuna dichiarazione al suo arrivo e neanche alla sua uscita.

Perdita di fiducia

Lo scandalo dello spionaggio americano continua a crescere. L’ultima rivelazione è stata fatta dal giornale ‘Guardian’, che ha pubblicato Giovedi, 24 ottobre, che l’Agenzia statunitense per la Sicurezza Nazionale (NSA), già coinvolta nelle intercettazioni in Francia, Brasile e Messico, ha intercettato anche 35 leader del pianeta. Mercoledì, 23 ottobre, Berlino ha fatto stupore, annunciando che il cellulare del cancelliere tedesco, Angela Merkel, era sotto il monitoraggio dei servizi degli Stati Uniti. “Lo spionaggio, tra amici, non è una cosa da niente”, ha avvertito all’arrivo a Bruxelles Angela Merkel, che ha rifiutato di prendere in considerazione una possibile sospensione dei negoziati sul libero scambio tra i due blocchi, informa il capo del Partito socialdemocratico tedesco, Sigmar Gabriel. Questo non è un discorso che stato affrontato dai leader, ha reso noto il cancelliere, mettendo in guardia contro il rischio di una rottura dei negoziati commerciali con Washington. Come ha fatto lo stesso Francois Hollande all’inizio di questa settimana, anche Angela Merkel, prima del Vertice, ha chiesto delle spiegazioni al Presidente Barack Obama il quale è stato avvisato che questo è un “duro colpo alla fiducia” stabilita tra i due alleati, se le pratiche di spionaggio saranno dichiarate vere. Da parte sua, la Casa Bianca ha rifiutato di dire se il suo paese ha spiato Angela Merkel anche in passato. Gli Stati Uniti “non controllano le comunicazioni del Cancelliere”, a ribadito in maniera limitata il portavoce, Jay Carney. “Riconosciamo che gli Stati Uniti raccolgono i dati di intelligence, come lo fanno anche altri paesi” ha dettagliato. La questione è particolarmente sensibile in Germania, traumatizzata dalla sorveglianza massiccia dei cittadini da parte della Stasi nella Germania dell’Est al tempo della DDR, dove Angela Merkel è cresciuta. Evocando questo periodo, il Presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha messo in guardia Giovedi, 24 ottobre, contro il “totalitarismo”, e ha insistito sul “diritto fondamentale” e sul rispetto della vita privata. Gli Europei non hanno fino ad ora mostrato nessuna unità di fronte allo scandalo causato dalle rivelazioni di Edward Snowden sul vasto sistema di cyber sorveglianza degli Stati Uniti. E per una buona ragione: non solo le questioni di intelligence rimangono di competenza nazionale, ma lo spionaggio viene praticato anche tra i paesi dell’UE.

Naufragio dell’Europa

Le divergenze tra gli europei pendono da diversi mesi sui negoziati aperti sul progetto di legge che riguarda la protezione dei dati presentati dalla Commissione europea. Mentre il Commissario europeo della giustizia, Viviane Reding, ha sostenuto che la riforma dovrà essere adottata “entro la primavera del 2014″, i 28 hanno deciso di “dare un margine a questa manovra”, fino al 2015. “Abbiamo bisogno di andare più veloce, ma il compito è complesso. Tutto ciò non riguarda solo la privacy, ma ha anche un impatto sul mondo delle finanze”, ha osservato Herman Van Rompuy. La politica della immigrazione è stato l’altro tema dominante del Vertice di Venerdì, 25 ottobre, tre settimane dopo la tragedia di Lampedusa. I leader dei Paesi del sud che devono confrontarsi con il flusso di migranti nel Mediterraneo esigono dai loro omologhi una solidarietà più concreta. “Vogliamo assumere una posizione molto forte. Vogliamo che l’UE cambi il suo atteggiamento” in materia di immigrazione, ha scandito il Premier Letta. Roma chiede un rafforzamento di Frontex, l’agenzia di controllo delle frontiere europee. Questa pressione è stata esacerbata dal sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, che ha viaggiato fino a Bruxelles Giovedì, 24 ottobre, allo scopo di sollecitare i leader europei ad agire. “Senza una nuova politica europea in materia di asilo, non sono solo i migranti, ma è tutta l’Europa a naufragare a Lampedusa”, ha avvertito. Il Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha chiesto una riforma della politica di asilo in Europa per alleviare l’onere del paese di arrivo. Source: lepoint.fr

Sabrina Carbone

Il Parlamento Europeo ha adottato un emendamento al rapporto Tannock relativo alla situazione dei diritti dell’uomo nel Sahara occidentale e nel Sahel che prevede l’invio di una commissione congiunta Minurso-CICR a Fadret Leguiaa, nella regione di Smara, nei territori sahariani occupati, dove è stato scoperto recentemente un ammasso di feretri di civili del Sahara occidentale da parte di una equipe di esperti. Ai margini di una seduta plenaria prima di esaminare e adottare il rapporto Tannock, martedì, 22 ottobre, a Strasburgo il PE ha chiesto alle autorità marocchine di permettere l’accesso ai territori del Sahara occidentale alle organizzazioni internazionali, come anche alla Commissione africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, e alla Commissione dei diritti dell’Uomo del Parlamento europeo, allo scopo di “stabilire una missione ufficiale Minurso-CICR (Comitato Internazionale della Croce Rossa), nella zona di Fadret Leguiaa il cui obiettivo è quello di procedere alla riesumazione e alla restituzione delle spoglie ai famigliari, in seguito alla scoperta delle fosse comuni dal gruppo investigativo della Università dei Paesi baschi”. A giudizio del membro del Segretariato nazionale del Fronte Polisario e Ministro delegato per l’Europa della Repubblica araba saudita democratica (Rasd), Mohamed Sidati, “questa pratica, permetterà alle famiglie e agli aventi diritto a queste persone di rendere loro omaggio e offrire loro una degna sepoltura”. Oltre a ciò ha precisato che, “le sofferenze dei Sahariani sono indicibili”, e ha ricordato in una dichiarazione alla APS, che in questa fossa “i resti appartengono a nove corpi identificati e sono civili del Sahara occidentale giustiziati dalle Forze marocchine nel corso delle loro operazioni di invasione e durante l’occupazione del Sahara occidentale nel 1976″. Questa macabra scoperta è opera di un team di indagine e medico-legale della Università dei Paesi baschi. Con l’adozione della relazione Tannock, il PE ha affermato che la autodeterminazione del popolo sahariano è ‘parte integrante’ dei diritti dell’uomo e dimora al centro del dibattito allo scopo di trovare una soluzione al conflitto sahariano.

Source: letempsdz

Sabrina Carbone

Le informazioni pubblicate dal quotidiano, Le Monde, le quali avvisano che la NSA ha raccolto milioni di registrazioni telefoniche in Francia coincide con l’arrivo a Parigi del Segretario di Stato, John Kerry, che ha iniziato un tour in Europa dedicato alla Siria. “Ho immediatamente convocato l’ambasciatore degli Stati Uniti e avrò con lui un incontro questa mattina al Quai d’Orsay”, ha dichiarato Laurent Fabius a Lussemburgo dove ha svolto una riunione con i Ministri degli Esteri della UE. Il caso è stato anche discusso alla Presidenza e Laurent Fabius ha aperto le trattative con Francois Hollande sul treno che lo portava a Lussemburgo, hanno reso noto dall’Eliseo. Il Ministro degli Interni, Manuel Valls, da parte sua, pensa che queste nuove rivelazioni sono “scioccanti”, e ha aggiunto: “Se un paese amico, se un alleato, spia la Francia o altri paesi europei, è del tutto inaccettabile” ha ammonito su Europa1. L’ambasciatore degli Stati Uniti, Charles Rivkin, non ha voluto commentare immediatamente la notizia della sua convocazione, ha preferito sottolineare gli stretti legami franco-americani. “Questo rapporto a livello militare, di intelligence, delle forze speciali è la migliore collaborazione dopo una generazione”, ha raccontato a Reuters. Secondo i documenti citati dal giornale, rimossi dall’ex consulente della NSA, Edward Snowden, e trasmessi dal giornalista, Glenn Greenwald, con il quale il quotidiano Le Monde collabora, tra gli obiettivi della Agenzia statunitense sono menzionati anche persone sospettate di avere avuto legami con le attività terroristiche che appartengono al mondo degli affari, della politica o al Governo francese. “Abbiamo scoperto che per  30 giorni, precisamente dal 10 dicembre 2012 al giorno 8 gennaio 2013, sono stati registrati 70,3 milioni di dati telefonici francesi eseguiti dalla NSA”, scrive Le Monde. L’ufficio del procuratore di Parigi ha aperto una inchiesta preliminare a luglio sul programma di monitoraggio americano PRISM, in seguito a una prima ondata di rivelazioni che risalgono a giugno di questo anno, sul programma di spionaggio delle comunicazioni telefoniche e via internet della NSA. “Eravamo già stati messi in guardia nel mese di giugno, e abbiamo reagito con forza, ma ovviamente abbiamo bisogno di andare oltre. Queste pratiche tra i partner che riguardano la privacy sono del tutto inaccettabili e dobbiamo fare in modo di assicurare rapidamente che non sono più praticate”, ha sottolineato Laurent Fabius.

Source: gnet.tn

Sabrina Carbone

Teheran potrà avere accesso a quasi 50 milioni di dollari se la amministrazione Obama deciderà di rilasciare 12.000 miliardi di dollari di beni iraniani congelati negli Stati Uniti, inevitabilmente seguiti dal rilascio di altri 35 miliardi di dollari in Europa. La Casa Bianca ha dichiarato Venerdì, 18 ottobre, che sta valutando la proposta di fornire all’Iran l’accesso a questi fondi “a rate” in cambio di “misure necessarie per ridurre il suo programma nucleare”. Questo piano offre a Barack Obama un modo per alleggerire le sanzioni all’Iran, evitando conseguenze politiche e diplomatiche al Congresso di Gerusalemme che derivano da un tentativo di ottenere il diritto di abrogare o modificare le sanzioni. I legislatori degli Stati Uniti e il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, hanno richiesto misure più dure contro l’Iran, dopo che alla conferenza di Ginevra della scorsa settimana non è stato fatto nessun progresso sulla disputa che riguarda il programma nucleare iraniano. Anche se la sua delegazione evita qualsiasi impegno di sospendere l’arricchimento dell’uranio e non ha offerto un piano per smantellare i suoi impianti di arricchimento, i funzionari statunitensi hanno elogiato la posizione dell’Iran come “sincera e sostanziale” rispetto ai precedenti incontri diplomatici. Infatti, secondo alcune fonti, la delegazione iraniana ha consigliato alle sei potenze mondiali sul lato opposto del tavolo, di accettare la fatwa di Ayatollah Ali Khamenei come un impegno costante della Repubblica Islamica e di astenersi dallo sviluppare le armi nucleari e continuare a elaborare un programma pacifico. Per quanto riguarda una proposta sostanziale di ridurre le loro attività nucleari, i negoziatori iraniani hanno dichiarato con fermezza: Prima di sedare le sanzioni. Le concessioni solo alla fine della strada. Prima del prossimo round di colloqui che avverranno tra il giorno 7 e 8 Novembre, la amministrazione Obama prevede di riscaldare la opinione pubblica mondiale con l’idea che i leader iraniani, in particolare il Presidente Hassan Rouhani, il Ministro degli Esteri, Javad Zarif, e il suo Vice Abbas Araghchi, hanno bisogno di più incentivi per rilasciare le concessioni. Loro devono essere in grado di dimostrare ai loro colleghi a casa che la diplomazia e i sorrisi vincono più di ogni intransigenza. Anche prima della conferenza di Ginevra, la Casa Bianca già aveva applicato un piano per l’allentamento delle sanzioni rilasciando il capitale, che è la ragione per cui la delegazione degli Stati Uniti aveva incluso per la prima volta il direttore della OFAC (Office of Foreign Assets Control del Dipartimento del Tesoro), Adam Szubin. Alla domanda di CNN quale era il ruolo in quel contesto di Szubin, il negoziatore statunitense, il sottosegretario Wendy Sherman, ha risposto: “Lo scopo della presenza della nostra squadra era quello di agevolare l’Iran dalle sanzioni, ma hanno anche bisogno di capire che cosa è la gamma delle nostre sanzioni, di che cosa hanno bisogno, come funzionano, e ciò che serve per attuare l’allentamento delle sanzioni e con che cosa devono essere sostituite”. Anche se i delegati iraniani non sono riusciti a ottenere le concessioni concrete. Il Vice Ministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov, ha riassunto la sua impressione sulla conferenza è ha amaramente commentato “Meglio di Almaty” (che è stato l’ultimo round di colloqui a aprile), ma ha offerto “garanzie per un futuro sviluppo”. Tuttavia, il Presidente Obama è determinato a mantenere la sua strategia di placare Teheran e dimostrare al Congresso e al Primo Ministro israeliano, che stanno perdendo il loro tempo a cercare di impedirgli di alleggerire le sanzioni contro l’Iran, perché egli passerà sopra ai decreti presidenziali. Soprattutto, Obama è determinato a non lasciarsi convincere dagli argomenti di Netanyahu che riguardano il terribile pericolo di un Iran nucleare. Il Ministro degli Esteri Zarif ha centrato la attenzione sul conflitto tra Washington e Gerusalemme, “C’è una alta possibilità che i colloqui saranno influenzati dai vari sforzi da parte di Israele”, ha osservato. “Questo riflette la frustrazione di Israele e del suo bellicismo”.

Source: NTEB

Sabrina Carbone

La madre degli stolti è sempre incinta purtroppo partorisce sempre tra ottobre e novembre le ondate di violenza!

28 ottobre del 1922, Marcia su Roma organizzata dal Partito Nazionale Fascista (PNF) guidata da Benito Mussolini si inseriva in un contesto di grave crisi e la messa in discussione dello Stato liberale. La situazione di crisi era cominciata prima del termine della Grande Guerra.

15 ottobre 2011, manganelli, violenze di teppisti criminali. Era passato il sì del voto di fiducia al Governo e gli indignati quel sabato, 15 ottobre, erano tutti radunati nella Capitale.

14 novembre 2012, la Cgil aveva previsto una astensione al lavoro di quattro ore e nel mentre Cortei paralleli di studenti e precari si riversavano nelle città, di Milano, Torino, ma a Roma c’era stato davvero un terremoto di azioni violente. A pagare le spese i commercianti, i cittadini, le Forze dell’ordine e ricordiamo tutti una piccola madonnina ridotta in un pessimo stato, il disgusto per questo atto non ha limiti.

19 ottobre 2013, la situazione è recidiva di nuovo manifestazioni violente contro il Ministero della Economia, sono state lanciate bottiglie e bombe carta. Portavano tute nere, cappucci e maschere antigas ma non cellulari per non essere intercettati, tra loro anche alcuni francesi e vicino alla Stazione termini in modo vergognoso hanno imbrattato la statua dedicata a Papa Wojtyla in Piazza dei Cinquecento e da lì sono andati verso il Ministero della Economia. La polizia cercando di ostacolare le violenze ha fatto i conti con una coltre di cassonetti incendiati, che hanno funto da barricata e i Black bloc sono riusciti a sfuggire, una bomba carta è stata disinnescata, dodici i fermati e un carabiniere è rimasto lievemente ferito. Ma le violenze non hanno avuto tregua prese d’assalto anche le Banche in via Boncompagni, distrutte le vetrine delle filiali Unicredit, e lancio di uova contro il Monte dei Paschi di Siena. Prima degli scontri in via XX settembre altri assalti sono avvenuti con CasaPound quando dal corteo che stava manifestando un gruppo di antagonisti è andato diretto verso via Napoleone III dove hanno raggiunto un gruppo di estrema destra muniti di caschi e mazze, la Polizia ha fatto da muro tra i due gruppi e ha evitato il contatto fisico. Oltre a un attacco sul posto è stato anche realizzato un altro informatico, in base alle recenti testimonianze sembra che sia stato fatto da parte di Anonymus, sono stati congelati i siti del Ministero delle Infrastrutture, della Corte dei Conti e del Corriere della Sera. Roma non è più la città del neorealismo felliniano, Roma è diventata il Focus delle violenze e questo non ci rappresenta in modo dignitoso davanti al resto del mondo. E’ vero che c’è il diritto a manifestare ma in maniera pacifica e non violenta, a cosa serve dunque manifestare se poi gli eventi peggiorano in questo modo? Ottobre non porta bene dunque alla capitale che dal 1922 ad oggi ha vissuto diverse marce. Non è così che portiamo avanti l’Italia, bisogna sedersi a tavolino e aprire un dibattito sul tavolo dei negoziati se vogliamo che l’Italia rinasca, sono disgustata da questa gioventù che incita all’odio e alla violenza ma ahimè la madre degli stolti è sempre incinta.

Sabrina Carbone

Le radiazioni ionizzanti sono onde elettromagnetiche o particelle subatomiche capaci di ionizzare la materia. Le più comuni radiazioni ionizzanti non corpuscolate sono rappresentate dai raggi X usati da molti anni nella diagnostica radiologica e oggi soprattutto nella tomografia assiale computerizzata (TAC). I bambini, come anche le donne incinte, sono in effetti più sensibili ai raggi ionizzanti, nel bambino perchè non ha ancora concluso la sua crescita, mentre nelle donne in stato di gravidanza per cause fetali e dell’embrione. E’ proprio per questo motivo, che i due principi della radioprotezione ossia la giustificazione e la ottimizzazione dell’esame, devono essere rafforzati. Nel bambino, l’accumulo degli esami radiologici può condurre a un dosaggio dell’ordine di 50 mSv, nelle donne incinte, il dosaggio non deve superare i 200 mSv, ma raramente avviene fuori degli esami radiologici. A fortiori è raccomandato di limitare il numero, e infatti sono stati privilegiati alcuni metodi non irradianti, se ciò è possibile.

Applicare quotidianamente i principi di radioprotezione

“E’ il medico che prescrive l’analisi radiologica, che deve valutare se il rischio è minimo e il beneficio che può essere considerato vitale per il bambino o per la donna in stato di gravidanza” afferma il Pimario Pierre Bey, professore emerito di Cancerologia-Radioterapia all’Istituto Curie. Una buona pratica è quella di applicare quotidianamente i principi inevitabili della radioprotezione che sono la giustificazione e la ottimizzazione.

Source: lenergie.fr

Sabrina Carbone

Valutare le riserve mondiali del petrolio è un esercizio pericoloso. Se la Opec stima 1.481 milioni di barili, le riserve possono essere sopravvalutate o sottovalutate per diverse ragioni: geopolitiche, economiche, tecnologiche.

La fine della teoria del picco del petrolio?

Le riserve mondiali comprovate di petrolio sono di 1481 milioni di barili (un barile di petrolio greggio è di 159 litri), secondo le ultime stime della OPEC. Il termine “riserve accertate” significa riserve certe che possono essere sfruttate in condizioni economiche e tecniche attuali (sono chiamate “riserve probabili” i depositi la cui probabilità di essere economicamente sfruttate è del 50%, e “Possibili riserve” quelli la cui probabilità di essere economicamente sfruttati è del 10%). La stima delle riserve OPEC comprendono sabbie bituminose di Alberta (Canada) o l’Orinoco (Venezuela), che alcuni esperti considerano sopravvalutate. In generale, la valutazione delle riserve mondiali di petrolio è difficile da raggiungere ed è oggetto di discussione. A causa di numerose incertezze prevalenti sulle riserve, ora è meno discusso il “picco del petrolio”, la cui teoria è che la produzione di petrolio diminuirà quando la metà delle riserve mondiali saranno state consumate. Fino ad oggi, circa 1.200 miliardi di barili sono stati consumati nel mondo.

Incertezze geopolitiche

Per motivi strategici, la OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) fornisce relativamente poche informazioni sulle loro riserve, soprattutto quelle il cui funzionamento è fornito da una impresa di proprietà statale (Arabia Saudita, Kuwait , Emirati Arabi Uniti, Iran). In assenza di controlli o di riserve le stime da parte delle organizzazioni indipendenti, indicano che i paesi produttori hanno sovrastimato le riserve di petrolio. Tuttavia, la OPEC detiene il grosso delle riserve globali. Inoltre, molti di questi paesi sono politicamente instabili e l’accesso alle risorse di petrolio sul mercato globale non è quindi garantito.

Nuovi giacimenti scoperti regolarmente

Nuovi campi petroliferi sono stati scoperti regolarmente. Anche se questi campi sono generalmente più piccoli rispetto a prima, questi risultati contribuiscono a posticipare la data in cui è previsto l’esaurimento delle riserve mondiali. Secondo la Agenzia internazionale della energia (AIE), la data di scadenza, calcolata in base al livello attuale di consumo e delle riserve globali stimate è di 40 anni dopo due decenni. Il termine può essere ulteriormente ritardato sia a causa di nuove e significative riserve che potranno essere scoperte (in particolare in regioni sotto utilizzate come l’Artico) ma anche perché il calcolo di riserva non tiene conto di alcuni oli non convenzionali, come per esempio le riserve di petrolio di scisto negli Stati Uniti.

Lo sfruttamento di oli non convenzionali è redditizio?

Gli Stati Uniti potranno diventare il più grande produttore mondiale di petrolio nel 2017 (secondo un recente rapporto della Agenzia internazionale per la energia) attraverso lo sfruttamento di oli di scisto.La entità delle riserve di petrolio non convenzionali (scisti, sabbie, acque profonde sul largo ambiente polare olio) a livello globale, tuttavia, rimane incerto. Per quanto riguarda lo sfruttamento del gas di scisto, vietato in Francia, l’impatto ambientale dello sfruttamento di oli di scisto può essere un ostacolo al recupero della energia. Inoltre, tutte le riserve fisiche dimostrate saranno non necessariamente in uso a un costo ragionevole. Gran parte di loro hanno un difficile accesso, e lo stato attuale delle conoscenze tecnologiche, il loro funzionamento non prova che sono redditizie. Questa osservazione è valida per i giacimenti di petrolio anche convenzionali. Tuttavia, il prezzo del petrolio ha raggiunto un livello record. Se il costo continuerà a salire, i depositi il ​​cui sfruttamento oggi non è economicamente redditizio potrà diventare commerciale.

Source: lenergieenquestions.fr

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Sabrina Carbone

La battaglia di Leipzig è stata il più grande affronto dei tempi moderni fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nella quale è stato messo in gioco l’avvenire politico dell’Europa. Celebrata a Outre-Rhin il, 18 ottobre, la battaglia di Leipzig è passata ai posteri sotto il nome di ‘battaglia dei popoli’, ‘Die Völkerschlacht’ in tedesco, mentre ‘battaglia delle Nazioni’ in Francia dal momento che oltre dieci nazioni si erano affrontate, per tre giorni, dal 16 al 19 ottobre 1813. Tutta l’Europa si era armata contro Napoleone, riuniva russi, prussiani, austriaci, tedeschi, e svedesi, 320.000 soldati erano coalizzati e affrontavano 175.000 combattenti francesi: Il più grande affronto dei tempi moderni fino alla Prima Guerra Mondiale. Per quattro giorni, la Grande Armata di Napoleone aveva tenuto testa alla coalizione delle monarchie europee. La superiorità numerica degli alleati era schiacciante e malgrado una incredibile resistenza francese, l’Imperatore non aveva potuto impedire la disfatta provocata dal tradimento delle truppe svedesi di Bernadotte e dalla defezione delle divisioni sassoni in piena battaglia. La sera del 19 ottobre, 100.000 uomini erano fuori combattimento. L’insuccesso di Leipzig annientava le sue ultime speranze. Era un momento cruciale del reflusso della Rivoluzione francese e delle sue idee dopo 20 anni di guerra contro l’atavica Europa feudale. Era l’inizio della fine del grande Impero, la fine della ‘Grande nazione’, come veniva chiamata allora la Francia. Questa battaglia è stata anche “una sorta di giudizio finale dove viene rivendicato il passato e i morti sono mescolati ai vivi, dove riappare ciò che sembrava essere scomparso, la debolezza del Grande Impero, costruito sui prestigi e sulle illusioni” spiega il grande storico Jacques Bainville. A Leipzig crolla anche l’idea di un ‘Impero europeo francese’. Anche se questo sogno sopravviverà con l’impero coloniale, la vocazione imperiale della Francia culmina sulle rive dell’Elster, mancando di mezzi e di capacità. Infine questo totale fiasco marca la fine della carta tedesca che Napoleone non era riuscito a sfruttare, che aveva sciupato ebbro di ambizioni e di potere. La posta in gioco per questo gigantesco melange era pertanto l’equilibrio europeo. Questa battaglia marcata dalla defezione delle truppe tedesche alleate di Napoleone e la loro adesione alla Prussia, significa all’inizio una difesa unitaria del suolo tedesco. E’ a Leipzig che nasce il sentimento di appartenenza a una nazione tedesca. Guerra di liberazione della nazione germanica o di un patriottismo tedesco creato da Napoleone e come un boomerang gli torna contro. Ma quale posto conserva questa battaglia negli immaginari collettivi francesi? Se Napoleone è stato di giorno in giorno sempre più criticato in Francia durante il suo bicentenario 1999-2015, specialmente dopo il 2001 con la Legge Taubira, l’influente ebdomadario tedesco ‘Dier Speigel’ gli ha consacrato la sua copertina. I francesi, dimenticano la loro storia e non ricordano nemmeno l’invasione del territorio nel 1814, conseguenza della disfatta di Leipzig che ha così tanto marcato gli spiriti di tre generazioni. Source: atlantico.fr

Sabrina Carbone

La Organizzazione per la supervisione della distruzione dell’arsenale chimico siriano ha annunciato oggi Giovedì, 17 ottobre, che sono stati controllati quasi la metà dei siti che dovranno essere distrutti entro la metà del 2014. ”Abbiamo fatto in pratica la metà dei lavori di verifica degli arsenali segnalati”, ha dichiarato ai giornalisti all’Aia Ellahi Malik, un consigliere politico della Organizzazione siriana per la proibizione delle armi chimiche (OPAC). Nonostante i progressi, Ellahi ha precisato che la sicurezza rimane una delle maggiori preoccupazioni per questa missione condotta per la prima volta in un paese in guerra.

Controllo della lista

“Una delle nostre preoccupazioni è, ovviamente, la situazione della sicurezza”, ha continuato Malik Ellahi, citando i colpi di mortaio e gli attacchi con l’autobomba nei pressi dell’Hotel Damasco, dove gli ispettori risiedono. La OPAC, che ha vinto la scorsa settimana il Premio Nobel per la Pace, ha rivelato Mercoledì, 15 ottobre, che sono stati monitorate undici aree e che hanno distrutto le apparecchiature di produzione in sei zone. Gli ispettori sono concentrati per ora a verificare la lista fornita dalle autorità siriane, composta da 20 siti di produzione e stoccaggio delle armi chimiche.

L’arsenale sarà distrutto entro il 30 giugno del 2014

Presenti in Siria dal 1° ottobre, le squadre della OPCW e delle Nazioni Unite contano quasi sessanta persone. La missione è stata decisa in seguito a un accordo raggiunto tra gli Stati Uniti e la Russia, dopo che gli Stati Uniti avevano minacciato al regime di impartire azioni punitive a causa dell’attacco chimico mortale attribuito alle forze di Bashar al-Assad, il 21 agosto, vicino a Damasco. Secondo la risoluzione della ONU che ha seguito l’Accordo USA-Russia, la eliminazione dell’arsenale dovrà essere completata entro il 30 giugno del 2014. Mentre entro il 1° novembre, gli ispettori dovranno comunque aver già controllato tutti i siti elencati sulla lista, aver identificato le attrezzature essenziali per la produzione o l’uso di armi chimiche, e aver reso gli impianti di produzione “inoperabili” e aver cominciato la distruzione di alcune armi chimiche, ha reso noto la OPAC.

Source: 20minutes.fr

Sabrina Carbone

Il focus della Giornata Mondiale della Alimentazione 2013 sarà sui “sistemi alimentari sostenibili che servono alla sicurezza alimentare e alla nutrizione”. Il tema ufficiale della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, annunciato all’inizio di ogni anno dalla Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), funge da guida per celebrare questa Giornata e a contribuire a comprendere meglio i problemi e le soluzioni nella lotta contro la fame nel mondo. Attualmente, quasi 842 milioni di persone sono cronicamente sotto alimentate. Alcuni modelli insostenibili di sviluppo influenzano l’ambiente, minacciano gli ecosistemi e la biodiversità elementi essenziali per la nostra futura sicurezza alimentare. Il sistema alimentare è costituito dall’ambiente, dalle persone, dalle istituzioni e dai processi che sono coinvolti nella produzione, nella trasformazione e nella distribuzione degli alimenti. Ogni componente del sistema alimentare ha un impatto sulla disponibilità e sulla accessibilità all’inizio di ogni catena alimentare, che deve essere varia e nutriente, e quindi deve offrire la capacità ai consumatori di seguire una dieta sana. Inoltre, l’alimentazione è spesso l’obiettivo primario delle politiche e degli interventi per i sistemi alimentari. Lottare contro la malnutrizione comporta un continuo impegno e una azione integrata, basata sugli interventi complementari nel settore agricolo e della agro-gestione delle risorse naturali, la salute pubblica, l’istruzione e altri settori. Cosa è un sistema alimentare sostenibile? E cosa è possibile ottenere? E cosa deve essere modificato per raggiungere questo obiettivo? La Giornata Mondiale della Alimentazione 2013 è l’occasione per affrontare questi problemi e non solo, ma anche a contribuire a realizzare il futuro che vogliamo.

Source:.fao.org

Sabrina Carbone

Trentasei rifugiati provenienti dalla Siria, molti dei quali sono di origine palestinese, sono stati rimpatriati forzatamente in Siria Venerdì, 4 ottobre, citano le fonti vicine a Amnesty International. L’Egitto deve porre immediatamente fine alla detenzione e alla deportazione dei rifugiati in fuga dal conflitto in Siria. “Amnesty International sollecita le autorità egiziane a rispettare il diritto internazionale in base al quale i rifugiati non devono tornare a vivere un sanguinoso conflitto che ha causato oltre 100 000 persone”, ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Africa del Nord del Medio Oriente di Amnesty International. Infatti la Organizzazione ha appreso che queste persone sono state arrestate nello scorso mese di settembre mentre tentavano di raggiungere l’Europa via mare partendo dall’Egitto. Sono stati portati alla stazione di polizia a Rashid Beheira dove sono stati trattenuti per 13 giorni. Gli attivisti egiziani hanno raccontato a Amnesty International che nella serata di Giovedì, 3 ottobre, i profughi sono stati costretti a firmare una dichiarazione nella quale chiedevano di voler tornare in Siria. I profughi hanno poi preso l’autobus per andare all’aeroporto del Cairo e sono tornati nel loro Paese. Centinaia di loro provenienti dalla Siria sono stati arrestati mentre cercavano di andare in Europa e molti di loro sono ancora in stato di detenzione. Tra di loro anche due minori non accompagnati di età compresa tra i 15 e i 16 anni i quali sono attualmente in stato di fermo nella stazione di polizia di Rashid e con tutta ipotesi saranno espulsi.

Source: amnesty.fr

Sabrina Carbone

WASHINGTON – Le istituzioni internazionali, i partner e i donatori di tutto il mondo hanno raggiunto, sabato, 12 ottobre, un accordo volto a aiutare il Libano a far fronte alle conseguenze del conflitto siriano che hanno avuto una ripercussione sulla sua economia e sui settori sociali. Secondo una recente indagine condotta dalla Banca mondiale, il calo della attività economica è dovuto al conflitto che ha comportato una perdita di miliardi di dollari, e a un afflusso di rifugiati che ha sommerso i servizi pubblici aumentando di conseguenza la disoccupazione e la povertà. “Tutti i partecipanti al meeting hanno convenuto che il Libano non deve e non può sopportare da solo i costi connessi alla crisi siriana “, ha dichiarato, Inger Andersen , il Vice Presidente della Banca Mondiale del Medio Oriente e del Nord Africa. “E’ tempo che la comunità internazionale inizi a mobilitarsi allo scopo di soddisfare le esigenze del Libano per evitare un ulteriore deterioramento della qualità e della copertura dei servizi pubblici, e una erosione dei risultati raggiunti sul piano dello sviluppo negli anni successivi”. La valutazione dell’impatto economico e sociale costituisce per le autorità e per i partner del Libano una guida per sviluppare una serie di raccomandazioni prioritarie a breve, medio e lungo termine, allo scopo di mitigare l’impatto del conflitto siriano. Il piano d’azione in quattro punti è destinato principalmente a mitigare l’impatto del conflitto sulle finanze pubbliche libanesi e a rispondere ai bisogni a lungo termine delle popolazioni vulnerabili. ”Il Libano ha bisogno di aiuti internazionali,” ha commentato Mohammad Safadi, Ministro delle Finanze del Libano. “Non possiamo continuare a indebitarci per far fronte a una crisi travolgente che non è opera nostra”. Il primo punto è quello di finanziare i progetti già esistenti che possono essere trasposti su vasta scala e/o inserirli con più rapidità e ai quali i donatori possono fornire le risorse in forma di donazioni. Questi progetti avranno un impatto immediato sulle famiglie e sulle comunità libanesi colpite dalla crisi siriana. Il secondo punto è concentrato sui progetti di medie dimensioni che richiedono un tempo di preparazione e di esecuzione più lungo, e che possono essere finanziati nel quadro di un Fondo fiduciario multi donatore. Il terzo punto è riferito ai progetti che hanno un impatto duraturo sullo sviluppo e che sono suscettibili a apportare delle riforme nei settori come le infrastrutture e gli investimenti privati. Questi piani possono essere finanziati attraverso il Gruppo Banca Mondiale e/o da altri meccanismi di finanziamento internazionali e, forse, alcune combinazioni di finanziamento, includono le risorse fornite gratuitamente dai donatori. Il quarto punto consiste nell’aumentare la partecipazione del settore privato alla economia libanese attraverso finanziamenti mirati, tra i quali le garanzie contro i rischi parziali per supportare la fornitura dei servizi quali: l’energia, l’elettricità, l’acqua e i trasporti. Fino ad oggi, quasi un milione di profughi hanno raggiunto il Libano, e questa cifra ammonterà a 1,3 milioni entro la fine del 2013. L’aumento della spesa pubblica, insieme al calo delle entrate dello Stato, aiutano ad ampliare un deficit di bilancio già importante, e l’impatto complessivo è stato stimato a 2,6 miliardi di dollari nel corso del periodo coperto dalla valutazione. Al di là dell’aspetto economico, la rapida crescita della popolazione avrà anche un impatto negativo a livello sociale. L’accesso sempre più limitato ai servizi sociali, la cui qualità è stata deteriorata a causa della crescente domanda potrà spingere 170.000 libanesi nella povertà entro il 2014. Oltre a ciò, una maggiore concorrenza sul mercato del lavoro potrà raddoppiare il tasso di disoccupazione che supererà la barra del 20%. La saturazione del sistema sanitario di fronte ai bisogni urgenti della popolazione dei rifugiati rischia di compromettere l’accesso alle cure e di alzare i livelli del quoziente di morbilità.

Source:banquemondiale.org

Sabrina Carbone

Pochi eventi hanno tutti contribuito a cambiare il volto del Medio Oriente. Eppure, la prima guerra del Golfo, che ha messo alle strette l’Iraq e l’Iran tra il 1980 e il 1988, rimane sconosciuta. Il grande merito del libro di Pierre Razoux, ‘La guerra Iran-Iraq’, Prima Guerra del Golfo 1980-1988 (Perrin), è quello di tornare a questo conflitto, il più lungo del XX secolo come “ultima guerra globale” (con un costo umano terribile). L’autore ha avuto accesso a molti archivi inediti, ai nastri audio di Saddam Hussein, come anche a tutti i documenti che riguardano gli incontri della leadership irachena. E’ chiaro che, in Francia come negli Stati Uniti, preferiscono dimenticare questa vergognosa storia durante la quale i due paesi hanno avuto un comportamento particolarmente cinico, rimanendo in silenzio sull’uso di Saddam Hussein dei gas chimici sia contro i curdi dell’Iraq che contro l’esercito iraniano. L’uso del gas sarin in Siria, ha fatto riemergere questi fatti a favore della indagine aperta dalla rivista Foreign Policy (“Exclusive: CIA Files Prove America Helped Saddam as he Gassed Iran”, 26 agosto 2013). Esiste, tuttavia una notevole differenza tra le due strategie dei capitali occidentali: Parigi era stata solidale a sostenere Saddam Hussein, a nome della lotta contro l’Islam radicale, mantenendo una forte sindrome anti-iraniana che continua a persistere con la Presidenza di Francois Hollande. Mentre gli Stati Uniti hanno contribuito a trasformare entrambi i protagonisti, fornendo armi e informazioni a ambedue le parti. I leader sovietici anche loro hanno dato prova di cinismo partecipando all’inizio del conflitto a favore dell’Iran e contro il loro alleato di Baghdad, prima di cambiare posizione e tornare ai loro amori iracheni. Israele non è stato da meno, il Governo ha aiutato, senza remore, la leadership iraniana nella prima fase della guerra. Come ha notato l’autore in una intervista a Mediapart dello scorso 2 ottobre: “E’ dalla guerra fondatrice, che è scaturita la diretta conseguenza della seconda Guerra del Golfo del Kuwait, 1990-1991, e quella del 2003. Alla fine della prima guerra del Golfo, la situazione nel 1988, era la seguente: l’Iraq era radicalizzato e isolato, guidato da Saddam Hussein che a sua volta era un orecchio sordo a qualsiasi consiglio e troppo sicuro di sé, da qui la necessità per il paese di intraprendere il programma nucleare, perché, a suo avviso, la guerra che Teheran stava per vivere non doveva più succedere. E per questo motivo, bisognava essere dissuasivi, e quindi disporre della bomba atomica, era una grande lezione appresa da Israele, dall’India e dal Pakistan”. E’ stata anche una epoca che ha forgiato l’alleanza tra la Repubblica islamica e il Regime laico di Hafez al-Assad, una alleanza che continua ancora oggi e pesa fortemente sul conflitto in corso in Siria. Riassumendo questo libro che è concentrato in particolare sulla dimensione militare del conflitto, il lettore troverà mille e una informazione utile per capire la situazione attuale. Pierre Razoux sottolinea in particolare le difficoltà incontrate da qualsiasi paese che intende bloccare lo stretto di Hormuz (L’Iran ha cercato di farlo senza successo nel 1987-1988), e sottolinea, in conclusione, che “il regime iraniano è perfettamente razionale e capisce i concetti di equilibrio di potere e di deterrenza”, speriamo che il Presidente Barack Obama lo capisca e riesca a convincere sia  Hollande che Benjamin Netanyahu.

Source: mondediplomatique.fr

Sabrina Carbone

Le Forze militari del nord del Mali stanno cercando da martedì, 8 ottobre, di risalire all’origine dei colpi d’arma da fuoco pesanti che hanno colpito la città di Gao. Il Movimento per la unicità e la jihad in Africa occidentale (MUJAO) ha rivendicato Martedì, 8 ottobre, i colpi e gli attacchi dinamitardi, sferrati contro il ponte Benti a sud di Gao a 50 km dal confine con il Niger, e ha avvertito che “gli attacchi contro i nemici dell’Islam continueranno”. E’ stato confermato un morto, alcuni feriti e dei dispersi. Abu Walid Sahraoui è resuscitato ed è un componente importante di MUJAO, in pratica è il portavoce del movimento, che, a nome degli islamisti nel nord del Mali, ha sostenuto gli attacchi con armi pesanti contro la città di Gao e dopo 24 ore anche l’attacco dinamitardo su un piccolo ponte nella stessa regione di Gao, non lontano dal confine con il Niger. Gli assalti “continueranno”, ha dichiarato Walid Sahraoui citando coloro che lui chiama i nemici che lavorano per la Francia, per il Niger, per il Senegal, per la Guinea e per il Togo. Tutti questi paesi hanno inviato truppe sul territorio maliano sotto il Minusma. Cacciati dalle tre città principali nel nord del Mali grazie all’intervento francese nel mese di gennaio, gli islamici sembrano ora concentrati a riorganizzare gli attacchi bellici. In altre parole, una guerra asimmetrica. A Timbuktu, tra qualche settimana, potranno sotterrare il dispositivo di sicurezza della città, prima di effettuare un attacco all’ingresso del campo militare. L’obiettivo di quest’ultimo assalto è quello di dimostrare che sono molto attivi, nella regione di Gao, come anche nel nord.

Source:RFI

Sabrina Carbone

L’esercito israeliano ha attaccato un bersaglio in Siria dopo che un soldato sulle Alture del Golan occupate da Israele ha riportato lievi ferite provocate dalle armi da fuoco da parte siriana. Mercoledì scorso, 9 ottobre, Tel Aviv ha riferito che i due colpi di mortaio sono stati sparati da una posizione militare israeliana, e ha aggiunto che un loro soldato è stato leggermente ferito dalle schegge e un altro invece ha subito uno shock. Non sono stati rilasciati rapporti sui proiettili che sono stati sparati dalle forze siriane o dai militanti che combattono contro il Governo siriano. Il 12 settembre, due colpi di mortaio sparati dalla parte interna della Siria hanno colpito la zona sud delle alture del Golan. Un portavoce militare israeliano ha rivelato che i colpi di mortaio sono caduti sul suolo e non hanno causato vittime o danni. “Sembra all’apparenza che sono stati lanciati per errore”, ha aggiunto il portavoce. Le Alture del Golan sono state colpite da colpi di mortaio in varie occasioni a partire dall’inizio del conflitto in Siria per oltre due anni. In riferimento a alcuni rapporti, le potenze occidentali e i loro alleati regionali, in particolare il Qatar, l’Arabia Saudita e la Turchia, sostengono i terroristi che operano all’interno della Siria. Secondo le Nazioni Unite, oltre 100.000 sono i morti e milioni le persone sfollate a causa delle violenze. Il regime israeliano ha occupato il Golan durante la guerra dei sei giorni nel 1967. Israele ha conquistato il territorio Siriano nel 1967 e lo ha annesso nel 1982. Tuttavia, la comunità internazionale non ha mai riconosciuto questa annessione.
Fonte: Press TV
 

Sabrin Carbone

Una madre ha partorito da sola su un prato all’entrata dell’ospedale dal momento che il personale del Nosocomio le aveva vietato l’accesso. La donna mentre partoriva è stata fotografata da un passante e oramai ha fatto il giro del mondo. La polemica scuote attualmente il Messico a causa di questa fotografia che rilancia il dibattito sulla accessibilità alle cure mediche dalla minoranza etnica. Un cliché crudo pubblicato in uno dei quotidiani ‘La Razon’ ha fatto scandalo dopo la sua pubblicazione. Le reazioni sono state molteplici in solidarietà con questa madre di 29 anni, messa alle porte dal centro medico dello Stato di Oaxaca, da una infermiera mentre lei si apprestava a mettere al mondo suo figlio. Mentre il suo compagno tentava di persuadere l’infermiera a causa della gravità dello stato della congiunta,, la giovane Irma Lopez nelle prossimità dell’Ospedale partoriva il suo terzo figlio. “Non volevo partorire in questo modo. E’ stato brutto e doloroso ha raccontato Irma alla Associazione dei Media che l’ha interrogata dopo che tutto ciò è diventato un caso nazionale. In seguito a questo evento. il Governo di Oaxaca ha annunciato la sospensione del direttore del Centro medico, e ha aperto una inchiesta contro l’Istituto in questione allo scopo di sapere chi ha dato l’ordine di rifiutare a questa povera coppia originaria delle montagne del Nord dello Stato di dare le cure appropriate alla giovane donna.

Source:Kabylie

Sabrina Carbone

Negli Stati Uniti, il Pentagono riesaminerà la detenzione di decine di prigionieri di Guantanamo. Sono coinvolti anche gli uomini contro i quali non sono state avanzate accuse, ma fino ad ora sono stati considerati troppo pericolosi per essere rilasciati. La revisione dei loro casi è un passaggio, seppur cauto, orientato alla chiusura del carcere militare statunitense. Questa cessazione è stata ambita da Barack Obama da diversi anni. Già nel 2011, il Presidente americano aveva chiesto di rivedere i casi dei prigionieri detenuti a Guantanamo senza alcun addebito. Due anni dopo, il Pentagono ha finalmente annunciato che i dossier di 71 uomini saranno riaperti. Tra questi rientrano 46 prigionieri che sono stati precedentemente classificati “troppo pericolosi per essere rilasciati”. Una commissione composta dai membri di varie agenzie federali, come il servizio segreto, il Dipartimento di Stato e l’Homeland Security, affronterà questo dibattito alla luce delle informazioni attualmente in possesso. Tuttavia la domanda sorge spontanea, quale è la minaccia di tutti questi detenuti per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti?

Nessuna dichiarazione sulla legalità della detenzione

Per contro, la Commissione non ha rilasciato dichiarazioni in merito alla legittimità della loro detenzione. In seguito alla autorizzazione sull’uso della forza contro al-Qaeda, approvata dal Congresso dopo gli attentati del 2001, il Governo degli Stati Uniti ha il diritto legale di tenere i presunti terroristi in detenzione a tempo indeterminato senza nessuna accusa. Questi arresti sono stati fortemente criticati dalle organizzazioni per i diritti dell’uomo.

Source: RFI

Sabrina Carbone

Un rapporto dettagliato di Amnesty International sugli attacchi che hanno colpito le comunità copte ad agosto dimostra come i servizi di sicurezza sono venuti meno al loro dovere di proteggere questo gruppo di minoranza. Il nuovo rapporto, pubblicato Mercoledì, 9 Ottobre, è concentrato sugli eventi senza precedenti degli attacchi settari dopo la dispersione di due manifestazioni pro-Morsi al Cairo il 14 agosto scorso. L’informativa racconta nei dettagli che le forze della sicurezza non sono intervenute per evitare l’attacco della folla inferocita che ha incendiato le chiese, le scuole e gli edifici delle associazioni copte, alcune delle quali sono state completamente distrutte. Almeno quattro persone sono state uccise. ”E’ estremamente preoccupante che tutta la comunità cristiana in Egitto è stata presa di mira da parte dei sostenitori del deposto Presidente, Mohamed Morsi, che volevano vendicarsi per gli eventi del Cairo”, ha dichiarato, Hassiba Hadj Sahraoui, Vicedirettore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. ”Alla luce degli attacchi che hanno avuto luogo in antecedenza, soprattutto dopo l’allontanamento di Morsi il, 3 luglio, bisognava anticipare le rappresaglie contro i copti. Tuttavia, le forze della sicurezza non hanno impedito gli attacchi e non è intervenuto nessuno per fermare le violenze”. Amnesty International ha chiesto alle autorità egiziane di aprire una inchiesta indipendente e imparziale su questi attacchi settari e di prendere misure immediate allo scopo di evitare la loro recidività. Dobbiamo sviluppare e attuare una strategia globale per combattere la discriminazione contro le minoranze religiose. Leggi e politiche discriminatorie dovranno essere abrogate e annullate. ”Non perseguire i responsabili di questi attacchi significa in maniera molto esplicita che i copti e le altre minoranze religiose sono bersagli legittimi. Le autorità devono garantire in modo esplicito che gli attacchi settari non saranno tollerati in nessun caso”, ha ammonito Hassiba Hadj Sahraoui. Dopo il 14 agosto, oltre 200 proprietà appartenenti ai cristiani sono state attaccate e 43 chiese sono state gravemente danneggiate in tutto il paese. Un copto del governatorato Fayoum ha espresso il suo sgomento per questo ciclo di violenze: “Perché, quando c’è un problema, i cristiani pagano sempre le conseguenze? Che cosa abbiamo a che fare noi con gli eventi del Cairo per essere puniti in questo modo?” Una delegazione di Amnesty International ha visitato i luoghi dove sono state registrate le violenze precisamente a Al Minya, Fayoum e nel Grande Cairo per raccogliere le testimonianze dai funzionari locali e dai leader religiosi. Molte volte le persone hanno riferito che una folla di uomini arrabbiati dotati di armi da fuoco, spranghe e coltelli hanno saccheggiato chiese e i beni immobili dei cristiani. Hanno sferrato i loro attacchi, gridando slogan come “Allah è grande” o “cani di cristiani” o espressioni simili. Gli oggetti di valore storico e le reliquie sono state profanate. Tra i graffiti scarabocchiati sui muri è possibile leggere tra le altre cose: “Morsi è il mio Presidente” o “Hanno ucciso i nostri fratelli nella preghiera”. Questi messaggi lasciano poco spazio ai dubbi sulla natura settaria degli attacchi, dimostrando un chiaro legame tra questi eventi e la repressione contro i sostenitori di Morsi al Cairo. Gli assalti erano spesso preceduti da incitazioni provenienti dalle moschee locali e dai leader religiosi. ”Dal momento che è una rappresaglia per la repressione delle manifestazioni pro-Morsi, i leader dei Fratelli Musulmani hanno parlato troppo poco e troppo tardi, accusandoli di essere delle “canaglie” e di fare la differenza tra gli aggressori e i loro sostenitori ha precisato Hassiba Hadj Sahraoui. Devono condannare le azioni dei loro sostenitori e li esorto a non essere impegnati nelle aggressione o in propositi settari”. A Al-Minya, dove hanno avuto luogo la maggior parte degli attacchi, secondo un giornalista testimone delle scene di violenza, Zeinab Ismail, gli aggressori erano armati di machete e di spade. Alcune persone sono state attaccate nelle loro case. Il corpo di un copto di 60 anni che è stato ucciso a casa sua nel villaggio di Delga a Al Minya, è stato trascinato per le strade da un trattore. Dopo che era stato sepolto, la sua tomba è stata profanata due volte. ”Ogni indagine futura esaminerà anche il ruolo delle forze della sicurezza. Alcuni episodi sono durati diverse ore e sono stati ripetuti il giorno successivo, ha continuato Hassiba Hadj Sahraoui. Perché le forze della sicurezza non hanno prevenuto e fermato questi attacchi?” L’Egitto ha alle spalle una lunga storia di violenze e di discriminazioni contro i copti. Diversi assalti sono avvenuti sotto Hosni Mubarak, il regime militare e Mohamed Morsi. L’uscita del nuovo documento di Amnesty International coincide con il secondo anniversario della sanguinosa repressione dei manifestanti da parte delle forze armate, il 9 ottobre del 2011,davanti al palazzo della televisione di Stato al Cairo, chiamato Maspero. Quel giorno, 26 copti e un musulmano sono stati uccisi. L’impunità per questi attacchi è stata definita. Per quanto riguarda quello che è successo prima nell’edificio Maspero, solo tre soldati sono stati condannati dei quali uno a tre anni di detenzione per omicidio colposo. Fino ad ora, le “sessioni di riconciliazione” – il metodo preferito dalle autorità per la risoluzione dei conflitti settari in Egitto – hanno solo rafforzato i sentimenti di ingiustizia delle comunità minoritarie, permettendo agli autori di circolare liberamente. Invece, dobbiamo mettere in atto i meccanismi per proteggere le minoranze religiose e garantire i loro diritti. ”Per troppo tempo i cristiani d’Egitto sono stati le principali vittime della violenza settaria. Questa passività delle autorità deve cambiare”, ha scandito Hassiba Hadj Sahraoui. ”Le parole che condannano gli atti devono essere accompagnati dalla attuazione di misure concrete allo scopo di proteggere le minoranze religiose. Lo Stato deve garantire il pieno risarcimento, e offrire una compensazione finanziaria alle vittime degli attacchi settari. Dobbiamo dare la priorità alla ricostruzione dei luoghi di culto e demolire in modo tempestivo gli ostacoli legali per ricostruire le chiese. In assenza di misure concrete di questo tipo, i copti ancora una volta servono come pretesto per regolare i conti politici”. I vari Governi non hanno fatto nulla per risolvere il problema della discriminazione e degli attacchi mirati in modo specifico contro le minoranze religiose in Egitto. Sotto il regime del Presidente Hosni Mubarak, almeno 15 sono stati gli attacchi su larga scala destinati ai copti. Dopo la sua caduta, scontri settari hanno continuato a uccidere sotto il Consiglio Supremo delle Forze Armate, e la situazione non è migliorata sotto Mohamed Morsi. Gli attacchi contro i copti sono continuati e il discorso anti-cristiano è lievitato. Le comunità cristiane affrontano da decenni gli ostacoli giuridici e burocratici quando vogliono costruire o ripristinare i loro luoghi di culto.

Source: Amnesty Belgique Francophone

Elogia, anima mia, il grido delle grandi città, e apri la sua fonte di acqua viva nella immensa solitudine,
e moltiplica il piacere
di essere creatura e fonte di luce nel bosco.
Albeggia, spunta sempre il giorno in questo chiarore
dove invoco la Parola e mando via la bestia dalle gengive colorate con l’intimo ardore delle mie stessi ambiguità.
Tra i meandri dell’esilio
vedo i miei fratelli che sono e saranno,
fino a quando culminerà il tempo che distrugge gli uomini: Stelle, sole, lombrichi, nidi e la luna,
uno scorpione,
i papaveri del letargo e l’astuto serpente,
il daino che dorme tra l’erba tinta di giallo,
l’ape operaia e l’ape regina nel suo alveare,
le volpi e le lepri,
tutte le pernici del cielo e sotto ogni roccia la sorgente nutre le radici secche della desolazione.
Ulula a loro, anima mia, perchè
loro hanno pianto la felicità nel Presepe,
hanno pianto un banchetto di sangue
per la redenzione senza fine dell’uomo.
Non hai detto: chi mi ama mi segua e dove sono io, sarà anche il mio servitore
e a colui che mi esaudirà il Padre lo premierà?
Ieri ho ululato con il lupo.
Riconosco il suo ululare tra le montagne, l’aspro sentiero delle paludi
che nasce dalla criniera e si prolunga
nel suo refolo millenario.
Fratello Lupo, tu non sai mentire,
conosci solo l’amore che sai offrire,
-dal sole fino all’ultimo istinto-.
Fratello Lupo, tu disprezzi
-dalla fame fino all’ultima ferita-
la cinica impostura del mondo
e con pietà infinta, la perdoni.

Diritti riservati

Traduzione Sabrina Carbone

Sabrina Carbone

Un nuovo scandalo finanziario colora l’orizzonte della economia, dopo la manipolazione dei tassi di interesse Libor sul mercato monetario: Le banche europee possono aver sentito l’influenza del tasso di cambio. Le indagini sono in corso e le banche svizzere sono – ancora una volta – in prima linea. E’ stata aperta una vasta indagine condotta a livello internazionale che ha iniziato la FINMA, l’Autorità svizzera di vigilanza dei mercati finanziari. Le indagini sono concentrate su una presunta manipolazione dei tassi di cambio, un settore nel quale le banche svizzere hanno un ruolo molto significativo.

Sospettate le banche svizzere

La UBS e la Credit Suisse, le due principali istituzioni del paese, sembrano essere il bersaglio principale, ma entrambe hanno rifiutato qualsiasi commento, mentre la FINMA non ha fornito alcuna indicazione sugli obiettivi dei suoi sospetti.

Filiali in Europa

Il caso può avere delle ramificazioni anche in altri paesi europei. Il Financial Times ha riferito nei giorni scorsi che le banche britanniche sono state al centro di un affare delicato a causa di una serie di denunce. L’accusa riguarda lo sfruttamento per proprio conto, delle informazioni sulle eventuali modifiche di rotta dopo massicce operazioni effettuate dai loro clienti. Zurigo, ha lasciato a intendere che simili operazioni sono state addebitate agli ambienti finanziari svizzeri e che le istituzioni britanniche e Helvètes agiscono di comune accordo.

Source:http://www.rfi.fr/europe/20131005-banques-suisses-accusees-manipuler-le-cours-devises?ns_campaign=editorial&ns_source=FB&ns_mchannel=reseaux_sociaux&ns_fee=0&ns_linkname=20131005_banques_suisses_accusees_manipuler_le_cours

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Sabrina Carbone

Il nuovo rapporto della IPCC, pubblicato Venerdì a Stoccolma, fornisce un nuovo dato sul riscaldamento terrestre e sull’aumento del livello del mare entro il 2100. E tutto essenzialmente a causa dell’uomo. Il nuovo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico è allarmante dal momento che conferma la realtà del cambiamento climatico a livello mondiale. La temperatura media della Terra aumenterà da 0,3 a 4,8 gradi centigradi entro il 2100. Nel quadro rientra anche l’aumento del livello del mare, e in base alle recenti previsioni passerà da 26 a 82 cm alla fine del secolo.

La responsabilità umana è del 95%

L’elemento più inquietante è che il riscaldamento del globo è stato determinato più che mai dalla responsabilità umana, e tutto ciò, attraverso l’emissione dei gas dell’effetto serra. Se nel rapporto del 2007 questa responsabilità era stata stimata al 90%, nel 2013, questa è del 95%. La presente relazione quindi interpella la coscienza umana e soprattutto i leader. Il Governo tedesco ha risposto attraverso il suo Ministro della Cooperazione, Dirk Niebel, che “le popolazioni più povere nei paesi in via di sviluppo sono le più colpite dalle conseguenze del cambiamento climatico”, e ha aggiunto che “la tutela del clima e l’adattamento ai cambiamenti climatici sono due punti centrali della cooperazione tedesca per lo sviluppo”.

Appello internazionale

Per quanto riguarda la posizione delle Nazioni Unite, il segretario generale della ONU, Ban Ki-moon, ha accolto con favore la pubblicazione della presente relazione, e ha elogiato gli sforzi fatti dal gruppo di esperti. In una risposta particolarmente rapida, il segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry, ha invitato la comunità internazionale a intraprendere un iter che reclama “una forte azione” . “Solo una forte azione umana potrà salvare il mondo dai peggiori impatti” che hanno sul nostro pianeta, ha commentato John Kerry. La diagnosi della IPCC guiderà i negoziati internazionali sul clima in programma per il 2015 a Parigi, allo scopo di raggiungere un accordo tra i 195 paesi il cui obiettivo è quello di contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2° C rispetto al periodo pre-industriale.

Source:http://www.dw.de/la-terre-se-r%C3%A9chauffe-%C3%A0-cause-de-lhomme/a-17119097

‘Francesco in estasi’

Il mio corpo è sangue vivo
nel rifugio è lontano dai caldi vincoli.
L’aria vellutata
avvolge le piaghe con fulgida devozione
come colui che cammina tra le ceneri.
Il mio corpo è sangue vivo!
Posso vederlo nel mio prossimo,
e palpare le screpolature con le dita di un altro, mi aggrappo a una chiave di un mistero che non conosco,
e penetra nella carne come un coltello.
La chioma di Gesù cresce.
Copre il legno tarlato
di questa croce nella mia solitaria agonia.
Chi ascolta le voci della Guerra?
Il mio corpo è sangue vivo!
Accarezzo un serpente.
Uno scorpione percorre le mie arterie.
Signore,
sono carne e questo mendicare
vela il Paradiso di fuoco.

Sabrina Carbone

Le famiglie fanno sacrifici per mandare i figli a scuola, per acquistare i libri e tutti gli accessori scolastici dopo il rientro dalle vacanze estive. Gli studenti per non gravare sul budget famigliare si arrangiano come possono, le tasse universitarie sono diventate incontrollabili. Tutto questo per un pezzo di carta che può o non può decidere il futuro. Molti bravi ricercatori migrano all’estero perchè in Italia bisogna avere il Santo alla poltrona per avere un buon posto e chi si rivolge a quelli in Paradiso o emigrano in cerca di fortuna, o sopravvivono nei callcenter o dimorano fino alla pensione con i propri congiunti. Le aziende cercano. Ma cosa cercano? Il curriculum fa testo. In Italia, quando presenti un curriculum la prima cosa che guardano sono le origini degli studi, quindi se arrivi dalla Bocconi di Milano o dalla Sapienza di Roma sei già mezzo qualificato, se arrivi da una Università del Sud o poco nota ti dicono chi sei? E’ successo a Mariacristina. “Ho mandato dozzine di curriculum, in tutta la Svizzera e l’Italia ma rispondono solo per posti di lavoro per cameriera o di catering”, spiega Mariacristina. Le aziende cercano, ma cosa cercano? Esistono molti bravi ricercatori o professionisti, che nella realtà nella quale vivono hanno poche speranze di mettere in atto il frutto dei loro studi, perchè le aziende guardano al curriculum e non a quello che sai fare realmente. In sintesi se sei capace o no poco importa ciò che conta è un curriculum da sogno. Ritorniamo a Mariacristina che è di Napoli, e ha un accento che è completamente meridionale. Ha lavorato con grandi aziende, e di recente, ha avuto un colloquio di 20 secondi a Lugano. Mariacristina ha dovuto affrontare un viaggio che nessuno le ripaga, deve mantenere un bambino e aveva prima di arrivare a Lugano parlato con l’azienda per telefono, dopo tutto questo preambolo le viene detto: “Signora, lei ha tutti i requisiti ma…non possiamo assumerla, ha l’accento meridionale”. Come è possibile ancora una volta considerare un soggetto e le proprie qualità in base all’accento e a 20 secondi di colloquio se non l’avete nemmeno messa in prova? Tutto questo è incredibilmente vero! Esistono ancora i famosi trucchetti. A Bari, sono stati denunciati cinque dei saggi scelti da Letta per riformare la Costituzione: “Truccavano i concorsi”. Questo è il titolo dell’articolo del corriere.it a riguardo. “La Guardia di Finanza su ordine della Procura di Bari ha aperto una inchiesta su numerosi docenti universitari che secondo l’accusa in almeno sette facoltà di diritto, con tutta ipotesi hanno truccato concorsi per associati e ordinari”. Tra questi ben 5 dei 35 saggi scelti dal Premier Enrico Letta per accompagnare il previsto progetto di riforma costituzionale: Augusto Barbera (Università di Bologna), Beniamino Caravita di Toritto (La Sapienza di Roma), Giuseppe De Vergottini (Università di Bologna), Carmela Salazar (Università di Reggio Calabria), Lorenza Violini (Università di Milano). Ma nella inchiesta emergono anche altri volti noti della politica, tra i quali: l’ex Garante per la privacy Francesco Pizzetti e l’ex Ministro per le Politiche europee Anna Maria Bernini (Pdl). Gli indagati hanno dichiarato di essere estranei alla vicenda. I callcenter e i contratti co.co.pro ex co.co.co sono una presa in giro per i lavoratori, perchè dopo due anni di precariato l’azienda che ha l’obbligo di assumere a tempo indeterminato o determinato, fa il restyling. Ovvero l’organico resta lo stesso ma cambia solo nome. Quindi è possibile lavorare anche 10 anni con una stessa azienda ma mai essere assunti proprio a causa di questo permissivismo, di cambio di nome. Altra presa in giro sono i contratti di apprendistato, le aziende ti fanno fare un tirocinio e se rientra in coscienza ti pagano o ti sfruttano e poi ti congedano. E’ chiaro che poi il bilancio delle vittime della disoccupazione aumenta. Dove sono ancora una volta le riforme che tutelano il lavoratore? La domanda è d’obbligo studiamo per vivere o per cultura personale?
 

Sabrina Carbone

” To be, or not to be, that is the question:
Whether ’tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them? To die, to sleep…
No more, and by a sleep to say we end
The heartache and the thousand natural shocks
That flesh is heir to: ’tis a consummation
Devoutly to be wished. To die, to sleep”.(W. Shakespeare)
Questo è il dilemma. I grandi autori come Shakespeare sono stati premonitori. Morire. Dormire. Ogni volta in Italia si accorgono della gravità di una situazione quando i politici e le leggi nazionali, e internazionali vengono messi davanti al ‘Dunque’. To be or not to be l’Europa? Fino ad oggi è chiaro che i politici, l’Europa e la legislatura, le Corti, la Magistratura, tutti hanno dormito su una legge che è lì ma non ha risolto nessun problema, al contrario l’ha aggravata con 111 morti, 200 dispersi e pochi sopravvissuti. L’Europa ci fa o ci è? Alla Commissione Europea incitano ai diritti dell’uomo, alle Nazioni Unite incitano ai diritti dell’uomo, tutti incitano ai diritti dell’uomo e tutti hanno accettato una Legge che è ipocrita: La Bossi-Fini. L’Italia può andare avanti? Non credo. Per Bossi la Padania è il tempio incrollabile, ma forse dimentica che lo stipendio non glie lo regalano solo i padani, ma tutti gli italiani, compreso gli stranieri che lui non apprezza. Noi paghiamo un politico che desidera ardentemente dividere l’Italia in due. Caro Bossi vada a contare i morti a Lampedusa vada a vedere cosa accade tra il popolo del Sud perchè anche loro pagano le tasse per lei per darle uno stipendio alla fine del mese. Fini non lo so ancora definire, una volta alleato, una volta da solo una volta non ho ancora capito. Se riuscisse davvero la Bonanima! Che Legge è la Bossi-Fini? Leggiamola insieme: La legge nr. 189 del 30 luglio 2002 è stata approvata dal Parlamento italiano durante la XIV Legislatura (col secondo Governo Berlusconi). Oltre all’inasprimento delle pene per i trafficanti di essere umani in violazione della Legge, una sanatoria per colf, assistenti agli anziani, malati e portatori di handicap, l’uso delle Navi della marina Militare per contrastare il traffico dei clandestini, il rilascio dei permessi di soggiorno speciali e relativi al diritto di asilo, sono le principali e più discusse modifiche introdotte dalla Legge Bossi- Fini. Può entrare in Italia chi è già in possesso di un contratto di lavoro che gli consenta il mantenimento economico. Questa Legge è una grande presa in giro per tutti. Come possono due motovedette della Marina Militare monitorare un flusso di persone che supera ogni formula di sicurezza. Bisogna fare una corretta analisi tra chi è clandestino e chi richiedente asilo, e secondo il Governo Italiano due motovedette bastano per tutto il Mediterraneo. Quanti stranieri conta Lampedusa nelle sue tendopoli che sono senza lavoro? In Italia si fanno le Leggi così senza senso e senza realmente andare a saturare un situazione che è stata portata all’irreparabile con la morte di 111 persone e 200 dispersi richiedenti asilo. Ma che razza di Italia è questa? Che tutela abbiamo noi e che tutela hanno gli altri. Hanno fatto una legge che dorme ed è per questo che tante persone sono morte. Volete risolvere il problema e lo risolviamo così il problema, anzi lo risolvete. 111 persone sono MORTE perchè c’è un completo assenteismo. Tutti si preoccupano della vita privata di Berlusconi, la Magistratura si occupa della vita privata di Berlusconi, il Governo italiano si preoccupa della vita privata di Berlusconi, l’Europa si preoccupa della vita privata di Berlusconi e nel frattempo 111 undici persone sono morte, 200 sono i dispersi, pochi sono i sopravvissuti, il popolo italiano subisce la crisi, ma in Italia va sempre tutto bene. A livello umanitario non sono riusciti a contenere un problema, i corridoi umani ci sono ma nessuno li applica perchè tanto c’è la Legge Bossi-Fini. Onore e merito ai Lampedusani. Allora caro Governo, cara Magistratura, cari tutti politici e Europa, facciamo le Leggi per cosa? Per avere sulla coscienza 111 morti, 200 dispersi e pochi superstiti. Io come tutti i bravi cittadini e onesti italiani paghiamo le tasse per vedervi dormire al Parlamento o chattare via internet. Questa è l’Italia la mia patria, ma non mi sento cittadina italiana perchè sono cittadina del mondo e queste cose non le giustifico. Le leggi se le fanno per i propri comodi, non per risolvere i problemi. L’Italia è entrata in un vicolo cieco in un pozzo dal quale sarà difficile risalire. Mi fate pena!
 

Sabrina Carbone

Ali Akbar Salehi, capo della Organizzazione della energia atomica iraniana (AEOI) ha annunciato Lunedì, 23 settembre, che Teheran ha preso il controllo della centrale civile nucleare di Bushehr, costruita dai tedeschi nel 1974 e completata dai russi nel 2010.
L’Iran ha preso il controllo Lunedì, 23 Settembre, del suo reattore nucleare civile di Bushehr (sud). Il leader della Organizzazione per l’energia atomica della Repubblica islamica, Ali Akbar Salehi, ha infatti indicato alla televisione di Stato che la Russia era in procinto di cominciare l’impianto con una capacità di 1000 megawatt. La costruzione della centrale, sulla costa del Golfo, era iniziata nel 1974 con l’aiuto della società tedesca Siemens, la quale era uscita fuori dal piano dopo la rivoluzione islamica del 1979, prima di essere ripresa dai russi negli anni 90. Completata e inaugurata nel 2010, con un decennio di ritardo, Bushehr non è stata messa mai in servizio fino al 2011 a causa di problemi tecnici ricorrenti. Il costo del lavoro non è stato comunicato dalle autorità iraniane.

Sospetto di armi atomiche

Il programma nucleare iraniano per diversi anni è stato al centro di un conflitto tra l’Iran e le grandi potenze. C’è il sospetto che Teheran, nonostante le sue smentite, cerca di ottenere le armi nucleari, in particolare attraverso il suo programma di arricchimento dell’uranio. La sua costruzione aveva causato preoccupazione nei paesi limitrofi dell’Iran, tra le monarchie arabe, che mettevano in dubbio la affidabilità delle sue operazioni e la sua capacità di superare un terremoto, mentre nel paese esistono importanti faglie sismiche

Source:http://www.france24.com/fr/20130923-iran-prend-controle-centrale-atomique-bushehr-arme-atomique-rohani

Sabrina Carbone

Cinque settimane dopo la strage delle armi chimiche della Ghouta nei sobborghi di Damasco, il Consiglio di Sicurezza ha adottato alla unanimità dei quindici membri una risoluzione sullo smantellamento delle armi chimiche del regime siriano. Dopo più di due anni e mezzo di conflitto, tutto ciò segna un importante passo avanti diplomatico. Ma l’adozione della risoluzione 2118 non simboleggiare la fine di una guerra che ha provocato oltre 100.000 morti, piuttosto il contrario. La votazione del 27 settembre è stata una vittoria per le Nazioni Unite e per la diplomazia internazionale. E la auto celebrazione tra le potenze occidentali e non è mancata a New York, un luogo dove avvengono scambi di opinioni diverse, anche tra i nemici. Dunque, la Siria non sarà nè l’Iraq nè la Libia, per scelta della comunità internazionale. L’adozione della risoluzione 2118, in seguito all’accordo raggiunto a Ginevra a metà settembre, dopo aspri negoziati USA-Russia, è un successo innegabile. Questa è infatti la prima risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza dall’inizio del conflitto a marzo del 2011. Fino ad allora, la Russia e la Cina, erano stati incrollabili sostenitori del regime di Damasco, ed hanno dato tre volte voto contrario a qualsiasi testo vincolante sulla Siria. Il Consiglio di sicurezza ha dichiarato che “l’uso delle armi chimiche in qualsiasi luogo è una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale” e “condanna nella maniera più assoluta qualsiasi uso delle armi chimiche in Siria facendo particolare riferimento all’attentato del 21 agosto 2013, commesso in violazione del diritto internazionale”. La risoluzione 2118, che incornicia un piano USA-Russia atto a smantellare l’arsenale siriano, costringe il regime di Bashar al-Assad a distruggere tutte le sue armi chimiche a partire da maggio 2014. Ma la missione è quasi impossibile dal momento che il paese è in guerra e sembra improbabile che un totale smantellamento può essere eseguito entro i termini. Soprattutto perché l’arsenale chimico siriano, che esiste da quasi mezzo secolo, è considerato uno dei più grandi del Medio Oriente, circa un migliaio di tonnellate.

Una vittoria per Mosca, Teheran e Damasco …

Il testo della risoluzione non menziona il Capitolo VII – che autorizza l’uso della forza da parte di un membro, in caso di mancato rispetto della risoluzione delle Nazioni Unite, ma prevede sanzioni nel caso di un rifiuto di Damasco. Tuttavia, prima che vengano attuate, sarà richiesta una seconda risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza. Il Voto della Russia potrà essere utilizzato come è successo il 27 settembre. In questo senso, la risoluzione 2118 è stata un successo per Mosca e, in misura minore per Teheran e per Pechino, ma un colpo per Washington e per Parigi. Rimuove infatti la minaccia degli scioperi punitivi, la posizione ardentemente difesa dalla Francia, temuta da Bashar al-Assad e dai suoi alleati. 48 ore prima del voto, l’ambasciatore iraniano in Francia Ali Ahani aveva ripetuto: “Il nostro paese è contro gli scioperi. Se saranno indetti, potranno esserci conseguenze imprevedibili e incontrollabili che potranno influenzare l’intera regione, come è successo in Libia”. Il, 28 settembre, il giorno dopo il voto, Human Rights Watch (HRW) ha ribadito la sua richiesta alla Corte penale internazionale di adottare sanzioni mirate. Era un desiderio della diplomazia francese. Il deferimento alla Corte penale internazionale è ancora possibile, anche se il soggetto è più complesso. HRW, denuncia anche l’uso di mine, armi incendiarie e munizioni, e spiega che ” gli sforzi per distruggere l’arsenale chimico siriano sono essenziali, ma non risolvono il problema delle armi convenzionali che hanno causato la morte della maggior parte delle persone uccise nel conflitto”.

Source: http://www.rfi.fr/zoom/20130930-resolution-onu-syrie-2118-assad-victoire-diplomatique-opposition-amertume

Sabrina Carbone

Venerdì, 27 settembre, il voto del Consiglio di Sicurezza su una nuova risoluzione Onu sulla Siria non deve rappresentare ancora una volta una occasione persa che non risponde a nessun obbligo verso le vittime dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità, ha messo in grassetto, Amnesty International. Il progetto ideato per la risoluzione è concentrato sulla risposta internazionale dell’uso delle armi chimiche in Siria, del 21 agosto. Ma la organizzazione ha riferito che i membri del Consiglio di Sicurezza devono prendere misure efficaci per porre fine alle gravi violazioni in Siria, e garantire che gli artefici siano ritenuti responsabili e venga resa giustizia alle vittime, allo scopo di migliorare l’accesso alla assistenza umanitaria. “Questa risoluzione non deve essere un’altra occasione mancata. E’ da più di due anni che il conflitto siriano è scoppiato, e le vittime dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità sono ancora in attesa di vedere gli attori internazionali mobilitarsi seriamente a favore della giustizia e della resa dei conti ha dichiarato Jose Luis Diaz, che dirige l’ufficio di Amnesty International presso le Nazioni Unite a New York. ”La risoluzione attuale è una visione miope delle sole vittime degli attacchi realizzati con le armi chimiche. Dimenticando di prendere in considerazione l’intero problema, la stessa non prescrive nessuna azione per prevenire le violazioni massicce e assistere i milioni di persone sfollate a causa del conflitto. Bisogna urgentemente intervenire con nuove iniziative diplomatiche e agire per rendere più coerente la risposta internazionale a tutto il conflitto”. E’ necessario che i membri del Consiglio di Sicurezza siano disposti a riconoscere che c’è stato l’uso di armi chimiche contro i civili, il quale è un crimine di guerra, e solleva una domanda: Perché non viene rinviata la situazione in Siria al procuratore della Corte penale internazionale (CPI)? Il disaccordo sulla identità degli autori non può essere usato come pretesto per impedire una indagine da parte della Corte penale internazionale. Il ricorso alla Corte deve essere effettuato senza indugio”.

Amnesty International chiede al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di ampliare la sua considerazione sul conflitto siriano, garantendo i seguenti punti:

- Il Governo siriano deve dare alla commissione d’inchiesta incaricata dalle Nazioni Unite sulla Siria, la possibilità di condurre una indagine su tutte le violazioni dei diritti umani, compresi quelli che possono essere simili ai crimini contro l’umanità o ai crimini di guerra, e indipendentemente dalla parte interna al conflitto che li ha commessi;
- La situazione in Siria dovrà essere riferita al procuratore della Corte penale internazionale, in modo che tutte le parti siano obbligate a rendere conto se sono stati commessi crimini di diritto internazionale;
-Il Governo siriano e i gruppi armati della opposizione dovranno consentire alle agenzie umanitarie il libero accesso in modo da fornire assistenza senza discriminazioni alla popolazione civile. Per quanto riguarda l’entità siriana, l’accesso, per essere efficace, deve includere i valichi di frontiera e alcune linee.

Source:http://www.amnestyalgerie.org/Actualite/conseil-de-securite-des-nations-unies-le-vote-sur-la-syrie-ne-doit-pas-etre-encore-une-occasion-manquee.html

Sabrina Carbone

-Il numero dei rifugiati in Libano, ora è vicino a un milione, o meglio detto al 22% della popolazione
-Secondo la valutazione condotta dalla Banca Mondiale, il conflitto in corso e l’afflusso dei rifugiati hanno ostruito gli scambi commerciali e le entrate del turismo in Libano e di conseguenza hanno aumentato la povertà e la disoccupazione
-Questo lavoro aiuterà a prendere decisioni politiche di guida e a organizzare gli aiuti internazionali

Ogni giorno, le colonne di auto, di furgoni e di camion convergono verso i confini del Libano. A bordo, le famiglie siriane in fuga dalla violenza nel loro paese come possono stipano nel bel mezzo di una montagna di biglietti, valigie e materassi. Questo è lo spettacolo quotidiano proiettato sui due valichi di frontiera ufficiali nel nord e nell’est del Libano. Dal momento che esistono legami storici, economici, sociali e politici tra i due paesi confinanti, il Libano ha infatti mantenuto le sue frontiere aperte per i profughi siriani. Le organizzazioni umanitarie, le ONG locali e internazionali e i centri ufficiali fanno degli sforzi enormi, avvalendosi dei mezzi a loro disposizione e spesso ridotti per aiutare questi rifugiati. Oggi, il loro numero è di milioni. Il 22% della popolazione libanese. Per quei paesi poveri di risorse, indebitati e a corto di liquidi, la domanda sorge spontanea: Quali sono le capacità messe a disposizione per raggiungere delle soluzioni allo scopo di meglio gestire l’impatto di questa tragedia, che ha una pressione economica e sociale quasi insopportabile per le comunità di Casa? Su richiesta del Governo libanese, il Gruppo Banca Mondiale ha realizzato una valutazione dell’impatto economico e sociale della crisi in Siria e in Libano, in collaborazione con le agenzie delle Nazioni Unite, l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale. Le conclusioni di questa analisi sono allarmanti: Alla fine del 2014, secondo le previsioni, il numero dei rifugiati aumenterà di 1,6 milioni o al 37% della popolazione libanese. E entro 15 mesi, lo Stato dovrà pagare miliardi di dollari per soddisfare la crescente domanda sui servizi pubblici quali: La sanità, la istruzione, l’acqua e la elettricità. Le spese andranno a incidere sul deficit del bilancio che è già attualmente di 3,7 miliardi di dollari, cioè il 8,7% del prodotto interno lordo (PIL). Tuttavia, la situazione è ancora più critica rispetto al periodo antecedente lo scoppio del conflitto in Siria, che trae origine a marzo del 2011, e che ha comportato l’arrivo di centinaia di migliaia di profughi, a causa delle cattive condizioni delle infrastrutture libanesi e dei servizi pubblici inadeguati. Qui l’energia elettrica in media è stata ridotta a 18 ore al giorno (e molto meno nelle aree rurali), e i servizi idrici sono operativi, al massimo, tre giorni a settimana. Le scuole pubbliche sono sommerse dagli studenti e dalle strutture sanitarie pubbliche, che sostengono i poveri, soprattutto nelle zone rurali, dove il servizio è notoriamente rivolto agli svantaggiati. In questo paese da quasi dieci anni cioè da quando la loro incompetenza ha riempito le testate dei giornali mentre le organizzazioni della società civile reclamano il cambiamento, a causa dell’enorme afflusso dei rifugiati, il punto di rottura è stato quasi raggiunto. Se i rifugiati sono ospitati dalla popolazione locale in tutto il paese, questi sono concentrati soprattutto nel nord e nell’est del paese, dove le comunità agricole già povere lottano per sbarcare il lunario. A fortiori tutto questo ha scatenato un rallentamento della crescita economica, l’aumento della povertà e della disoccupazione tra i libanesi e lo sgravio finanziario, ambiti già tesi, di un Tesoro alle prese con il debito pubblico, che aveva raggiunto i 57,7 miliardi dollari nel 2012, cioè il 134% del PIL (uno dei peggiori rapporti di tutto il mondo).

I profughi scelgono di stabilirsi in funzione delle loro capacità

I profughi scelgono di stabilirsi in funzione delle loro capacità: Il più ricco sceglie le comunità urbane tra Beirut e dintorni, dove l’aumento della pressione sulle abitazioni impenna i canoni di locazione. I meno qualificati, che costituiscono la maggioranza dei rifugiati trovano asilo nelle scuole, nelle tendopoli di fortuna, nei cantieri abbandonati, nelle moschee o presso i libanesi che possono offrire loro ospitalità. A Wadi Khaled, nel distretto di Akkar, a nord del paese, una coppia ha messo i suoi quattro bambini in una vecchia latrina, sita in un campo aperto di patate, per metterli al riparo. I genitori dormono sotto le stelle. Come trascorreranno questo inverno? Al loro arrivo in Libano, i siriani vengono registrati presso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), che fornisce loro una razione mensile di cibo, un kit per l’igiene, e in casi eccezionali, un pò di soldi per affittare un appartamento. Questo sussidio tuttavia ha creato tensioni tra le popolazioni ospitanti, che non ricevono invece nessun sostegno. Ma questa non è l’unica ragione che ha fatto nascere un risentimento: I libanesi accettano lavori non qualificati con salari bassi, i rifugiati accaparrano i loro mezzi di sussistenza. Tutto questo è particolarmente evidente nelle zone rurali, dove i libanesi lavorano due volte in meno di un operaio crudo, e percepiscono in media £ 20.000 libanesi (13 dollari) al giorno. Mustafa, che possiede un terreno vicino a Baalbek, ha ammesso: “Sì, ho assunto 100 siriani per la raccolta dell’uva. Costano molto meno dei libanesi e con il business che funziona bene, riduco i miei costi”. Nei prossimi mesi, ulteriori 170.000 libanesi cadranno in povertà, e andranno ad aggiungersi ai milioni dei loro connazionali che già vivono al di sotto della soglia di povertà. Le perdite nel settore retail e nel turismo sono lo spettro del fallimento su un numero crescente di aziende. La guerra in Siria ha bloccato le opportunità di esportazione del Libano verso i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), ma anche in Iraq e in Giordania. Negli ultimi anni, il turismo è iniziato a scemare, quando invece era una fonte vitale del business. Molti paesi, tra i sei membri più ricchi del GCC sconsigliano ai loro cittadini di viaggiare verso il Libano, temendo gli effetti della guerra vicina e la crescente polarizzazione della società libanese e il suo supporto o al regime siriano, o ai ribelli. La versione finale dello studio della Banca Mondiale è stato presentato, il 25 settembre, in un Forum ai margini della Assemblea generale delle Nazioni Unite. L’incontro, al quale hanno partecipato Michel Sleiman, il Presidente libanese, Jim Yong Kim, il Presidente del Gruppo della Banca Mondiale, le agenzie delle Nazioni Unite e i rappresentanti dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, è stato presieduto dal Segretario Generale, Ban Ki-moon, ed è stato concluso con la creazione di un gruppo di supporto internazionale in Libano (ISG). L’iniziativa, che propone di aiutare il paese a gestire il massiccio afflusso di rifugiati e di ricompensarlo per la sua generosità, riflette un nuovo modello di cooperazione internazionale realizzato per affrontare la crisi. In combinazione con l’assistenza diretta ai rifugiati agli sforzi intrapresi per rispondere alle esigenze e ai problemi delle capacità delle comunità e delle istituzioni che li ospitano, creando un tandem tra aiuto umanitario e sviluppo. Il passo successivo è quello di stabilire le priorità della assistenza internazionale, anche attraverso progetti concreti per migliorare la resilienza della popolazione ospitante. Durante questa fase, la Banca Mondiale lavorerà a stretto contatto con le autorità libanesi, per definire le politiche e le priorità di investimento che affrontano molteplici esigenze. Il Libano è stato posto davanti a una fase critica della sua storia e la Banca Mondiale lavora per rafforzare la sua capacità di recupero attraverso l’aiuto allo sviluppo accompagnato dagli interventi umanitari a breve termine.

Source: http://www.banquemondiale.org/fr/news/feature/2013/09/24/lebanon-bears-the-brunt-of-the-economic-and-social-spillovers-of-the-syrian-conflict
 

Sabrina Carbone

Un voto alla Camera dei Rappresentanti potrà mettere in aspettativa senza assegni a iniziare da oggi Martedì, 2 ottobre, centinaia di migliaia di dipendenti pubblici. I Repubblicani della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti hanno esteso la resa dei conti sul bilancio nella notte tra Sabato 28 e Domenica, 29 settembre, sfidando Obama e rendendo più probabile la paralisi del Governo federale a partire da Martedì, 2 ottobre. La Camera aveva approvato poco dopo la mezzanotte di Sabato una legge che offrirà un sussidio economico alle operazioni finanziarie infra-annuali del Governo federale fino al 15 dicembre prossimo, allo scopo di rinviare di un anno l’entrata in vigore della riforma del sistema sanitario, che sarà applicata integralmente a partire dal 2014, la quale eliminerà una tassa sui dispositivi medici creati da questa legge. “Il Consiglio ha adottato un nuovo piano che riflette il desiderio degli americani di mantenere le operazioni del Governo e fermare la legge da parte del Presidente in materia di salute”, ha ammesso il Presidente repubblicano della Camera, John Boehner. “Spetta al Senato far passare questa legislazione in modo da evitare un arresto del Governo federale”. Ma il testo, affronta una riforma ancora più emblematica del primo mandato di Barack Obama, che sarà probabilmente respinta dal Senato, monitorato dai democratici alleati del Presidente. La Casa Bianca aveva anche annunciato Sabato, 28 settembre, che il Premier potrà porre il veto nel caso improbabile che la scrittura venga approvata dal Congresso.

“Sabotaggio”

“I repubblicani alla Camera dei Rappresentanti hanno deciso la chiusura dello Stato”, aveva dichiarato in precedenza, Jay Carney, il portavoce della Casa Bianca. Passata nel 2010 e convalidata dalla Corte Suprema nel 2012, l’obiettivo della legge sulla salute soprannominata “Obamacare” è quello di fornire una copertura sanitaria a decine di milioni di americani attualmente non assicurati, ma i repubblicani contestano che il requisito legale di ogni americano sia quello di essere assicurato dal 1°gennaio. “Credo davvero che Obamacare è il primo passo verso la trasformazione quasi irreversibile dell’America in una economia socialista”, ha precisato il Team degli eletti del Partito Trent Franks, molto soddisfatto della strategia politica del rischio calcolato, adottata dai leader Repubblicani.

http://www.lepoint.fr/monde/budget-americain-le-spectre-de-la-paralysie-29-09-2013-1736352_24.php

Sabrina Carbone

Le strategie di poter per armare una guerra indipendentemente dalla Nazione non finiscono mai: ‘Chi è senza peccato scagli la prima pietra’. Fonti militari occidentali prevedono un aumento delle tensioni questa settimana sui confini tra Israele, la Siria e il Libano. Sullo scacchiere internazionale Mosca, Teheran e Damasco stanno escogitando un piano per mettere in imbarazzo, Benjamin Netanyahu, dal momento che oggi lunedì, 30 settembre, ha parlato al telefono con il Presidente Barack Obama alla Casa Bianca, e domani affronteranno l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Tutto ciò offre una opportunità in più per stuzzicare con ulteriori pressioni Israele che marcia verso l’isolamento dopo che la amministrazione Obama ha rallentato improvvisamente la sua carriera per perseguire nuove relazioni diplomatiche con Teheran. Israele è vista con poco vigore in seguito ai legami freddi stabiliti con Washington e alla sua mancanza di slancio militare, mentre Netanyahu arriva negli Stati Uniti per presentare il caso di Israele al Presidente degli Stati Uniti e alla comunità internazionale. Continuando il discorso, queste fonti strategiche prevedono che la Russia, l’Iran e la Siria potranno attuare un escamotage per incitare Israele a attuare una risposta militare sconsiderata e mal pianificata in questo momento. In questo caso sarà possibile inquadrare il Governo Netanyahu come il guerrafondaio che sta alterando la zona di speranza per la cooperazione russo-americana allo scopo di risolvere i problemi delle armi chimiche della Siria e dell’Iran, attraverso i canali diplomatici. Tutto quello che devono fare è inserire una spedizione di armi avanzate o chimiche dalla Siria a Hezbollah in Libano e provocare un attacco aereo israeliano per accendere un fuoco altamente esplosivo.

Suorce: http://www.laproximaguerra.com/2013/09/rusia-iran-y-damasco-podrian-aumentar-tensiones-frontera-israel-siria-libano.html#

Sabrina Carbone

Doccia fredda dunque per il Presidente dell’Iran, Hasan Rouhani, che in questi giorni ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo degli Stati Uniti, Barack Obama. Gli ufficiali del Pentagono hanno puntato il dito contro l’Iran e lo hanno accusato di essere l’autore dell’attacco informatico lanciato contro le reti dei computer della Marina degli Stati Uniti che hanno avuto luogo nel mese di settembre. I funzionari del Pentagono hanno lamentato che nelle ultime settimane i computer delle forze marittime degli Stati Uniti hanno subito interventi cibernetici da parte degli hacker iraniani, pubblica il giornale ‘The Wall Street Journal’. Gli attacchi informatici coincidono con la ripresa del discorso storico sulla questione del nucleare iraniano tra il Presidente degli Stati Uniti Barak Obama e il suo omologo dell’Iran, Hasan Rouhani, avvenuto fuori dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Questo è il primo contatto tra i Premier dei due paesi dal 1979. Fonti ufficiali del Pentagono hanno indicato che la tensione tra l’Iran e la guerra cibernetica degli Stati Uniti continua ad aumentare, ma negano che gli hacker iraniani possono aver avuto accesso a importanti informazioni militari, e che usino la rete come un canale di comunicazione via e-mail interna. Gli specialisti militari riconoscono che le capacità di Teheran a questo proposito sono in continuo sviluppo. Se in precedenza tra gli obiettivi strategici degli attacchi degli hacker, che presumibilmente lavorano per il Governo iraniano, i sistemi informatici delle banche e delle società energetiche, sono stati e sono attualmente le reti di difesa vulnerabili allo spionaggio. Questa non è la prima volta che Washington accusa la Repubblica Islamica di cyber-bullismo. A maggio del 2013 la stampa americana aveva enfatizzato l’attacco da parte degli hacker contro i sistemi informatici delle società del gas iraniano, del petrolio e della energia. Parallelamente, molti analisti hanno esposto che gli Stati Uniti possono essere, insieme a Israele, dietro il cyber attacco compiuto contro le strutture della infrastruttura nucleare iraniana nel 2007.

Source: http://www.laproximaguerra.com/2013/09/pentagono-denuncia-ciberataque-de-iran.html

Sabrina Carbone

Il Presidente Barack Obama e il suo omologo dell’Iran, Hassan Rohani hanno parlato al telefono Venerdì, 27 settembre, un contatto senza precedenti tra gli Stati Uniti e l’Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979. Questa conversazione ha avuto luogo quando il Premier iraniano ha lasciato il suolo americano dopo una settimana passata a New York in occasione della Assemblea generale delle Nazioni Unite. Una settimana durante la quale Hassan Rohani non ha cessato di moltiplicare i gesti di buona volontà e di rilasciare dichiarazioni lenitive. Hassan Rohani, era sorridente sotto il suo turbante, a bordo dell’aereo che lo ha portato a Teheran. Durante la sua conferenza stampa di Venerdì, ha enumerato la lunga la lista di persone che ha incontrato tra le quali, il Presidente francese, l’unico capo di Stato occidentale ad aver avuto una audizione con lui. Rohani ha affermato con convinzione che il suo paese intende costruire un rapporto di fiducia con l’Occidente. E ha aggiunto che è pronto a fare tutto ciò che è in suo potere per contribuire a risolvere il conflitto in Siria: “L’Iran è pronto a partecipare attivamente alla conferenza di Ginevra 2 o a qualsiasi altro tipo di conferenza che sarà svolto in aiuto del popolo siriano. Noi crediamo che i paesi possono aiutare la Siria a costruire il suo futuro e devono lavorare mano nella mano per porre fine alle sofferenze del popolo siriano”. Commentando il capitolo spinoso del nucleare, il Presidente iraniano ha confermato la volontà di voler giocare un ruolo trasparente e che farà tutto il necessario per raggiungere un accordo con il gruppo dei Sei. “Sotto il mio Governo voi non vedrete mai una promessa non mantenuta”, ha concluso Hassan Rohani.

Source:http://www.rfi.fr/moyen-orient/20130928-etats-unis-iran-appel-telephonique-historique-entre-obama-rohani

Sabrina Carbone

La proposta russa, di smantellare l’arsenale chimico siriano è stata presentata come un suggerimento spontaneo, ma in realtà era stata già discussa tra Mosca e  Washington. Lo scenario sulla crisi siriana era stato fin troppo ben allestito per crederlo completamente spontaneo. Nel corso di una conferenza stampa che è stata tenuta lunedì, 16 settembre, e era destinata a rassicurare l’opinione pubblica sulla fondatezza delle azioni in Siria, il segretario di Stato americano, John Kerry, aveva risposto a una serie di domande tra le quali: Quali sono i motivi che possono impedire di raggiungere i risultati? Di rimando il capo della diplomazia statunitense aveva risposto: ” Certamente Assad può restituire nella sua integrità il suo arsenale chimico alla comunità internazionale, la settimana prossima, ma non è prossimo a farlo, lui non può”. Lo stupore tra il pubblico non è tardato ad arrivare e riconoscendo la gaffe fatta dal segretario di Stato americano, il portavoce del dipartimento di Stato, Jen Psaki, aveva insistito sul carattere ‘retorico’ della frase e di conseguenza rifiutava qualsiasi tipo di negoziato con un ‘dittatore brutale’ e ‘inaffidabile’. Ma era già troppo tardi. Nel primo pomeriggio una ‘bomba’ veniva lanciata da Mosca. Il capo della diplomazia russa, Sergueï Lavrov, prendeva sulla parola il suo omologo americano e invitava il suo alleato siriano a mettere il suo arsenale chimico sotto il monitoraggio internazionale prima di essere distrutto. Damasco non se lo fa ripetere due volte e risponde positivamente. Attoniti i cancellieri occidentali, offrono anche loro il consenso favorevole a quella che oggi è chiamata ‘proposta russa’. La sera stessa Barak Obama che aveva citato tutto questo come un “importante passo avanti” scartava di agire nella immediatezza in Siria e chiedeva al Congresso di rimandare, sine die, ogni voto su un ricorso alla forza. Il giorno dopo, la Francia riprendendo il discorso presentava al Consiglio della sicurezza dell’ONU una risoluzione che riprende i termini dell’offerta russa, ma aggiungeva che i responsabili della tragedia del, 21 agosto, dovevano essere processati davanti alla Corte penale Internazionale (CPI). In virtù del capitolo VII, il mancato rispetto degli obblighi legali, da parte di Damasco, allora  permetteva, de facto, l’uso della forza in Siria. Se i negoziati continuavano secondo la natura della scrittura, e niente garantiva che Mosca lo accettava, Washington e Parigi sembravano decisi a dare una opportunità alla diplomazia.

Parigi ‘inconsapevole’

Uno sviluppo rocambolesco che non lascia nulla al caso. Infatti il 1° settembre di quest’anno in seguito alla decisione di Obama di avvalersi del voto del Congresso, il quotidiano israeliano ‘Haaretz’ pubblicava che il Premier americano in realtà stava giocando la sua ultima carta diplomatica per risolvere la crisi siriana. Ma non è tutto, successivamente sempre lo stesso quotidiano, che fa fede alle informazioni dei cancellieri occidentali, pubblicava che gli Stati Uniti e la Russia stavano lavorando congiuntamente alla soluzione del Consiglio della sicurezza dell’ONU, che incitava Bachar al-Assad a trasferire il suo arsenale chimico alle forze russe, sotto la supervisione degli ispettori delle Nazioni Unite, allo scopo di distruggere i gas neurotossici estratti dalla Siria o addirittura distruggerli sul luogo. Queste condizioni a grandi linee saranno ritrovate dieci giorni dopo nella risoluzione proposta dalla Francia all’ONU. A riguardo un consigliere diplomatico francese, aveva informato “La proposta russa non era prevista, ma non è una sorpresa dal momento che sono state fatte delle forti pressioni sulla Siria. Il Boston Globe ha scritto che i dibattiti tra Washington e la Russia durano da oltre un anno e che l’argomento in discussione risale al Summit del G20 di Los Cabos, in Messico, svolto il 18 e il 19 giugno dello scorso anno. I colloqui hanno avuto un prosieguo specie dopo la visita di John Kerry a Mosca, nonostante i freddi rapporti bilaterali motivati dallo spinoso caso sulla lista Magnitsky e sull’asilo politico accordato da Mosca all’ex consulente americano della NSA, Edward Snowden. La situazione invece è cambiata il 21 agosto scorso con l’attacco chimico della Ghouta, dove Washington accusa Damasco di essere il responsabile. Galeotto è stato dunque il G20 di San Pietroburgo che, nel contesto degli imminenti attacchi aerei degli USA, ha permesso a Obama e a Putin, sotto lo sguardo stupito degli altri Stati, di appartarsi in una stanza e partorire quello che è stato chiamato ‘Accordo internazionale’ il cui testo sarà inviato, ai rispettivi capi della diplomazia. Dice bene il giornalista di Rfi, una trama degna di Hollywood che difficilmente convince il consigliere diplomatico francese. “Forse l’idea russa è stata sviluppata a livello bilaterale, in passato, ma di certo non come una proposta in debita forma”. “C’è stata una vera e propria logica di azioni. Se il caso non voleva dare la giusta occasione, Mosca faceva il suo annuncio al Summit del G20, e Obama rimaneva completamente circondato dalle dichiarazioni (sulle azioni)”, ha aggiunto il consulente francese. Anche un altro funzionario americano assicura che la proposta di Mosca è il frutto “di mesi di incontri e conversazioni tra le due parti”. Un dèja vu per i grandi della terra.

Source:http://www.lepoint.fr/monde/syrie-le-plan-secret-obama-poutine-11-09-2013-1723311_24.php

Sabrina Carbone

Il Kenya è ancora in lutto dopo l’assalto al centro commerciale Wesgate di Nairobi. L’indagine prosegue, e l’Interpol è alla ricerca di una colombiana, Samantha Lewthwaite, conosciuta come la “vedova bianca”. Su richiesta del Kenya, l’organizzazione di cooperazione internazionale della polizia ha emesso, il 26 settembre, un “codice rosso”, o meglio detto una richiesta di arresto in vista di una estradizione per un altro caso. Samantha Lewthwaite, di 29 anni, è nota anche come Natalie Webb ed è ricercata in Kenya per detenzione di esplosivi e complicità in reati di detenzione. Un caso che risale al dicembre 2011. Questa non è la prima volta che il nome di Samantha Lewthwaite circola nei casi di terrorismo in Kenya. La Polizia di Nairobi sospetta che ha pianificato un attentato nel 2011 a Mombasa, una città costiera del Paese. Parallelamente, il processo del suo presunto complice nel caso riprenderà il prossimo Martedì. Il detenuto è stato arrestato sul posto. Samantha, invece è riuscita a fuggire. E’ stato nel 2005 che questa britannica è diventata nota. Ha sposato uno degli autori degli attentati di Londra, e ha ucciso 56 persone quest’anno. La giovane vedova inizia a orchestrare il suo modo di agire, fugge dalla Bretagna e scompare dai radar. Il suo arresto permetterà alla giustizia del Kenya di ripercorrere il suo percorso. Un viaggio che l’ha portata in particolare in Sud Africa, dove ha ottenuto un passaporto falso nel 2008, e sarà anche interrogata sui suoi legami con al-Shabaab. La stampa inglese, in particolare, ha fatto numerose speculazioni nei giorni scorsi sulla sua partecipazione all’attacco contro il centro commerciale Westgate. Le autorità del paese hanno dato informazioni contrastanti a riguardo. Per quanto riguarda Shebab, hanno negato qualsiasi partecipazione straniera.

Source: http://www.rfi.fr/afrique/20130927-kenya-interpol-recherche-samantha-lewthwaite-dite-veuve-blanche?ns_campaign=editorial&ns_source=FB&ns_mchannel=reseaux_sociaux&ns_fee=0&ns_linkname=20130927_kenya_interpol_recherche_samantha_lewthwaite_dite

Sabrina Carbone

La Russia è pronta a partecipare al monitoraggio dei luoghi dove le armi chimiche saranno distrutte in Siria, ha dichiarato il Vice Ministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov. ”Quando il processo, destinato alla eliminazione delle armi chimiche, entrerà nella sua fase operativa, sarà necessario assicurare i luoghi dove saranno distrutte le armi. La Russia è pronta a partecipare al monitoraggio di questi luoghi”, ha assicurato il Vice Ministro russo degli Esteri in occasione della mostra ‘Armi russe Expo 2013′, sottolineando che il suo Paese ha il sostegno dei paesi della Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, (Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan), e non esclude la loro partecipazione nel monitoraggio dei siti. Ryabkov ha asserito che la distruzione delle armi chimiche sul territorio della Russia è impossibile. Dopo l’incontro di Ginevra, il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, e il suo omologo statunitense, John Kerry, hanno concordato che l’arsenale chimico della Siria passerà sotto il controllo internazionale, come anche la sua e distruzione che avverrà nella prima metà del 2014. La Siria, che è entrata immediatamente nella convenzione sulle armi chimiche, ha dimostrato la sua volontà a voler collaborare, e ha presentato i primi dati sulle scorte delle armi chimiche. La settimana scorsa, il Ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, aveva precisato che le truppe russe potranno partecipare al trasferimento e alla distruzione dell’arsenale chimico della Siria.

Source:http://actualidad.rt.com/actualidad/view/106827-rusia-siria-destruccion-armas-quimicas

Sabrina Carbone

L’Algeria ha duramente condannato l’attacco terroristico mirato contro i civili e avvenuto in un centro commerciale a Nairobi (Kenya), ha dichiarato il rappresentante del Governo algerino, Hamid Boukrif, in occasione della apertura dei lavori del secondo workshop sulla analisi delle informazioni operazionali, nel Centro africano dedicato agli studi e alle ricerche sul terrorismo. Il rappresentante del Governo algerino ha ribadito l’impegno del suo Paese a sostenere e a promuovere la formazione della lotta al terrorismo sia nella regione che nelle sub-regioni dell’Africa. Tuttavia per Boukrif Hamid “bisogna rallentare i negoziati sui riscatti richiesti dai gruppi terroristici”, e ha quindi ribadito la posizione dell’Algeria in relazione a questa domanda confermando che il suo paese ha sempre sostenuto che il riscatto è uno strumento tramite il quale i gruppi terroristici continuano a rafforzare e a consolidare la loro posizione. E ha continuato: “E’ ovvio, che con il riscatto possono comprare armi sofisticate, ed è con questi soldi che sono in grado di dimostrare la loro esistenza, e riservarsi uno spazio multimediale, dopo aver rapito gli occidentali”. E’ palese inoltre che l’Algeria ha sempre ritenuto che il reato “è tutto”. “Per l’Algeria il reato non è solo la commissione del fatto, ma una serie di attività terroristiche a monte e a valle”, ha spiegato. Bisogna anche sottolineare che quando sono in corso delle trattative per il pagamento del riscatto, questo implica che esistono persone e istituzioni che facilitano il contatto tra il sequestratore e chi paga, “una unione estremamente pericolosa”. L’Algeria considera anche che se l’apologia di un crimine è un reato, allora che dire delle persone o delle istituzioni che sono in contatto con i terroristi per trattare il rilascio degli ostaggi concedendo il denaro in cambio. Da parte sua, il direttore del centro Africano, (CAERT), Caetamo Francisco José Madeira, ha avvisato che le azioni con la coalizione internazionale nel Sahel sono state positive, e ha messo in evidenza i grandi progressi raggiunti, ma questo non significa che il terrorismo è stato completamente sradicato. “Purtroppo c’è una riorganizzazione dei gruppi terroristici, reclutano, ricostruiscono la loro rete logistica e se viene distrutta loro reagiscono”, ha ammonito. E per chiarire ciò che sta accadendo in Kenya “Questa è una sfida atta a migliorare la nostra organizzazione”, e ha aggiunto che oggi, tutti i paesi della regione hanno capito che la lotta contro il terrorismo è un processo complesso, ed è proprio da questa complessità che nasce la necessità di rafforzare la cooperazione, lo scambio di informazioni e di analizzare le informazioni. Il direttore di CAERT ha ammesso addirittura che i capi della sicurezza dei paesi del Sahel hanno un incontro ogni tre mesi per valutare la situazione e per scambiarsi le informazioni. “Ciò che è positivo è che lo scambio di informazioni è aperto”, ha continuato. Il Direttore del Centro africano degli studi e delle ricerche sul terrorismo ha anche riconosciuto che c’è una certa debolezza nella lotta contro il terrorismo in alcuni istituti. Non hanno la capacità di applicarsi, alcuni soffrono di incapacità finanziaria e logistica per monitorare le frontiere. Infine, dobbiamo ricordare la competenza della Polizia Federale Tedesca (BKA) che è stata fortemente sollecitata nel Sahel, e sono in corso delle trattative con gli esperti tedeschi in viaggio in Malì, in Niger e a Burkina Faso per formare tra i 30 e i 40 agenti a novembre. Sono delle formazioni mirate, che comprendono l’analisi delle informazioni.

Source: http://www.lequotidien-oran.com/index.php?news=5188124

Sabrina Carbone

"Ho il cuore spezzato per la tragedia insensata accaduta in Kenia" ha scritto Geoffrey in una lettera inviatami oggi. "Tutti i miei amici sono lì, e io prego per loro" invocando di unirci alla sua preghiera. Uniti alla richiesta di Geoffrey, preghiamo per le vittime  che oggi a Nairobi sono morte. Nella mattina di questo sabato, 21 settembre, solstizio d'autunno, alcuni uomini armati hanno attaccato il Centro Commerciale 'Westgate' di Nairobi, causando diversi morti tra i clienti. Gli aggressori, asserragliati nello stabile hanno preso diverse persone in ostaggio. Le forze della sicurezza erano presenti sul posto. Il motivo di questo attacco resta ancora offuscato. Sono state uccise diverse persone, sei sono certe, citano le fonti di AFP. Pochi minuti dopo l'inizio dell'attacco, la polizia ha reso noto che gli attentatori hanno sequestrato sette persone, ha confermato un ufficiale della polizia. Intorno all'edificio, la folla è stata tenuta a bada dalle Forze dell'ordine che sono state raggiunte dalle Guardie private della Sicurezza, della Polizia e dai militari. "Heartbroken by the senseless tragedy in Kenya. To my friends there, please know that you are in my prayers. To those elsewhere, please join me in praying for all of those who have been affected, and especially those who lost loved ones, in the mall shooting". Geoffrey Ruirie

Source: http://fr.allafrica.com/stories/201309210308.html?aa_source=mf-hdlns

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Sabrina Carbone

"Complimenti per le sue opere!" ho esclamato, la prima volta che ho guardato incuriosita i bei dipinti di Alfredo Santella. "Mi ricorda Andy e tutte le volte che l'ho ammirato", ho aggiunto. L'arte di Alfredo Santella è l'arte del sublime che apre le porte verso uno spazio cosmico speziato dalla sua essenza di pittore e di persona. Ho voluto iniziare a parlare di Alfredo Santella non con il solito comune denominatore di un curriculum vitae che sa già di scontato, ma con il ricordo di Andy Warhol e lo sguardo rivolto alle opere di Alfredo Santella. Nella nostra intervista Alfredo Santella ha dichiarato: "Grazie per la premura e per come ha evidentemente ha apprezzato le mie opere fino alla commozione, non parlo di lacrimare ovviamente ma di interazione tra ciò che lei ha sentito e ciò che io sono stato capace di offrire ai suoi sensi. Evito di ripetermi ad oltranza solo per essere riconoscibile…cerco di esserlo anche swingando fra le Arti, i linguaggi e gli stili, figli di essi, cercando un naufragio in ogni mare. Per questo amo dire che: 'Suono con gli occhi e dipingo con le orecchie, la voce del mio nomade cervello  che canta in bit & bic...scrivo con la voce, parlo con la penna e…".  Ho voluto lasciare parlare l'autore perchè è interessante scoprire la sua arte anche attraverso il suo dire originale.  Di Wharol mi piace proprio la sua eterogeneità' più che il suo mero lavoro…e mi piace che al contrario di me è stato un grande amministratore e venditore di se stesso. Ognuno per la sua strada per il resto. Adoro il silenzio della metafisica ma anche il chiasso delle osterie e lo trasporto nell'olio, nelle gouache,  nelle delizie dello scarto umano o in quelle  impalpabili del dipingere digitale. La musica e il performare ( più raramente per quanto mi riguarda) non sono soltanto un accompagno al mio lavoro di pittore ma nascono e si nutrono a vicenda di un sentire multimediale, anche se la pittura sembra essere ciò che meglio mi rappresenta. In fondo e' possibile essere multimediali anche cantando una canzone mentre disegniamo con una matita. Sono un pittore, sono stato un viaggiatore, e tuttora lo sono, amo l'incontro con le cose e il caso che le fa incontrare. Alfredo Santella nasce a Sulmona (AQ) patria del grande poeta latino Ovidio. Nipote di un orafo, suo omonimo, anche lui lavora per dieci anni nella azienda di famiglia come ultimo scalpitante sigillo di una lunga stirpe.  Dedito alla pittura interrompe gli studi di medicina. Dopo vita e studi irregolari a Roma, L’Aquila e Parigi, numerosi viaggi lo portano attraverso l'Europa, i Balcani, il Nordafrica, la Turchia, l'India, il Sudamerica, la Svizzera, gli USA.  Su consiglio del Prof. Giulio Carlo Argan nel 1991 aderisce alla Accademia di S.Giacomo a Roma e frequenta il corso di pittura del Prof. Luigi Massimo Bruno. In seguito trova dimora a Calcata (VT) roccaforte medievale in terra Etrusca nei dintorni di Roma, dove risiede una notevole comunita’di artisti e viaggiatori di tutto il mondo. Dal 1996 al 2001 risiede a Oaxaca, nel Sud del Messico, vibrante e importante incrocio tra antichi mondi e moderne prospettive. Ancora oggi continua a esprimere il suo linguaggio spaziando dalle tecniche pittoriche, al riciclo artistico di rifiuti, e alla grafica tradizionale e virtuale. In questi ultimi anni il suo interesse sfocia nel mondo del suono e della loro interazione con le immagini, e la musica in circostanze da lui composte nell’ambito del Flarry Meta Project in costante relazione con il suo essere pittore.  Il video 'Oltre il colore:  Appunti di un viaggiatore' è stato girato nel suo atelier tra i monti dell'Abruzzo nel 2004 dal regista RAI Claudio Del Signore, testimonial dei momenti piu caratteristici del lavoro creativo e del suo essere artista anche attraverso gli interventi sonori tratti da Looking Music del 2003 sempre a cura dell’artista.  Attualmente vive e lavora tra Roma e a Torre dei Nolfi (AQ). Official Website: http://www.alfredosantella.com/

Esposizioni personali
1979
Associazione Artisti Romani – Roma
1980
Expoteatro Antis, con performance del poeta Panfilo Cansanelli – Pescara
Galleria d’Arte La Stadera – Sulmona (AQ)
Associazione culturale CONVERGENZE, testi di Panfilo Cansanelli – Pescara
1981
Centro sociale Chez Nous – Sulmona
1987
Teatro San Genesio – Roma
Realizzazione del catalogo PITTURE, edito da stampa alternativa – Roma
1989
Accademia di Romania – Roma
1991
Invito dell’Associazione Culturale Cafè Voltaire – Firenze
1992
Teatro dei Satiri – Roma
Invito dell’Associazione Culturale Nord Vest Passage – Bruxelles, Belgio
1993
Centro Vegetariano – Calcata ( VT)
1995
Universidad de los Andes – Merida, Venezuela
Arte MAIA, presso il Centro d’Arte La Grotta – Calcata (VT)
1997
BIC GENERATION, digigrafie. Galleria d’Arte Anticorps – La Chaux de Fonds – Svizzera
Palazzo Mazzara – Sulmona (AQ)
1998
Allenza Francese – Oaxaca, Messico
Auditorium di Diocleziano – Lanciano (CH)
1999
Associazione culturale RICARDO FLORES MAGON – Oaxaca, Messico
Scuola Elementare – Campo di Giove (AQ)
Foyer del Teatro Municipale – Lanciano (CH)
2000
PITTURE. Bottega d’Arte, Caramanico Terme (PE)
PINTURAS. Alleanza Francese – Oaxaca, Messico
2001
PITTURE e DIGIGRAFIE. Sound designer: Flarry Meta Project. Blue Bar, Sulmona (AQ)
PETITE FLEURE: digigrafie e piccoli quadri. Sound Designer: Flarry Meta Project. Palazzo della SS. Annunziata, Sulmona (AQ)
GrRANDE FLEURE: digigrafie e grandi quadri. Sound designer: Flarry Meta Project - Chiesa di S. Gaetano, Sulmona (AQ)
2002
Digigrafie e Pitture. Sound Designer: Flarry Meta Project. Associazione Culturale Kukkumiao, Roma.
Digigrafie e Pitture per l’apertura dell’Estate Romana. Sound Designer: Flarry Meta Project. Testi: Claudio Evangelista, David Colantoni- Circolo degli Artisti - Roma
Digigrafie e Pitture, Sound Designer: Flarry Meta Project. Galleria FORUM Interart - Roma
2003
Realizzazione del cd audio LOOKING MUSIC. Sound designer: Flarry Meta Project. Remix audio: Paolo Rovella. L’Aquila, Roma.           
2004
ICOFONIA: Il suono e l’immagine. Sound designer: Flarry Meta Project. Live music: Raffaele Pallozzi Trio, Max Domenicano, Massimiliano Tomassei - Galleria d’Arte SPAZI MULTIPLI,Roma
OLTRE IL COLORE: APPUNTI DI UN VIAGGIATORE, video intervista realizzata da Claudio Del Signore presso l’atelier dell’artista. Sound Designer: Flarry Meta Project. Sulmona (AQ)
7604, mostra antologica. Sound designer: Flarry Meta Project. Live music: Raffaele Pallozzi Trio. Palazzo della Provincia – Sulmona (AQ)
2005
JAZZISTI & PENNEBIC digigrafie e pitture di Alfredo Santella, fotografie di Giovanni Tancredi . Performance: Franchi Tiratori. Musiche: Flarry Meta Project. Live musici: Raffaele Pallozzi trio. Galleria SPAZI MULTIPLI –Roma
MINIMALS TOGETHER: Sound designer: Flarry Meta Project per ARTE IMMATERIALE di Vito Palladino. Performers: Franchi Tiratori Ensemble. Galleria d’Arte SPAZI MULTIPLI – Roma.
ARTE PER LA PACE, con Vito Palladino. Sound designer: Flarry Meta Project. Potenza
Invio documentazione alla Pollock Foundation – New York, U.S.A.
Esposizioni collettive
1974
Medaglia d’argento al Premio di Arte Contemporanea città di Castel di Sangro (AQ)
1975
Medaglia d’oro al Premio di Arte Contemporanea citta di Castel di Sangro (AQ)
1977
Invito al Premio di Arte Contemporanea città di Salerno
1986
Associazione Culturale Officine, con il pittore Felix Magnaneve – Pescara
1992
FRAGMENTA, Hotel Mida’s – Roma
SELF: SNA, Sindacato Nazionale Artisti, Palazzo Valentini – Roma
1995
Invito della Galleria La Otra Banda – Merida, Venezuela
1996
ARTE MAIA, presso Centro d’Arte Medialuz – Calcata (VT)
1997
Associazione Culturale Gli Inattendibili – Sulmona (AQ)
Invito del Centro d’Arte Rufino Tamayo – Oaxaca, Messico
1998
DIGIGRAFIE. Galleria d’Arte Filtraggi, Teramo
1999
PINTURAS COLECTIVAS. Galleria Azomalli, Oaxaca - Messico
SENZA PAROLE: ARTE MAIA & ARTEGIANATA con Giancarlo Pacella. Mucishe: Alessandro Vicard, Alfio Antico. Associazione Culturale Non solo bianco, Matera.
2000
Web Gallery NET ILLUSTRA, www.netillustra.net
Pubblicazione su CD – ROM de ENCICLOPEDIA MULTIMEDIALE DELLE ARTI. Casa editrice Alba – Ferrara
CROMATICOS. Sala Estensi – Ferrara
Collettiva d’Arte. Centro Studi Celestiniani – Sulmona (AQ)
VIA MAGRITTE. Castello Cantelmo – Pettorano sul Gizio (AQ)
Q, rotonda di S. Francesco della Scarpa – Sulmona(AQ)
Galleria Tera – Oaxaca, Messico
2001
Associazione Culturale OFFICINE DEL TERZO MILLENNIO – Sulmona (AQ)
Associazione Culturale MET@COMUNE. Sound Designer: Flarry Meta Project. Video di Marco Tarquini. Palazzo Tudini - Sulmona (AQ)
2002
Residence Quattro Fontane – Roma
’900 ARTISTI ED ARTE IN ABRUZZO, Museo Michetti – Francavilla al Mare (CH) www.itineraridarte.com
2003
MARE, Residence Quattro Fontane - Roma
2004
ARTERIE, presso Galleria Spazi Multipli – Roma
ARTERIE, PERCORSI NEL DESIGN, presso PULTRONE  ARREDAMENTI – Roma
PAUL, SABRINA, SAMMY ED IO. Sound Designer: Flarry Meta Project. Castello Cantelmo, Pettorano sul Gizio (AQ)
Musiche di FMP per PIT STOP con Enzo Correnti e Pamela Patrizio. Sound Designer: Flarry Meta Project, live bass: Bacco Gattaceca. Palacongressi, Montesilvano (PE)
COLORI DEL MONDO, Foyer del teatro municipale – Sulmona ( AQ)
FERROBEDO: tributo a Pier Paolo Pasolini. Sound Designer: Flarry Meta Project. Carrozzeria Rizieri, Pontedera (PI)
VESPRUM: BENVENUTI FIGLI DI ELEUSI, con Christian Pertosa, Davide Di Camillo. Sound Designer: Flarry Meta Project. Chiesa di S. Gaetano, Sulmona (AQ)
2005
QUELLIDELLALTRAVOLTAPIUQUALCUNALTRO. Sound Designer: Flarry Meta Project. Palazzo Tudini, Sulmona (AQ).
RASSEGNA DI ARTISTI PELIGNI. Palazzo Municipale – Castelvecchio Subequo (AQ)
MERCANTIA: Festival di artisti di strada, Certaldo (FI)
ART’AZIONE  per la Notte Bianca Romana. Galleria Micro, Roma
2006
COLLETTIVA ARTISTI ABRUZZESI- Popoli (PE)

Fragranza...Alimento della mia essenza di uomo... Sant'Agostino

Apri uno spiraglio, solo un interstizio.
Intorno al tuo corpo
gira la spietata trasformazione del muro.
Crea una fessura, come quando scavi una catacomba e immergi le tue mani nel profondo della solitudine cannibale, l'imperatrice lancia i dadi, divora le tue viscere e tesse i tuoi più grandi trionfi.
Dove va la mia ombra tra l'erba,
chi la trascinerà fino al centro dorato
dell'ombelico del mondo?
Non ritornerò come nell'Odissea,
mascherato come uno straccione alle porte del Palazzo.
Assorto, berrò acqua pura.
Diranno che sono matto, che ho ucciso, che ho letto i presagi negli abissi di un avvoltoio.
Qualcuno, arrivato come il sole dopo la tempesta,
scoprirà nel mio istinto
la mia luce perfetta senza trasfigurazione e vertigini.

Manuel Lozano Gombault

Diritti d'Autore  

Sabrina Carbone

Il comitato esecutivo della Banca centrale europea (BCE) ha deciso di introdurre obiettivi di genere, allo scopo di raddoppiare entro il 2019 la percentuale delle donne nelle posizioni di leadership all’interno della loro istituzione, ha annunciato l’istituto. La Banca centrale prevede che entro la fine del 2019, il 35% delle sue cariche intermedie quali  direttori e Vice direttori della divisione, responsabili dei settori oltre ai consulenti e ai consulenti senior come anche il 28% dei senior manager, direttori e Vice Direttori Generali, dirigenti e alti consulenti, saranno detenute dalle donne. Attualmente, la percentuale delle donne che ricoprono le posizioni di middle management presso la BCE è del 17%, e solo il 14% rientra nel senior management. Jörg Asmussen, membro tedesco del comitato esecutivo, è ottimista sulla possibilità di raggiungere questo obiettivo nel corso dei prossimi sei anni, perché “Esistono donne altamente qualificate” nella Entità. Inoltre, l’espansione dei ruoli nella BCE, a partire dall’autunno del 2014 assumerà la supervisione bancaria della zona euro, e offrirà nuove posizioni. “Allo scopo di raggiungere gli obiettivi di genere, la BCE sta attuando un piano d’azione sulla diversità di genere”, ha spiegato la BCE in una dichiarazione. Al momento, nessuno dei 23 membri del Consiglio direttivo della BCE, l’organo di governo della politica monetaria della zona euro, è una donna. Fino ad ora solo due professioniste femminili hanno fatto parte del comitato esecutivo: Sirkka Hämäläinen della Finlandia (da giugno 1998 al 31 maggio 2003) e l’austriaca Gertrude Tumpel-Gugerell (da giugno 2003 al 31 maggio 2011). Source: http://sociedad.elpais.com/sociedad/2013/08/29/actualidad/1377788933_602418.html

Sabrina Carbone

Sei mesi dopo il colpo di Stato avvenuto a Bangui e realizzato dalla coalizione ribelle Seleka, la situazione non è ancora stabile. La Francia ha appena chiamato i paesi africani e le istituzioni, come anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad affrontare questa crisi, e in aggiunta, il Governo francese ha finalmente collocato la RCA sulla lista delle priorità nella politica estera. Malgrado ciò, il paese continua a rimanere nel caos, a vivere nella incertezza, e a annotare un aumento delle tensioni e delle violenze, anche in aree precedentemente non affette. L’organizzazione di Medici Senza Frontiere, MSF, che dal 1996 detiene una presenza massiccia nella Repubblica Centrafricana (RCA), continua a fornire assistenza alle persone e a soddisfare le esigenze di migliaia di malati, di vittime della violenza private ​​di ogni assistenza medica. “Quello che accade nel RCA, l’evoluzione incerta e il futuro della situazione destano una reale preoccupazione. Le nostre squadre attive sul campo registrano un aumento di casi di violenza e di scarsa sicurezza. Il popolo, i nostri pazienti, sono i primi a soffrire. Oggi MSF affronta una grave crisi umanitaria e sanitaria e non sappiamo quale sarà la sua evoluzione” avvisano i tre leader della missione di MSF in RCA. Con il colpo di Stato dello scorso mese di marzo, la situazione è peggiorata e non è tornata mai alla normalità. Tuttavia nel momento in cui l’indice dei dati annuali della malaria è salito oltre la normalità, nonostante le attrezzature e la carenza di personale medico, il sistema sanitario, già indebolito da anni di crisi, è stato in grado di soddisfare le esigenze mediche di maggiore importanza e contenere la pressione della popolazione. Il 5 agosto di quest’anno, un programma pediatrico per i bambini compresi da 0 a 15 anni di età è stato aperto nel Bria, nella parte orientale del paese. “In questa zona completamente abbandonata e isolata, MSF lo scorso maggio, in una settimana di attività, ha ricevuto 788 pazienti ambulatoriali. E questo numero è in costante aumento dal momento che, come ha dichiarato Jordan Wiley, capo della missione di MSF, oltre tre quarti di questi pazienti sono affetti da malaria. 36 bambini sono stati ricoverati in ospedale, soprattutto per forme gravi della malattia, ma anche per infezioni respiratorie o per diarrea. Oltre 500 bambini sono stati sottoposti a screening per malnutrizione e alcuni sono stati ricoverati nel centro nutrizionale. Infine, MSF supporta il ripristino della vaccinazione di routine nella zona. Source: http://www.msf.fr/actualite/articles/rca-six-mois-apres-coup-etat-accroissement-nombre-cas-paludisme-malnutrition-et-b

Sabrina Carbone

Poche ore dopo l’incontro a Ginevra tra gli Stati Uniti e la Russia, per cercare di raggiungere un accordo sul conflitto siriano, il Presidente Bashar al-Assad, ha dichiarato al canale televisivo russo Rossiya24 la sua disponibilità a mettere il suo arsenale di armi chimiche nelle mani della comunità internazionale, “in linea con la proposta russa”.  Assad ha confermato che la sua decisione non ha nulla a che vedere con le “minacce degli Stati Uniti”. L’ONU ha annunciato attraverso un portavoce che il regime siriano ha chiesto di aderire alla Convenzione internazionale per la proibizione delle armi chimiche, rifiutata nei giorni scorsi dallo stesso regime. Il trattato vieta lo sviluppo, la produzione, lo stoccaggio e l’uso di queste armi. La Convenzione obbliga tutti i paesi firmatari a dichiarare e a distruggere le armi chimiche in loro possesso. Il Premier russo, Vladimir Putin, ha affrontato questo discorso Mercoledì, 11 settembre, rivolgendosi direttamente ai cittadini degli Stati Uniti attraverso una lettera pubblicata sul quotidiano The New York Times, dove avverte che un eventuale attacco alla Siria potrà diffondere il conflitto oltre i suoi confini e innescare di conseguenza una ondata di attacchi terroristici. Nel testo, Putin ha ribadito la tesi secondo la quale l’attacco chimico che ha avuto luogo nel mese di agosto, e del quale Washington accusa Bashar al-Assad, è stato rilasciato probabilmente dalle forze della opposizione in cerca di un intervento straniero. Il Presidente russo, ha ricordato anche che l’alleanza con gli Stati Uniti è riuscita a sconfiggere i nazisti, e ha avvertito che “se i paesi influenti scavalcano l’ONU e intraprendono una azione militare senza l’avallo del Consiglio di Sicurezza”, il corpo potrà fallire a causa di una mancata influenza reale, e ha aggiunto che nella guerra civile in Siria, che dura da due anni e mezzo, non esiste “nessun campione di democrazia”, ​​e che sono “più che sufficienti i membri di Al Qaeda e gli estremisti che combattono contro il Governo”. “Il potenziale attacco degli Stati Uniti contro la Siria, nonostante l’opposizione di molti paesi e di importanti leader politici e religiosi, tra i quali il Papa, causerà un gran numero di vittime innocenti e sormonterà i confini della Siria”, ha intimato Putin. Inoltre, quest’ultimo ha comunicato che “un attacco aumenterà la violenza e provocherà una nuova ondata di terrorismo e minerà gli sforzi multilaterali atti a risolvere la questione nucleare iraniana e il conflitto israelo-palestinese e dulcis in fundo destabilizzerà il Medio Oriente e il Nord Africa”. Putin è “allarmato” sull’intervento militare nei conflitti interni di altri paesi, a suo giudizio, è diventato un “luogo comune” degli Stati Uniti. Alla domanda: “Questi sono gli interessi a lungo termine degli Stati Uniti?” Putin ha risposto: “Ne dubito. Milioni di persone in tutto il mondo vedono sempre più gli Stati Uniti non come un modello di democrazia, ma come un paese basato solo sulla forza bruta e attento a forgiare coalizioni con lo slogan ‘o sei con me o sei contro di me”. ”E’ molto pericoloso incoraggiare la gente a vedersi come eccezionali”, ha chiarito Putin riferendosi agli Stati Uniti. “Il mio lavoro e la relazione personale con il Presidente Obama sono segnati da una crescente fiducia, e accolgo con favore il loro interesse a proseguire il dialogo con la Russia sulla Siria”, ha concluso. Source:http://internacional.elpais.com/internacional/2013/09/12/actualidad/1378958882_311525.html 

Sabrina Carbone

Le valute dei paesi emergenti scendono, e insieme a loro anche la rupia indonesiana. Questo ribasso è così importante che ha fatto risorgere lo spettro della crisi monetaria del 1997-1998 che aveva causato la caduta della dittatura. “Se non stiamo attenti, è possibile che ci sia un ritorno della crisi monetaria del 1998″, ha dichiarato l’economista della Banca asiatica dello sviluppo (ADB), Iwan Jaya Azis. Infatti in due mesi, la rupia indonesiana ha perso quasi il 15% del suo valore rispetto al dollaro. Secondo il quotidiano Kompas, la potenza asiatica come fonte di crescita globale è diminuita del 50% nel corso dell’ultimo trimestre. Sotto accusa: le turbolenze nei settori finanziari globali e il rallentamento in Cina. Iwan Jaya Azis, pensa che la situazione in Indonesia rimanga com’è attualmente migliore rispetto a quella dell’India o della Thailandia. Ma il Governo deve rimanere cauto riguardo al possibile impatto della recente e rapida deteriorazione della economia della Corea del Sud. Il Vice Presidente dell’Indonesia Boediono, ha smentito, nel frattempo, il termine “declino della rupia”. Secondo lui, è il dollaro che è in aumento: “Le implicazioni per le misure da prendere sono diverse, non dobbiamo sbagliarci nel definire questo problema”. Il Governo ha avuto una riunione Giovedi, 22 agosto, allo scopo di cercare di arginare la crisi monetaria e ha annunciato una serie di misure, e ha in particolare stimolato gli investimenti moltiplicando gli incentivi fiscali e facilitando la concessione delle licenze. In un articolo sul quotidiano Kompas, l’economista Faisal Basri, nel frattempo, ha suggerito che i politici del paese devono convertire da rupie in dollari i loro risparmi, i quali sono stati dichiarati nel 2009 come la legge sulla trasparenza obbliga a fare: 589 $ 188 (€ 445 040) per il Presidente, Susilo Bambang Yudhoyono, 626.677 dollari (473.356 €) il Ministro del Commercio, 100 $ 000 (€ 75 534) il capo della polizia di South Sumatra, 365.506 dollari ( 276.082 €) il Ministro delle Finanze. “Se il potere non vola in soccorso del paese, sarà come se le termiti erodono le fondamenta della nostra economia”, ha concluso.

Source: http://www.courrierinternational.com/article/2013/08/31/la-peur-de-la-crise-monetaire-bis

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Sabrina Carbone

Sono appena tornato dalla Palestina, ed in una sola parola dico che e’ stata una esperienza STUPENDA e da ripetere. E’ stato bellissimo toccare con le mani i luoghi baciati da Gesù. La Palestina è una terra dove vive un popolo sofferto e blindato, proprio in quei giorni d’agosto piovevano missili dalla Siria dove io dal monte Carmelo ero a due passi. E’ stata una emozione continua e costante, quando sono arrivato davanti la tomba di Gesu’ e sono passato lungo la via dove e’ stato fustigato e crocifisso, mi sono commosso…! Tutto questo mentre dalla Siria piovevano missili…! Ma il buon Gesu’ ha protetto tutti noi e siamo tornati sani e salvi. Durante il viaggio di andata ero piuttosto allegro e non immaginavo di poter provare emozioni così forti, ma messo piede a Tel aviv ho capito di trovarmi davanti ad una societa’ diversa. Ho viaggiato tanto e non mi aspettavo un mondo cosi’ diverso dal nostro. A Tel Aviv sono iniziati i controlli sulle persone e sui bagagli, oltre 3 ore di pratiche per raggiungere l’autobus e iniziare il nostro tour. La Palestina è un paese pieno di contraddizioni, odio e amore, di sentimenti che non potranno mai essere coniugati insieme. la città di Betlemme dove e’ nato Gesu’ e’ circondata da mura tipo Berlino, i palestinesi che vivono lì sono prigionieri di questa citta’ sacra dove e’ nato Gesu’, non possono uscire o entrare, e i turisti vengono controllati dai soldati armati di mitra e grosse pistole, insomma un vero dramma. Al ritorno l’allegria della partenza era svanita, provavo tanta tristezza nel vedere che proprio la terra dove era nato Gesu’ era cosparsa di odio per i propri simili…! Alla fine ho pensato: MI FANNO PENA TUTTI, sia palestinesi che israeliani, penso anche che il buon Gesu’ non voleva tutto questo! Ho parlato molto con la guida che era arabo cristiano, risiede a Israele, ed e’ convinto che questa pace in Medio Oriente non cesserrà mai per 3 motivi fondamentali: La religione, la divisione di Gerusalemme e il rientro di ben 4 milioni di palestinesi che vivono all’estero…! In breve tanti motivi che porteranno sempre alla guerra. Ho visitato BETANIA, in arabo AZARIYEH, un sobborgo della CISGIORDANIA dove e’ stato battezzato Gesu’ e dove e’ resuscitato Lazzaro, ho visitato la sua tomba e la stupenda chiesa di SAN LAZZARO dove i francescani la custodiscono in maniera efficiente .Questa e’ una citta’ abbandonata a se stessa, le tasse non vengono pagate, non esiste un Governo, non esiste un tribunale ( per ironizzare la citta’ ideale), non esistono scuole, un furto non viene punito, un omicidio viene giudicato da una giuria di gente comune composta da 5 o 6 persone, ma generalmente assolvono l’imputato, i bambini assaltano gli autobus turistici solo per un chewing gum o una caramella. L’accompagnatore turistico ha esortato a lasciare qualsiasi oggetto e valore sul mezzo di trasporto il quale era ben custodito dall’autista armato, ma ha anche consigliato di portare qualche euro per comprare qualcosina per non indispettire i venditori. 50 cartoline solo 1 euro. Le abitazioni sono fatiscenti, un monolocale con materassi a terra è abitato da 5 o 6 persone, nella stessa stanza in un angolo c’è una specie di gabinetto e nell’altro angolo un forno a legna per cucinare.

 

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Sabrina Carbone

Un video che registra l’esecuzione di autotrasportatori siriani in un deserto iracheno autostradale mostra il un nuovo leader di al-Qaeda a volto scoperto: Shaker al-Wahiyib Fahdaoui un iracheno di 27 anni. Fino alla sua morte, nel 2006, l’uomo che aveva seminato il terrore in Iraq era Abu Musab al-Zarqawi, leader di Al-Qaeda, noto per la sua crudeltà e i suoi attacchi contro la popolazione sciita. Ma, il 25 agosto, è stato diffuso un video che mostra l’assassinio, il 2 giugno, di tre autotrasportatori siriani su una autostrada in Iraq occidentale, il terrore ha un nuovo volto: quello di Shaker al-Wahiyib Fahdaoui un iracheno di 27 anni. Il video, pubblicato su YouTube e la prima trasmissione in TV mostra quattro piloti Fahdaoui che interroga quattro piloti allo scopo di conoscere la loro appartenenza religiosa. I tre camionisti avevano dichiarato inizialmente che erano sunniti per non essere scoperti, secondo la televisione, in realtà sono alawiti, un ramo dello sciismo al quale appartiene il clan del Presidente siriano Bashar al-Assad in lotta contro i ribelli, compresi quelli legati ad Al-Qaeda. Fahdaoui h allineato questi tre uomini lungo la strada e li ha freddati con un alcuni colpi, prima di rilasciare il quarto, che è un sunnita. Ma mentre Fahdaoui ha svelato il suo volto, i suoi uomini indossano i passamontagna. “E’ l’unico uccide che a volto scoperto. E ‘pericoloso e astuto”, ha dichiarato il colonnello Dwaij Yassin, capo dei servizi segreti per la polizia nella provincia di Al-Anbar nei paesi occidentali. L’operazione è stata svolta in pieno giorno, e gli aggressori non sembravano preoccuparsi della possibile presenza delle forze di sicurezza sull’autostrada. Fahdaoui, indossa come i jihadisti, pantaloni larghi, una lunga barba e una kefiah.fahrdaoui-al-qaida

Una nuova generazione “ancora più estrema”

Fahdaoui ha forgiato la sua reputazione combattendo contro le forze USA, prima di essere arrestato e detenuto nel sud del paese. Condannato a morte e incarcerato nel nord, è riuscito a fuggire nel 2012. Nei mesi a seguire, è apparso sempre di più in pubblico, mentre il Governo lo reputa il responsabile di un numero crescente di attacchi. Cercando di sfruttare le proteste sunnite anti-governative che hanno colpito la provincia di Anbar (ovest) da dicembre, ha anche fatto un apparizione pubblica lo scorso mese di marzo a Falluja dove lo hanno ripreso, mentre recitava una poesia. Le autorità hanno messo sulla sua testa una taglia di US $ 50 000 per la sua cattura, ma senza successo. Nel mese di maggio, le autorità lo hanno accusato di essere all’origine del rapimento di 16 agenti di polizia avvenuto lungo la strada che ricollega la Giordania all’Iraq. Dodici di loro sono stati uccisi e quattro invece sono rimasti feriti. In seguito alla diffusione dell’ultimo video, Fahdaoui è probabilmente diventato l’uomo più iconico dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (EIIL), il ramo iracheno di al-Qaeda. “Il terrorista che ha ucciso i driver è oggi una delle figure più pericolose di Al Qaeda”, ha avvisato un generale militare citato da AFP, parlando in anonimato. “Fa parte di una nuova generazione, come a suo tempo Zarqawi, ma è ancora più estremista,” ha aggiunto. Zarqawi, era un giordano noto per i suoi metodi brutali, aveva finito per alienarsi molte tribù sunnite della regione, e aveva anche litigato con alti dirigenti di Al Qaeda. Prima di essere ucciso da un drone statunitense a giugno del 2006, è spesso apparso in video on-line che lo mostravano nei campi jihadisti o mentre sparava con una automatica a vuoto. Dopo la sua morte e la decisione delle forze statunitensi di reclutare ausiliari tra le tribù sunnite della regione, la sicurezza nella provincia è gradualmente migliorata. Ma il malcontento della tribù nei confronti del Governo, la vicinanza degli jihadisti in Siria e la ripresa di attentati in Iraq hanno rinnovato l’insicurezza. Source: http://www.france24.com/fr/20130829-chaker-wahiyib-al-fahdaoui-nouveau-visage-al-qaida-irak-al-zarqaoui-djihad-terrorisme-syrie

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Sabrina Carbone

Secondo l’ebdomadario ‘Der Spiegel’, l’Agenzia di sicurezza americana ha forzato l’accesso al sistema di comunicazione criptato delle Nazioni Unite
Dove voleva arrivare la NSA? Mentre i funzionari degli Stati Uniti hanno riconosciuto Mercoledì, 21 agosto, che l’agenzia di sicurezza degli Stati Uniti (NSA) ha violato la legge, il settimanale tedesco ‘Der Spiegel’ ha rivelato Domenica, 25 agosto, che la NSA ha forzato l’accesso al sistema di videoconferenza interna delle Nazioni Unite. Il quotidiano tedesco, che aveva rivelato alla fine di giugno che la NSA aveva spiato l’Unione europea, cita alcuni documenti riservati dell’agenzia. L’intercettazione delle comunicazioni ha portato ad un “drammatico aumento della quantità di dati delle teleconferenze e ha permesso quindi di decodificare i dati,” è scritto in un documento del NSA, citato dal settimanale. Gli articoli precedentemente pubblicati sul settimanale tedesco e sul quotidiano britannico ‘The Guardian’, fanno riferimento ad alcuni documenti di Edward Snowden, i quali descrivevano nei dettagli come la NSA aveva preso di mira gli uffici dell’Unione Europea a Bruxelles, la missione diplomatica a Washington e la delegazione dell’Unione europea presso le Nazioni Unite a New York. Le rivelazioni sul programma chiamato PRISM, che permetteva di intercettare e-mail, telefonate e ricerche su Internet, aveva suscitato grande scalpore in Europa.

Spionaggio cinese

L’agenzia, che è stata per diversi mesi nel cuore di fughe di documenti segreti tramite Edward Snowden che rivelano la portata del sistema di monitoraggio degli Stati Uniti, è entrata nel sistema della Nazioni Unite durante l’estate del 2012, secondo lo Spiegel. In tre settimane, il numero delle comunicazioni decifrate dai suoi servizi è aumentato da 12 a 458. Il settimanale cita un’altra relazione interna in base alla quale la NSA aveva sorpreso il servizio segreto cinese a spiare le comunicazioni delle Nazioni Unite nel 2011. L’amministrazione Obama ha cercato per settimane di difendere i programmi di sorveglianza condotti dalle telecomunicazioni NSA dopo le clamorose rivelazioni dell’ex consulente statunitense Edward Snowden, ora in esilio in Russia e voluto da Washington per spionaggio.

Source: http://www.lepoint.fr/monde/la-nsa-accusee-d-avoir-espionne-l-onu-25-08-2013-1717216_24.php

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Sabrina Carbone

Il Pentagono ha già mobilitato le navi da guerra in preparazione a un possibile attacco missilistico contro la Siria . L’operazione è limitata, dal momento che il Presidente, Barack Obama, teme di entrare in un altro conflitto nella regione. Infatti, il Premier degli Stati Uniti ha avuto un incontro questa mattina alla Casa Bianca con i suoi consiglieri della sicurezza nazionale per discutere le opzioni militari in Siria, hanno indicato fonti della residenza ufficiale citata da Efe. Obama ha espresso una certa cautela per quanto riguarda l’intervento militare degli Stati Uniti senza il sostegno delle Nazioni Unite, in risposta al presunto utilizzo, Mercoledì scorso, di gas tossici da parte del regime del Presidente siriano Bashar al-Assad contro i ribelli che combattono il suo Governo. L’autorità governativa è divisa, ma la US Navy ha già assunto le sue posizioni e ha aggiornato i suoi obiettivi militari in Siria. Il Capo di Stato Maggiore, Martin Dempsey, dovrà presentare le opzioni al Presidente, Sabato, secondo la CBS, che ha annunciato Venerdì le informazioni più dettagliate aggiornate sui preparativi degli ultimi mesi. Gli obiettivi individuati sono i bunker e le piattaforme per il lancio di armi chimiche. I servizi di intelligence degli Stati Uniti hanno rilevato l’attività in impianti chimici Martedì scorso, il giorno prima dei presunti attacchi a est di Damasco. Il Segretario della Difesa, Chuck Hagel, ha confermato gli ultimi movimenti militari. “Il Dipartimento della Difesa ha la responsabilità di presentare le opzioni al Presidente per ogni eventualità”, ha dichiarato Hagel ai giornalisti che viaggiavano con lui in Malesia. “Tutto ciò richiede di posizionare le nostre forze, e le nostre risorse per svolgere le varie opzioni, indipendentemente dalla scelta del Presidente”, il quale ora ha l’ultima parola e ha il compito di immischiarsi il meno possibile e sempre con gli alleati europei e arabi. Nella sua prima reazione pubblica per il presunto attacco chimico che ha ucciso più di mille persone Mercoledì alla periferia di Damasco, Obama ha messo in evidenza le difficoltà sopra l’urgenza di intervenire per fermare il massacro. “La situazione in Siria è molto difficile, e l’idea che gli Stati Uniti sono in grado di risolvere un problema settario e complesso è esagerato”, ha commentato il Presidente Venerdì su CNN. “A volte le persone richiedono una azione immediata, lanciandosi in qualcosa che non finisce bene immischiandosi in situazioni che possono portare a interventi molto costosi, difficili e gravi alimentando in questo modo un risentimento nella regione”, ha precisato Obama. “Rimaniamo la nazione indispensabile. Ma questo non significa che dobbiamo essere coinvolti in tutto in una volta”, ha insistito il Presidente, sotto l’ombra della brutta esperienza della amministrazione Bush in Iraq. “Se l’America sta andando ad attaccare un altro paese senza aver ricevuto il mandato delle Nazioni Unite, senza una chiara prova da presentare, le verrà chiesto se la legislazione internazionale supporta tutto questo, se abbiamo una coalizione che funziona”, ha continuato Obama, che ha anche ricordato le “decine di miliardi” che continueranno a spendere in Afghanistan e le vittime del conflitto: “Ogni volta che visito i soldati feriti al Walter Reed (l’ospedale militare nel Maryland), ogni volta che firmo un documento per una vittima di quella guerra, ricordo che ci sono dei costi”. Nel 2012, il Presidente aveva asserito che l’uso di armi chimiche era una “linea rossa” per Washington. A primavera, il Pentagono aveva annunciato che il regime siriano aveva usato il sarin, ma da allora i militari americani hanno lavorato solo sulle opzioni di attacco che il Presidente e alcuni dei suoi collaboratori hanno rifiutato di approvare. Secondo il New York Times, il Premier ha avuto un lapsus nel menzionare pubblicamente la linea rossa dal momento che l’idea era quella di trasmettere questo messaggio alla Siria in privato. Obama insiste sulle pressioni diplomatiche affinchè gli ispettori delle N. U. indaghino, anche se ammette che non auspica in una “collaborazione” del regime di Assad, il quale sostiene che gli attacchi sono una trappola orchestrata dagli avversari.


Source:http://www.elmundo.es/america/2013/08/24/estados_unidos/1377301255.html

Sabrina Carbone

Un nuovo caso di stupro ha sconvolto l’India, questa volta la vittima è stata una giovane fotoreporter, di 23 anni. Giovedì, 23 agosto, una giovane fotoreporter mentre era dedita a realizzare un reportage in una zona industriale sita in un quartiere chic di Bombay, accompagnata da uno dei suoi colleghi, ha subito una violenza di gruppo. Secondo i media indiani, il giornalista che la accompagnava è stato aggredito, gli hanno legato i piedi e le mani e successivamente hanno abusato della giovane donna. La fotoreporter è stata trasportata nel Nosocomio della città a causa di ferite interne, hanno raccontato le fonti mediche alla stampa. Il suo stato è stato giudicato stabile e fuori pericolo. La polizia della città indiana, ha arrestato uno dei cinque presunti autori e ha identificato gli altri quattro. “Grazie alle descrizioni fornite dalla vittima e dal suo collega, siamo riusciti a rintracciare uno dei sospettati, che ha negato di essere presente sul luogo dell’aggressione”, ha dichiarato il capo della polizia di Bombay, Satyapal Singh. In aggiunta ha sottolineato che gli altri quattro aggressori sono ricercati dalla polizia e i loro identikit sono stati divulgati a livello stampa, oggi venerdì, 23 agosto. Il Ministro degli Interni, Raosaheb Ramrao Patil, in seguito all’accaduto è andato subito in ospedale a trovare la giovane fotoreporter, e uscendo ha dichiarato: “Ciò che è accaduto è un fatto grave, i colpevoli saranno presto presi”. Lo scorso dicembre, la violenza su una studentessa di 23 anni, aveva provocato una vasta mobilizzazione popolare in India, volta a denunciare la frequenza delle aggressioni sessuali nel paese e l’impunità della quale beneficiano i loro autori. I manifestanti avevano puntato il dito contro la mancanza d’interesse della polizia e dei nosocomi verso le vittime. A marzo di quest’anno una legge è stata approvata dal Parlamento indiano, la quale rinforza le sanzioni contro le violenze, le molestie e le aggressioni realizzate con l’acido. Nonostante le misure prese, le testate giornalistiche hanno riportato ugualmente casi di stupro, come quella di una turista svizzera che è stata violentata da sei uomini, mentre era in viaggio con il marito nell’India centrale. Nel mese di aprile, la scoperta di una bambina di cinque anni che ha subito violenza ha riportato il paese nel caos. Questi gravi incidenti non fanno onore all’essere umano, e soprattutto alla dignità umana, l’India è un paese comunque basato sul turismo e questi gravi casi non lo alimentano.

Source: http://www.france24.com/fr/20130823-inde-bombay-viol-collectif-journaliste-photographe-crime-agression-sexuel-hopital-scandale

Sabrina Carbone

Costa D’Avorio: La crisi politica nella quale la Costa d’Avorio è caduta dal 2001 ha seriamente aggravato la situazione umanitaria. Secondo uno studio pubblicato dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) nel 2008, in questo tempo di guerra, la violenza contro le donne è stata aggravata, e ha colpito il 67% di loro. La violenza sessuale è stata usata come arma da guerra, e sia le vittime che i sopravvissuti a una violenza di questo genere hanno affrontato molte sfide quasi insormontabili, tra le quali: a) Il trauma fisico e psicologico, e i relativi materiali medici; b) carenze del sistema giudiziario che ha lasciato impuniti alcuni crimini; c) l’insufficienza delle risorse finanziarie atte a coprire l’elevato costo dei certificati medici, le spese dei psicologi e i farmaci da prescrizione; d) un mancato sistema di sicurezza mirato a proteggere i superstiti, che ha scoraggiato molte vittime a farsi avanti e a chiedere aiuto.

Azioni

Il conflitto in Costa d’Avorio ha registrato un esodo di 17.135 funzionari e di altri dipendenti, sconvolgenti servizi sociali o making off, un assente funzionamento dei servizi statali vitali, lasciando le povere vittime al dì fuori di qualsiasi aiuto. Il progetto ha adottato un approccio globale, concentrandosi su tre aree di azione: L’istituzione dei centri di trattamento di cura integrata, che offrono tutto a partire dalla assistenza medica, psico-sociale, economica, legale e giudiziaria, per aiutare le vittime dei centri a integrarsi completamente. I centri sono situati nelle principali città delle tre regioni (Bouaké, Korhogo, e Dabakala), e con uno staff composto da un team multidisciplinare di specialisti. L’introduzione di progetti di generazione di reddito riguarda i gruppi di donne vittime della violenza basata sul genere che sono ospitate nel loro interno. Il progetto ha incoraggiato le vittime a partecipare con le associazioni e a rompere il loro isolamento o la loro stigmatizzazione, promuovendo la responsabilizzazione finanziaria. La formazione dei partner: Per rafforzare l’efficienza, il progetto ha formato sei organizzazioni non governative (AWECO, Organizzazione Nazionale per il bambino, la donna e l’organizzazione familiare per lo sviluppo delle attività delle donne, riunite, Orizzonte Verde, Organizzazione per i diritti umani e la solidarietà Africa), le quali sono state adeguatamente equipaggiate in modo che possono fermare il fenomeno della violenza basata sul genere, in maniera efficace.

Impatti

Creazione di un sistema di rinvio e di riferimento contro-innovativo, attraverso il quale il paese può, in futuro, prestare maggiore attenzione alla violenza di genere. Creazione di un database di indicatori sull’uguaglianza (accesso all’istruzione, alla occupazione e alla salute, censimento delle violenze). La riabilitazione e la fornitura di attrezzature di ostetricia e ginecologia presso due ospedali regionali, la creazione di quattro centri di trattamento di cura integrate (assistenza sanitaria, consulenza psicologica, assistenza legale), e le attrezzature di riabilitazione e di forniture di 8 centri di assistenza e di 8 centri sanitari per farsi carico della gestione materna e infantile, gli ufficiali di formazione e 300 assistenti sociali che offriranno le cure sociali e sanitarie alle vittime della violenza di genere, come anche 150 poliziotti, 42 agenti giudiziari e 136 leaders comunitari per quanto riguarda l’assistenza giuridica e giudiziaria. Oltre 1,5 milioni di persone sono a conoscenza dei problemi della violenza di genere.

Testimonianze
“Gli uomini che pensavano che avevano il permesso di picchiare le loro mogli per correggerli ora sono meglio informati. Le donne che pensavano che il loro posto era in casa iniziano a capire che hanno altre opzioni. Sempre più donne ora capiscono che hanno le stesse opportunità, al pari degli uomini”- Local agente AWECO, Moyen Cavally Guiglo. ”Al giorno d’oggi, gli uomini sono impegnati nella lotta contro le mutilazioni genitali femminili nelle comunità. Il tabù è stato rotto!

Sabrina Carbone

Il Qatar ha pagato 7 miliardi dollari ai Fratelli Musulmani. In risposta, l’Arabia Saudita ha donato 12 miliardi di dollari all’esercito. Storia di una lotta discreta, senza grazie.
E’ palese oramai perché gli Stati Uniti e l’Unione europea lottano per punire il nuovo Governo egiziano dopo la sanguinosa repressione contro i manifestanti pro-Morsi che ha provocato quasi un migliaio di morti in una settimana. Il loro più grande alleato in Medio Oriente, è l’Arabia Saudita che protegge l’esercito egiziano nelle sue attività un anno dopo l’adesione alla presidenza del Fratello Musulmano Mohamed Morsi. “La posizione della comunità internazionale (in Egitto) ha preso una strana direzione, “Era sorpreso Lunedì, 19 agosto, il capo della diplomazia saudita, il principe Saud al-Faisal, che ha anche dichiarato minacciando: “Se saranno mantenute queste posizioni ostili noi non dimenticheremo mai queste posizioni verso le nazioni arabe e islamiche”. L’Unione europea, allo stesso tempo, ha discusso la possibilità di sospendere l’assistenza finanziaria di 5 miliardi di euro che aveva promesso all’Egitto nel 2012, il Ministro saudita ha assicurato che i paesi arabi sono disposti a compensare eventuali sanzioni occidentali.

Riyadh per salvare l’esercito

Già, dopo la rimozione del Presidente islamista Mohamed Morsi avvenuta il, 3 luglio, le monarchie del Golfo avevano promesso al nuovo esecutivo egiziano 12 miliardi, tra cui 5.000 milioni di dollari per l’Arabia Saudita, 4 per il Kuwait e 3 per gli Emirati Arabi Uniti. Un gesto altrettanto vitale per il Cairo che, contrariamente all’aiuto occidentale versato per le consegne di materiale militare o di assistenza alle ONG, i petrodollari del Golfo alimentano direttamente le riserve vuote della Banca centrale d’Egitto. Venerdì, il Re Abdullah ha ampiamente giustificato il suo sostegno al Cairo in nome della “lotta contro il terrorismo, l’estremismo e la sedizione”, cioè la Fratellanza Musulmana. Una presa di posizione inusuale per un paese la cui diplomazia di solito è silenziosa. Principali partner dell’Egitto sotto il vecchio regime in nome dei sunniti dell’asse filo-americano Riyadh-Cairo, i sauditi non hanno digerito il rovesciamento del loro “amico Mubarak”, dopo la rivoluzione del 25 gennaio.

Washington Amico dei Fratelli

“La caduta del Rais è stato un vero trauma in Arabia Saudita, dal momento che gli Stati Uniti hanno dato modo a Mubarak di avvicinarsi di conseguenza ai Fratelli musulmani”, ha rivelato l’analista politico e consulente Karim Sader, uno specialista delle monarchie del Golfo. Guidati dal loro pragmatismo politico, gli americani si sono rapidamente adattati al potere dei Fratelli, tanto più che gli islamisti sono ultraliberali a livello economico e hanno garantito la sicurezza di Israele. Un vero e proprio schiaffo a Riyadh che coltiva una avversione storica per la fratellanza islamica. ”I Fratelli Musulmani formano un movimento islamico giudicato destabilizzatore a causa del suo potenziale rivoluzionario, e sono in grado di sfidare la logica dinastica nel Golfo”, ha commentato David al Point.fr Rigoulet-Roze, un ricercatore presso l’Istituto Analisi Strategica francese (IFA). Abitata da 28 milioni di persone, l’Arabia Saudita, una monarchia assoluta islamista ufficialmente fondata nel 1932 e guidata da allora dalla dinastia Saud, non è stata risparmiata dalle turbolenze della primavera araba.

La paura del contagio

Il paese è ricco di petrolio, ed è stato teatro nel 2011 delle proteste sciite, una popolazione di minoritaranza nel Paese (10%), che ha chiesto la fine delle discriminazioni contro di loro e le quali sono state soffocate da una grande repressione della polizia che ha fatto nove morti. L’arresto a luglio del 2012, di un religioso sciita il quale sosteneva la separazione delle regioni petrolifere  sciite di Qatif e Al-Hassa, tuttavia, ha rilanciato la contestazione. Per quanto riguarda il 90% dei sunniti che abitano il regno, questi sono per lo più giovani, politicizzati e non beneficiano della manna petrolifera. “Tutti gli ingredienti di una primavera sono riuniti in Arabia Saudita”, ha precisato l’analista politico Karim Sader. Ecco perché l’intervento dell’esercito egiziano, sotto la copertura di una rivoluzione popolare, è stato accolto a braccia aperte da Riyadh, il primo paese a congratularsi del nuovo Presidente egiziano di transizione, Adly Mansour. L’Arabia Saudita ha utilizzato rapidamente lo stesso vocabolario bellico che l’esercito aveva usato contro i manifestanti islamici. Il principe Saud al-Faisal li accusa di “aver dato fuoco agli edifici pubblici, di aver ammassato le armi e di aver utilizzato le donne e i bambini come scudi umani nel tentativo di ingraziarsi il pubblico”. E’ vero dunque che il nuovo uomo forte del Paese, il generale Abdel Fattah al-Sisi, è un ex militare egiziano addetto in Arabia Saudita.

Source: http://www.lepoint.fr/monde/comment-le-qatar-et-arabie-saoudite-s-affrontent-en-egypte-21-08-2013-1716008_24.php#xtor=CS1-31

Wikileaks. Bradley Manning condannato a 35 anni di carcere
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Sabrina Carbone03112012739-001

Bradley Manning, è stato condannato per la più grande fuga di documenti segreti nella storia degli Stati Uniti, il soldato americano è stato condannato a 35 anni di carcere Mercoledì, 21 giugno, da una corte marziale. Dopo più di due mesi di prova, il giudice militare, Denise Lind, ha anche deciso il suo licenziamento dall’esercito a causa del “disonore”, e anche per gli atti di spionaggio, per la frode e il furto di circa 700.000 documenti militari e diplomatici classificati, inviati al sito web Wikileaks. Il pubblico ministero aveva chiesto almeno 60 anni di carcere. Questa sanzione, che è destinata a servire come un esempio per tutti i soldati che progetteranno una fuga simile, come era stato richiesto dal Governo degli Stati Uniti per porre fine a un processo fiume, che era stato aperto il 3 giugno, dopo più di un anno di audizioni preliminari.

Manning potrà uscire dal carcere dopo nove anni130821162445978_27_000_apx_470_

E’ la più lunga condanna per la fuoriuscita di documenti riservati. Questa pena può tuttavia essere ridotta con un sistema di libertà vigilata e per buona condotta dopo aver scontato un terzo della condanna. Se questo sistema è favorevole, Bradley Manning potrà quindi uscire di prigione dopo nove anni.

WikiLeaks ha immediatamente salutato una “significativa vittoria strategica”. Source: http://www.ouest-france.fr/actu/societe_detail_-Revelations-de-Wikileaks.-Bradley-Manning-condamne-a-35-ans-de-prison_6346-2221854_actu.Htm

Sabrina Carbone

La tensione in Egitto ha colpito la penisola del Sinai. Lunedì mattina, 19 agosto, almeno ventiquattro poliziotti egiziani sono stati uccisi in un attacco di granate attribuito ai membri dei Fratelli Musulmani radicali. Alcune fonti concordano che, l’attacco ha avuto luogo nel nord del Sinai, vicino al confine tra l’Egitto e Israele. Un convoglio di due minibus che trasportavano alcuni poliziotti egiziani, i quali andavano a prestare servizio presso le loro caserme, è rimasto colpito dal fuoco di alcuni razzi. Almeno ventiquattro di loro sono morti sul posto, mentre altri tre sono rimasti feriti. La penisola del Sinai è un deserto principalmente esteso tra i 30 e i 35.000 metri quadrati ed è una fonte importante di entrate per lo Stato egiziano.

Atto di terrorismo?

L’attacco di Lunedi è stato immediatamente attribuito agli estremisti militanti dei Fratelli Musulmani sostenuti dal movimento palestinese Hamas ed è un atto di ritorsione dopo il rovesciamento del Presidente musulmano Mohamed Morsi. Frédéric Encel, professore a Sciences Po, Parigi, è della stessa opinione: L’esercito egiziano ha annunciato una risposta più dura per le proteste pro-Morsi ”Oggi, è certo che un numero di persone tra i Fratelli musulmani più radicali ha raggiunto la rete. Queste persone creano condizioni di instabilità e di insicurezza e mettono ovviamente in fuga i turisti. Il turismo è la prima risorsa economica per lo Stato egiziano”.

La chiusura del valico di Rafah

L’attacco mortale ha portato alla chiusura del valico di Rafah da parte delle autorità egiziane. Il valico di Rafah rifornisce di alimenti le popolazioni di Gaza controllata dal movimento islamico palestinese Hamas. Questo movimento con tutta ipotesi aiuta gli estremisti egiziani nel Sinai.

Source: http://fr.allafrica.com/stories/201308192255.html

Sabrina Carbone

Questo è un caso che potrà sconvolgere la finora marcia trionfale di Angela Merkel per la sua rielezione attesa per il 22 settembre. Le rivelazioni sul programma di spionaggio Prism US mettere Berlino nei guai. Il Governo sapeva esattamente dell’entità della sorveglianza degli Stati Uniti? Pressata di domande su questo argomento durante la sua tradizionale conferenza stampa di questa estate, svolta Venerdì, 19 luglio, Angela Merkel è rimasta irremovibile aspetto spiegazioni dagli americani, ha dichiarato, in modo succinto, prima di andare in vacanza. “Una risposta corta”, hanno risposto in coro gli osservatori dalla conferenza. Per diversi giorni, la comunicazione del Governo a riguardo ha sfiorato la cacofonia. La posizione iniziale del Cancelliere, che non era a conoscenza di Prism e di conseguenza ha chiesto spiegazioni agli americani, è ora sotto attacco.

Source: http://www.lemonde.fr/europe/article/2013/07/20/l-affaire-prism-perturbe-la-campagne-electorale-d-angela-merkel_3450466_3214.html

Sabrina Carbone

Bob Seldon Lady, soprannominato «Mister Bob”, ex capo della CIA a Milano, condannato a nove anni di carcere per il rapimento di un religioso egiziano, nel 2003 in Italia, è stato arrestato a Panama, ha riferito Giovedi il Ministero italiano della Giustizia, scrive France24. L’imam egiziano Abu Omar, il cui vero nome è Osama Hassan Nasr, era stato rapito in una strada di Milano il, 17 febbraio 2003, nel corso di una operazione coordinata tra il SISMI (Servizio informazioni militare italiano) e la Cia, e in seguito era stato trasferito in Egitto. I suoi avvocati ha rivelato che è stato torturato nel carcere di massima sicurezza dove è stato detenuto in Egitto e aveva chiesto 10 milioni di euro come risarcimento danni.

Roma ha chiesto la sua estradizione

Il Partito Democratico (di sinistra) ha “preso atto con soddisfazione” dell’arresto. Un altro di sinistra che non è un membro della coalizione di Governo, Sinistra e Libertà, ha reclamato l’estradizione della persona responsabile”, un modo tardivo per riaffermare la sovranità sul nostro territorio e il rispetto dei diritti umani fondamentali che sono stati violati durante il rapimento di Abu Omar”. Il Ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, ha firmato una petizione di custodia cautelare contro Bob Seldon Lady, soprannominato «Mister Bob”, al quale sono stati concessi due mesi di tempo per chiedere la sua estradizione. A riguardo, la Corte d’Appello di Milano aveva confermato a dicembre del 2010 le condanne che vanno da sette a nove anni di carcere per 23 agenti, e era stata imposta a «Mister Bob”, che ora ha 59 anni. Tali sanzioni comminate, mentre tutti gli imputati erano fuggiti, erano state confermate nel mese di settembre 2012, dalla Corte di Cassazione. Mentre l’accusa ha sostenuto che le ricerche sono state intentate contro di loro a livello internazionale, il predecessore di Anna Maria Cancellieri ha firmato questa petizione solo per il principale responsabile del rapimento. La Corte d’Appello ha confermato un risarcimento deciso in prima istanza di € 1,5 milioni, di cui $ 1 milione per Abu Omar e il resto andrà a sua moglie. I leader dei servizi di informazione italiana erano stati asssolti in primo grado, e la decisione era stata confermata in appello. Ma in seguito a una sentenza della Corte Suprema, dovranno essere giudicati di nuovo. Il 5 aprile, il Presidente Giorgio Napolitano aveva concesso la grazia a Giuseppe Romano, responsabile della base USA di Aviano, e da dove l’aereo per trasferire l’imam verso il suo paese era partito. Questa decisione, a favore del singolo militare del Pentagono e della NATO condannato in questo caso, è stato accolto favorevolmente dagli Stati Uniti.

Un processo simbolico

Il processo in prima istanza, aperto a giugno del 2007, era altamente simbolico perché è stato il primo in Europa che riguardava il trasferimento segreto tramite la CIA di persone sospettate di terrorismo in paesi noti per la pratica della tortura, dopo gli attentati del 11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Dopo le condanne al processo di novembre del 2009, gli Stati Uniti avevano espresso “delusione”, mentre Amnesty International aveva accolto con favore “un passo avanti”.

Source: http://www.france24.com/fr/20130718-ancien-chef-cia-a-milan-arrete-panama

 


Sabrina Carbone

Il programma destinato a raddoppiare l’accesso alla elettricità in Africa Sub-Sahariana riceverà un finanziamento di 7 miliardi dollari da parte del Governo degli Stati Uniti. L’obiettivo è quello di aumentare la produzione di energia elettrica in Etiopia, in Ghana, in Kenya, in Liberia, in Nigeria e in Tanzania. Il piano unisce varie agenzie governative statunitensi e apporterà almeno 9 miliardi di dollari di investimenti privati, secondo le stime della Casa Bianca. La carenza di energia è uno dei principali ostacoli allo sviluppo in Africa, anche se esporta petrolio e abbonda di gas naturale. Secondo le valutazioni della Agenzia internazionale dell’energia (AIE), servono $ 300 miliardi di dollari per collegare tutta l’energia elettrica sub-sahariana entro il 2030. “L’accesso alla elettricità è fondamentale per varie opportunità ad esempio, i bambini imparano tramite la luce. L’energia permette di trasformare un’idea in un vero e proprio business. E’ l’ancora di salvezza per le famiglie che cercano di soddisfare i loro bisogni più elementari. E questo collegamento è necessario per collegare l’Africa alla rete della economia globale. È necessario disporre di energia elettrica “, ha dichiarato Obama. Inoltre, il Presidente Obama ha annunciato una seconda iniziativa, soprannominata “Africa Trade”, vale a dire, “Il commercio con l’Africa”. Questa nuova partnership con l’Africa sub-sahariana sARà concentrATA in primo luogo in Burundi, in Kenya, in Ruanda, in Tanzania e in Uganda – un blocco di oltre 130 milioni di persone. Tra i suoi obiettivi: Raddoppiare gli scambi all’interno della Comunità dell’Africa orientale (EAC), un aumento del 40% delle esportazioni dalla regione verso gli Stati Uniti, riducendo del 15% il tempo tra i porti di Mombasa e Dar-es-Salaam e i paesi senza sbocco sul mare, come il Burundi e il Ruanda.

Source: http://fr.allafrica.com/stories/201307020348.html

La Russia conferma l’uso delle armi chimiche in siria
Posted on luglio 11, 2013
Sabrina Carbone

La Russia ha confermato l’uso di armi chimiche da parte dei militanti stranieri-backed che combattono contro il governo siriano. Il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha fatto queste osservazioni nel corso di una conferenza stampa a Mosca Mercoledì, 10 luglio. “I nostri esperti hanno prelevato campioni sul posto e li hanno studiati a lungo in laboratorio il quale è certificato dalla Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche e sono giunti alla conclusione che il guscio che conteneva il sarin erano stato fatto in casa”, ha spiegato il Ministro degli Esteri russo. “Secondo le nostre informazioni aggiuntive, queste conchiglie e la sostanza sono state prodotte lo scorso febbraio nel territorio siriano, che a quel tempo era sotto il controllo dell’Esercito siriano libero e sono state realizzate da uno dei gruppi armati affiliati”, ha aggiunto Lavrov. Martedì scorso, l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, ha rivelato in prima persona la prova che dimostra che i militanti, e non l’esercito siriano, hanno prodotto gas nervino sarin e lo hanno usato durante un attacco nei pressi della città di Aleppo a marzo. L’ambasciatore Vitaly Churkin ha citato che gli esperti russi hanno raccolto campioni sul luogo dell’attentato nella regione di Khan al-Assal, dove più di due dozzine di persone, tra le quali 16 soldati siriani, sono morti il 19 marzo. La crisi in Siria ha avuto inizio a marzo 2011, e molte persone, tra le quali un gran numero di soldati e agenti della di sicurezza, sono stati uccisi nel corso delle violenze. Il Governo siriano ha commentato che il caos è stato orchestrato da fuori il paese, e alcuni rapporti testimoniano che un numero molto elevato di militanti sono cittadini stranieri. Damasco, ha chiarito che l’Occidente e i suoi alleati regionali, come il Qatar, l’Arabia Saudita e la Turchia, stanno sostenendo i militanti. In una intervista trasmessa dalla televisione turca nel mese di aprile, il Presidente siriano, Bashar al-Assad, aveva dichiarato che se i militanti saliranno al potere in Siria, gli stessi potranno destabilizzare l’intera regione del Medio Oriente per decenni. “Se i disordini in Siria porteranno alla divisione del paese, o se le forze terroristiche prenderanno il controllo, la situazione inevitabilmente sconfinerà in paesi vicini e creerà un effetto domino in tutto il Medio Oriente e  non solo”, ha concluso. NT / MHB

Source: http://www.presstv.ir/detail/2013/07/10/313239/syria-militants-used-chemical-weapons/

Sabrina Carbone

Le persone dietro la turbina Invelox sostengono che un piccolo soffio di vento può diventare qualcosa di molto più grande. Se hanno ragione, ciò potrà cambiare l’equazione dell’energia rinnovabile. Daryoush Allaei, pensa che il settore dell’energia eolica ha sbagliato tutto. Invece di turbine rivolte verso il cielo, secondo lui, bisogna portare il vento verso il suolo, in forma concentrata. “Questa è la strada giusta. L’industria è sulla strada sbagliata”. “Delivery system Wind” di Allaei Invelox è un grande imbuto che cattura l’aria nella parte superiore, e la spinge attraverso una turbina sul fondo. Il Vento entra a 10 MPH e termina velocemente a 40 MPH, ha dichiarato, ciò significa che è necessario andare su una collina per ottenere delle condizioni ottimali. Secondo SheerWind, la società di Allaei teste, l’imbuto è in grado di produrre il 600% in più di energia rispetto a un dispositivo tradizionale a vento, e con minori costi di installazione e di manutenzione. Ora, se questo sembra troppo bello per essere vero, non c’è ragione per essere scettici. Per uno come, Allaei, è piuttosto evasivo capire ciò che accade esattamente dentro l’imbuto: La combinazione di condotti e tubazioni è un “segreto commerciale”. Tuttavia, il sistema deve ancora essere testato fuori da un gruppo selezionato. Eppure, Allaei insiste sull’idea che è fondata sulla scienza provata, in particolare sull’effetto Venturi. L’effetto Venturi (o paradosso idrodinamico) è il fenomeno fisico per cui la pressione di una corrente fluida aumenta con il diminuire della velocità. È possibile studiare la variazione di pressione di un liquido in un condotto, inserendo dei tubi manometrici. L’esperimento dimostra che il liquido raggiunge nei tubi altezze diverse: minore dove la sezione si rimpicciolisce (in cui aumenta la velocità) e maggiore quando la sezione si allarga (ovvero quando la velocità diminuisce). Dal momento che la pressione del liquido aumenta all’aumentare dell’altezza raggiunta dal liquido nei tubi manometrici, è possibile dire che ad un aumento della velocità corrisponde una diminuzione della pressione e viceversa, cioè all’aumento della pressione corrisponde una diminuzione della velocità. Inoltre, l’energia concentrata segue l’esempio di altre forme di potere. “Il motivo della scelta dei combustibili fossili che sono attualmente a buon mercato è che la fonte di energia è stata concentrata per milioni di anni”, spiega. “E’ possibile migliorare le capacità dei pannelli solari utilizzando specchi e lenti per concentrare la loro fonte. Se siete alla ricerca di altre idee folli per il futuro dell’energia eolica, non guardate oltre il Windstrument. L’ultima versione dell’Invelox è di 60 metri di altezza e circa 6,5 ​​metri di diametro.


Source: http://www.fastcoexist.com/1682082/this-strange-looking-funnel-may-be-the-future-of-wind-power-or-not#1

Sabrina Carbone

Possiamo scatenarci a emettere sentenze sulla violazione della nostra privacy, ma alla fine saremo sempre e costantemente sotto la lente di ingrandimento delle grandi potenze. Questo è il risultato che emerge da un documento recentemente emesso dalla Agenzia Centrale di Intelligence (CIA). HispanTV, pubblica sul suo sito web che la Russia continua a perseguire la sua politica di spionaggio e ascolta tutti i paesi del mondo a iniziare dall’era sovietica. L’informazione è stata rivelata dallo storico Matthew Aid. La documentazione appartiene al Servizio Federale di Sicurezza della Russia (FSB, ex KGB), la quale segnala i punti dove sono state installate, nei vecchi paesi membri della Unione Sovietica, le emittenti radio. Aid assicura che queste emittenti hanno il dovere di monitorare le comunicazioni degli EE.UU, dell’Europa e praticamente di qualsiasi paese del mondo che per la Russia assumono una certa importanza, oltre a ciò redatta in modo esaustivo i dati importanti. L’informativa arriva dopo che Snowden, ex agente statunitense di Intelligence, aveva filtrato agli inizi dello scorso mese di giugno, i documenti segreti i quali mettevano in evidenza che lo spionaggio portato a termine dalla Casa Bianca tramite il progetto detto PRISM, ha permesso ai servizi segreti statunitensi di accedere ai dialoghi privati avvenuti su Facebook, Google, Skype e altri servizi online. Da quando il settimanale tedesco ‘Der Spiegel’ documentandosi sugli atti rilasciati da Edward Snowden, ha assicurato che l’Ufficio della delegazione dell’Unione Europea (UE) a Washington e l’UE sono stati oggetto di spionaggio dei servizi segreti statunitensi, le relazioni tra gli EE.UU e l’UE sono deteriorati, concude HispanTv. Morale: Mata-Hari icona dello spionaggio è stata tradita dagli stessi tedeschi e dopo che era stata incarcerata dai francesi veniva processata e fucilata nel fossato del Castello di Vincennes, ma lo spionaggio continua a esistere.

Source: http://www.hispantv.ir/detail.aspx?id=232223

L’opposizione siriana invoca l’aiuto internazionale per soccorrere Homs.
Posted on luglio 9, 2013
Sabrina Carbone

http://www.france24.com/fr/20130705-armee-syrie-assaut-homs-opposition-rebelles-armes-aide Le forze di Bachar al- Assad, continuano il loro assalti sulla città di Homs, ma senza una reale apertura. Riunita a Instanbul, l’opposizione siriana ha lanciato un appello alla comunità internazionale in base al quale viene imprecato ai combattenti di questa città di consegnare le loro armi. Dopo Instanbul, dove ha avuto luogo la riunione per due giorni allo scopo di designare un nuovo leader, la Coalizione dell’opposizione siriana ha implorato nella tarda serata di giovedì, 4 luglio, l’aiuto della comunità internazionale. Ha invocato di consegnare le armi per impedire la caduta della città di Homs, al centro della Siria, sotto il fuoco della armata, fedele al presidente Bachar al-Assad. “Questo è un appello politico, etico e umanitario. Invochiamo un intervento immediato per evitare che la sede di Homs cada sotto la minaccia di una partizione”, ha dichiarato alla stampa Farh al-Atassi, uno dei membri della Coalizione riunita a Instanbul. “In nome degli abitanti di Homs, noi facciamo appello allo stato-maggiore dell’Armata siriana , ai paesi del CCG (Consiglio di cooperazione del Golfo), di fornire ai combattenti del fronte di Homs e di tutta la Siria armi sofisticate per rispondere alla aggressione di Assad”, ha aggiunto.

L’assalto continua a Homs in stato di assedio

Dopo aver ripreso Qousseir ( nel centro-ovest della Siria, nei pressi della frontiera libanese), le truppe del Presidente Assad e Hezbollah hanno lanciato il 29 gennaio una nuova offensiva contro la città di Homs (centro), un blocco di chiusura strategico tra il nord e il sud del paese. In seguito a ciò, l’aviazione siriana ha bombardato senza tregua Homs, nel centro del paese, mentre i soldati sul territorio erano incapaci e sono rimasti incapaci di penetrare nei quartieri ribelli, ha indicato l’Osservatorio siriano dei diritti dell’Uomo (OSDH). “Acuni combattimenti sporadici sono stati sviluppati nei dintorni di Khaldiyè” ha precisato l’ONG siriana che beneficia di una larga rete di militanti attraverso la Siria. Il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha invitato i belligeranti a rilasciare i civili, bloccati a Homs, a lasciare la città e a fornire i soccorsi. In aggiunta ha “Pregato i combattenti di fare il massimo per evitare ulteriori perdite tra i civili e di autorizzare un accesso umanitario immediato, come anche di offrire la possibilità ai civili di partire senza la paura di essere perseguiti”. Secondo l’OSDH, oltre 100.000 persone sono morte nel conflitto da marzo del 2011.

Source: http://www.france24.com/fr/20130705-armee-syrie-assaut-homs-opposition-rebelles-armes-aide?ns_campaign=editorial&ns_source=RSS_public&ns_mchannel=RSS&ns_fee=0&ns_linkname=20130705_armee_syrie_assaut_homs_opposition_rebelles

Sabrina Carbone

Il suo vero nome è Maria Rosa, ha 14 anni e non gioca più con le bambole come fanno le altre ragazze della sua età, è solita alzarsi alle quattro del mattino per preparare il mais, andare al mulino e mettersi al lavoro per preparare le tortillas, il pane dei paesi dell’America centrale come il Guatemala. Dalle prime ore del mattino carica sulle sue spalle sua figlia, che ora ha un anno e quattro mesi. Il suo futuro è ipotecato, basti pensare che lei ogni giorno deve garantire il cibo a lei e alla sua prole. A causa della rassegnazione atavica dei popoli sottomessi, Maria Rosa, che appartiene allo strato etnico Maya-Quiché, racconta che da quando aveva solo 12 anni era innamorata di un ragazzo il quale le aveva detto che era single. Il fidanzamento era avvenuto abbastanza presto e in seguito a ciò era rimasta incinta. Era ancora bambina per capire il suo stato, ma una delle sue sorelle le aveva rivelato che era incinta. Data la tenera età della ragazza, allora 13 anni, avevano dovuto segnalare la gravidanza e lo sposo era stato citato in tribunale dalla famiglia. “E’ stato molto doloroso vederlo arrivare alla audizione con la moglie e i suoi tre figli”, spiega Maria Rosa, aggiungendo che il giudice aveva stabilito che il padre doveva riconoscere il bambino e passargli gli alimenti, e il convenuto aveva accettato e firmato il verbale. Poche settimane dopo era emigrato negli Stati Uniti illegalmente, lasciando la madre e il bambino in totale impotenza. Ma il calvario non era terminato per María Rosa. Sua madre era morta improvvisamente, e suo padre aveva cercato una nuova partner. Sola e abbandonata, aveva cercato rifugio nella casa della nonna, dove ha trovato un angolo per dormire. Da allora l’estrema povertà la obbliga a lavorare per 16 ore al giorno allo scopo di garantire i mezzi di sussistenza minimi: Tortillas di mais con sale. Dal momento che è minorenne, non può registrare sua figlia nel Registro Civile e sia il padre che la nonna si rifiutano di farlo per suo conto. Il suo bambino è giuridicamente inesistente. Questa tragedia non è un caso isolato. Il problema tende a crescere e le statistiche lo confermano. Finora nel 2013 nell’ospedale regionale di Quetzaltenango, la seconda città del Guatemala a 206 km a nordovest della capitale, otto ragazze di età compresa tra i 10 e i 12 anni hanno dato alla luce dei bambini. Una media di circa 60 minori che frequentano una volta al mese il centro ostetrico. In provincia le cure ospedaliere sono minime. La maggior parte delle nascite sono assistite dalle levatrici (ostetriche). Aura Elia, che vanta 25 anni di esperienza, ha riferito che effettua mensilmente una media di cinque parti di bambine sotto i 14 anni.

Figure di scandalo

Secondo le statistiche del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia ( UNICEF) nel 2012 sono stati segnalati 54.971 casi di nascite a 19 anni. “Di questi, 3.771 erano ragazze di età compresa tra i 10 e i 14 anni”, ha asserito il rappresentante della organizzazione in Guatemala, Christian Skoog, sottolineando che lo scorso anno sono state documentate nascite di 32 ragazze di 10 anni di età. Le statistiche delle Nazioni Unite elaborate in Guatemala, in Nicaragua e in Honduras ammoniscono che questi sono i paesi dell’America Latina che hanno il maggior numero di gravidanze tra le minorenni. “Il Guatemala ha la più alta percentuale. Nel senso che è tra i primi dieci paesi al mondo con i maggiori casi documentati”, ha scandito Skoog. Il fenomeno influenza anche il numero delle morti materne e il Guatemala è uno dei punti più alti al mondo: 139 morti su 100.000 nascite. La vicina Costa Rica enumera solo 30 casi segnalati. Per l’UNICEF, la mancanza di accesso alla istruzione è la causa principale di questo fenomeno. “C’è un crescente impegno nel migliorare l’accesso alla educazione, ma è ancora insufficiente senza una istruzione di qualità”, ha commentato l’esperto. Le Statistiche Unicef ​​riportano che il Guatemala, il Nicaragua e l’Honduras sono i paesi dell’America Latina con il più alto numero di madri adolescenti. “In Guatemala c’è un buon quadro giuridico, ma le entrate dello Stato sono insufficienti per farlo funzionare”, sottolinea preoccupato per le circostanze drammatiche che affrontano queste bambine-madri e i loro neonati. “In adolescenza, una donna non è fisicamente in grado di nutrire adeguatamente un bambino, sono casi estremi che compromettono la nascita e il futuro di ogni bambino”, ha concluso Skoog.

Source: http://amnistia.me/profiles/blogs/crece-el-n-mero-de-ni-as-embarazadas-en-guatemala

Sabrina Carbone

Sette membri di Hamas sono stati arrestati al Cairo dopo essere stati catturati con le auto cariche di esplosivo che dovevano essere utilizzate in una serie di attentati in Egitto, ha rivelato un alto funzionario dell’Intelligence egiziana per WND . L’ufficiale ha dichiarato che uomini armati di Hamas stavano lavorando in collaborazione con i membri della Fratellanza Musulmana in attesa di una decisione da parte dei leader all’interno del gruppo islamico di ordinare attentati nel corso di una rappresaglia allo scopo di espellere alcuni militari del Presidente Mohamed Morsi dopo diversi giorni di massicce proteste popolari. Le informazioni sono giunte dopo che WND aveva riferito che la Fratellanza stava studiando la formazione di un’ala militare chiamata a compiere attacchi terroristici, informa un alto funzionario della sicurezza egiziana, il quale ha tra l’altro precisato che i membri della Fratellanza musulmana stanno escogitando una strategia per dimettersi formalmente come membri della Fratellanza Musulmana allo scopo di dirigere gli attacchi, destinati anche contro i luoghi turistici egiziani. La proposta dell’ala militare della Fratellanza è stata nominata Al-Gama’a al-Islamiya, un gruppo terroristico fondato dai famosi Fratelli Musulmani egiziani, ha continuato il funzionario. Il gruppo, Al-Gama’a al-Islamiyya, è sospettato di essere coinvolto nell’assassinio del 1981 del Presidente Anwar Sadat, e ha preso di credito in seguito al tentativo di omicidio del 1995 del Presidente egiziano Hosni Mubarak. Hanno condotto decine di attentati terroristici sanguinosi, alcuni dei quali sono stati diretti verso turisti stranieri.

Font: http://www.wnd.com/2013/07/hamas-operatives-arrested-with-explosives-in-cairo/

 

Sabrina Carbone

Gli oppositori del Presidente egiziano, Mohamed Morsi, hanno protestato in piazza Tahrir al Cairo, il 2 luglio 2013. Quasi 100 donne sono hanno subito aggressioni sessuali in piazza Tahrir durante i quattro giorni di proteste contro il Presidente egiziano islamista, Mohamed Morsi, ha dichiarato Human Rights Watch Mercoledì, 3 luglio. HRW, ha riferito in una dichiarazione che, “Sono state aggredite sessualmente e in alcuni casi stuprate almeno 91 donne in piazza Tahrir in un clima di impunità”, e ha citato i dati della Amministrazione egiziana Anti-sessuale, che gestisce un numero verde per le vittime che subiscono violenze sessuale. I dati confermano che sono stati 46 gli attacchi contro le donne nei giorni di Domenica, e più precisamente 17 sono stati quelli di Lunedì e 23 quelli di Martedì. Un altro gruppo per i diritti delle donne, Nazra degli Studi femministi, ha riferito che sono stati registrati altri cinque attacchi Venerdì, pubblica HRW. La vigilanza, ha invitato i funzionari egiziani e i leader politici “A condannare e a prendere misure immediate per affrontare i livelli orribili di violenza sessuale” avvenuti nella iconica piazza. ”Gli attacchi sessuali sfrenati durante le proteste di piazza Tahrir evidenziano il fallimento del Governo e di tutti i partiti politici nell’affrontare la violenza alla quale le donne in Egitto su base giornaliera negli spazi pubblici sono soggette”, ha ammonito Joe Stork, Vice direttore per il Medio Oriente di HRW. ”Questi sono crimini gravi che ostacolano le donne a partecipare pienamente alla vita pubblica dell’Egitto portando verso un punto critico lo sviluppo del Paese”. Diverse donne hanno richiesto l’intervento chirurgico dopo gli attacchi, alcune sono state “picchiate con catene di metallo, bastoni e sedie, e sono state aggredite con coltelli”, ha riportato HRW. La risposta del Governo è stata quella di “minimizzare l’entità del problema o per lo meno ha cercato di affrontare la questione da solo”, mentre ciò che è realmente necessario è che gli attaccanti devono essere portati davanti alla giustizia, ha commentato HRW. Alcuni hanno rivelato che gli attacchi sono stati inscenati dai criminali che hanno abusato di un vuoto della sicurezza e sono fiduciosi di sfuggire dalle accuse. Altri invece hanno menzionato che gli assalti sono stati organizzati per spaventare le donne allo scopo di renderle partecipi alle proteste e di macchiare l’immagine delle manifestazioni anti-governative.

Font: http://uk.news.yahoo.com/almost-100-women-sexually-assaulted-cairo-hrw-091021100.html#WTdhTfZ

Sabrina Carbone

In occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile Mercoledì, 12 giugno, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha pubblicato un rapporto sugli abusi subiti da milioni di bambini che lavorano nelle case private. Più di 15,5 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni lavorano nel mondo come domestici, spesso in condizioni pericolose, a volte pari in condizioni pari alla schiavitù. Quasi tre quarti di loro (73%) sono ragazze, e sono esposte a violenza sessuale e finiscono come molte prostitute spinte dai loro padroni. Il rapporto pubblicato dalla Organizzazione internazionale del lavoro questo Mercoledì raffigura i bambini che essendo alla mercè dei loro datori di lavoro, al riparo dagli sguardi indiscreti, impongono orari eccessivi e la mancanza totale di libertà. L’ILO osserva che il carattere illegale della loro situazione rende difficile la loro protezione. “Il lavoro domestico dei bambini è presente in tutte le regioni del mondo “, ha dichiarato Constance Thomas, direttore del programma dell’Ufficio internazionale del lavoro (OIL) per l’abolizione del lavoro minorile. Mentre la maggior parte dei casi sono stati registrati principalmente in Asia, in Africa e nel Sud America, l’ILO avvisa che è difficile fare una valutazione precisa di ciò che sta accadendo in Europa e nel Nord America, che non divulgano nessuna informazione.Font:http://www.rfi.fr/economie/20130612-rapport-oit-enfants-travail-domestiques-le-monde

Sabrina Carbone

Antananarivo – 5 giugno 2013 -
Il Madagascar, è un paese il cui potenziale economico è enorme. Prima della crisi, la crescita economica in Madagascar era stata in media del 5% l’anno. Tuttavia, durante il quadriennio 2009-13 la crescita è stata pari a zero. Prendendo come riferimento una crescita annua del 5%, il PIL nel 2013 è stato del 20% al dì sopra del livello attuale, che rappresenta ulteriori 8 miliardi di dollari per l’economia malgascia.La crisi politica era scoppiata nel 2009, quando Andry Rajoelina (allora sindaco di Antananarivo, la capitale) era salito al potere in modo incostituzionale, ed era stato respinto dalla comunità internazionale. La crisi politica e l’enorme incertezza imponevano lo sviluppo degli investimenti privati ​​e mettevano un freno alla dinamica economica del Madagascar facendo abbassare gli indicatori economici e sociali.

Anni di sviluppo socio-economico persi

Con una economia in fase di stallo, il reddito pro capite è sceso: Il Madagascar ha sperimentato una forte crescita demografica (2,9%), la popolazione è aumentata di oltre 3 milioni di persone durante il quinquennio 2008-2013. Con un reddito nazionale stagnante, il reddito pro capite nel 2013 è sceso a livello del 2001. La povertà è aumentata drasticamente: Le prime stime indicano che dal 2008 al 2013, la percentuale della popolazione che vive al dì sotto della soglia di povertà (che era già alta prima della crisi) è probabilmente aumentata di oltre 10 punti di percentuale. Oggi, oltre il 92% della popolazione vive con meno di 2 dollari PPA (parità di potere d’acquisto) al giorno e ciò rende il Madagascar uno dei paesi più poveri del mondo. Gli indicatori sociali sono peggiorati: nonostante l’assistenza connessa alla crisi dei settori sociali, è stato stimato che il numero di bambini in età scolare è aumentato di oltre 600.000. La malnutrizione infantile acuta rimane un problema cruciale. In alcune zone, è aumentata di oltre il 50%. Molti centri sanitari sono stati chiusi e i poveri genitori hanno dovuto sostenere una parte pesante del costo della scuola per i loro figli, a causa della mancanza dei finanziamenti statali. Questa tendenza mette a repentaglio il benessere delle generazioni future. Oggi, il Madagascar non è in grado di raggiungere la maggior parte degli obiettivi di sviluppo del millennio (MDG) entro il 2015, e neanche quelli potenzialmente fattibili che erano stati provati prima della crisi, (come la riduzione della mortalità infantile, l’incremento netto della iscrizione e il completamento della istruzione primaria, e l’eliminazione della povertà estrema). Le finanze pubbliche sono sempre più sotto pressione: La stabilità macroeconomica è stata sempre più sottomessa a una pressione crescente. Le entrate fiscali sono in calo, l’evasione fiscale è aumentata, e la capacità di mantenere il livello di spesa aggregata è in discussione a causa delle pressioni politiche, degli scioperi e degli scontri. Anche se la gestione macroeconomica rimane cauta, il trasferimento dei costi di risanamento di una posizione fiscale indebolita per il prossimo Governo è un rischio reale.Font:http://fr.allafrica.com/stories/201306110579.html?aa_source=ri-headline

 

I colloqui diretti tra Bamako e i gruppi armati nel nord del Mali hanno avuto inizio a Ouagadougou questo Sabato, 8 giugno, Le prime Consultazioni hanno già avuto luogo con la speranza di proporre un accordo di mediazione tra le varie delegazioni da sabato a lunedì allo scopo di consentire lo svolgimento delle elezioni presidenziali e la riorganizzazione dell'amministrazione e dell'esercito a Kidal.

I negoziati saranno condotti su quattro punti chiave, secondo il piano del mediatore:

1) La cessazione delle ostilità,

2) Il reimpiego della amministrazione generale, delle forze della difesa e della sicurezza nel nord del Mali, e in particolare a Kidal

3) La creazione di un meccanismo di monitoraggio e di valutazione come una misura di accompagnamento.

4) Il prosieguo dei colloqui di pace dopo le elezioni presidenziali per la creazione di una pace duratura.

Blaise Compaoré, Presidente di Burkina Faso, ha dichiarato che le due ragioni principali di questo dialogo sono: la necessità di tenere le elezioni presidenziali il 28 luglio, e il consolidamento dell'unità nazionale e la coesione sociale. Per quanto riguarda Tiebilé Drame, l'emissario del Presidente del Mali, il quale spera che i negoziati includano anche, il MAA (Movimento arabo di Azawad) e il coordinamento dei gruppi armati sedentari, allo scopo di raggiungere un accordo duraturo. "Se i maliani sceglieranno un Presidente della Repubblica investito dalla legittimità popolare, sarà dunque in grado di discutere con i gruppi armati del nord di queste questioni che sono necessarie per una risoluzione definitiva di questa crisi" ha sottolineato.

Trovare un esito rapido e pacifico

Secondo Mahamdou Djeri Maiga, Vice Presidente del Comitato misto di Azawad, "questo incontro è l'inizio di una soluzione definitiva della crisi in corso", e ha esortato la comunità internazionale a impegnarsi congiuntamente al mediatore per trovare una risoluzione pacifica e rapida di questa crisi. Subito dopo la cerimonia di apertura ufficiale, il Mediatore ha avviato le consultazioni iniziali con varie delegazioni.Font:http://www.rfi.fr/afrique/20130608-mali-burkina-faso-kidal-maa-azawad?ns_campaign=editorial&ns_source=FB&ns_mchannel=reseaux_sociaux&ns_fee=0&ns_linkname=20130608_mali_burkina_faso_kidal_maa_azawad

Sette assalitori sono rimasti uccisi, nella mattinata di questo lunedì, 10 giugno, durante un attacco aperto dai talebani su Kabul. Per diverse ore, l'aeroporto della capitale afghana è rimasta sotto il mirino degli spari e di pesanti combattimenti esplosi tra i ribelli e le forze di sicurezza afgane. Un attacco rivendicato molto rapidamente dal movimento talebano. Il capo della polizia di Kabul ha confermato la fine del l'attacco all'aeroporto. I suoi uomini sono stati in grado di riprendere il controllo dei due edifici e i sette insorti sono stati rintracciati. Un testimone sul posto ha spiegato che le truppe hanno cercando di evacuare le aree colpite dopo più di quattro ore di combattimento e molti scontri a fuoco.

Fortezza inespugnabile

Questo attacco è stato implementato con lanciarazzi e granate ed è iniziato all'alba ed è durato 4 h 30 (ora locale), registrando alcune vittime, tra i civili e i militari, con l'eccezione degli insorti stessi. L'obiettivo era l'aeroporto internazionale di Kabul, che è diviso in due parti: uno civile che è stato immediatamente chiuso e l'altro militare, dal momento che questo aeroporto è la principale base Nato nella capitale, e comprende diverse migliaia di uomini armati, unità da combattimento americane, ma anche truppe francesi poiché qui c'è anche l'ospedale militare francese di Kabul. E' una fortezza inespugnabile, e anche le truppe straniere sono state impegnate nel combattimento. Da parte loro, i talebani, hanno rapidamente rivendicato l'attentato kamikaze. L'ultimo attentato a Kabul risale al 24 maggio, quando i ribelli talebani hanno lanciato una operazione di suicidio, seguito da sette ore di combattimento nel centro della capitale. Sette persone sono rimaste uccise, tra le quali i quattro insorti che avevano effettuato l'operazione.Font:http://www.rfi.fr/asie-pacifique/20130610-afghanistan-attaque-talibane-aeroport-kaboul?ns_campaign=editorial&ns_source=FB&ns_mchannel=reseaux_sociaux&ns_fee=0&ns_linkname=20130610_afghanistan_attaque_talibane_aeroport_kaboul

1.000 giorni risuonano ancora nella mia testa come un calvario insopportabile. I nostri rapitori in Libano contro la nostra impazienza dopo cento giorni di detenzione avevano lanciato come un avvertimento: “100 giorni non sono molti devi restare con noi 1.000 giorni!”. Una durata inimmaginabile per un ostaggio che ogni ora aspetta con impazienza il momento in cui sarà rilasciato. I quattro ostaggi francesi catturati a Arlit in Niger, il 16 SETTEMBRE del 2010, sul luogo dove sorge la miniera di Areva (Daniel Larribe Marc Ferret, Pierre Legrand, Thierry Dol), attraversavano questa strada pericolosa, il 13 giugno, senza avere nessuna nota di speranza per un loro rilascio imminente. L’intervento dell’Esercito francese nel Nord Mali, era essenziale per impedire alle forze ostili verso Bamako di catturare nuovi ostaggi, naturalmente, ciò complicava la situazione, i contatti erano stati interrotti, le carte erano state rimescolate e soprattutto i rapitori di AQIM erano stati esortati a evacuare gli ostaggi verso zone più sicure. I militari francesi hanno dichiarato che hanno  ”passato al setaccio” il nascondiglio minore dell’Adrar des Ifoghas, il rifugio degli ostaggi, una dichiarazione pretenziosa quando sappiamo che l’area è grande quanto la metà della Francia, hanno dichiarato gli Ostaggi nel sud della Libia senza che nessuno possa provare una simile affermazione. Un incubo per gli uomini indeboliti da mille giorni di detenzione, una “lunga marcia” nel deserto estenuante dove le differenze di temperatura, la scarsità dell’acqua spezza la resistenza dei più duri. “Gli ostaggi sono probabilmente nomadi” sostengono gli esperti in una lingua molto esotica. Ma come è possibile resistere a una tale prova con dei carcerieri totalmente imprevedibili che hanno perso il loro leader, Abu Zeid, nell’offensiva dell’esercito francese e sfogano probabilmente la loro rabbia contro i detenuti? La paranoia ha dovuto cogliere i rapitori che temono di essere identificati dalle loro brevi comunicazioni telefoniche, di essere denunciati, o colti di sorpresa, e trascinano con loro i prigionieri che sono stati presi durante una imboscata. Per questo motivo hanno, probabilmente, dovuto separare gli ostaggi i quali ignorano la sorte degli altri. Tutto fa pensare che sono ancora vivi (tranne forse Philippe Verdon,che non fà più parte del gruppo di Arlit). Un ostaggio morto non ha alcun valore. La speranza è riversata sui mediatori poco conosciuti e poco impegnati. L’uomo d’affari della Mauritania, Mustafa Shafi, ha dovuto sospendere la sua missione dopo l’offensiva dell’esercito francese nel nord del Mali, e la morte di Abu Zeid. L’impegno di Francois Hollande che considera “impensabile dare i soldi a organizzazioni contro le quali siamo in guerra” ha lanciato un brivido freddo tra i parenti degli ostaggi che ora sanno che nessun riscatto sarà pagato. Almeno ufficialmente. Perché bisognerà sempre “dare qualcosa” agli intermediari o ai rapitori per ottenere la liberazione e la Francia non abbandonerà mai i suoi cittadini. Il rilascio della famiglia Moulin-Fournier, catturata in Nigeria e liberata due mesi, dopo lo dimostra. Il rilascio degli ostaggi è una causa nazionale. Nessun potere può essere revocato. L’impegno e la solidarietà del paese non possono essere misurati in poche centinaia di manifestanti che arrivano ogni settimana per esprimere la loro solidarietà a Nantes o a Marsiglia. L’opinione pubblica in Francia è disposta ad accettare un sacco di concessioni per gli ostaggi che fanno il loro re-ingresso. Ma i tempi sono cambiati. Oggi c’è un potere di irrigidimento che rifiuta l’escalation e i Governi stranieri monitorano da vicino l’atteggiamento della Francia, sospettata di arrendersi troppo facilmente alle richieste dei rapitori. Da qui la delusione delle famiglie che temono per la vita dei loro cari sacrificati in nome dell’anti-terrorismo. Abbiamo parlato del “tempo afgano” per gli ostaggi di Kabul. Possiamo parlare del “tempo del Sahel” per quelli del Malì. Le settimane e i mesi non contano per i rapitori che sono in attesa di giorni migliori per sapere a che prezzo finanziario e politico rilasceranno i loro ostaggi. Sono loro che decidono. E’ sempre sorprendente vedere che le frecce della critica sono rivolte al potere, ai parlamentari, ai giornalisti, accusati di non fare abbastanza campagna … mentre i carcerieri reali sono i terroristi di AQIM. E’ a loro che dobbiamo indirizzare le nostre critiche affermando che detengono degli innocenti e che devono porre fine al loro calvario. Penso al destino di Serge Lasarevitch, compagno di Philippe Verdon, Gilbert Rodriguez catturati nella zona occidentale del Malì e a Francesco Collomp rapito in Nigeria, e in attesa da mesi per il loro rilascio.

Philippe Rochot

Font:http://philrochot.wordpress.com/2013/06/06/otages-des-mille-jours-la-longue-marche-des-prisonniers-du-sahel/

Apprensioni nel settore privato di Governance, per i finanziatori. La creazione di banche per il finanziamento delle piccole e medie imprese e dell’agricoltura ha sollevato delle perplessità. Il decreto presidenziale nominato dai dirigenti della Banche del Camerun di piccole e medie imprese (PMI-BC) è già stato firmato, ha informato una fonte vicina alla Presidenza. Ma la sua pubblicazione è in attesa di approvazione da parte della Commissione bancaria dell’Africa Centrale (Cobac). Il regolatore deve chiedere “ulteriori informazioni” alle autorità camerunesi, delle quali è attento a indicarne il contenuto. Riguardo al dossier del Camerun Rurale Financial Corporation (Carfic), la Banca agricola pubblica in gestione, è appena atterrata sulla sua scrivania. Il capitale delle due istituzioni – 10 miliardi di franchi CFA ciascuno, oppure € 15.250.000 – è stato interamente versato, secondo Alamine Ousmane Mey, il Ministro delle Finanze. E BC-PMI ha tenuto la sua Assemblea Generale, il 21 marzo, in seguito a un consiglio di amministrazione, allo scopo di adottare la costituzione e selezionare dei candidati per delle posizioni chiave. Ciò ha suscitato delle perplessità. I datori di lavoro del movimento Aziende del Camerun (e.cam) in seguito a una consulta hanno suggerito tre nomi, uno dei quali può essere considerato in seno al Consiglio di Amministrazione. “Ma non sono stati associati a quello che riteniamo il più importante: la definizione della politica della banca, il suo modello organizzativo, gli organi direttivi, e il profilo desiderato”, ha precisato il suo Presidente, Protais Ayangma Amang.

Le politiche creditizie

Il processo di nomina dei dirigenti è tutt’altro che rassicurante. “Il nostro timore è che questo strumento estremamente importante sia affidato alle mani di Protais non addestrato o inesperto ha continuato Ayangma. Siamo rammaricati per esempio che il Consiglio di Amministrazione ha un solo membro nel settore privato! Tutti gli altri funzionari sono dei rappresentanti della loro amministrazione. “Implicitamente, c’è il timore di vedere risorgere i “prestiti politici” fondati su considerazioni diverse dal prezzo, che hanno portato al fallimento Farm Credit Camerun o il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (Fogape). Per lo studio dei documenti di credito, Mathieu Mandeng, Presidente della Associazione Professionale delle banche del Camerun (APECCAM), invita a una alleanza tra gli specialisti nei settori di intervento di queste istituzioni e delle imprese bancarie. Per questo, ha aggiunto, sono stati aggiunti gli ingredienti di una buona governance arrestati nettamente dal regolatore.

Diagsnostica FMI

Alla fine della sua missione in Camerun, dal 29 aprile al 14 maggio, il Fondo monetario internazionale (FMI) ha sottolineato che il settore finanziario del paese è stato “ostacolato da una serie di piccole banche il cui scopo era quello di una procedura senza termini di regolamentazione. “Lui ha esortato le autorità ad agire rapidamente, in collaborazione con la Commissione bancaria dell’Africa Centrale (Cobac) per “proteggere i depositanti, e limitando i costi di queste misure”. Le autorità sono state invitate ad accelerare le riforme per migliorare il clima di credito. Il segnale principale positivo: il nuovo database per la valutazione del merito creditizio, che sarà messo a disposizione delle banche e delle istituzioni della microfinanza nel mese di giugno. Da parte sua, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha delle riserve, e ha messo le autorità in guardia contro “la creazione di istituti finanziari specializzati, perché, per definizione, coinvolgono portafogli vulnerabili di prestiti nel settore e poco diversificati”. Una preoccupazione non condivisa dalla comunità imprenditoriale. “Il FMI spesso in contrapposizione a qualsiasi iniziativa che non rientra nei suoi schemi classici, protesta Protais Ayangma. La creazione di queste banche è diventata una necessità assoluta per la riluttanza o l’incapacità del settore bancario tradizionale per finanziare questi settori vitali della nostra economia”. Un sostegno inatteso per il Governo.Font:http://economie.jeuneafrique.com/dossiers-2/518-finance-au-nord-tous-/17218-cameroun-les-banques-publiques-creent-la-controverse.html

Una grande forza militare degli Stati Uniti è atterrata Martedì, 4 giugno, nel porto di Aqaba, nel sud della Giordania, pronta per essere spiegata sul confine siriano del regno, è riuscito a sapere Debkafiles da fonti militari esclusive. Il gruppo è diretto a nord lungo la strada di montagna che collega Aqaba, Jerash e Ajilon da sud a nord, sotto la pesante scorta militare Giordana. Alcune fonti rivelano che il numero delle forze Usa, è di circa 1.000 soldati, ed è anche il più grande che è sbarcato in Giordania dopo la guerra civile siriana scoppiata a marzo del 2012. Sono membri della Forza 24 Marine Expeditionary a bordo della USS Kearsarge, una nave da assalto anfibia, che è ancorata nella vicina Eilat a Israele a partire da metà maggio. Dopo l’atterraggio, i Marines sono scesi in strada in un convoglio di veicoli armati, tra i quali gli Hummer. Washington e Amman hanno imposto un blocco all’arrivo. Il Pentagono ha appena fatto sapere che l’esercitazione militare congiunta annuale tra gli Stati Uniti e la Giordania, il “Leone Eager 2013″ è stato programmato per iniziare alla fine di giugno e durerà due mesi, con la partecipazione di aerei da combattimento F-16 americani e sistemi di difesa di missili Patriot .Font:http://www.laproximaguerra.com/2013/06/marines-eeuu-desembarcan-jordania-desplegarse-frontera-siria.html

 

In Libia, la fine di 40 anni di regime di Muammar Gheddafi nel 2011 ha segnato un punto di svolta per le donne, secondo un nuovo rapporto di Human Rights Watch (HRW). Nel momento in cui il paese ha redatto una nuova costituzione, i libici sono stati messi più che mai davanti a un bivio dopo quattro decenni di dittatura, sottolinea l’ONG per la difesa dei diritti umani. La rivoluzione libica è stata un “terremoto” per quanto riguarda lo stato culturale delle donne in Libia, secondo Human Rights Watch. Liesl Gerntholtz, direttrice del progetto “donna” nella organizzazione, spiega che “le donne, in particolare, sentono che la loro partecipazione alla rivoluzione ha bisogno di essere valorizzata e dovrà essere in grado di continuare ad essere parte integrante della vita pubblica in Libia. Allo stesso tempo, sono richiesti nuovi metodi per affrontare la discriminazione della quale si sentono vittime nella loro vita privata”. il rapporto di Human Rights Watch Lunedi, 3 giugno, fà appello al Congresso libico Generale Nazionale (Parlamento) di garantire che le donne siano coinvolte nel processo di redazione della costituzione. Una Assemblea Costituente, responsabile dello sviluppo del progetto, dovrà essere scelta tramite il voto popolare entro la fine dell’anno. ONG spera che una volta che la scrittura ha avuto inizio, sia garantita la parità di genere tramite la Costituzione e spera che qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, sulla gravidanza o sullo stato civile sia eliminata. Ma le conquiste della rivoluzione possono essere compromessi nella realtà. Il mese scorso, la massima autorità religiosa della Libia, il Gran Mufti , ha chiesto la separazione tra gli uomini e le donne in tutti i luoghi di lavoro, aule e uffici governativi. Sheikh Sadek Al-Ghariani vieta anche il diritto alle donne di sposare gli stranieri. Gerntholtz ha rilevato inoltre che la Corte suprema libica ha revocato le restrizioni sulla poligamia. “Esistono alcuni elementi molto conservatori della società libica e molti di loro sentono molto fortemente che le donne non devono essere autorizzate a partecipare alla vita pubblica, il ruolo della donna è a casa”, ha dichiarato la Gerntholtz. In conclusione, ha aggiunto l’esperto, la cosiddetta “primavera araba” in Medio Oriente, ha avuto risultati contrastanti per le donne. “Esistono alcuni segnali positivi, in particolare nel settore della partecipazione, dove sembra ci sia una apertura e una disponibilità delle donne a partecipare più pienamente alla vita politica e pubblica”, ha precisato la Gerntholtz. “Ma c’è molta retorica, soprattutto in luoghi come l’Egitto, dei quali dobbiamo essere preoccupati”, ha continuato. In Libia, le donne hanno avuto un certo successo politico. Nelle elezioni parlamentari dello scorso anno, 33 donne sono state elette al Parlamento su 200 membri, e ciò rappresenta circa il 15% di questa assemblea.Font:http://www.lavoixdelamerique.com/content/les-droits-des-libyennes-restent-menaces-estime-human-rights-watch/1669460.html

Kabul – Dieci bambini e due soldati della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza della Nato sono stati uccisi Lunedì, 3 giugno,  in una esplosione in Afghanistan, hanno dichiarato i funzionari. Il Ministero dell’Interno ha reso noto che un agente della polizia è stato ucciso quando un attentatore suicida ha attaccato un bazar in provincia di Paktia, a est del paese. L’aggressore, che viaggiava su una moto, ha fatto esplodere un dispositivo nel principale quartiere bazar Samkanai, ha riferito il portavoce del Ministero dell’Interno, Sediq Sediqqi. Almeno altre 16 persone sono rimaste ferite, ha spiegato Sediqqi. Mentre il sergente, Daniel Wallace, portavoce di ISAF, ha rivelato, che due soldati ISAF, i cui nomi e le nazionalità non sono stati resi noti, sono rimasti uccisi nell’esplosione. Il Ministero dell’Interno ha emesso un comunicato attribuendo l’attacco ai ribelli talebani, i quali non hanno reclamato la loro immediata responsabilità, come invece hanno fatto in altri attacchi. La Provincia di Paktia è stata un obiettivo di attacchi da parte degli insorti. Lo scorso ottobre, un altro attentatore suicida era entrato in un muro di una base militare congiuntamente a quella della NATO e dell’esercito afgano, e hanno ferito 45 soldati afghani, hanno riportato le autorità. ma in questo caso i talebani hanno rivendicato la responsabilità dell’attacco. Nel 2011, diversi attentatori suicidi hanno attaccato un ufficio governativo nel distretto di Paktia Samkanai, tre poliziotti afgani sono morti. Il Governo americano cerca di portare a termine la sua missione militare in Afghanistan entro la fine del 2014. Oltre la metà di 66.000 militari americani nel paese tornerà prima del prossimo anno, secondo il rapporto rilasciato dal Presidente Barack Obama a febbraio. A riguardo, le forze Usa sono in cerca di una transizione dei compiti di sicurezza con le istituzioni locali.Font:http://cnnespanol.cnn.com/2013/06/03/10-ninos-y-dos-soldados-de-la-otan-mueren-en-un-ataque-suicida-en-afganistan/

La nuova legge sulle organizzazioni non governative (ONG) in Egitto, attualmente in esame da parte del Consiglio consultivo, della Camera alta del Parlamento egiziano, è un colpo mortale per la società civile indipendente nel paese, ha dichiarato Amnesty International. Adottandolo nella sua forma attuale, le autorità egiziane godranno di ampi poteri per quanto riguarda l’iscrizione, le attività e il finanziamento dei gruppi della società civile. La legislazione deve anche creare un comitato di coordinamento, che può comprendere i rappresentanti dei servizi e delle informazioni di sicurezza. I Perpetrators segnalati per aver violato la legge hanno dovuto affrontare pesanti multe e possibili pene detentive. Il Presidente Mohamed Morsi ha annunciato, il 29 maggio, che ha sottoposto il testo della legge al Consiglio consultivo, e alla Camera alta del Parlamento egiziano. La Camera bassa dal momento che è sempre sciolta, e nell’attesa di uno scrutinio che permetterà di eleggerne uno nuovo, offre al Consiglio il potere di promulgare nuove leggi. “Se sarà adottato nella sua forma attuale, le autorità egiziane avranno ammesso che alcune cose sono cambiate da quando il regime di Hosni Mubarak, ha imposto delle restrizioni alle organizzazioni indipendenti dei diritti umani, allo scopo di impedire loro di segnalare le violazioni, ha informato Hassiba Hadj Sahraoui, Vicedirettore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. “Adottare un diritto come questo in un paese che reprime il lungo lavoro delle organizzazioni per i diritti umani è terribilmente pericoloso. Se l’Egitto è davvero determinato a tracciare una linea sotto il recente passato, le autorità dovranno abbandonare il testo e promuovere un ambiente dove le ONG possono proteggere e promuovere i diritti umani”. L’ultima versione del disegno di legge, rilasciata, il 18 maggio, ignora grossolanamente le preoccupazioni e le raccomandazioni formulate dalle organizzazioni internazionali tra le quali Amnesty difesa nazionale e internazionale dei diritti umani, e l’Ufficio delle Nazioni Unite dei diritti umani (OHCHR), che hanno chiesto che il testo venga allineato agli standard internazionali. Secondo la legge, qualsiasi organizzazione che intende registrarsi deve informare ufficialmente il Ministero di assicurazione e degli affari sociali, autorizzato a sollevare qualsiasi obiezione. Questa procedura, che è simile a una autorizzazione preventiva, viola gli standard internazionali. Secondo l’articolo 13, una ONG che ricerca i fondi esteri deve informare il Comitato di coordinamento istituito di recente, abilitato ad approvare o a respingere la richiesta. Secondo la legge attuale, è frequente che le autorità rifiutano o ritardano il finanziamento alle organizzazioni che difendono i diritti umani, allo scopo di limitare le loro attività. La legge specifica inoltre che le ONG devono fornire annualmente copie dei loro conti e le relazioni sui loro programmi e sulle fonti di finanziamento, al sindacato regionale (che la legge definisce come “volontario” creato dall’unione ONG) e al Ministero delle assicurazioni e degli Affari Sociali. Il Ministero può opporsi a qualsiasi decisione di una organizzazione e può portare la questione davanti a un tribunale. Ai sensi dell’articolo 16, ogni persona, associazione o organizzazione può essere autorizzata a esaminare i risultati delle attività dell’organizzazione, dopo aver presentato una domanda presso il Dipartimento di assicurazione e degli affari sociali e all’Unione Regionale. In pratica, è probabile consentire ai servizi di sicurezza di monitorare il lavoro delle organizzazioni che difendono i diritti umani senza interferenze. Il progetto di legge è particolarmente drastico nel caso della registrazione delle attività delle ONG internazionali, e può, in pratica impedire a coloro che criticano il bilancio del paese in termini di diritti umani, di svolgere il loro lavoro in Egitto. La legge concede alle autorità il potere di limitare la registrazione, il finanziamento e le attività delle organizzazioni non governative che denunciano le violazioni dei diritti umani o difendono le vittime. Dalla “rivoluzione del 25 gennaio”, nel 2011, le autorità egiziane hanno esercitato una repressione contro le organizzazioni indipendenti della società civile che fanno parte dei diritti umani. Diverse ONG sono state registrate presso il Ministero delle assicurazioni e degli affari sociali, in particolare quelli che difendono i diritti delle donne, ha riportato Amnesty International che a volte aspetta per 16 mesi il via libera per il finanziamento. A luglio del 2011, il Governo egiziano ha aperto una inchiesta sulle ONG che ricevono i finanziamenti esteri, portando una ondata senza precedenti di incursioni nei locali della società civile egiziana e internazionale a dicembre del 2011. Seguendo questi raid, 43 dipendenti delle ONG internazionali sono stati giudicati per aver operato senza essere registrati e aver ricevuto finanziamenti dall’estero senza permesso. La sentenza è stata stabilita in calendario per il 4 giugno. Tuttavia la repressione è continuata sotto la presidenza di Mohamed Morsi, che ha ricevuto il mandato nel mese di giugno del 2012. Nel 2013, l’Organizzazione egiziana per i diritti umani ha ricevuto una lettera di avvertimento dal Governo la quale asseriva che non era permesso di entrare in contatto con gli  ”organismi internazionali”, senza il permesso delle forze di sicurezza. “E’ sorprendente, dato le enormi sfide economiche, politiche e sociali che affronta l’Egitto, che  oggi le nuove autorità privilegiano l’adozione di una legge draconiana sulle ONG che ricorda la retorica e le strategie in vigore sotto l’era di Mubarak e mettono a queste organizzazioni la museruola”, ha  commentato Hassiba Hadj Sahraoui. “Sembra di assistere a una manovra che mira a fare delle ONG dei capri espiatori per distogliere l’attenzione dalla scarsa performance del Governo. Le organizzazioni indipendenti dalla società civile, in Egitto, giocano un ruolo cruciale nella lotta contro le violazioni dei diritti umani e nell’assistenza alle vittime. Font:http://www.amnesty.org/fr/news/egypt-moves-ahead-law-stifle-non-governmental-organizations-2013-05-29

L’uccisione di 24 persone, compreso tre agenti di polizia e otto politici avvenuta nello Stato di Chhattisgarh nell’India centrale, il 25 maggio, può portare a una escalation di violenza nello Stato, mettendo in pericolo le vite dei civili e quello delle comunità locali di adivasi (tribali), ha avvertito Amnesty International. “Condanniamo con forza la presa di ostaggi e l’uccisione dei civili nello Stato di Chhattisgarh, atti che costituiscono gravi violazioni dei diritti umani”, ha confermato Shashikumar Velath, direttore dei programmi dell’India di Amnesty International. Secondo la polizia, circa 250 maoisti armati hanno teso una imboscata a un convoglio del leader del Partito del Congresso sulla strada che da Jagdalpur arriva a Sukma, fino a Bastar. Hanno fatto saltare in aria due veicoli e hanno aperto il fuoco indiscriminatamente. Gli aggressori hanno ucciso diversi leader del Partito del Congresso, tra i quali anche l’ex Ministro degli interni del Chhattisgarh, Mahendra Karma, il Presidente del Partito presso lo Stato, Nand Kumar Patel, e suo figlio Dinesh. Nand Kumar Patel, sono stati presi in ostaggio, prima di essere assassinati. L’attacco ha anche ferito 33 persone, tra le quali un ex Ministro federale, V. Shukla. Secondo la polizia, manca all’appello ancora uno di loro. Il Partito Comunista dell’India (PCI – Maoista), un gruppo dell’opposizione armata al bando del Governo centrale, ha rivendicato la responsabilità per l’attacco. In una nota di quattro pagine indirizzata al supporto selezionato, il gruppo ha reso noto che un distaccamento dell’Armata di guerriglia di liberazione del popolo (PLGA) ha effettuato l’attacco, allo scopo di “punire” coloro che hanno configurato la milizia civile anti-maoista Salwa Judum nel 2005 e messo in vigore le “politiche ostili al popolo”, realizzate in Chhattisgarh. In questa lettera, il gruppo ha anche precisato di rimpiangere alcuni “lavoratori innocenti del Congresso”, che sono morti nell’agguato mentre hanno sottolineato che l’attentato era indirizzato a un partito politico. In precedenza, il Partito Comunista dell’India (Maoista) ha chiesto uno sciopero per protestare contro l’uccisione di otto adivasi che vivevano nei villaggi, tra i quali tre bambini, uccisi dalle forze paramilitari il 17 maggio durante gli attacchi che hanno preso deliberatamente di mira i civili, la loro vita e la loro integrità fisica – in particolare gli omicidi di tutti i tipi, i trattamenti crudeli e le torture – che sono contro i principi fondamentali dell’umanità, e sono sanciti dal diritto internazionale umanitario. “Le autorità devono condurre una indagine approfondita e imparziale sugli attacchi e garantire che i responsabili abbiano dei processi equi, senza il ricorso alla pena di morte, e devono anche proteggere le comunità degli adivasi dalle discriminazioni, dalla violenza e dalle molestie ha continuato Shashikumar Velath. “Il CPI (Maoista), come anche le forze del Governo devono astenersi da qualsiasi attacco che può causare vittime, direttamente o indirettamente, tra la popolazione civile. Le autorità devono prendere nell’immediato le misure necessarie per prevenire ulteriori attacchi, o ritorsioni, che possono influenzare i civili. “Mahendra Karma ha contribuito alla creazione della milizia civile anti-maoista sostenuta dallo Stato, e noto come il Salwa Judum. A seguito di violazioni dei diritti umani generalizzati, tra i quali omicidi, stupri e altri reati di violenza sessuale, attribuibili ai membri della Salwa Judum diritti umani, la Corte Suprema indiana ha vietato questa milizia e ha ordinato il suo disarmo nel 2011. Tuttavia, le autorità statali hanno integrato i suoi 3000 membri nelle forze della polizia ausiliaria che è sempre attiva. Nel corso degli ultimi otto anni, Chhattisgarh ha visto una escalation di violenza tra le forze governative e i maoisti, che affermano di difendere la causa degli adivasi contro l’ordine politico costituito. Questi scontri danno regolarmente vita a omicidi, sequestri e a altri attacchi contro la popolazione civile. Più di 30.000 adivasi rimangono sfollati all’interno del paese.Font:http://www.amnesty.org/fr/news/india-maoist-attack-puts-civilians-risk-further-violence-2013-05-30

Il Presidente Barack Obama ha fatto bene a ribadire la necessità di chiudere Guantanamo, non per evitare la necessità di una maggiore trasparenza e per riconoscere le questioni di interesse relative al programma dei droni da combattimento, ma perchè è tempo per lui di agire e di mandare avanti le cose. I trasferimenti devono continuare e tutti i detenuti devono ricevere un giusto processo presso i tribunali federali o essere rilasciati. Il Presidente ha fatto bene a non essere d’accordo con il concetto di detenzione a tempo indeterminato, ma la sua proposta per rimettere in sella le commissioni militari abusive nel territorio degli Stati Uniti non può essere accettata, perché è illegale e inutile. In relazione alla questione dei droni, ciò di cui abbiamo veramente bisogno, non è una “battaglia legale”, ma una maggiore trasparenza della base giuridica sulla quale poggia il programma dei droni, e la  diffusione delle direttive presidenziali recentemente approvate, come anche le indagini indipendenti sulle presunte esecuzioni extragiudiziali e il risarcimento per le vittime. C’è bisogno di aspettare per abrogare il ricorso alla autorizzazione di usare la forza militare del 2001. L’amministrazione Obama deve immediatamente cessare di invocare la teoria errata della “guerra mondiale”, la cui conseguenza sono la detenzione a tempo indeterminato, le commissioni militari, e l’assassinio dei presunti terroristi e dei civili. Il Congresso deve smettere di bloccare le riforme. I funzionari eletti devono abrogare gli ostacoli legislativi che restano per chiudere il centro di detenzione di Guantanamo e rendere pubblica la relazione del Senato sulla tortura praticata dal Central Intelligence Agency (CIA). Il Presidente Barack Obama ha ragione a dire che il suo paese è un crocevia. E’ tempo di prendere in prestito quello che è stato messo da parte da oltre 10 anni. E’ il momento di scegliere i diritti umani.Font:http://www.amnesty.org/fr/for-media/press-releases/usa-amnesty-international-responds-president-obamas-speech-national-securit

Le autorità greche devono cessare immediatamente di iscrivere i bambini Rom separatamente dagli altri bambini ha raccomandato Amnesty International il 30 maggio, dopo la sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU), che considera questa pratica adottata nel settore scolastico della Grecia centrale, una discriminazione. Il divieto all’unanimità nel caso ‘Lavida e altri c. Grecia’, la CEDU ritiene che  ”il prosieguo di una tale situazione e la rinuncia dello Stato ad adottare misure anti-segregazioniste implica la discriminazione e viola il diritto all’istruzione”. Questa è la sesta tappa della CEDU che stabilisce i fatti di discriminazione contro gli alunni rom, e il terzo che riguarda le scuole greche”. E’ scandaloso che, nonostante tre sentenze separate della Corte europea dei diritti dell’uomo, la Grecia ancora non ha messo fine alla discriminazione nei confronti dei bambini rom e viola in flagrante il loro diritto all’istruzione”, ha precisato Jezerca Tigani, vicedirettore del Programma Asia centrale di Amnesty International Europe. In questo caso recente, la CEDU era stata scelta da una ONG greca, Greek Helsinki Monitor (GHM), per conto di 23 bambini rom che vivono a Sofades, una città della Tessaglia (regione centrale della Grecia). Quasi 400 famiglie Rom vivono a Sofades, e rappresentano la metà della popolazione totale della città. Quasi tutti vivono in due zone, il “nuovo lotto dei Rom” e “l’ex suddivisione dei Rom”. Una delle quattro scuole primarie di Sofades la 4° scuola primaria è stata costruita nella vecchia suddivisione e ciò significa che ospita quasi esclusivamente i bambini rom che vivono in quel posto. Una delle due scuole è più vicina alla zona dove vivono, e in aggiunta i bambini del nuovo lotto dipendono anche loro dalla 4° scuola primaria, secondo le autorità locali. Dopo aver visitato Sofades nel 2009, il GHM ha inviato due lettere al Ministero dell’Istruzione, denunciando “una chiara segregazione etnica che viola sia la legge greca che gli standard internazionali dei diritti umani, in particolare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Entrambe le lettere sono rimaste senza risposta. La CEDU ha osservato che un rapporto inviato alla Direzione Regionale della Pubblica Istruzione ha richiamato l’attenzione sulla situazione attuale e raccomanda di evitare di iscrivere i bambini rom in scuole frequentate esclusivamente da bambini Rom, allo scopo di porre fine alla esclusione sociale e di promuovere l’integrazione. Il rapporto ha suggerito la costruzione di nuove scuole e di ricostruire il consiglio scolastico. Ma ha anche evidenziato il rifiuto del consiglio comunale di chiudere la 4°  scuola e di annullare le reazioni ostili dei genitori dei non-rom ad includere i bambini Rom in altre scuole di Sofades. La CEDU ha ordinato alle autorità greche di pagare a ciascuno dei 23 candidati 3000 € di risarcimento danni. Già in precedenza la Corte aveva condannato le autorità greche per aver istigato alla discriminazione contro gli alunni Rom nella scuola Aspropyrgos, nella periferia occidentale di Atene. “Questa è la terza volta che una condanna è stata indetta per discriminazione nell’accesso all’istruzione dei bambini rom, e questo dimostra che il Governo non ha alcuna intenzione di porre fine alla segregazione nelle scuole, dal momento che le autorità locali sono contrarie” ha chiarito Panayote Dimitras, portavoce del Greek Helsinki Monitor. Amnesty International ha scoperto che molti altri problemi di segregazione e di esclusione dei bambini rom esistono altrove in Grecia, per esempio in Tracia, e a Psachna (nell’Isola di Evias), e Spata. Il Comitato per i diritti del fanciullo (NU) ha recentemente espresso preoccupazione per le restrizioni di accesso all’istruzione e alla segregazione dei bambini rom nelle scuole greche. Le Organizzazioni della società civile greca hanno documentato diversi casi di segregazione persistenti e di esclusione dei bambini rom in varie parti del paese. “Ciò dimostra che le norme europee in materia di discriminazione per motivi di razza e di etnia non vengono applicate correttamente in Grecia, nella formazione come in molti altri settori della vita”, ha scandito Jezerca Tigani. Ovunque in Europa i rom sono messi di fronte all’esclusione e a un trattamento sfavorevole dell’educazione. Un recente studio dell’Agenzia per i diritti fondamentali del Programma delle Nazioni Unite e dell’Unione europea per lo sviluppo dimostra che in alcuni paesi UE – Spagna, Francia, Italia, Portogallo e Slovacchia, in particolare – i Rom di età compresa tra i 20 e i 24 hanno probabilità minori rispetto ai non-rom nella stessa fascia di età con diploma di scuola media (formazione generale) o una formazione professionale. La CEDU ha denunciato una netta discriminazione contro i rom nelle scuole di altri paesi, e nell’elenco compaiono l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Croazia. Nonostante queste decisioni, la discriminazione continua e gli studenti rom continuano a essere iscritti in scuole e classi per i bambini con disabilità “lievi mentali” o in scuole e classi che accolgono solo alunni rom, e sono dispensati da un programma ridotto. “In molti casi, individuati in tutta la regione, i Governi non fanno nulla per fermare questa pratica scandalosa che non deve esistere nell’Europa del XXI secolo, dichiara indignato Jezerca Tigani. “Le istituzioni dell’Unione europea devono adottare tutte le misure politiche e giuridiche a loro disposizione contro i paesi che in realtà non applicano la direttiva sull’uguaglianza razziale, che vieta la discriminazione basata sulla razza o l’origine etnica in molti settori, tra cui l’istruzione”. Amnesty International ha lanciato una campagna per chiedere all’Unione europea di agire con maggiore decisione per porre fine alla discriminazione contro i rom.Font:http://www.amnesty.org/fr/for-media/press-releases/european-court-again-chides-greece-over-discrimination-against-roma-schoolc

Le reti terroristiche, raccolgono fondi e reclutano seguaci nel continente, sotto i Governi amici che offrono loro sostegno e agiscono sotto la copertura delle attività di tipo solidale e culturale. Lo scorso febbraio, il quotidiano venezuelano ‘El Universal’ aveva riferito che l’ex ambasciatore iraniano, Mohammed Razza Hidari, ha affermato di aver visto “molti gruppi latinoamericani di Hezbollah raggiungere l’Iran per acquisire una maggiore conoscenza”. Il viaggio verso la Repubblica islamica è stato il culmine di un percorso che era iniziato con il reclutamento e la conversione religiosa. Negli ultimi 2 o 3 anni è stata intensificata l’attività di proselitismo dagli elementi della Guardia Rivoluzionaria iraniana o dal suo alleato libanese Hezbollah per svolgere compiti di reclutamento, indottrinamento e infine recarsi nella città santa di Qom, dove culmina la formazione politica, religiosa e militare. Gli elementi una volta formati tornano nei loro rispettivi paesi per generare a loro volta nuove “missioni culturali” come uno schermo. Il ‘Bianco’ di questo cooptazione sono i sostenitori del Socialismo del XXI Secolo o quelli della Rivoluzione Bolivariana, in diversi paesi latino-americani, attratti dalle attività culturali a sostegno dei gruppi indigeni e degli emarginati. Inoltre, nei primi di febbraio di quest’anno, era stato lanciato un allarme negli Stati Uniti dopo l’arresto in Germania dell’ex Presidente della Banca centrale dell’Iran, con un assegno di 300 milioni di bolivares (70 milioni dollari). Tahmasb Mazaheri è stato arrestato a Düsseldorf, dove era arrivato dalla Turchia, per aver violato le leggi contro il riciclaggio di denaro sporco e il finanziamento delle reti terroristiche. Mazaheri era il direttore della Banca per lo Sviluppo Internazionale, una organizzazione di entità iraniana con sede a Caracas, ed è una filiale della Bank of Iran Export Developement. Un arresto conferma che, tra le altre cose, l’amicizia con il Venezuela permette all’Iran di aggirare le sanzioni economiche per il suo programma nucleare. Dall’Argentina, il procuratore Alberto Nisman, è stato incaricato di indagare sull’attacco terroristico del 1994 contro AMIA di Buenos Aires, e ha accusato proprio l’Iran di aver distribuito una vasta rete terroristica in Sud America, che comprende dodici paesi. Il rapporto, di 500 pagine, ribadisce le accuse contro diverse personalità iraniane come mandanti di un attacco criminale. Dalla denuncia del procuratore emerge che l’azione terroristica contro AMIA rientra in un piano orchestrato dalle più alte autorità iraniane a livello mondiale il cui scopo primario della distribuzione operativa iraniana in America Latina è stato quello di esportare la rivoluzione islamica, approfittando dell’esistenza di una vasta popolazione di origine musulmana. Font: http://www.lapatilla.com/site/2013/06/01/redes-terroristas-ligadas-a-hezbollah-operan-en-venezuela/

In una epoca in cui gli investitori ricercano i costi di produzione più bassi, le immagini terrificanti del crollo di una fabbrica tessile in Bangladesh dimostra la caduta della globalizzazione. Nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, le fabbriche di abbigliamento sono insufficienti e scarsamente regolamentate. Gli acquirenti dei marchi sostengono di non sapere nulla delle condizioni di lavoro dei lavoratori che producono i prodotti che acquistano a buon mercato. Il tragico incidente in Bangladesh dimostra che chiudere gli occhi sulla sicurezza e sulle condizioni di lavoro di migliaia di lavoratori ammassati in locali non idonei, per ridurre al minimo i costi e aumentare i profitti, ha un prezzo. Per migliaia di donne in Bangladesh e in molti altri paesi in via di sviluppo, lavorare in una fabbrica di abbigliamento è un mezzo per sfuggire alla povertà. Perchè dunque non proviamo a fare qualcosa in maniera diversa in modo da garantire un livello minimo di sicurezza e condizioni di lavoro dignitose? Per le vittime di questa tragedia e di milioni di lavoratori in tutto il mondo che lavorano in impianti simili, perchè accettiamo di pagare i nostri vestiti a pochi centesimi?
Le fuoriuscite di sostanze chimiche e le condizioni di lavoro pericolose e prive di prodotti per la protezione sono diventate oramai un male comune, e ciò comprova un totale disprezzo per la salute dei lavoratori e delle persone che vivono nelle vicinanze. Nei paesi in via di sviluppo, la maggior parte dei sistemi fluviali sono talmente inquinati che la loro acqua è inutilizzabile, a violazione delle norme sull’ambiente. I direttori degli stabilimenti corrono un basso rischio e in caso di condanna, spesso pagano una piccola multa o un bicchiere di vino. La globalizzazione non può essere riassunta con la ricerca della manodopera a basso costo e con un lavoro basato su delle norme più permissive per vendere i prodotti a prezzi bassi e con il pretesto di creare nuovi posti di lavoro. La morte di questi lavoratori del Bangladesh deve renderci consapevoli della necessità urgente di una globalizzazione responsabile. Lungi dal ridursi a mera deregolazione, il nostro modello di capitalismo deve anche consentire la creazione di normative appropriate, economicamente e ambientalmente, ma anche offrire delle condizioni di lavoro e di sicurezza migliori.Font:http://www.undp.org/content/undp/fr/home/ourperspective/ourperspectivearticles/2013/05/28/bangladesh-tragedy-exposes-need-for-responsible-globalization/

Marrakech – L’agricoltura, l’estrazione mineraria e l’energia dell’Africa sono la chiave per accelerare la crescita economica, inoltre, secondo l’African Economic Outlook (AEO), il loro uso efficiente e equo può essere la soluzione per coniugare la crescita economica e lo sviluppo umano. Questo rapporto è pubblicato annualmente dalla Banca africana dello sviluppo (AfDB), dal Centro dello sviluppo dell’OCSE, dalla Commissione economica per l’Africa (ECA) e dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP). Le prospettive economiche del continente per il 2013 e il 2014 sono promettenti: confermano la sua resistenza agli shock interni ed esterni, e il suo ruolo come centro di crescita in una economia globale stagnante. Nel 2013, l’economia africana crescerà dal 4,8%  al 5,3% nel 2014, in media. Tuttavia, la relazione rileva che questa crescita non è sufficiente per ridurre la povertà, la disoccupazione, e le disparità di reddito, in alcuni paesi, se i livelli di deterioramento della salute e dell’istruzione non avanzano nessun progresso. “E’ il momento di accelerare il ritmo della trasformazione economica per le economie africane in modo che diventino più competitive e offrono posti di lavoro più remunerativi”, scrivono gli autori del rapporto, “perché è essenziale per la diversificazione delle fonti della attività economica”. Secondo il rapporto, è  meglio sfruttare le ricchezze della loro terra in modo che i paesi del continente possono distribuire i benefici della loro sostenuta crescita a tutta la popolazione. “La crescita non è sufficiente”, ha dichiarato Mario Pezzini, Direttore del Centro dello sviluppo dell’OCSE. “Bisogna nei paesi africani creare le condizioni favorevoli per fornire nuovi posti di lavoro partendo dalle risorse naturali, massimizzando i ricavi generati da queste fiscalità intelligenti, e incoraggiando gli investitori stranieri e gli operatori locali a sviluppare i legami economici tra di loro”. Per raggiungere questi obiettivi, gli autori identificano quattro priorità. In primo luogo, soddisfare le condizioni di base per la trasformazione economica: le infrastrutture, l’istruzione, e mercati più grandi e più aperti. “L’accesso ai mercati è fondamentale per attuare un processo di trasformazione strutturale basato sulle risorse naturali di integrazione regionale e garantire un migliore accesso ai mercati dando l’opportunità ai partner di poter cambiare le cose”, ha osservato Emmanuel Nnadozie, Direttore della Divisione politica macroeconomica della Corte dei conti. In secondo luogo, emerge la necessità di ottimizzare l’uso delle risorse naturali, compresa l’agricoltura – attraverso una migliore gestione dei terreni, dei sistemi fiscali equilibrati, efficienti, e concreti per accelerare e diversificare le fonti degli incentivi di crescita. Oltre a ciò c’è urgenza di migliorare l’offerta di trasporto, i fertilizzanti o i semi resistenti per aumentare la produttività agricola, l’Africa possiede il 24% dei terreni agricoli globale, ma solo il 9% è destinato alla produzione. In terzo luogo, i Governi e gli investitori devono garantire che i ricavi provenienti dalle risorse naturali e dalle industrie estrattive siano a beneficio di tutta la società. Per esempio, il reddito può essere investito nella formazione della forza lavoro, in modo che venga trovata l’occupazione in nuove attività a maggior valore aggiunto. Infine, il rapporto suggerisce che i Governi possono promuovere attivamente il cambiamento e la diversificazione, ad esempio con lo sviluppo di una fornitura costante di energia, i trasporti e la comunicazione a livello territoriale. Questi includono una spesa nel bilancio prevedibile e trasparente. “E’ arrivato il momento”, ha sottolineato Mthuli Ncube, capo economista e Vice-Presidente della Banca africana dello sviluppo (AfDB), “che dopo 10 anni di maggiore stabilità, le politiche macroeconomiche sane e l’espansione del commercio in crescita forniscano ai Governi africani i margini per una manovra senza precedenti allo scopo di definire i propri percorsi di sviluppo, e attuare le politiche di trasformazione economica”. Trasformazione economica, significa creare opportunità di lavoro e di business, ma anche investire nella sicurezza sanitaria, nell’istruzione e nel cibo. Perché a loro volta, migliorano la qualità della vita di tutti i soggetti, compresi i più vulnerabili, e accelerano il ritmo di trasformazione economica, e creano un circolo virtuoso di crescita e di sviluppo. “Oltre ai benefici diretti alla popolazione, lo sviluppo umano è un fattore chiave nella trasformazione strutturale: accelera il ritmo dell’innovazione e favorisce l’assorbimento di nuove tecnologie”, ha dichiarato Pedro Conceição, capo economista dell’Ufficio Regionale UNDP Africa. “Ma per arrivarci, c’è ancora molto da fare per migliorare la qualità e l’accesso ai sistemi di istruzione e di salute, per trasformare l’agricoltura e creare nuovi posti di lavoro con l’intento di ridurre le disuguaglianze di reddito”. Font:http://www.undp.org/content/undp/fr/home/presscenter/pressreleases/2013/05/27/natural-resources-can-fuel-africa-s-economic-transformation-sustainable-development-rests-on-diversification-and-investments-in-human-capital-/

Quando gli adolescenti Jehad Sadeq Aziz Salman e Ebrahim Ahmed Radi al-Moqdad sono stati incarcerati nella prigione di Jaw del Bahrain, le autorità locali hanno dovuto fare delle uniformi speciali per farli restare perché non avevano a disposizione delle divise della loro dimensione. L’enigma di questi ragazzi è il simbolo di un problema più ampio in base al quale decine di bambini sono detenuti nelle carceri per adulti in Bahrain. I Bambini di 15 anni che sono già adulti, sono tentati di violare gli obblighi del Bahrain per il trattamento riservato a tutti i bambini indagati in conformità alle norme e ai principi di giustizia minorile. Una volta dietro le sbarre, i ragazzi tra i 15 e i 17 anni di età in Bahrain sono detenuti insieme agli adulti e ciò li espone a un maggior rischio di abuso delle loro esigenze, e come  bambini vengono ignorati. Il 1 giugno, è la Giornata internazionale per la protezione dei bambini, e Amnesty International ha chiesto alle autorità del Bahrein   di annullare le convinzioni che i bambini che sono stati processati come adulti subiscano dei nuovi processi nei tribunali che aderiscono al principio secondo il quale tutti i bambini devono essere giustiziati secondo le regole della giustizia minorile. E inoltre devono trasferire tutti i prigionieri al dì sotto dei 18 anni in strutture di detenzione minorile e garantire che siano protetti dalla tortura o da altri maltrattamenti. “I diritti dei bambini non possono essere scartati perchè è una convenienza delle autorità”, ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, deputato di Amnesty International in Medio Oriente e nel Nord-Africa. “Il diritto internazionale richiede un trattamento speciale per i bambini sospettati di crimini. La Convenzione sui diritti dell’infanzia stabilisce che la detenzione dei bambini deve essere l’ultima risorsa e che i bambini in stato di detenzione devono essere detenuti separatamente dagli adulti in strutture che soddisfano le loro esigenze”. Jehad Sadeq Aziz Salman e Ebrahim Ahmed Radi al-Moqdad, di età compresa tra i 16 e i 17 anni, hanno ricevuto in appello una condanna a 10 anni il 4 aprile di quest’anno. I due adolescenti sono stati arrestati il 23 luglio 2012 durante una protesta anti-governativa nel Bilad al-Qadeem, un sobborgo della capitale, Manama. Per quasi 48 ore dopo il loro arresto, non gli è stato permesso di parlare con le loro famiglie e non c’era nessun avvocato presente durante gli interrogatori. Entrambi i ragazzi hanno riferito alle loro famiglie che erano stati picchiati dopo il loro arresto – Jehad Sadeq Aziz Salman ha affermato che la polizia lo ha colpito sulla schiena e sulla testa con il dorso di un arma.  Entrambi hanno anche raccontato che sono stati costretti a firmare delle “confessioni” apocrife, senza un avvocato o un familiare presente, e sono stati formalmente condannati come adulti ai sensi degli articoli del codice penale del Bahrain e la legge anti-terrorismo del 2006, con “l’intenzione di uccidere”, “di aver bruciato una macchina della polizia”, ​​”durante una riunione illegale e di aver provocato dei disordini”, “lanciando bottiglie molotov” e “hanno tentato di rubare una macchina della polizia”. Il giorno dopo il loro arresto, Jehad Sadeq Aziz Salman e Ebrahim Ahmed Radi al-Moqdad sono stati rinchiusi nella prigione di Dry Dock che è un carcere per adulti. Il loro processo, insieme agli adulti, è iniziato il 16 ottobre del 2012 presso l’Alto Tribunale penale di Manama. Durante il processo, i ragazzi hanno ritrattato le loro confessioni “forzate”, ma non hanno avuto la possibilità di dire alla Corte del loro arresto e i maltrattamenti subiti. Diversi agenti della polizia sono stati chiamati a testimoniare l’atto di l’accusa dinanzi all’Alto Tribunale penale e, nel corso di varie audizioni, hanno dato testimonianza coerente, compresi i crediti che sono stati feriti durante l’incidente.  Il 4 aprile, l’Alta Corte penale di Manama ha condannato Jehad Sadeq Aziz Salman e Ebrahim Ahmed Radi al-Moqdad a 10 anni di reclusione ciascuno. Le famiglie degli imputati non sono stati ammessi in aula per ascoltare il verdetto. Quella sera, i bambini sono stati trasferiti in blocco 3 nella prigione di Jaw per adulti e uno è stato tenuto insieme ai detenuti di età superiore ai 20. Il processo d’appello è iniziato il 20 maggio di quest’anno, ma Jehad Sadeq Aziz Salman non era presente perché, come riporta il suo avvocato, le autorità hanno informato che doveva essere tenuto in isolamento come misura di punizione per il suo presunto coinvolgimento in una rissa scoppiata una settimana prima in cella tra i due adolescenti. Il difensore dei diritti umani Nabeel Rajab – che è anche attualmente detenuto nel carcere di Jaw – ha riferito che ha visto le guardie carcerarie colpire diversi giovani dopo il presunto incidente. La maggior parte di loro sono stati poi tenuti in isolamento, tra i quali altri due ragazzii, Mustafa al-Miqdad e Ali ‘Omran, entrambi di 17 anni. La prossima udienza d’appello per Jehad Sadeq Aziz Salman e Ebrahim Ahmed Radi al-Moqdad è stata fissata per il 17 giugno. “Le autorità del Bahrein devono annullare i verdetti contro Jihad e Ebrahim, per violazione del diritto internazionale, e mettere da parte le loro sentenze. Se devono essere giustiziati per qualsiasi reato, ciò deve essere fatto secondo le regole della giustizia minorile”, ha precisato Hassiba Hadj Sahraoui. “Le loro denunce di tortura e altri maltrattamenti durante il loro arresto e la detenzione vengono opportunamente indagati, con i responsabili e assicurati alla giustizia in processi equi. Recentemente, Osama al-Awfi, il procuratore capo del loro caso, ha confermato che i due ragazzi sono considerati adulti per la legge del Bahrain, dal momento che avevano più di 15 anni, quando hanno commesso il reato. “Questo punto di vista è in contrasto con gli standard internazionali e le procedure della giustizia penale nella maggior parte dei paesi”, ha avvisato Hassiba Hadj Sahraoui. La Convenzione sui diritti del fanciullo – al quale il Bahrain ha preso parte – afferma che: “ogni fanciullo privato di libertà deve essere separato dagli adulti, a meno che non è ritenuto contrario all’interesse superiore del bambino di non farlo”. Oltre a Jehad Sadeq Aziz Salman e Ebrahim Ahmed Radi al-Moqdad, è stato convenuto che ci sono decine di altri bambini che sono carcerati al fianco dei prigionieri adulti in Bahrain. In un rapporto pubblicato a novembre dello scorso anno, Amnesty International ha documentato decine di casi di bambini al di sotto dei 18 anni detenuti nelle carceri per adulti e nei centri di detenzione. Molti di loro sono stati arrestati nel contesto di proteste anti-governative e sono stati accusati di “riunioni illegali” e i detenuti hanno lamentato la tortura e altri maltrattamenti da parte della polizia e che i loro diritti di difesa sono stati calpestati. Amnesty International ha visitato la prigione di Jaw a gennaio e continua a ricevere regolarmente nuovi rapporti sui bambini detenuti con gli adulti in Bahrain. Font:http://www.amnesty.org/es/node/40207

Data la crescente domanda nella regione, la Horizon terminal aumenterà del 35% le capacità di stoccaggio del suo terminal petrolifero a Gibuti. La costruzione è stata affidata alla società italiana Belleni Energy. Fondato nel 2006 nella periferia di Gibuti, il terminal petrolifero gestito dalla Horizon Terminal, una filiale degli Emirates National Oil Company (ENOC), la compagnia petrolifera di Stato a Dubai, vedrà passare le sue capacità di stoccaggio a 500.000 m³ contro i 370.000 m³ di oggi. Unico terminale di questo genere nella regione del Corno, conserva e distribuisce ogni anno circa 3 milioni di metri cubi di prodotti petroliferi di tutti i tipi, provenienti dalla raffineria dalla Saudita di Yanbu e dalla raffineria Kuwait. Questi volumi forniscono la maggior parte dei mercati interni etiopi, mentre la rimanenza è destinata al Gibuti, e comprende la fornitura alle forze statunitensi di stanza nella regione.

70 milioni dollari

L’investimento di $ 70 milioni, di cui il 40% è a carico del gestore, sottintende di portare a termine entro la fine del 2015 quattro serbatoi supplementari, ciascuno con una capacità di 30.000 m³. Secondo la direzione della Horizon Terminal, l’interesse di questa nuova fase di sviluppo è quello di “sostenere la crescita osservata della domanda etiopica, durante l’avvio di nuove attività, come per esempio l’approvvigionamento delle navi”. Ciò consentirà anche al terminale di avere un po ‘più di spazio e di flessibilità per posizionare una quantita costante dei prodotti petroliferi sul mercato spot internazional. La realizzazione di questa estensione è stata affidata alla società italiana Belleni Energy, che ha già costruito il terminale corrente e dock. La Horizon Terminal, gestisce un terminal petrolifero simile in Marocco e ha intenzione di aprirne presto un terzo in Sud Africa.Font:http://economie.jeuneafrique.com/regions/afrique-subsaharienne/17544-nouvel-horizon-pour-le-terminal-petrolier-de-djibouti.html

L’Egitto, il Sud Africa, il Marocco, la Tunisia e l’Algeria figurano tra i paesi africani più vulnerabili alla criminalità informatica. Le principali vittime sono le aziende, ma anche gli individui attraverso la telefonia mobile. E ovunque, le politiche africane di prevenzione e di difesa lasciano a desiderare. Osservando le classifiche annuali di Symantec Corporation sulla sicurezza di Internet nel mondo, pubblicate, il 16 aprile, dimostrano che la criminalità informatica è in primo luogo un problema dei ricchi. In realtà, i due paesi più a rischio sono gli Stati Uniti – tra il 2011 e il 2012, gli attacchi sono aumentati del 42% – e la Cina, la seconda potenza mondiale. ”Le imprese industriali sono in testa alle organizzazioni che sono state prese di mira dagli attacchi nel 2012, e davanti alle istituzioni governative”, ha reso noto Symantec. Secondo la società, “i criminali informatici cercano altre catene di fornitura e sub-eco-sistemi per accedere alle informazioni sensibili delle grandi imprese e a una proprietà intellettuale di forte valore”.

Paura sul cellulare

Tra gli obiettivi principali dei criminali informatici sono incluse le informazioni riservate, e i dettagli bancari detenuti dalle singole aziende. In questa ottica, gli aggressori stanno prendendo di mira sempre di più le piccole e medie imprese (PMI), dal momento che sono ritenute le più vulnerabili, e hanno rappresentato quasi il 30% degli attacchi nel 2012 contro il solo 18% nel 2011. Un altro obiettivo della scelta: i cellulari. In un anno, il “malware” (software maligni) è aumentato del 58% sugli “smartphone”. Le loro prede sono principalmente i dati personali dell’utente contenuti nel telefono o nella sua contabilità, e nell’elenco rientrano anche le e-mail. Nel 2011, più di un quarto dei principali utilizzatori (27%) hanno riferito di aver subito una violazione della loro casella di posta elettronica. “La quota di mercato di Android e le numerose modalità di distribuzione delle applicazioni maligne che esistono diventano una piattaforma di scelta per gli attaccanti”, ha rivelato Symantec nella sua relazione.

Egitto, primo obiettivo

Con un tasso di penetrazione di oltre il 40% dei mobili, l’Africa è nel mirino della criminalità informatica. Anche se le imprese continentali non hanno tutte le potenzialità delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, gli individui africani possono essere sempre attaccati. E già le economie di maggior successo del continente appaiono minacciate. Al 27° posto nel mondo, l’Egitto, è lo Stato del continente più collegato ed è in testa ai paesi africani più vulnerabili, con i suoi vicini magrebini, del Marocco, della Tunisia e dell’Algeria, che sono rispettivamente al 3°, 4° e 5° posto. Al 2° gradino della classifica continentale, il Sudafrica è nel frattempo diventato il più importante obiettivo australe (vedi grafico).

Legislazione (nella migliore delle ipotesi) insufficiente

Ma le politiche di lotta contro la criminalità informatica sono lente da implementare, mentre la crescita economica del continente è innegabile. “Spetta a ogni singolo Stato fornire i mezzi adeguati di controllo, la creazione di unità di polizia, le quali possono contare su una legislazione per essere armonizzate a livello della sub-regione”, ha osservato, il 25 febbraio, il direttore dell’Ufficio subregionale per la Commissione Centrale Economica delle Nazioni Unite per l’Africa (ECA), Emile Ahohé, nel corso di una riunione di esperti, concentrata sul tema “l’armonizzazione della legislazione in termini di tecnologia, di informazione e di comunicazione in Africa centrale”. ”La maggior parte dei membri della Comunità economica degli Stati dell’Africa centrale (ECCAS) non dispongono ancora di un approccio coordinato alla criminalità informatica. Le strategie per proteggere le reti informatiche e le infrastrutture devono cessare di essere disparate”, ha aggiunto. Le iniziative, però, sono già state lanciate in Africa occidentale, sotto gli auspici di ECOWAS e alcune leggi nazionali sono state già messe in atto, come per esempio in Costa d’Avorio. I membri ivoriani della Commissione per gli Affari generali e istituzionali (Cagi) hanno votato alla unanimità Martedì, 14 maggio, due disegni di legge presentati da Bruno Kone, Ministro delle poste e delle nuove tecnologie di informazione e di Comunicazione, e relative alla protezione dei dati personali e alla lotta contro la criminalità informatica. I testi forniscono nettamente la reclusione da uno a cinque anni di carcere e multe da 5-100,000,000 CFA.

Abisso finanziario

Che siano gli Stati, a livello legislativo, o le imprese, l’interesse di sviluppare sistemi efficaci di protezione è evidente. “Non solo le aziende spendono per pulire il malware, ma devono anche tener conto dei costi di perdita di produttività, perdita dei dati, come anche la gestione di ricerca e post-incidente”, conferma Pekka Usva, Vice Presidente della divisione per la sicurezza aziendale della società F-Secure. Secondo uno studio condotto dalla Norton Company, i costi ottenuti da cybercrime tramite gli individui ammontavano nel 2012 a 110 miliardi di dollari (87,5 miliardi di euro), più del PIL del Marocco. In tutto il Sud Africa, e in tutti i paesi più connessi del continente, le perdite complessive sono pari a 3,7 miliardi di rand l’anno, o meglio 329 milioni di euro.Font:http://www.jeuneafrique.com/Article/ARTJAWEB20130517121138/algerie-maroc-tunisie-internetcybercriminalite-l-afrique-face-a-une-menace-grandissante.html

L'edizione 2013 del rapporto annuale sulla African Economic Outlook (AEO) lavora per sviluppare le previsioni di crescita per il continente. La Costa d'Avorio è in quarta posizione, seguita da vicino dal DR Congo (5 °). E' in Africa occidentale che sarà consolidata la crescita più rapida nel periodo 2013-2014 predice la relazione annuale sulle prospettive economiche africane (African Economic Outlook), rilasciata congiuntamente il 27 maggio dalla Banca africana dello sviluppo ( AfDB), dal Centro dello sviluppo dell'OCSE, dalla Commissione economica per l'Africa (ECA) e dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP). Con un tasso di crescita previsto tra il 6,7 ​​e il 7,4% nel periodo 2013-2014, l'Africa occidentale sembra essere la regione più dinamica del continente. La crescita è basata principalmente sul settore minerario e del petrolio, ma anche su quello agricolo e sui servizi, come anche sulla forte richiesta, trainata dai consumi e dagli investimenti. Per il Ghana e la Costa d'Avorio i tassi sono tra l'8 e il 9%, ma nella maggior parte dei paesi della regione, la crescita dovrà riprendere nel 2013-14, oltre il 5%. Questi risultati non sono riferiti al Benin, al Capo Verde e alla Guinea-Bissau.
La maggior parte dei paesi dell'Africa orientale, come l'Etiopia, l'Uganda, il Ruanda e la Tanzania, sono su un sentiero di crescita sostenuta, tra il 5 e il 7% per lo stesso periodo.

Petrolio, il pilastro della crescita

Con la ripresa della produzione e delle esportazioni di petrolio, il PIL della Libia ha avuto un rimbalzo del 96% nel 2012. Conseguenza: il tasso di crescita nel Nord Africa ha raggiunto il 9,5% nel 2011, dopo anni di stagnazione. In Africa centrale, il PIL continuerà il suo slancio per arrivare al 5,7% nel 2013 e al 5,4% nel 2014. Tale risultato è dovuto ai tassi di crescita più elevati rispetto alla media nella RD Congo e nel Ciad. Nella Repubblica Democratica del Congo, questo dinamismo è dovuto al settore minerario, dell'agricoltura e delle costruzioni. Tuttavia, per raggiungere una crescita sostenibile, il paese dovrà migliorare la sua stabilità politica e la sicurezza nel territorio orientale, dove la situazione è profondamente perturbata dalla attività economica. In Ciad, la produzione di petrolio e l'agricoltura sono i due motori della crescita.

La recessione nella zona euro

Nell'Africa australe, le previsioni indicano un incremento di circa il 4% nel 2013 prima di accelerare al 4,6% nel 2014. I motori della regione sono l'Angola, il Botswana, il Mozambico e lo Zambia.
La performance del Sud Africa nel 2012 è stata colpita da importanti scioperi nel settore minerario e la recessione nella zona euro. Ma con la ripresa della domanda globale e le politiche macroeconomiche di sostegno, l'economia sudafricana dovrà avanzare un recupero nel 2013 e nel 2014, secondo il rapporto.

Paul Collier è professore di Economia e delle Politiche Pubbliche alla Blavatnik School of Government presso l’Università di Oxford. Ha collaborato ai preparativi per il G-8, insieme al Governo britannico. Negli ultimi anni, avvocati e commercialisti hanno creato reti di imprese cassetto di una tale opacità che l’evasione fiscale e la corruzione sono aumentati in proporzioni allarmanti. Attività finanziarie private ​​domiciliate in paradisi fiscali sono aumentate fino a raggiungere circa 21.000 miliardi di dollari, di cui 9.000 miliardi provengono dai paesi in via di sviluppo. Alcune giurisdizioni microscopiche, come le Isole Cayman, sono diventate in tutta legalità e per molte aziende il domicilio di miliardi di dollari, in quanto offrono vantaggi incomparabili come il segreto e una fiscalità inesistente. Tali competenze sono ormai dominanti in alcuni settori: è il caso della marina mercantile, la metà della flotta mondiale, è ora in fase di registrazione. L’opacità delle strutture aziendali può avere enormi benefici finanziari, ma notiamo chiaramente che non rientra nell’interesse del mondo intero. E’ stata sviluppata perché non limita gli interventi su scala nazionale, e può essere affrontata solo attraverso la cooperazione politica ad alto livello tra le più grandi economie del mondo. Il recinto che si presta meglio non è altro che il G-8. L’evasione fiscale prospera sfruttando più di 700 giurisdizioni fiscali indipendenti, dove le strutture delle società di controllo possono prendere la residenza. La competizione tra i giudici ha portato alla nascita di paradisi fiscali. Quando questo sistema è combinato con quello dei trattati fiscali bilaterali destinati, in origine, a evitare la doppia imposizione, abbiamo di fronte ciò che Pascal Saint-Amans, direttore degli affari fiscali dell’OCSE, non senza una ragione ha chiamato la “doppia non imposizione”.  La forma più semplice che può prendere l’evasione fiscale non è altro che il prezzo dei trasferimenti interni all’interno dello stesso gruppo, questa tecnica permette a una filiale situata in un paese pesantemente tassato di vendere la sua produzione a un prezzo inferiore rispetto al valore reale di un’altra filiale, e, in un paese meno imposto. Il G-8 limita questa pratica, osservando da vicino il prezzo di trasferimento utilizzato per il commercio all’interno dello stesso gruppo, ma il problema rimane in Africa, dal momento che le autorità fiscali non hanno i mezzi desiderati. Per esempio, in Zambia, quando ho parlato con le autorità le ragioni per le quali i produttori di rame vengono pagati così poco mentre i prezzi dei metalli a livello mondiale sono così alti, hanno spiegato i funzionari con rammarico che non esistono abbastanza ragionieri ben addestrati nel paese e tutti lavorano per le compagnie minerarie. Il G-8 può fare molto per aiutare l’Africa ad affrontare questo tipo di abuso da parte delle aziende, osservando da vicino i prezzi interni di trasferimento che possono limitare la regolazione artificiale. Se l’Africa soffre, è perché le giurisdizioni sono troppo piccole per acquisire realisticamente tutte le risorse necessarie. La soluzione è quella di fornire una guida ai paesi in materia di prezzi di trasferimento all’interno dei gruppi. L’OCSE ha proposto di creare un database di questo tipo, e il G-8 può dargli una spinta politica. Le aziende internazionali che operano in Africa sono obbligate ad utilizzare i prezzi indicativi, o a notificare e a giustificare qualsiasi deviazione da loro. Nel G-8, il problema dei prezzi di trasferimento interno è più difficile da affrontare. La tecnica oggi utilizzata per l’evasione fiscale passa attraverso la distorsione e non più dai prezzi di trasferimento, ma dalle attività di domicilio. Le attività relative alla proprietà intellettuale ad alto valore aggiunto sono, nel modo più lecito, domiciliati in paradisi fiscali dove non sono stati prodotti. Le società controllate in giurisdizioni a tassazione elevata acquisiscono i diritti di tali attività, trasferendo in tal modo i profitti. Affrontare questo tipo di outsourcing non è facile perché non esiste una soluzione tecnica perfetta. Una possibilità è quella di chiedere alle aziende di fare lo stato della distribuzione dei profitti in tutto il mondo. La trasparenza può scoraggiare l’evasione fiscale, perché può essere la causa di costi significativi per la reputazione. In Gran Bretagna, l’ordine dei commercialisti suggerisce che le imprese adottino uno standard che è disposto a difendere pubblicamente il loro dispositivo di delocalizzazione. Se la trasparenza non è sufficiente, può essere completata dalle norme stabilite a livello internazionale e consentire al fisco di tenere maggiormente conto del labirinto delle persone giuridiche istituito dalla società. L’opacità strutturale non solo facilita l’evasione fiscale , ma è anche un grande veicolo per la corruzione. In Africa, come in altre parti del mondo colpite dalla povertà, la corruzione rappresenta un enorme ostacolo al buon Governo. Non è senza ragione che i leader africani sottolineano che bisogna essere in due per brindare: la società estera che offre il vaso di vino, e l’ufficiale che accetta. La corruzione è consentita ovunque, ma in Africa i leader politici e i funzionari onesti affrontano difficoltà insormontabili nel far rispettare la legge, perché è difficile dimostrare la corruzione mentre gli utili ivi sono facili da nascondere. Non è senza una ragione che i leader africani sottolineano che bisogna essere in due per brindare: la società estera che offre il vaso di vino, e l’ufficiale che accetta. Ma se hanno ragione in teoria, gli africani che dicono che bisogna essere in due per brindare sbagliano nella pratica. Perché bisogna essere in tre per corrompere: il corruttore, il corrotto e l’intermediario. Il denaro della corruzione viene riciclato dalle compagnie di pura facciata e dai conti bancari che non lasciano traccia. La consulenza legale e i banchieri che facilitano queste operazioni non sono stabiliti a Lagos o a Bangui ma è a Londra e a Berlino che si trovano. I Governi africani sono impotenti di fronte al riciclaggio del denaro, ma il G-8 è in linea di principio nella posizione ideale per sferrare un colpo fatale. Queste società fittizie, conosciute come le “società di comodo” sono il canale principale attraverso il quale il denaro delle tangenti passa. In uno studio su 150 casi di corruzione su vasta scala, la Banca Mondiale ha osservato che le società di comodo svolgono un ruolo importante nel 70% dei casi. Queste società nascondono l’identità dei beneficiari effettivi, ma li sviluppano con una facilità sorprendente. In un recente studio sperimentale, del Griffith University, in Australia, sono state inviate 7.000 e-mail agli studi legali di tutto il mondo per chiedere la costituzione di una società di comodo. Alcuni di questi messaggi contenevano elementi di informazioni incriminanti che dimostravano la corruzione e veniva offerto un pagamento per garantire la segretezza. La risposta a queste e-mail è stato positiva in una percentuale del 40% e un po ‘di più dagli studi legali che avevano ricevuto l’offerta compromettente. I paesi del G-8 figurano a un buon posto nella classifica mondiale di appropriazione lecita dei fondi. La mancanza di tracciabilità dei proprietari effettivi delle società è una delle preoccupazioni del Gruppo di azione finanziario internazionale (GAFI). Il GAFI è un gruppo tecnicamente orientato che è in grado di mettere su una lista nera qualsiasi sistema finanziario che non è conforme agli standard adeguati di trasparenza. Attualmente è principalmente preferita la lotta contro le reti terroristiche finanziarie. Se il GAFI ha le competenze per impostare le regole e le raccomandazioni, il rigore con cui vengono applicate dipende dalle autorità di ogni paese. A parte la questione dell’attuale finanziamento del terrorismo, al GAFI è mancato un sostegno politico concertato e di alto livello per rendere il suo lavoro sufficientemente efficace. Il buon rispetto delle sue procedure contro il riciclaggio di denaro ha avuto la tendenza a degenerare in un sistema in cui è sufficiente controllare le caselle. Se la proprietà definitiva delle imprese deve essere dichiarata pubblicamente e registrata, è necessario un nuovo approccio. Cioè combinare una responsabilità rigorosa per la notifica di ulteriori sforzi nel campo delle indagini, sanzioni più pesanti, e lo scambio automatico delle informazioni. Se il saccheggio che ha segnato la storia dell’Africa veniva ripetuto, era una tragedia di portata spaventosa. Le strutture societarie opache non sono un caso, ma piuttosto il risultato opposto del cervello collettivo di alcune delle menti più brillanti del pianeta. Queste sono le persone alle quali la vergogna deve fare abbassare la testa. Nelle economie avanzate, le loro attività hanno portato a minare la base imponibile. Ma peggio ancora, hanno anche avuto l’effetto di negare le entrate fiscali alle popolazioni più povere, facilitando i saccheggi su larga scala dei fondi pubblici. Il forte aumento dei prezzi delle materie prime che caratterizza il decennio in corso offre all’Africa una occasione decisiva: se il saccheggio che ha segnato la sua storia viene ripetuto, ciò segna una tragedia di portata spaventosa. E’ attraverso le competenze professionali di eccezione che gli avvocati e i commercialisti per facilitare il perpetuarsi di questi mali, sfruttando i sistemi non aggiornati sono stati in grado di rispettare alla lettera la legge, ma non la sua mente. Questo è sufficiente per rilasciare l’avidità del peso delle esigenze che sono quelle della coscienza. Ecco perché abbiamo bisogno di un impulso al Summit- quello del G-8. Anche se dopo ciò, saranno ancora necessari ai funzionari del fisco degli anni per dissipare l’opacità della struttura aziendale, solo un impulso politico metterà in moto il processo.Font:http://economie.jeuneafrique.com/tribune/408-tribune-international/16988-fiscalite-et-transparence-un-programme-pour-le-g-8.html

L’ultima edizione del rapporto annuale sulla African Economic Outlook (AEO) dimostra che una migliore gestione delle risorse può coniugare la crescita economica e lo sviluppo umano. “La crescita non è sufficiente”, ha dichiarato Mario Pezzini, Direttore del Centro di sviluppo dell’OCSE, un think tank che raccoglie i paesi industrializzati. Con una previsione di crescita per l’Africa del 4,8% in media per il 2013 e del 5,3% per il 2014, le prospettive sono piuttosto promettenti. Tuttavia, la relazione annuale sulle prospettive economiche africane (African Economic Outlook), congiuntamente rilasciato, il 27 maggio, dalla Banca africana dello sviluppo (AfDB), dal Centro dello sviluppo dell’OCSE, dalla Commissione economica per l’Africa (ECA ) e dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), rimane cauto. Secondo il rapporto, la crescita non è sufficiente per ridurre o la povertà o la disoccupazione o la disuguaglianza di reddito. Non permette di fermare i livelli di deterioramento della salute e di istruzione in tutta l’Africa. “Questo è per i paesi africani un bisogno per creare le condizioni favorevoli per la creazione di posti di lavoro dalle risorse naturali, massimizzare i ricavi generati da queste tassazioni abili e incoraggiare gli investitori stranieri e gli operatori locali a sviluppare i legami economici tra di loro”, spiega Mario Pezzini. Per raggiungere questi obiettivi, la relazione mette in evidenza quattro priorità. La prima è l’unione delle condizioni di base per generare una trasformazione economica, le infrastrutture, l’istruzione e l’apertura e l’integrazione del mercato. La condivisione dei frutti della crescita per creare opportunità di lavoro e sviluppare le capacità di finanziamento nei settori sostanziali come la sanità, l’istruzione e la sicurezza alimentare, la relazione raccomanda che i paesi africani ottimizzino lo sfruttamento delle risorse naturali. In altre parole, hanno bisogno di incoraggiare una migliore gestione della proprietà della terra, equilibrata ed efficace, ma anche una diversificazione delle fonti dei sistemi fiscali di crescita. Per l’OCSE, condividendo i frutti della crescita rimane una pietra miliare la trasformazione economica dell’Africa. In effetti, i Governi e gli investitori devono garantire che i ricavi dalle risorse naturali e dalle industrie estrattive siano a beneficio di tutta la società. Per la trasformazione economica di fondo, spetta al Governo aumentare tutti questi cambiamenti.Font:http://economie.jeuneafrique.com/regions/afrique-subsaharienne/17420-rapport-pour-reduire-la-pauvrete-la-croissance-ne-suffit-pas.html

KINSHASA, Repubblica Democratica del Congo – La fondazione Howard G. Buffett ha donato Lunedì, 20 Maggio, 350.000 dollari per il Programma Alimentare Mondiale (PAM). Questi fondi sono destinati a sostenere una “iniziativa verde” per ridurre il consumo di combustibile legato alle operazioni del PAM e a facilitare la riabilitazione delle infrastrutture aeroportuali per migliorare l’accesso umanitario alle aree remote. Howard G. Buffett, Presidente della fondazione omonima e ambasciatore contro la Fame del PAM, ha accettato di sostenere questi progetti dopo un anno dal suo sesto viaggio nella regione dei Grandi Laghi e alla sua terza visita alla squadra del PAM a Goma. “Siamo sempre impressionati dal grande lavoro svolto dal PAM in RDC orientale per aiutare le persone, soprattutto gli sfollati che decidono di tornare ai loro villaggi e la cui sicurezza alimentare è compromessa da conflitti” ha informato Buffett. “L’iniziativa verde” consentirà al PAM di ridurre i costi operativi e di riabilitare le piste allo scopo di fornire alla comunità umanitaria, un facile accesso alle aree dove le persone hanno bisogno di assistenza”, ha dichiarato. “La nostra Fondazione è dedita a sviluppare investimenti strategici che sostengono il mantenimento a livello locale di una pace duratura e lo sviluppo umano ed economico. Queste donazioni contribuiscono al raggiungimento di questi obiettivi”. Il contributo della Fondazione è devoluto all’acquisto e alla installazione di pannelli solari e delle lampade nei nuovi uffici e nei magazzini del PAM a Ango, Beni, Dungu, Gemena, Goma, Kalemie, Kindu, Mbandaka e Mbuji Mayi, in modo da ridurre l’uso di carburante per i generatori. La riabilitazione della pista di atterraggio a Lubutu Maniema consentirà l’accesso nella zona aerea, facilitando gli interventi umanitari in questa area che ospita circa 160.000 sfollati, che sono fuggiti dalle guerriglie esplose nelle vicine province del nord e sud Kivu. Attualmente, l’unica soluzione è quella di passare attraverso la strada al prezzo di molte deviazioni, che è una lunga e costosa opzione. Il miglioramento dell’accesso a Lubutu permetterà anche di aiutare a rivitalizzare il business. I fondi rimanenti contribuiranno a riabilitare la pista di atterraggio Dongo Ecuador. I voli a Dongo sono stati sospesi lo scorso febbraio dopo che la pista era stata danneggiata. Questo ha compromesso il rimpatrio di 32.000 rifugiati dal Congo in RDC e altre operazioni umanitarie nella regione. “Howard Buffett è un amico e partner di lunga data di PAM”, afferma Martin Ohlsen, Direttore del PAM in RDC. “Questi contributi sono un aggiunta ad altri doni che lui stesso ha dato al PAM per supportare le operazioni umanitarie nel Paese. Si è reso subito conto durante le sue frequenti visite in che modo questi nuovi progetti possono migliorare il nostro lavoro sul campo”. G Howard Buffett Foundation ha assegnato al WFP dal 2006 oltre 50 milioni di euro. Nella regione dei Grandi Laghi, la Fondazione ha investito attraverso diversi partner, quasi 100 milioni di dollari e ha accettato di pagare 50 milioni in più nei prossimi due anni per i programmi nella RDC orientale.Font:http://fr.wfp.org/nouvelles/nouvelles-release/fondation-howard-buffett-poursuit-soutien-operations-pam-en-rdc

Una nuova ondata di attentati terroristici mortali in Iraq, ha preso principalmente di mira gli sciiti, ha provocato oltre 700 vittime civili e oltre 1600 feriti nel mese di aprile 2013. Questo segue 229 morti di marzo, 418 di febbraio e 319 di gennaio del 2013 per un totale di oltre 1.600 morti per violenza armata in Iraq fino a maggio. Finora a maggio, il bilancio supera le 250 vittime. Lunedì, 20 maggio, negli attentati mortali in Iraq hanno perso la vita oltre 70 musulmani sciiti. Gli atti terroristici seriali sono stati registrati a Bassora, nel sud, dove due autobombe e una esplosione all’interno di un terminal bus hanno ucciso 14 persone, a Balad, a circa 80 km a nord di Baghdad, una macchina parcheggiata è stata fatta esplodere vicino a un autobus che trasportava pellegrini sciiti dall’Iran, uccidendone 12. Altre autobombe hanno provocato la morte di almeno 30 iracheni nei distretti prevalentemente sciiti di Baghdad. Lo stesso giorno, un tornado ha colpito Oklahoma City nel centro sud degli Stati Uniti uccidendo più di 20 persone. L’evento ha avuto la copertura televisiva round-the-clock su tutte le reti degli Stati Uniti, ma non c’è stata una copertura simile per le vittime del terrore che sono rimaste colpite in Iraq. Alcuni iracheni hanno addirittura sospettato che gli USA erano dietro la recente ondata di attentati, altri accusano gli Stati Uniti di aver deliberatamente incitato alla violenza come parte di un piano per dividere il paese in tre regioni. In risposta all’ondata di attacchi letali, che ha preso principalmente di mira gli sciiti iracheni, aderenti alla Missione di assistenza delle Nazioni Unite per l’Iraq chiamata “Per gli iracheni per abbracciare la diversità.” Prima dell’invasione statunitense e l’occupazione dell’Iraq illegale a marzo del 2003, la società irachena aveva abbracciato la diversità. C’era stata una relativa armonia tra gli sciiti e i sunniti iracheni, e il tipo di atrocità alle quali assistiamo oggi non era stato mai verificato. Shireen Hunter, visiting professor e docente di scienze politiche presso l’Università di Georgetown di Tabriz, in Iran scrive: “Chiaramente, le differenze tra i sunniti e gli sciiti, sono reali e non possono essere negate. Tuttavia, storicamente, i sunniti e gli sciiti ordinari hanno vissuto pacificamente, e anche se non da vicino, insieme”, e ha aggiunto, “In Asia del Sud, dove sono presenti anche le sostanziali minoranze sciite, fino all’ultimo decennio o giù di lì non c’è storia senza conflitti tra sunniti e sciiti su larga scala. “Dunque, cosa cambia per gli sciiti e i sunniti ad avere una convivenza pacifica in un tornado di terrorismo? Vivendo principalmente come minoranze nei paesi a maggioranza musulmana sunnita e, quindi, senza una voce politica pari a quella dei Governi, gli sciiti hanno iniziato la loro richiesta di uguaglianza in Libano nel 1960 sotto la guida di Ayatollah Musa Sadr. Questo movimento è diventato radicalizzato in seguito all’invasione sionista del Libano nel 1982 e gli anni successivi alla guerra civile, analogamente a quanto è successo ai movimenti sciiti in Iraq dopo l’invasione degli Stati Uniti nel 2003. Nel conflitto secondo le precedenti affermazioni di Ollivant un “quietista” di tradizione sciita in Iraq, l’ayatollah Mohammed Sadiq al-Sadr, cugino e allievo di ayatollah Mohammed Baqir al-Sadr, era lui stesso un avversario risoluto del partito Ba’ath martirizzato dagli uomini di Saddam nel 1980, fortemente sostenuto dai leader sciiti ad opporsi apertamente al regime oppressivo del dittatore. Tutt’altro che “quietista”, ha denunciato gli Stati Uniti a causa della devastazione causata dalle loro sanzioni economiche, e ha affrontato il regime di Saddam, con una intensità crescente dal 1997. Una forza principale dietro lo sviluppo del potente movimento di Sadr, ora sotto la guida dell’unico figlio rimasto Muqtada al-Sadr, l’ayatollah Mohammed Sadiq è stato martirizzato da Saddam nel 1999 a Najaf insieme ad altri suoi due figli, Mustafa e Muammal. Le Sadr, con il loro zelo per l’Islam sciita e una aperta opposizione al regime baathista, erano gli opposti diretti agli approcci più “quietisti” di Ayatollah Sistani e l’Ayatollah al-Khoei. Tuttavia, le autorità statunitensi sembrano essere state prese di sorpresa dal momento che anche questi ultimi chierici “quietisti”, non hanno agito per una laica “democrazia” imposta dagli architetti dell’occupazione dell’Iraq, anzi, hanno voluto le elezioni libere per tutti gli iracheni. In realtà, il partito che ha vinto il maggior numero di seggi nelle elezioni dell’Assemblea nazionale irachena nel 2005 era stata la United Iraqi Alliance (UIA), formata sotto la tutela del “quietista” Ayatollah Sistani. In un’altra mossa miope dopo l’invasione degli Stati Uniti nel 2003, Coalition Provisional Authority (CPA) il capo Paul Bremer ha istituito un piano di “de-ba’athificazione”, che, in quanto ai primi posti nel regime di Saddam erano state tenute per lo più dai sunniti, ed è stato visto come il “de-Sunnification”. Forse creando volutamente una rivolta, Bremer ha sciolto il partito Baath e l’esercito iracheno, provocando immediatamente delle ostilità e impiegando 300.000 armati giovani senza lavoro, adottando il taglio delle pensioni di decine di migliaia di ex ufficiali dell’esercito, e mandando in licenza oltre 30.000 amministratori governativi esperti. Successivamente, aveva applicato una formula di cura artigianale basata sulla religione e sull’etnia per la selezione di nuovi incaricati allo scopo di sostituire i baathisti, e quindi Bremer, invece di realizzare il mix “laico” desiderato, aveva istituzionalizzato il conflitto confessionale che alla fine era entrato nella spirale di una piena guerra civile vera e propria. Aveva quindi ulteriormente frammentato il tessuto della società irachena, e le autorità statunitensi avevano costruito muri di cemento tra la maggioranza sunnita e quella sciita nei quartieri con il pretesto di prevenire la violenza settaria. Gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo fondamentale nel promuovere la violenza intestina in Iraq e altrove, poiché questo si inserisce nella strategia regionale complessiva dell’Occidente per tentare di isolare l’Iran, come spiega il professor Hunter, “Su una scala più ampia, la più recente intensificazione delle tensioni settarie in tutto il mondo musulmano riflette la strategia occidentale di strumentalizzare le differenze settarie e forgiare un’alleanza regionale contro l’Iran”.Font:http://www.presstv.ir/detail/2013/05/25/305340/terror-tornado-shias-under-attack-in-iraq/

 

Al mondo di oggi si parla molto di ristabilire i valori di uguaglianza e di rispetto verso i nostri simili, io aggiungo verso il nostro prossimo perchè è il refrain di una canzone ma in realtà è la pura verità:"Gli altri siamo noi". Il rispetto verso una persona non si limita solo nel momento in cui si è amici, il rispetto verso una persona c'è sempre, che siamo amici o nemici ma c'è sempre, e venire meno a questo rispetto è una forma di profonda maleducazione. La cosa peggiore della maleducazione è anche il burlarsi delle persone che è sinonimo di deficenza intellettiva. Deficere deriva dal latino e significa mancare di, e in questo caso chi assume un tale comportamento manca di intelligenza resa pauperrima anche dal grado di educazione. A volte ci sono persone che pretendono il rispetto, ma su quale base? Perchè io devo rispettare una persona che mi ha mancato di rispetto? io devo considerare una persona che non mi considera? Ci vuole una bella faccia tosta a pretenderlo. perchè vuol dire che io non sono nessuno. C'è il perdono sono d'accordo ma tra i dieci comandamenti c'è scritto anche: "Non dire falsa testimonianza" e "Ama il tuo prossimo come te stesso". essere cattolici non significa andare a messa a battersi il petto e poi uscire fuori e comportarsi come prete non comanda. E' mancanza di rispetto verso gli altri ma è mancanza di rispetto verso Dio, ed è anche burlarsi degli altri e burlarsi di Dio. Siete cattolici in questo senso? No! Le persone che si comportano così sono i farisei che hanno mandato Cristo in croce. Immagino il dolore di una madre mentre vede suo figlio salire al calvario, essere inchiodato alla croce e trafitto da una lancia fino all'ultimo respiro. E Gesù disse "Padre perdona loro perchè non sanno quel che fanno". Gesù ha perdonato i farisei che lo hanno mandato in croce. In questo caso bisogna perdonare anche coloro che ci ignorano, che si burlano di noi, che alla fine mancano di una completa educazione nei nostri confronti, e soprattutto ci disprezzano. Perdonare sì perchè è cristiano ma dimenticare non si può. La mancanza di rispetto nei confronti degli altri è la più vile inciviltà e chiunque disprezza compra a caro prezzo. Non voglio giudicare preferisco lasciare che lo faccia Dio lui solo è in grado di giudicare, ma non si può dimenticare il torto ricevuto. Chiunque va in Chiesa e manca di rispetto a ognuno dei dieci comandamenti non si può definire cristiano ma un falso cristiano. Non è un invito alla morale perchè mi gonfio di boria. E' un invito alla umiltà, chiunque fa un torto ad un altro suo simile deve avere anche la coscienza di ammetterlo andare dal proprio fratello, perchè davanti a Dio siamo tutti uguali, e chiedergli scusa. Ma l'orgoglio impedisce di fare tutto questo, l'orgoglio viene prima e Dio viene dopo, se sei un vero cristiano vai da tuo fratello e chiedigli scusa

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Aesha Mohammadzai si guarda davanti allo specchio e in mezzo alla fronte del suo giovane volto c’è una parte in più che Aesha aveva perso. Infatti nel 2001, era comparsa sulla prima pagina del quotidiano Time in seguito alla sua mutilazione. I suoceri, il marito e i talebani le avevano amputato: le orecchie e il naso come punizione per essersi data alla fuga. Il suo volto era stato completamente sfigurato ed è diventato il simbolo delle donne oppresse, un promemoria di ciò che può tornare a essere l’Afganistán se i talebani riprendono il controllo. Oggi, lei deve solo fare un piccolo intervento chirurgico per avere di nuovo il naso che aveva. Le procedure sono stressanti. Ha dovuto subire un doloroso ampliamento della pelle sulla fronte, ha dovuto fare innesti di osso e cartilagine. Ma questa estate, finalmente e per la prima volta dopo anni, lei apparirà di nuovo come era prima dell’attacco. Ma la ricostruzione del naso e la ricostruzione di una vita sono due questioni molto diverse. Per il primo, dipendente dagli altri, ma per il secondo, è Aesha che dovrà fare il lavoro. Quando la ricomposizione del suo volto sarà completamente portata a termine, allora crederà che ogni cosa è possibile per lei e per la sua famiglia: l’istruzione, la carriera, l’indipendenza. ”E’ una ragazza molto intelligente. E il suo futuro è davvero nelle nostre mani, ma dobbiamo guidarla, mostrargli ciò che è giusto e ciò che è sbagliato”, afferma Mati Arsala, che per lei è come un padre e deve affrontare le sue sfide. “Non esistono limitazioni può arrivare dove vuole”, ha aggiunto. CNN ha seguito il viaggio di Aesha negli Stati Uniti da gennaio del 2011. Il suo viaggio è iniziato per alcuni mesi in California, dove ha dovuto sottoporsi a una chirurgia ricostruttiva, ma è stata considerata troppo instabile emotivamente per affrontare la situazione. Poi è stata trasferita a New York, dove è rimasta per un anno in cura presso una associazione non-profit di donne afghane. C’è stato un notevole progresso, grazie all’aiuto di tutor, di lezioni di inglese e delle varie terapie. Tuttavia, la rete di sostegno a New York non poteva darle quello di cui aveva bisogno. Aesha voleva una famiglia. E dopo l’incontro con Mati, con la moglie Jamila e Rasouli-Arsala, la figlia nata dal primo matrimonio di Jamila, Aesha ha lanciato una campagna per unirsi a loro, dopo mesi di telefonate. Sapendo ciò che era accaduto, e credendo che solo loro le potevano dare qualcosa che nessun altro poteva, le hanno spalancato le porte. Alla fine di novembre 2012, si è trasferita a casa di Fredrick, nel Maryland. ”Ho sofferto molto nella mia vita”, ha precisato Aesha, giorni prima del suo primo intervento chirurgico nel mese di giugno dello scorso anno, mentre Jamila traduce. “Ora sento che una luce è entrata nella mia vita”.I suoi genitori adottivi, tuttavia, ora nuotano in un mare di guai. Alcuni giorni prima di Natale, Mati ha perso il suo lavoro di ingegnere con la Bechtel, dove ha fatto 30 anni di servizio. E Jamila, che era un ginecologo in Germania prima di trasferirsi negli Stati Uniti per unirsi a Mati, ha faticato a portare avanti la sua carriera. Lei deve completare un programma di residenza per esercitare la sua professione negli USA, ma finora è stata in grado di ottenere solo un posto nel programma. Jamila ha trascorso gran parte dello scorso anno a New York, lontana dalla sua famiglia, lavorando in un ospedale di Brooklyn come medico di famiglia, con una bassa retribuzione e dove richiedono molti requisiti per i medici nella sua situazione, sperando che sia di aiuto per una residenza in Afghanistan questa primavera. Ma, per il terzo anno consecutivo, è tornata a mani vuote. La famiglia e la mobilità professionale limitano in parte gli interventi chirurgici di AESHA, che riceve un trattamento gratuito al Walter Reed Army Medical Center Nazionale di Bethesda, nel Maryland. Una volta che il suo naso è completamente tornato a posto nei prossimi mesi, i medici si prenderanno cura delle sue orecchie, un processo ricostruttivo è meno ingombrante, ma ci vorrà tempo. Il viso di Aesha in trasformazione, e il senso di pace e conforto della nuova casa in Maryland, è un testamento del suo progresso. Ma come avanza fisicamente ed emotivamente, per altri versi, la vita di Aesha è in attesa, barcollando tra l’inerzia e la regressione. Vive in una bolla protettiva a causa del suo processo chirurgico iniziato 11 mesi fa. Galleggia tra ambulatori e non può correre il rischio di prendere un raffreddore o, peggio, una infezione, e quindi ha smesso di andare alle sue lezioni di inglese ogni settimana e a malapena parla la lingua. A volte rimane sveglia tutta la notte e guarda i video di Bollywood e la produzione di gioielli e dorme durante il giorno. Mati e Jamila le vogliono dare il tempo di guarire. Ora non è il momento di spingere, dicono. Molto presto, quando il suo naso sarà completo, dovrà fare un’altra scelta per andare avanti. Ma che ne sarà di lei? Lo specchio non può dare queste risposte. Se siete interessati a fare una donazione al personale che sostiene Aesha nel suo cammino, visitate il sito web creato a giugno 2012 dalla famiglia che si prende cura di lei: Il viaggio Aesha. Font:http://cnnespanol.cnn.com/2013/05/11/aesha-recupera-su-rostro/

La tribù Masai del Kenya e della Tanzania è stata a lungo una lanterna della cultura tradizionale per molti africani, e per gli occidentali in safari attraverso Masai, Mara, Samburu e Amboseli, sono diventati volto familiare. A parte la familiarità e i viaggi, questa tribù si trova ad affrontare molti ostacoli lungo lo stesso percorso di sviluppo di qualsiasi altra comunità emarginate dal mondo. Kikanae William, Direttore della comunità del suo villaggio Maasai nel Masai Mara, ha recentemente parlato con l’IPS a New York in occasione del lancio di Pikolinos, un marchio di calzature spagnolo, una iniziativa volta a fornire opportunità economiche per le donne delle tribù locali. “In primo luogo, io personalmente sò che le donne sono la parte più importante della famiglia”, ha precisato all’IPS Kikanae. “(Ma) per i Masai, le donne non sono importanti, non hanno il potere degli uomini”. Come direttore della Associazione per lo sviluppo, per il commercio alternativo e per il microcredito (ADCAM) in Kenya , Kikanae lavora con i marchi all’estero come Pikolinos per sviluppare progetti che aiutano le donne della sua comunità a guadagnare denaro. Attraverso il progetto Maasai, le donne locali ricamano sandali che vengono poi inviati in Spagna per essere rifiniti e venduti in tutto il mondo, con benefici maturati in progetti di sviluppo comunitario quali le scuole, i centri di salute e le abitazioni. “Prima, gli uomini della mia comunità pensavano che stavo sostenendo le donne per avere più potere di loro”, ha osservato Kikanae riferendosi al progetto Maasai. “Non andiamo contro nessuno, ora posso dire che anche i nostri politici sono orgogliosi di questo progetto”, ha aggiunto Kikanae.

Gli Intermediari

Secondo una donna medico e funzionario del Governo, della tribù Masai, che ha chiesto l’anonimato, sostenere le donne e spingerle in prima linea verso lo sviluppo è un modo significativo per ottenere un cambiamento nel Masai. “Le donne non possono possedere bestiame che loro stesse controllano, ma se sono istruite, queste cose cambieranno. Tuttavia, non tutto è perduto per coloro che non vanno a scuola. Se loro sono autorizzate dai loro uomini al commercio del latte, agli oggetti d’arte, possono generare reddito per le loro famiglie”, ha informato l’IPS questo responsabile keniano. Le comunità povere sono ancora sfruttate e disinformate per quanto riguarda gli aiuti, e quando una tribù come Masai collabora con una organizzazione all’estero, appare come un naturale scetticismo. “Penso che il problema qui sono gli intermediari. Questi sono ragazzi che devono collegare la comunità con ‘chi porta aiuto’. Queste persone hanno la possibilità di sfruttare la comunità per raggiungere le proprie ambizioni, e con una piccola parte di aiuto possono raggiungere i beneficiari”, ha asserito il funzionario all’IPS. “Dal momento che l’educazione è stata ritardata, le poche persone istruite hanno sfruttato l’ignoranza della maggioranza per il proprio beneficio. In una parola, gli abitanti ordinari non sono in grado di distinguerlo.

“I compiti alla luce del fuoco”

Le donne Maasai sono solo un diniego quando si tratta di accedere all’istruzione. Capiscono che ci sono persone più istruite nella loro comunità, ma non che saranno vittime dello sfruttamento. Ma le vecchie abitudini persistono. In molti villaggi africani, è ben noto che quando una ragazza è inutile alla sua famiglia o meglio non è disposta a sposare un giovane, è restia a svolgere i compiti e le faccende di casa, o ad andare a scavare nel giardino, allora viene mandata a scuola per studiare. Ciò ha causato una divisione e ha mantenuto inaccessibile l’istruzione a coloro che la desiderano. Una questione di tradizione contro la modernizzazione è ancora visibile oggi. Inoltre, la mancanza di bisogni di base in casa come l’elettricità o il trasporto alla scuola ostacola notevolmente le prestazioni di uno studente nelle aree rurali. Il funzionario ha rivelato all’IPS: “Immaginate (da studenti) di fare i compiti alla luce del fuoco o percorrere lunghe distanze per andare e tornare da scuola”.

Lasciate le donne amministrare

Dal punto di vista di un estraneo, può sembrare che le donne Maasai non hanno fortuna, dal momento che la mancanza di servizi sanitari, in particolare sulla salute materna, porta molte donne a morire durante il parto, fino alla diffusione dell’HIV / AIDS, un argomento che alla maggior provoca disagio. “Gli uomini vendono le mucche o lavorano nelle città, hanno rapporti con l’ambiente urbano e portano il virus a casa”, ha continuato il manager. “Le donne non hanno mai sentito parlare di preservativi o di sesso sicuro”. Come in altre società di tutto il mondo, la diffusione dell’HIV / AIDS è direttamente correlata alla formazione, e quando i bambini non ricevono informazioni sulla salute sessuale, il ciclo perpetuo di malattia continua.

Oltre a queste preoccupazioni, c’è il crescente problema dello spostamento.

“Grandi aree di Maasialand sono venduti dagli uomini, a volte all’insaputa delle loro mogli. Succede a Kitengela Da Namanga sul confine. Queste terre sono acquistate da altre comunità e presto, i Masai saranno estremamente difficili da raggiungere in aree remote. Le leadership attuali sono troppo miopi per vedere questa catastrofe disegnata”, ha detto il manager. Alla domanda su ciò che serve per facilitare lo sviluppo nel Masai, il funzionario ha risposto: “Abbiamo bisogno di una forte leadership per guidare questo processo in modo che non ci sia più lo sfruttamento. “Con l’istruzione e una buona leadership, le barriere volte alle Tribù sono lentamente affrontate. Una ad una, le donne Maasai sono più propense a rivalutare le esigenze delle loro intere famiglie e della comunità circostante, mentre si lavora insieme con le organizzazioni locali e internazionali per raggiungere un cambiamento misurabile, ha concluso.
 

Bangui, 6 aprile (IPS) – Yusuf è un bambino soldato di 13 anni il vaso di Pandora dove sono stati concentrati tutti i mali che hanno afflitto la Repubblica Centrafricana (CAR), negli ultimi anni. Il 24 marzo del 2013, con le armi in mano tra le fila della coalizione ribelle Seleka ha preso Bangui la capitale. “Ieri, ero abbastanza grande per andare in guerra e uccidere. E oggi, mi è stato chiesto di aspettare 18 anni per arruolarmi come miltare”. All’ombra di mango campo militare di Bangui è stato tenuto in segreto con altri tre bambini soldato, Youssouf è furioso. Si sente tradito dai ribelli di Seleka che, il 24 marzo, hanno marciato verso la capitale per essere in grado di mandare al potere il loro leader, Michel Djotodia. Questi stessi miliziani hanno oggi acquistato oggi una credibilità internazionale, e sanno che la presenza di bambini soldato nelle loro fila è una onta. Soprattutto da quando l’esercito sudafricano, difendendo il palazzo presidenziale allora occupato dal deposto Presidente François Bozizé, sono rimasti traumatizzati quando hanno scoperto che i ribelli che hanno combattuto e ucciso erano per la maggior parte “bambini”. Per nasconderli la Seleka collocato molti di loro in famiglie originarie del nord centro Africa, (CAR), dove arrivavano la maggior parte dei ribelli, come Youssouf. Ma Yusuf è rimasto nel campo. E’ stato il Presidente Djotodia in persona che li ha depositati qui, dopo aver preso Bangui, dopo aver installato un checkpoint di sicurezza a Seleka. “Io voglio essere un soldato, io non posso fare altro che la guerra “, ha asserito. Il suo berretto militare ben messo è quasi rosso come i suoi occhi. “Colpa del tabacco bianco”, dice. Questa è la sua “droga”, una miscela di polveri di marijuana e farina di manioca. “Con questo, non ci si tira indietro, e non hai paura di niente.”

Rapiti dal LRA

La vita di Youssouf è un concentrato di mali che affliggono la RCA da molti anni. Il suo destino è stato scosso la prima volta nel mese di aprile del 2011. “Per diversi giorni, la Resistenza dell’Armata ugandese (LRA) ha rapito le persone e saccheggiato i dintorni di Birao dove ho vissuto. Nonostante il pericolo, ho accompagnato mia madre al campo. Ma quelli del LRA ci hanno trovato. L’hanno violentata davanti a me prima di fucilarla” La banda armata poi ha costretto il ragazzo a seguirli per portare i sacchetti delle munizioni. Prima di trasformarlo in una macchina per uccidere. “Mi hanno insegnato a gestire le armi come i kalashnikov, i lanciarazzi RPG. Sono diventato un uomo con loro. ” Molto presto, Yusuf e altri bambini soldato, che costituiscono il 90% dei ranghi del LRA vengono affidati a Joseph Kony, il leader della milizia, ricercato dalla Corte penale internazionale ( ICC). “La prima volta che l’ho visto è stato nell’agosto del 2011,vicino Zémio (CAR al confine sud-orientale con la Repubblica Democratica del Congo). Lui è molto alto, ha la barba e indossa sempre un cappello. Ha riferito con durezza. L’ho visto poco dopo, l’attacco a Djema, una località vicina. Kony ha schierato sette abitanti del villaggio, e a noi, bambini, ha chiesto di ucciderli. Ho urlato «Sì, leader” e ho sparato a due persone. In questo modo sono rimasto in vita. “Il corpo snello di Yusuf è scosso dai singhiozzi”. LRA uccide i bambini che sono malati, perchè troppo lenti. Una sera, sono scappato”, ha aggiunto, dopo tre giorni di cammino, sono stato ricondotto a a Rafaï dalle truppe americane lanciate all’inseguimento di Kony a maggio del 2012. Youssouf è poi stato sostenuto dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) a Birao e rimpatriato attraverso un programma di riunificazione dei bambini soldato con le loro famiglie. Ma in quella zona, Youssouf non ha più nessuno.

“La guerra è guerra”

Djotodia: tornato dall’esilio in Benin, l’ex capo diplomatico Centrafricano ha ripreso il comando dell’Unione delle forze democratiche per l’Unità (UFDR), uno dei principali movimenti ribelli che hanno composto il futuro Seleka. “Volevo essere coinvolto con loro. Ma Djotodia mi ha spiegato che non voleva bambini soldato. Mi ha chiesto di seguirli per fare il bucato e preparare i pasti”, racconta Yusuf. Tuttavia, una volta che l’attacco di dicembre 2012 era iniziato nella città di Ndélé, a poche centinaia di chilometri più a sud, le buone intenzioni dei leader erano state dimenticate. “Quando il colonnello mi ha detto di salire sulla vettura numero sei, sapevo che dovevo andare a combattere: le auto numerate da uno a dieci sono state utilizzate per gli attacchi. L’ufficiale mi ha dato una pistola e ha comunicato: ‘Sii un uomo’. ” ho continuato il viaggio verso Bangui su questa macchina, usando il mio Kalashnikov, di città in città. Quante persone ho ucciso? Non lo so. La guerra è guerra, tutto qui. Io da tanto tempo non sono più un bambino. La mia unica speranza ora è quella di essere finalmente formato come un vero militare “, ha concluso Yusuf. * Con il contributo di Sandra Titi-Fontaine a Ginevra / InfoSud. * (Mauritius Garbiro è un giornalista e ha scritto per RCA ‘ InfoSud ‘, un’agenzia di stampa svizzera con sede a Ginevra. L’articolo è stato pubblicato nell’ambito di un accordo di cooperazione tra InfoSud e IPS).Font: http://www.ipsinternational.org/fr/_note.asp?idnews=7512

In un rapporto pubblicato Mercoledì, 8 maggio, l'Ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (UNJHRO) accusa l'esercito congolese e i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) di aver commesso gravi violazioni dei diritti dell'uomo durante le offensive e alimentato la ribellione nel corso della occupazione della città di Goma, nel novembre 2012. I crimini citati in questa relazione sono stati commessi tra il 15 novembre e il 2 dicembre del 2012. Dopo l'offensiva lanciata il 15 novembre, i ribelli del  M23 hanno occupato Goma, una città strategica nella provincia del Nord Kivu prima di passare al Sake, costringendo l'esercito congolese a ritirarsi a Minova. Il rapporto delle Nazioni Unite individua in questo periodo di 135 casi di violazioni e violenze  sessuali da parte dei soldati congolesi nella città di Minova e nei suoi dintorni. Tra le vittime 33 giovani ragazze di età compresa tra i 6 e i 17. Il giornale ha anche riferito che i soldati delle FARDC sono entrati nelle case, che sono state saccheggiate e hanno violentato le donne e le ragazze che erano all'interno, e hanno anche commesso altri atti di violenza fisica, in molti casi. "Questi soldati erano anche responsabili dell'esecuzione arbitraria di almeno due persone, e commesso violazioni dei diritti all'integrità fisica di almeno 24 civili, inoltre sono stati riscontrati molti casi di lavoro forzato e di saccheggi diffusi nei villaggi", ha dichiarato Mercoledì, 15 maggio, Scott Campbell, direttore del UNJHRO durante la conferenza delle Nazioni Unite a Kinshasa. Secondo l'Ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani, "la mancanza di disciplina tra i soldati e gli ufficiali dell'esercito può essere spiegata in parte dalla continua integrazione di ex ribelli nell'esercito nazionale senza una formazione adeguata e a causa di un  mancato meccanismo di controllo appropriato".

Il rapporto del BCNUDH

Il rapporto del BCNUDH accusa anche  i ribelli del M23 che "molti leader sono stati responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, che spesso risalgono a molti anni". Quando hanno occupato Goma e Sake, cita il documento, i ribelli sono stati responsabili di almeno 59 casi di violenza sessuale. L'indagine delle Nazioni Unite ha anche documentato almeno 11 esecuzioni arbitrarie, casi di reclutamento di bambini e il lavoro forzato, il trattamento crudele, inumano e degradante e i saccheggi dei combattenti del M23. "I responsabili di questi crimini devonoo sapere che saranno perseguitati", ha informato da parte sua, l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay. "Le violenza sessuali descritte nella presente relazione sono particolarmente spaventose, sia nelle dimensioni che nella loro natura sistematica. I recenti sforzi da parte delle autorità della RDC per indagare su queste violazioni nel Nord Kivu e nel Sud Kivu sono a un passo importante verso l'obbligo di responsabilità. Ma resta ancora molto da fare per rendere giustizia alle vittime e per ripristinare la fiducia della popolazione civile nel sistema giudiziario congolese", ha aggiunto.Font:http://fr.allafrica.com/stories/201305090835.html 

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Il Sud Africa conta quasi 53 milioni di abitanti, di cui quasi il 80% sono neri e quasi il 30% ha meno di 15, secondo i dati diffusi questa settimana dalla Agenzia di statistica pubblica. Il censimento, inoltre, ha rivelato che un abitante su dieci è sieropositivo. Il Sud Africa ora comprende un milione in più rispetto di abitanti rispetto al censimento generale del 2011. Quasi 53 milioni di persone per la prima economia africana, ed è una popolazione piuttosto giovane: quasi tre su dieci sudafricani sono sotto i 15 anni, ma rispetto alla loro età sono vecchi di un anno secondo le aspettative di vita. In media, gli uomini vivono a fino a quasi 58 anni mentre e le donne superano i 61 anni. Ma uno su dieci è infetto.

La percentuale dei bianchi diminuisce

Le statistiche continuano a classificare i sudafricani in base al loro colore della pelle, ed è oramai certo che otto su dieci persone in Sud Africa sono nero, una cifra in leggera progressione. La popolazione Indiana e quella meticcia hanno avuto un leggero aumento. Per quanto riguarda i bianchi, che rappresentano oramai il 8,7% della popolazione, e sono meno di uno su dieci, una cifra leggermente in ribasso. Ma è l'afflusso degli immigrati nel paese che permette alla popolazione di crescere di dimensione. Le Statistiche dell'Agenzia Pubblica evidenziano inoltre che il paese accoglierà quasi un milione di immigrati provenienti da altri paesi africani entro il 2015.

Timbuktu, la città storica, è stata investita dal gruppo islamista Ansar Dine nel mese di aprile del 2012, ed è stata sfigurata. Perché questo attacco contro la città che era un grande centro intellettuale dell’Islam? In realtà hanno attaccato il simbolo di un altro Islam.

Perla del Deserto

Timbuktu è uno di quei luoghi mitici della fragranza misteriosa.

Soprannominata “la città dei 333 santi” o la “perla del deserto”, Timbuktu è nella parte superiore del fiume Niger, a 900 km a nord est di Bamako, capitale del Mali. La popolazione è composta da quasi 30.000 abitanti. La città è un patrimonio dell’umanità dall’UNESCO dal 1988. La sua “scoperta” fatta da René Caillié nel 1828, aveva causato scalpore all’epoca. L’esploratore francese era stato considerato il primo occidentale ad essere arrivato nella Città Proibita ai cristiani.

Patrimonio Mondiale

Timbuktu è stato un grande centro intellettuale dell’islam e ha contribuito alla sua diffusione in Africa nei secoli XV e XVI. Era, al tempo, una città fiorente per un massimo di 25.000 studenti nelle sue 180 scuole coraniche. Testimoni di questo periodo d’oro, le tre grandi moschee che sono particolarmente degni di nota: Djingareyber, costruita nel 1325, Sankore e Sidi Yahia. In aggiunta a queste moschee, il luogo elencato dall’UNESCO comprende 16 cimiteri e i mausolei. Essi sono, secondo la credenza popolare, un baluardo spirituale che protegge la città dal male. Le tombe dei santi sono oggetto di venerazione. La popolazione del deserto sollecita gli antichi a garantire loro un matrimonio felice, e a portare la pioggia. Timbuktu è anche famosa per le sue decine di migliaia di manoscritti, alcuni risalenti al XII secolo. Essi sono, in parte, tenuti come tesori dalle famiglie locali.

Il saccheggio di Ansar Dine

Il 2 aprile del 2012, l’ultima città del nord ancora sotto il controllo del Governo è passata sotto il controllo del gruppo islamico Ansar Dine. Il 30 Giugno del 2012, l’islamista Ansar Dine ha iniziato a distruggere i luoghi santi musulmani. Le costruzioni erano fatte di terra, molto fragile, e a colpi di scalpello e martello, hanno sventrato le tombe, l’architettura e hanno saccheggiato sette mausolei e anche strappato la porta di una moschea del XV secolo.

“In nome della purezza” dell’Islam

Ufficialmente, è una rappresaglia alla decisione dell’UNESCO di classificare la città patrimonio mondiale in pericolo. Ma per i sostenitori di una versione estrema della sharia, è anche una lotta contro l’idolatria. Il culto dei santi che è stato assimilato, secondo loro, è una questione di superstizione. Per i fondamentalisti, “venerare un santo significa portare attenzione a Dio”. Questi fondamentalisti sostengono la distruzione in nome della purezza delle origini dell’Islam. Questa iconoclastia (la distruzione deliberata dei simboli religiosi o la distruzione delle rappresentazioni) è basata su un capitolo del Corano che chiede ai fedeli di prendere le statue: “O voi che credete! Il vino, il gioco d’azzardo e gli idoli e le frecce divinatorie sono un abominio e un opera del diavolo. Evitateli”. Questo Islam “puro e duro” può essere attaccato al comune salafita. Una dottrina che vede il futuro dell’umanità in un ritorno ai valori del passato. Impone di modellare la vita su quella del Salaf o “antenati giusti”. Questa tendenza è in contrasto con il sufismo, una corrente di pensiero, che mira a costruire un futuro basato su ciò che gli antenati avevano costruito. Nella stessa ottica, i salafiti si oppongono a tutti i simboli della vita moderna, considerata contraria all’Islam puro. Questo è ciò che giustifica, per esempio, l’uso del velo da parte delle donne, il divieto di fumo, radio, televisione, e ogni animazione.

Originario di Cibitoke nel nord-est del Burundi, Peruth Ndayiramye ogni mattina va in cerca di cibo e di acqua per la sua famiglia e guida le sue capre al pascolo. "Dopo che mi sono lavato, affido i lavori ai miei figli e io vado a lavorare", spiega Peruth. Membro di un gruppo di 60 veterani, di rimpatriati e di altre persone vulnerabili, Peruth è stato coinvolto in un nuovo progetto di gestione dei rifiuti, che mira a garantire la raccolta dei rifiuti in città. Con il supporto di UNDP, il progetto prevede la raccolta, lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti ogni giorno. "Questo progetto è un insieme di partenariati pubblico-privati ​​che fanno parte delle iniziative del progetto per l'empowerment delle donne Cibitoke, la maggior parte delle quali vivono una situazione di vulnerabilità", ha riferito Jean Bukware, Coordinatore Regionale dell'UNDP in Burundi. Finanziato dal Bureau di UNDP per la prevenzione alla crisi e a favore del recupero, il progetto pilota è sotto la supervisione della Associazione per lo sviluppo integrato del Burundi (ADIB). "Abbiamo identificato i beneficiari, in stretta collaborazione con le autorità locali", commenta Bayavuge Jovite, rappresentante del progetto. Le donne raccolgono spazzatura in sacchetti forniti da ADIB. Conservati in posizioni specifiche in ogni quartiere, i rifiuti vengono poi trasportati in una discarica fuori città. Durante l'ordinamento, la materia organica viene separata dagli scarti di plastica e trasformato in composti. Nel 2012, quattro progetti pilota sono stati avviati nel Cibitoke e a Bubanza. Questi piani mirano in particolare a autorizzare le donne, che costituiscono il 80% dei partecipanti. La metà di loro sono vedove. "Alcune donne non hanno alcuna fonte di reddito", spiega Jacqueline Ndikumana beneficiario del progetto. "Con i soldi guadagnati dal progetto, ora possono iniziare programmi destinati al settore agricolo, al commercio e a rispondere ad altre esigenze." Ruben Tubirabe, consigliere economico della provincia di Cibitoke, ha reso noto che i cambiamenti sono visibili. "L'associazione ha fatto la raccolta di tutta la spazzatura che è rimasta ammucchiata per mesi nel mercato di Cibitoke" ha aggiunto. I contributi per la casa (US $ 0.50 al mese) e la vendita di composti provenienti dal materiale organico raccolto saranno alla fine le due principali fonti di entrate del progetto. "Personalmente, io faccio una vita migliore", osserva Peruth. "Sono gradualmente uscito dalla povertà. Ho comprato alcuni strumenti di uso domestico, che sono molto utili per la mia famiglia". Se il successo è confermato, il progetto potrà essere esteso ad altre parti del Burundi.

L'ex Segretario alla Difesa americano Robert Gates ha messo in guardia contro l'intervento militare di Washington nella Siria, descrivendo la mossa di un "errore". Gates ha dichiarato nel corso di una intervista rilasciata alla CBS "Face the Nation", oggi domenica, 12 maggio, che il coinvolgimento militare degli Stati Uniti nella crisi della Siria è un "errore" e che il risultato è imprevedibile e disordinato. "Ho pensato che è un errore in Libia, e credo che comunque poteva esser un errore andare in Siria, anche se il nostro intervento avveniva in modo più significativo in Siria un anno fa o sei mesi fa. Abbiamo sopravvalutato la nostra capacità di determinare gli esiti", ha precisato Gates, che è stato segretario alla Difesa degli Stati Uniti nel 2011, quando gli Stati Stati Uniti in una operazione aerea della NATO erano andati in Libia per rovesciare il leader libico Muammar Gheddafi. I suoi commenti giungono, come confermano i rapporti, nel momento in cui i senatori americani stanno spingendo l'amministrazione Obama a intervenire in Siria a favore dei militanti che combattono contro il Governo del Presidente Bashar al-Assad, accelerando il sostegno militare a loro favore. Gli Stati Uniti stanno già fornendo i militanti che operano in Siria, con intelligenza e con i fondi, mentre i suoi alleati regionali stanno fornendo loro le armi. La Siria sta vivendo disordini da marzo 2011. Molte persone, tra le quali un gran numero di truppe siriane e di personale della sicurezza, sono state uccise durante le violenze. Il Governo siriano ha informato che il caos è stato orchestrato da fuori del paese, e esistono rapporti i quali informano che un gran numero di militanti sono cittadini stranieri. Damasco ha reso noto che l'Occidente e i suoi alleati regionali tra i quali il Qatar, l'Arabia Saudita e la Turchia stanno sostenendo i militanti.  Font:http://www.presstv.ir/section/3510218.html

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E’ facile dire dopo la tempesta torna il sereno, è difficile pensare che dopo la guerra è possibile  riprendere una vita normale. Ma Nibigira ce l’ha fatta ha trovato il coraggio di tornare a vivere aggrappata all’ancora della speranza perchè finchè c’è speranza c’è vita. Nibigira è una vedova di 35 anni vive alle soglie dell’estrema povertà, è madre di 3 figli e ogni giorno chiede a se stessa come farò a trovare l’energia per iniziare la giornata. Le vittime della guerra hanno nomi, sono madri, sorelle e figlie, e hanno lo sguardo fisso nel vuoto. Per reinserire nel contesto socio-economico queste donne ex-combattenti, è stato varato un progetto che permette l’allevamento del bestiame, un appoggio alla catena della solidarietà comunitaria. Ma basta tutto questo per deviare l’eco, il dolore, il terribile ricordo della guerra? Solo chi ha vissuto la guerra può conoscere le sue verità, solo chi ha sofferto ne coglie il canto, noi possiamo solo immaginare e il nostro immaginare è un granello di sabbia in un mare di atroci ricordi. Nibigira è una invalida di guerra, ha subito una frattura esposta nel lato sinistro della sua testa, è fuori pericolo ma le sue capacità fisiche e intellettive sono diminuite. Non ricorda tutto quello che è successo prima dell’incidente. Al risveglio è stata informata che è rimasta per sei mesi in coma e la sua testa è stata completamente distrutta. E’ molto debole si affatica spesso e non può lavorare sotto il sole per sfamare i suoi figli che sostiene da sola e nonostante la sua precarietà questa madre coraggio manda a scuola i suoi figli. Nibigira possiede 4 capre e grazie al loro allevamento incrementa i suoi piccoli guadagni. Il denaro che ha ricevuto durante la smobilitazione le ha consentito di procurarsi beni di prima necessità, le ha dato la possibilità di comprare i libri ai suoi figli e pagare un paio di operai. Nibigira è il cognome di questa grande donna che in realtà si chiama Speranza, ed è una madre eccezionale oltre ad essere una donna meravigliosa, ha trovato nella fiducia in se stessa il coraggio e la speranza di alzare la voce rispondendo attivamente al suo destino, ha mostrato la tenacia e la resilienza per superare le terribili sofferenze. Auguri a tutte le mamme che in questo momento o che in passato sono state e sono vittime della guerra… Non dimentichiamoci di loro!

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Lo scorso mese di marzo, l'ovest della Costa d'Avorio ha vissuto una serie di attacchi mortali con conseguenti spostamenti di persone il cui numero oscilla tra i 2.500 e i 3.000 profughi, ha reso noto il Consiglio norvegese per i rifugiati. Il 6 maggio scorso, meno della metà sono tornati a casa e la situazione della sicurezza resta precaria. Al Zilébly un uomo è in piedi davanti a quello che resta del suo negozio, un altro mostra la TV, il generatore elettrico e l'antenna posti sul terreno insieme ai calcinacci. Attorno a lui, altri 16 edifici sono stati distrutti durante l'attacco al villaggio, del 13 marzo. Dieci giorni dopo, è stata la volta di Petit Guiglo, dove una ventina di edifici sono stati distrutti. I tetti delle case sono andati in fumo e le soffitte, dove veniva mantenuto il cibo, sono stati bruciati o saccheggiati. Oggi, in entrambi i luoghi dove sono stati implementati i due attacchi contano una decina di morti, poche persone hanno fatto ritorno a casa e le loro dimore cominciano a essere ripulite. In alcune camere le testate di legno sono  carbonizzate. Una donna è tornata alla fine di aprile, ha raccolto i frammenti delle bottiglie di vetro sparse sul pavimento della sua casa, riutilizzando quelle poche cose rimaste intatte. Più di un mese dopo gli attacchi, la gente ha davvero paura di rientrare a casa. Secondo i funzionari del villaggio, solo il 10% è tornato a Petit Guiglo e sessanta a Zilébly su un totale di circa 300 persone. Gli abitanti del villaggio rimangono essenzialmente in Liberia, a pochi chilometri di distanza, e a Blolequin, 40 km da Zilébly.

Andata e ritorno

"Non è semplice fuggire improvvisamente durante la notte mentre gli spari rimbombano in casa. Molti hanno paura di tornare. Alcuni vengono per due o tre giorni, lavorano nei campi e poi lasciano Blolequin. Non c'è più cibo qui, e dobbiamo fare andata e ritorno per mangiare", racconta Anselmo DandE alloggiato a  Zilébly. A Petit Guiglo, il capo del villaggio non è sereno. "La FRCI [Forze Repubblicane della Costa d'Avorio e, NDLR] dormono nel villaggio e mi sento un pò più sicuro, ma ho ancora paura. Ciò che è necessario è costruire un campo militare qui, e solo allora saremo davvero in pace", ha informato Basile Banto. Secondo Claude Koffi, il sottoprefetto di Blolequin le due comunità, erano protette entrambe da dieci FRCI al momento degli attentati. Da allora, il personale è stato aumentato, aggiungendo più di cinquanta uomini a ciascuno dei due villaggi, ha continuato. "Tra i 60 e i 90 soldati arriveranno tra due o tre settimane a Pinhou Diboké", ha promesso.

Lacune di sicurezza

A Zilébly come a Petit Guiglo il FRCI è più di quindici anni che gestisce i centri. Intorno a loro, nessun veicolo. A Zilébly una moto carbonizzata è stata accantonata vicino a un muro. Oltre ai soldati, alcuni in infradito, parlano sotto un albero, con il fucile a tracolla. Nella Lega ivoriana per i diritti umani (LIDHO), c'è preoccupazione per la mancanza di coinvolgimento delle autorità. "Le persone non vanno nella boscaglia sita a più di un chilometro dal paese. Il sistema di sicurezza non è sufficiente, non sappiamo dove andare, ha affermato Benedetto Ouahoulou Taha, il rappresentante della LIDHO Guiglo. Come risultato, le persone non hanno nemmeno il coraggio di andare a casa, non sappiamo se tutto questo è davvero finito. Source: http://www.jeuneafrique.com/Article/ARTJAWEB20130506162938/liberia-cote-d-ivoire-deplaces-lidhocote-d-ivoire-les-deplaces-de-l-ouest-dans-la-peur-du-retour.html

 

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Leggere un raggio di sole è una cosa meravigliosa, anche se non ho svolto mai il ruolo di maestra per vari motivi, nei miei corsi di tirocinio, mi hanno insegnato che i giochi sono per i bambini non solo un motivo di svago, ma anche un motivo di apprendimento e di socializzazione e leggere questo articolo dell’UNHCR, mi ha commosso. Ho tradotto per i miei lettori queste bellissime righe perchè tutti possano sensibilizzare il mondo con piccoli ma grandi gesti che riportano un sorriso a chi lo ha dimenticato. Gaziantep, Turchia, 25 aprile (UNHCR)- I bambini rifugiati dalla Siria hanno pochi motivi per sorridere. Due anni di conflitto in patria ha portato una grande sofferenza a loro e ai loro genitori. Ma in Turchia, un gruppo di bambini rifugiati siriani hanno ricevuto qualcosa che ha portato un po’ di sole nella loro vita, un carico di 60 scatole di giocattoli inviati dai bambini della Francia. I giocattoli sono stati raccolti dal Museo Quai Branly di Parigi, con l’aiuto della agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite e la Fédération des Associations d’Anciens du Scoutisme (FAAS). Il gruppo di carità, Aviation Sans Frontières (Aviazione senza frontiere), ha organizzato e sostenuto il costo del volo dei giocattoli per la città di Gaziantep nella Turchia meridionale, dove sono stati raccolti e portati nelle scuole materne e nell’asilo nido del Nizip 1 e 2 Nizip campi profughi. Le scuole offrono una formazione a 736 bambini siriani di età compresa tra i tre e i cinque anni. “I bambini erano molto eccitati e divertiti mentre giocavano con i giocattoli”, ha dichiarato l’UNHCR Pubblica Informazione Associato Selin Unal, che era presente alla distribuzione. “Le autorità turche, che amministrano i campi, convogliate grazie alla UNHCR e i partner coinvolti nella organizzazione di questo progetto”. Nel corso dello scorso anno, gli scolari francesi hanno preso parte ai seminari presso il Museo Quai Branly, specializzato nell’arte indigena, nella cultura e nella civiltà dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania e delle Americhe. In quello che è diventato una campagna annuale, i bambini parigini sono stati invitati a portare uno dei propri giocattoli in buone condizioni e a fare un altro giocattolo con materiali riciclabili, imparando a conoscere, allo stesso tempo, la situazione dei bambini rifugiati della loro età, che sono stati costretti ad abbandonare le loro case a causa della guerra o della persecuzione. Quest’anno, grazie ad una grande mobilitazione da parte della FAAS, che è affiliata alla International Scout e a Guide Fellowship, sono stati raccolti più di 2.000 giocattoli. Il personale della Aviation Sans Frontières, dell’UNHCR e del museo hanno contribuito a confezionare i giocattoli. La Turchia ospita circa 400.000 rifugiati siriani, molti dei quali sono bambini. Questi includono circa 192.000 rifugiati che vivono nei campi gestiti dal Governo in otto province e più di 200.000 rifugiati in aree urbane. Ogni giorno in Turchia, arrivano tra i 300 e i 400 nuovi rifugiati siriani. I rifugiati siriani sono stati forniti di riparo, cibo, assistenza sanitaria, di sicurezza e istruzione, compreso i corsi di formazione professionale. La risposta umanitaria per l’afflusso dei rifugiati siriani è coordinata dal Disaster Relief Agency del Consiglio dei Ministri, con il supporto operativo della Mezzaluna Rossa turca e di altre agenzie. L’UNHCR fornisce consulenza tecnica, assistenza e generi di soccorso non alimentari.

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BLANCA VARELA Y LA TIGRIDAD

Este texto inauguró la edición "Día Mundial de la Poesía (Unesco): Tributo a Blanca Varela", de El Oro de los Tigres -Comunicación de Autor-, correspondiente al 19-III-2009

Un catecismo salvaje la anidaba desde lejos. Un catecismo salvaje le hacía destripar muelles y puertos (siempre el agua con sus anuncios, con sus "idus de marzo"); le hacía revelar aquellas transparencias de lo visible. Desgarradoramente, ella jugaba con esos fulgores: los encerraba en pequeñísimas botellas de cristal para mirarlos con una lupa desmedida, acaso regalada por Henri Michaux.

¿Está sólo en el viento el verbo, este verbo? ¿Qué principios le aplicabas al silencio mentiroso, siempre para correr en busca del grito lustral -vestigial y traicionero? Como Kafka en sus Diarios, ella pensaba: Notable, tal vez peligroso, tal vez redentor consuelo el de escribir; ese escapar de un salto de las filas de los asesinos, esa observación de lo que ocurre. Observación de lo que ocurre, cuando se logra un tipo de observación superior; un tipo superior, no más agudo; y cuanto más alto es este tipo de observación, tanto más inalcanzable será resultará para dichas "filas", y por lo tanto más independiente, y por lo tanto más sujeto a sus propias leyes de movimiento, y por lo tanto más incalculable, más alegre, más ascendente será su camino.

Blanca Varela supo del hambre de toda poiésis, amor y hambre -las palabras verdaderas para Billie Holiday-, lo supo desde la certeza del puerto de su primer libro. Sus poemas llueven, literalmente llueven. Asedian con el más metafísico, ardiente de los misterios: lo visible. Blanca Varela supo de los fósiles que nos trae toda lluvia. Fue su cantora, arrancó y desmenuzó cada huesecito con la paciencia de una abuela de Ibsen. Los expuso durante largos años a los ciclos de la luna y del sol. Los miró, largamente. Los miró hasta convertirlos en diamantes.

Entonces regresó al puerto (desconfiadora siempre de la especie, siempre insatisfecha pero alerta) para crucificar en nuevas palabras esa lastimadura con que la vida prueba a la vida.

Manuel Lozano

Villa Santa Lucía de Syracusa, marzo de 2009

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Y EN LA SELVA DE LA LÍVIDA PREGUNTA
La morada ha desaparecido, ¡prostérnense, humanos, en la capilla ardiente!
Lautreamont, Chants de Maldoror
Jamás la boca nómade buscaría ese páramo
incrustado en el cerebro de las premoniciones
como un aliento apenas, como un remoto aliento
en el atardecer de las máscaras.
Comienza el bosque sobre el ácido de la fuga.
Rodando, la hoguera diviniza en el escalofrío:
su potestad arroja la seda carcomida por los perros
a la sombría leche de los candelabros.
Me ha cercado una mujer de collar escarlata
-viene desde muy lejos-
aullando sobre escombros un aria para bendecir
los más altos cipreses de la amnesia.
Orquídea carnívora, incompleta hasta donde no estás,
eres la dueña de la revelación
de un signo que pasa de muralla a diluvio,
la jauría de una constelación desvistiéndose
dentro del iris,
tan fosforecida e incierta
como una cobra desmedida.
¿Cuándo termina este reguero de alimañas
llamado viaje?
Alrededor de los tambores
el germen del susurro multiplica las mareas.
Desdichado paraíso,
sólo la áspera raíz llora en tu nostalgia.
¿Qué pan celeste no extravías de la mesa
para encontrarlo en el orgasmo coagulado
de esa anunciación que me busca?
Comisuras del invierno, forajido faústico abriendo las puertas,
más poseído que una manzana en el Jardín de Hespérides,
sobrepásame con tu abrigo balbuceante
la palabra equinoccial de este reino.
Dije la pasión y el terror.
Diré ahora la palabra extremada,
extremándose en la cálida estría de la vorágine.
¿Qué es un después en esta historia?
La desembocadura del final menos esperado:
“Y en la selva de la lívida pregunta,
el palpitante corazón de un hombre.”
MANUEL LOZANO GOMBAULT
-Este poema pertenece al libro “Historia Natural de la Herida”, de Manuel Lozano Gombault-Derechos registrados-

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INCANDESCENTE

Si somos lo que debemos ser, prenderemos fuego al mundo entero.

Santa Catalina de Siena

Para dejar pasar a la ungida,

hube de verla sumergiéndose en el éxtasis que toda cruz derrama.

Preparabas la seducción de beatitud

para que vieran cómo una paloma verde

se posaba en tu cabeza de niña, centro y raíz,

llanto como caricia de armiño contra la niebla.

¿Qué calabozo es este

donde mi único alimento es el pan ázimo de la soledad?

Las palabras no deben separarme de los rayos del sol devorador

que gime hasta en mi muerte

y me recuesta, desnudísima rama mordida por el viento.

¿Y qué armadura vuelvo escombros cuando me visto

de letanías?

Extremaunción de las hilachas,

me llamaban la loca de Siena por los arrabales.

Aromado, mi corazón ardía de azucenas rojas,

mientras yo, Señora de la Noche Apacentada,

corría -incandescente-  al muelle del triunfo.

MANUEL LOZANO

-Derechos registrados-

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JUDY GARLAND
Dio comienzo la fiesta.
El cristal que sangra
aulló en las calles una canción de arrullo
-la increíble esfinge nocturna-
a lo largo de tu piel en carne viva.
Nadaste en la herida del vuelo.
¿Me acompañas en la invasión sin nombre del aceite sagrado?
¡Escúchame, bébeme,
ocúltame en los altares de la lluvia!
Como el rocío verde coagulándose en un ágata rosado,
así tu tatuaje fulgura en la noche nupcial de la profanación
y hasta el delirio.
Nunca tuve una madre en este carnaval.
Nunca brilló tanto mi boca.
MANUEL LOZANO GOMBAULT
-Este poema pertenece al libro “Tratado sobre una infinitud que arde”, de Manuel Lozano-Derechos registrados-

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La giornalista Cristina Zambrano León ha intervistato la pittrice Grey Est per Expreso Latino. Non ha frequentato un Istituto d’arte, e non ha studiato questa materia, è autodidatta la pittrice Domenicana Grey Est, vive a Roma da quando era molto giovane, è cresciuta a Caracas in venezuela, e come lei stessa ama definirsi è una “Cittadina del mondo”, nella sua intervista per Expreso Latino racconta il suo viaggio al centro del colore, il suo percorso arduo e instancabile che l’ha portata a essere quella che oggi è, una donna, una artista, e un’amante della pittura. La sua vita e la sua arte sono contestualizzati da Grey su due principi fondamentali che l’hanno accompagnata durante la sua vita: l’allegria e il dolore. Questi due termini pronunciati da Grey, possono sembrare una contraddizione, ma in realtà, sono i due sentimenti grazie ai quali lei ha potuto produrre ciò che ama, o meglio detto creare vere opere d’arte, che attualmente sono molto apprezzate nelle mostre che effettua in varie gallerie. Il colore rappresenta il centro di tutta la sua vita ed è proprio questa essenza che la rende un’artista “completa”, questa miscela di sfumature spinge l’osservatore ad andare al di là, è come guardare le sue opere e aprire una porta immaginaria, che permette di viaggiare, anche se solo con la mente e solo per un istante in un mondo surrealista, parallelo al nostro, dove la magia e l’emozione sono combinate e creano all’interno di tutte queste emozioni un solo sentimento. Confessa che i suoi quadri sono la storia della sua vita, piena di cambiamenti e di passaggi, e affrontando con grande valenza le difficoltà e le amarezze, ha scoperto il suo lato artistico mettendolo in atto, ed è così che inizia tutto per caso, e come dice Grey, “non potevo mai immaginare di diventare una pittrice di successo”, le dure esperienze l’hanno condotta verso l’arte, l’hanno aiutata a essere più consapevole, più forte e molto più ottimista, infatti, è proprio “l’ottimismo” che caratterizza Grey non solo come persona ma anche come artista. Osservando le sue opere, come per esempio “La mujer azul”, “El sueno eterno”, “Decison Final”, (la sua opera d’arte di maggiore notorietà dove ha dipinto il volto di una donna con i capelli raccolti, un segnale di irrazionalità e con gli occhi che “esprimono il proprio stato d’animo” secondo le parole dell’artista), si denota che le donne senza veli sono le protagoniste nella maggior parte dei casi dei suoi quadri, Grey sottolinea che la “trasparenza” sconfina l’aspetto esterno di ogni persona, e descrive in queste delicate opere la bellezza della donna in varie tappe della sua vita e in particolare mette in rilievo i sentimenti profondi, con un semplice tocco di pennello. Tuttavia, non sono mancate le critiche costruttive sulle sue opere, e a riguardo l’artista asserisce che sono proprio le critiche che aiutano a crescere una persona e ha aggiunto che la critica e il successo camminano in parallelo, come l’allegria e il dolore. “Realizzarsi gradualmente e crescere nello stesso tempo sono le due espressioni che hanno reso questa donna, oggi, un esempio di pittrice e un esempio di speranza per molte persone che credono nel sentimento e nell’umanità che secondo la mia opinione sono qualità perfettamente rappresentate nelle opere e nella personalità di questa sorridente e intuitiva artista versatile e spontanea che prosegue il suo viaggio nell’arte e nella società”. Cristina Zambrano León – Traduzione Sabrina Carbone Source: http://www.expresolatino.net/noticias/italia/2833-qun-viaje-al-centro-del-colorq-entrevista-a-grey-est-.html

Benito Mussolini, è stato un grande Dittatore, ha perso la sua Guerra  sia perchè, a mio parere, prima di andare a civilizzare l’Africa doveva civilizzare gli Italiani, ma anche perchè non ha tenuto conto del rinnovo delle generazioni, non sempre si può dire ‘Signor sì’ scatenando un senso di ribellione plausibile. Siamo persone non automi i servi della gleba non esistono più da secoli. Hitler e la sua idea di razza ariana ha perso la sua Guerra è stato un grande Dittatore, oltre ad essere una macchina che produceva solo folli idee. Tanti ebrei sono morti, sono stati derisi, sono stati obbligati a fuggire, a nascondersi, a subire, ma alla fine Hitler  è morto  e il popolo ebreo continua a esistere. Il Muro di Berlino è caduto dopo 28 anni, era stato eretto nel 1961 ma è caduto nel 1989. Anche in questo caso la dittatura non ha fatto i conti con l’evolversi delle generazioni, prima o poi le persone diventano ribelli al loro essere soggiogati da idee politiche o da prese di posizioni nevralgiche per l’Umanità, anche se in Germania la ‘Gema’ (Società per i diritti musicali performanti e meccanici di riproduzione) non permette l’ascolto di alcuni artisti, c’è un bel paragrafo su Wikypedia ed è da leggere.  L’ex Unione Sovietica grazie a Gorbaciov, e alla “Perestroika” , ha iniziato un nuovo cammino, c’è stato un evolversi delle generazioni e alla fine il Regime Dittatoriale è stato sciolto. Aggiungo  che alcuni soldati americani di ritorno dall’Afghanistan o dalla Guerra in Iraq dopo il lavaggio di cervello a dire sempre ‘Signor sì’ finiscono nei Centri di Igiene Mentale, ma per cameratismo tutto tace, e con il cambio delle generazioni, sono stati istuiti dei Centri Psicologici perchè anche nell’Esercito predomina la Legge del Comando.  C’è un bellissimo film di Totò del 1955 diretto da Camillo Mastrocinque il cui titolo è: “Siamo Uomini o Caporali?” e dice: L’umanità io l’ho divisa in due categorie di persone: uomini e caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali per fortuna è la minoranza. Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare tutta la vita come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di una esistenza grama. I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza avere l’autorità, l’abilità o l’intelligenza, ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque. Dunque, dottore, ha capito? Caporali si nasce, non si diventa: a qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso: hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi, pensano tutti alla stessa maniera. (Totò Esposito) Più conosco gli uomini e più amo le bestie amico mio. (Totò Esposito al postino) : Source http://it.wikiquote.org/wiki/Siamo_uomini_o_caporali%3F Si può essere Uomini, e si può essere Caporali, ma prima di essere Caporali bisogna essere Uomini. Le vere dittature sono cadute proprio per questo motivo perchè tante persone hanno creduto di saper fare l’Uomo e hanno preteso di fare i Caporali, e hanno pensato di poter comandare con il loro essere despota, la loro pleonastica presa di posizione verso tutti. Se vuoi davvero comandare devi essere prima Uomo e poi Caporale. Ma il comando al mondo di oggi non esiste più perchè ognuno è Padrone di se stesso. Le persone non sono proprietà privata, e chi si ribella con la giusta dose di saggezza, è perchè è stato leso nella sua dignità, nella sua bontà, e nel suo essere persona. I despoti, non conoscono il rispetto verso gli altri ma vogliono essere trattati con i guanti bianchi, a rigore di logica è una formula che va a cadere perchè a ogni azione consegue una reazione, azione/reazione. Nel film “Alcatraz” il direttore del penitenziario diceva sempre azione/reazione, e alla fine anche quella forma dittatoriale è andata a morire. La dittatura, i despoti, gli impostori qualunque termine vogliamo usare per esprimere la chiusura mentale di coloro che vogliono ribadisco ostinatamente far prevalere la loro volontà, la loro forza il loro pensiero sugli altri HANNO PERSO LA GUERRA, PERCHE’ A OGNI AZIONE C’E’ UNA REAZIONE. SIAMO UOMINI O CAPORALI? DIPENDE DAL CERVELLO.

La terra cruda ( ad alto tenore di argilla) viene lavorata e impastata con acqua, paglia o fibre naturali, che legano tra di loro e serve per realizzare murature di getto o murature a blocchi, ed è stata utilizzata per millenni nel mondo intero. Ancora oggi, un terzo della popolazione mondiale vive in queste abitazioni di terra rossa essiccata. Nel Sahel, la terra risponde perfettamente ai bisogni degli abitanti, anche se soffre di una cattiva immagine. Per dimostrare che questa tecnica ancestrale è sempre pertinente, una ONG italiana sita a Niamey, il CISP, ha lanciato un progetto di promozione della terra rossa. Le prime tracce edili in terra cruda, sono state rintracciate in Mesopotamia, e risalgono a 1000 anni fa. Nel Sahel, le moschee di Djenné e di Agadez sono dei bellissimi esemplari di questa tradizione secolare. La terra è utilizzata dalla maggior parte della popolazione del Sahel, anche se è considerata povera. Coloro che hanno i mezzi per costruire in cemento dirottano da questa antica tecnica. Tuttavia, grazie alle sue proprietà e alla sua grande disponibilità, la terra rossa essiccata risponde alla posta in gioco del Sahel: calura estrema, mancanza di legno e di mezzi. Convinti della modernità di questo tipo di costruzione, un architetto belga, Odile Vandermeeren, e una archeologa italiana, Marta Abbado, residenti a Niamey, hanno costruito un villino in terra rossa in due anni. Il CISP, congiuntamente alle ONG dell’Africa dell’ovest, la città di Niamey e il Governo del Niger, realizzeranno un inventario competente del paese. Grazie al finanziamento dei Paesi ACP e all’Unione Europea, dei prototipi di abitazioni e edifici collettivi saranno realizzati in collaborazione con gli architetti nigeriani. Il Museo nazionale sarà dotato di un villino architettonico in terra rossa e nel 2014, Niamey accoglierà un simposio internazionale su questo tema.

Più di ventisette milioni di donne appartenenti ai Paesi più poveri del mondo, saranno annesse,a Jadelle®, un impianto anticoncezionale reversibile a lunga durata, di efficacia provata e a un prezzo ridotto di oltre il 50%. Questa è l’affermazione confermata in un comunicato stampa giunto al Sud Quotidien in seguito a un accordo concluso tra un gruppo di partners del settore pubblico e privato. Il programma di accesso a Jadelle, sviluppato dal partenariato tra la Bayer HealthCare AG, la fondazione di Bill& Melinda Gates, la CHAI (Clinton Health Access Initiative), il Governo norvegese, americano e svedese, il CIFF (Children’s Investment Fund Foundation), e il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (FNUAP), che hanno preso parte al movimento lanciato al Summit di Londra sul piano famigliare è stato presentato nel mese di giugno del 2012. Secondo i termini di un comunicato stampa giunti al Sud Quotidien, i dirigenti di numerosi Paesi hanno preso l’impegno di dare accesso alla contraccezione nei Paesi in via di sviluppo da qui al 2020. In risposta all’appello che richiede una collaborazione più efficace tra il privato e il pubblico al Summit di Londra sul piano famigliare, i partners hanno negoziato questa riduzione del prezzo per permettere a questo metodo poco utilizzato e che è globalmente più abordabile e accessibile alle donne, allo scopo di allargare entro i termini le opzioni di contraccezione disponibili. Il comunicato indica che in virtù dell’accordo firmato, il prezzo unitario di Jadelle® sarà fortemente riabbassato a iniziare dal 1 gennaio 2013 in oltre 50 Paesi di tutto il mondo. L’impianto che è stato prequalificato dall’OMS da settembre del 2009, offre una contraccezione efficace alle donne, per una durata di circa 5 anni. Lo stesso comunicato precisa che una volta messo in atto il programma di accesso a Jadelle permetterà di evitare oltre 28 milioni di gravidanze non desiderate tra il 2013 e il 2018, con l’intento di evitare, entro i termini, la morte di quasi 280.000 neonati e di 30.000 madri. Il programma, inoltre, permetterà di realizzare una economia di 250 milioni di dollari americani sui costi della sanità del globo. Le grandi agenzie come FNUAP e l’USAID, come anche i fornitori privati hanno comunicato attualmente la riduzione dei prezzi ai loro uffici nazionali e ai partners governamentali, allo scopo di assicurare che il nuovo prezzo venga riflesso nei piani di distribuzione della contraccezione, cita il comunicato. E’ stato fatto osservare che oggi, più di 200 milioni di donne e giovani donne dei Paesi in via di sviluppo che sperano di evitare le gravidanze non hanno mai avuto accesso a un metodo di contraccezione moderno.

7, marzo 2013

Durante una riunione dedicata alla mendicità dei bambini per le strade, il 6 marzo, presso l’Amministrazione che dipende dal Primo Ministro, lo stesso Primo Ministro, Abdoul Mbaye, ha annunciato la determinazione dello Stato a porre fine a questa pratica. Il Primo Ministro ha invitato la popolazione a collaborare con il Governo denunciando alle Forze dell’ordine i falsi Marabouts che organizzano questo accattonaggio allo scopo di sfruttare i bambini. Il Governo del Senegal è determinato a sdradicare la mendicità dei minori e a lottare contro la precarietà che subiscono questi ultimi. L’annuncio fatto dal Primo Ministro, ai margini di una riunione sull’accattonaggio presso l’Amministrazione è stato preceduto dal Consiglio interministeriale svolto nello scorso mese di febbraio e consacrato alla mendicità. “Sono presenti falsi Marabouts che profittano di questa tradizione di insegnamento del Corano instaurata nel nostro paese per organizzare l’accattonaggio dei minori. Lo sfruttamento dei bambini, che vivono in condizioni terribili e che sono esposti a dei rischi come quelli avvenuti a Medina deve essere abolito. Il Presidente della Repubblica ha dato delle ferme istruzioni” ha dichiarato il Primo Ministro. In questo modo il capo del Governo invita la popolazione a essere più coinvolta in questa battaglia contro lo sfruttamento minorile. “Tutta la popolazione deve decidere di combattere questo fenomeno. Quando vedete dei bambini pressati di 50 in 50 in piccole baracche denunciate questo fenomeno alla Polizia perchè quest’ultima è sul posto per assicurare la sicurezza dei cittadini anche se hanno tre o quattro anni”, ha sottolineato Mbaye. Secondo il Primo Ministro, è importante evidenziare che esistono Daara (Scuole coraniche) e Daara che sono luoghi organizzati in seno ai quali i bambini sono presi in affidamento e ricevono una educazione di qualità tramite Marabouts onesti e qualificati. Al contrario esistono dei falsi Marabouts che sfruttano l’esistenza di questa tradizione nel nostro Paese per organizzare l’accattonaggio dei bambini. ” Prendono i minori e li mandano per le strade e li obbligano a mendicare senza dare loro una vera istruzione. Coloro che risiedono all’estero e che sono loro stessi delle vittime, cercano addirittura i bambini anche nei paesi vicini come la Guinea e il Gambia” ha precisato. Per quanto riguarda la carità verso il prossimo, il Primo Ministro ha invitato la popolazione ad appoggiare i Daara che riservano un trattamento onesto ai bambini. I Daara rispondono a delle norme e il Primo Ministro ha precisato che sarà presto attuato un programma che andrà a migliorare il loro statuto. ”I Daara insegnano il Corano e l’Islam, ma anche il francese e una corretta formazione. Per questo motivo istituiremo dei programmi che andranno a rinforzare quei Daara già esistenti” ha concluso Mbaye

Domenica 3 Marzo 2013, è stato annunciato negli Stati Uniti, questo primo caso di guarigione apparente di una bambina contaminata alla nascita dall’AIDS, offre un lume di speranza per vincere questa infezione. Il virus dell’HIV è stato completamente stradicato nel’organismo della piccola, anche se rimane una piccola quantità dell’infezione che comunque il suo sistema immunitario può tranquillamente controllare senza trattamenti antivirali. E’ così che dei ricercatori descrivono la guarigione “funzionale” di una piccola bambina che è stata contaminata dalla madre la quale non è stata sottoposta a nessun tipo di trattamento. Alla nascita è stata subito messa nelle mani dei medici per delle cure appropriate, la bambina oggi all’età di due anni e mezzo, è stata capace qualche mese più tardi di abbandonare gli antivirali senza che il virus HIV torni a essere recidivo. Questo caso unico è stato presentato alla ventesima conferenza annuale sui retrovirus e le infezioni opportuniste (CROI), questo fine settimana ad Atalanta, negli Stati Uniti. L’unica guarigione completa e ufficiale riconosciuta al mondo al momento, era quella della americana Timothy Brown, una paziente di Berlino, che è stata dichiarata guarita in seguito a un trapianto del midollo osseo di un donatore che presentava una mutazione genetica rara che impediva al virus HIV di penetrare nelle cellule. Tra l’altro questo trapianto mirava a trattare una leucemia. La piccola, della quale è stato parlato ad Atalanta, è stata sottoposta a degli antivirali per 30 ore dopo la sua nascita, quello che viene fatto normalmente ai neonati per non incorrere nell’alto rischio della contaminazione. Questi trattamenti precoci spiegano la sua guarigione “funzionale” che ha bloccato la formazione delle riserve virali difficili da trattare, secondo i ricercatori. Le cellule contaminate ” assopite” rilanciano l’infezione nella maggior parte delle persone sieropositive nel giro di qualche settimana, dopo l’arresto degli antivirali.

In occasione della celebrazione del Giorno Internazionale della Donna che Lavora, ricordiamo la dichiarazione dei diritti firmata in una piccola località di New York, Seneca Falls, da dove è iniziato il vero movimento suffragista e la uguaglianza delle donne in occidente. Sebbene i vocaboli femminista e femminismo sono apparsi solo alla fine del secolo XIX, la dichiarazione che marcherà la donna come essere uguale è avvenuta nei giorni 19 e 20 luglio del 1948. La Dichiarazione di Seneca Falls è il primo documento di carattere pubblico approvato in una convenzione sulle donne e considerato l’atto fondamentale del movimento di rivendicazione dei diritti delle donne in condizioni di uguaglianza. Come spiega Enrique Moradiellos la Storia Contemporanea e i suoi documenti facevano parte dei grandi movimenti della riforma sociale e politica che caratterizzano la dinamica della storia dell’EE.UU dall’ingresso alla Presidenza del democrata Andrew Jackson (1829-1837) alla Guerra di Secessione con il mandato dell’imprescindibile Abraham Lincoln (1861-1865). Nelle stesso anno in cui era stata elaborata e pubblicata la dichiarazione, il paese aveva sperimentato una grande trasformazione territoriale che rafforzava ogni volta la sua crescita economica e demografica, grazie soprattutto alla conquista dell’Ovest del Messico e la forte immigrazione europea di questo periodo. Seneca Falls stabiliva con una prefazione che: “La storia dell’umanità è una storia di ripetuti affronti e usurpazioni da parte dell’uomo verso la donna, avviati direttamente verso la stabilità di una tirannia assoluta su di lei. Per dimostrare tutto questo, sottoponiamo i fatti al giudizio di un mondo imparziale. Non è stato mai permesso alla donna il diritto al suffragio. E’ stata obbligata a sottomettersi a leggi nella cui formazione non ha mai avuto alcuna voce in capitolo. Rispetto al diritto al lavoro era evidente che: ” L’uomo ha monopolizzato tutti i lavori lucrativi e quelli permessi alle donne erano mal pagati”. Spinta dalle attiviste Lucrezia Mott, Mary Ann M’Clintock e Elizabeth Cady Stanton, la struttura e l’architettura della dichiarazione era ispirata, intenzionalmente alla Dichiarazione d’Indipendenza di Thomas Jefferson. La stessa Elisabeth Stanton, considerava il testo il vero inizio del movimento suffragista, domanda fondamentale sui diritti politici che includeva nelle sue linee mentre sul piano giuridico difendeva la abolizione delle leggi che subordinavano la donna al marito e pianificava la battaglia per l’accesso alla educazione specialmente quella universitaria riserva tradizionalmente vietata alla donna. Nel 1908 a New York.. le operaie dell’industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero era stato protratto per alcuni giorni, finché l’8 marzo il proprietario Mr. Johnson, aveva bloccato tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Allo stabilimento venne appiccato il fuoco e le 129 operaie prigioniere all’interno morirono arse dalle fiamme.. Ma perché, tra i tanti fiori, proprio la mimosa è stata scelta come “regalo doc” per questa giornata? Secondo alcuni, perché nei pressi della fabbrica bruciata nel 1908 cresceva proprio un albero di mimosa. Tuttavia l’ipotesi più accreditata è di carattere più storico che simbolico. Sono state le italiane a eleggere la mimosa “pianta delle donne”. Nel 1946, l’U.D.I. (Unione Donne Italiane) cercava un fiore che poteva celebrare la prima Festa della donna del dopoguerra. La scelta fu quasi obbligata: la mimosa è una delle poche piante a essere fiorita all’inizio di marzo. Inoltre aveva il vantaggio di essere poco costosa.

L’archeologa austriaca Hilke Thur assicura che i resti riesumati dalla tomba di Efeso appartengono a Arsinoe IV, asassinata su ordine di suo cognato Marco Antonio. Ma realmente i resti trovati nella misteriosa tomba conosciuta come ‘l’ottagono’, a Efeso, sono quelli della sorella di Cleopatra, assassinata per ordine del suo amante Marco Antonio? L’archeologa austriaca Hilke Thur, specialista in questa città dell’attuale Turchia, lo assicura. Dieci anni fa, Thur aveva trovato uno scheletro di una donna giovane all’interno di detto recinto funebre. Uno scheletro che, afferma l’archeologa, appartiene a Arsinoe IV, figlia dello stesso padre della famosa sovrana d’Egitto. Thur è in questi giorni negli Stati Uniti, dove partecipa a un ciclo di conferenze sulla sua presunta scoperta patrocinata dalla associazione Amici Americani della Turchia. “Quando ho iniziato a lavorare con l’architettura dell’Ottagono e nell’edificio adiacente era ignoto a chi apparteneva lo scheletro che c’era dentro. Ho trovato che alcuni antichi scrittori testimoniano che nell’anno 41 a.C, Arsinoe IV, la sorella di Cleopatra era stata assassinata a Efeso da Cleopatra e dal suo amante Marco Antonio.” spiega Thur in una intervista rilasciata al giornale “New Observer”. “In sostanza, dal momento che l’edificio data, per il suo tipo di decorazione, la seconda metà del primo secolo a.C. tutto ciò combacia perfettamente”, assicura l’archeologa.

Una grande scoperta

La Tomba, era stata scoperta rigorosamente nel 1926, e il suo cadavere era stato trasportato in Germania per essere sottoposto a ulteriori studi, e la sua sparizione era avvenuta nella Seconda Guerra Mondiale. L’archeologa Thur ha basato parzialmente i suoi tudi sulle fotografie e diagrammi di allora. “Arsinoe era riuscita a unire tutte le fazioni egizie, creando un fronte comune contro Roma e Cleopatra. Se realmente viene dimostrato che i resti trovati sono quelli di Arsinoe abbiamo fatto una scoperta grandiosa” espone l’archeologo Anibal Gonzalez-Arintero, specialista nel mondo classico mediterraneo. Le evidenze scientifiche sono sempre più solide. La prova del carbonio 14 testa che lo scheletro risale all’anno 200, al 20 a.C. e le analisi forensi confermano che le ossa appartengono a una donna di età compresa tra i 15 e i 20 anni, e possono corrispondere a Arsinoe. Inoltre l’assenza di tracce che possono ricondurre a una malattia o a una morte per denutrimento fa pensare a una morte dovuta a un incidente o a una esecuzione. I resti sono stati esaminati dall’antropologo Fabian Kanz, che all’inizio era abbastanza scettico a riguardo. “Cerchiamo di scartare l’ipotesi che afferma che era Arsinoe. Usiamo tutti i metodi manuali per trovare qualcosa che permette di dichiarare: ” Non può essere Arsinoe per questo motivo o per un altro”, ha assicurato Kanz. Tuttavia davanti alla coincidenza delle evidenze, l’opinione è cambiata poco a poco. L’antropologa forense Caroline Wilkinson aveva ricostruito il cadavere sparito a partire dalle misure prese negli anni 20, e creando una immagine del viso al computer. “La testa ha una forma ampia, ed è una caratteristica riscontrata negli antichi egizi, e nei negri dell’Africa, che suggerisce un mélange ancestrale”, ha commentato la Wilkinson dopo aver pubblicato il suo modello ritratto al computer.

Evidenze irrefutabili

Per Thur, in aggiunta, le evidenze archeologiche sono irrefutabili. “Nella antichità, la gente comune non veniva sotterrata dentro la città, ed è per questo motivo che il corpo doveva essere appartenuto a una persona speciale” continua l’austriaca. “La forma dell’edificio, un monumento funebre imperiale, ricorda il famoso Faro di Alessandria. La parte centrale della torre del faro era ottogonale, cosa abbastanza inusuale per quell’epoca”, assicura. Le prove del DNA, certamente, non hanno dato risultati concreti, infatti l’archeologa Thur spiega che lo scheletro vecchio di 2 mila anni è stato manipolato da numerose persone. Ma disdegna le critiche di altri specialisti che considerano che le evidenze sono insufficienti per affermare con certezza che questi resti appartengono realmente a Arsinoe. “Questo tipo di questione accademico è normale. Capita! Rientra nell’impegno professionale” afferma l’archeologa.

L’ASSASSINIO

Arsinoe IV era la figlia propria, come Cleopatra, del re Ptolomeo XII Aulete, anche se di madre diversa. Dopo la morte del monarca, un altro erede, Ptolomeo XIV, era salito al trono ed è per questo motivo che le due sorelle erano state esiliate. Tuttavia Giulio Cesare non tarda a rovesciare Ptolomeo e a far salire sul trono Cleopatra. “L’assassinio di Ptolomeo, che era un bambino, e la incoronazione di Cleopatra al trono attraverso le armi romane non era stato molto gradito dal popolo egizio. Arsinoe e il suo seguito aveva risposto a tutto ciò assediando Cesare e le sue scarse truppe nel palazzo reale di Alessandria, evento che da inizio alle Guerre Alessandrine”, spiega alla ABC l’archeologo Aníbal González-Arintero. In una scaramuccia, Arsinoe era stata catturata e inviata a Roma come prigioniera prima di essere giustiziata. Tuttavia Cesare decide di concederle il perdono e le risparmia la vita per convenienza politica, e la confina a Mileto. Nonostante ciò, dopo l’assassinio di Giulio Cesare, Marco Antonio ordina la sua esecuzione per evitare che Arsinoe poteva reclamare il trono d’Egitto nel periodo futuro. ” Una vita degna di un racconto di un personaggio storico posto all’ombra degli eventi”, assicura l’esperto.

L’origine della parola spagnola “trabajo” riporta a uno strumento di tortura, detto tripalium. In tedesco e in russo l’etimologia di “trabajo” (Arbeit, rabot), di origine indoeuropea, appartiene alla stessa radice che dà luogo alla parola “robot” che significa “schiavo”. Se continuiamo a cercare in altre lingue troviamo esempi simili che, come minimo,lasciano intendere che il lavoro non è un piatto gustoso. I romani e i greci distinguevano tra “labor” e “lavoro manuale” e usavano differenti parole per fare riferimento a ogni cosa. Il lavoro era il da fare dell’uomo libero: la politica, il dibattito filosofico, la caccia, la guerra, le altre cose l’attività produttiva quotidiana era affidata agli schiavi. Una idea che, con o senza distinzione terminologica, è stata data a tutte le civiltà della Storia fino ad arrivare ai giorni nostri. Nell’Età Media, nel Rinascimento, e nella realtà fino all’ingresso della dottrina capitalista liberale, il lavoro manuale non solo era una cosa della servitù o delle caste inferiori era anche mal considerato. Essere artigiano, agricoltore, era considerato una macchia nel curriculum sociale dell’individuo. Nella letteratura spagnola del secolo dell’Oro era uno sfoggio della pigrizia del gentil uomo, che diventava il suo presupposto, lasciando le cose rustiche e di poco conto a colui che guadagnava con il proprio sudore. Questa mentalità è stata conservata per secoli, fino a quando l’auge delle nazioni protestanti e il trionfo della borghesia avevano stabilito una nuova mitologia del lavoro come indicatore di successo, garante della grazia Divina e segno di salvezza. Poco a poco, e superando degli ostacoli, questa filosofia è andata estendendosi per tutto il Globo e nella attualità compreso le nazioni considerate pigre, come quella spagnola, issano la bandiera del lavoro come virtù massima del cittadino. Senza dubbio, l’essere umano cerca di mantenersi occupato o forse è eccessivo considerare, come facevano gli antichi, che il lavoro era la loro macchia. Ma fino a che punto il lavoro è una benedizione così fantastica come vogliono farci credere? Prima di tutto bisogna tenere in considerazione che la storia del lavoro che vendono i grandi mezzi di disinformazione è falsa: lo schiavo antico non era libero, ma la sua vita non era necessariamente così orribile come viene dipinta nei film. Infatti, la maggior parte degli schiavi antichi conducevano una vita, che secondo la nostra prospettiva, sembra abbastanza normale, o meglio accettabile. Il cinema e la letteratura contemporanea hanno mostrato una immagine della schiavitù antica completamente torva, questo perchè Hollywood, il grande generatore della propaganda del capitalismo, deforma la storia per farci credere, deliberatamente o no, che tutti i popoli hanno trattato gli schiavi come facevano i puritani statunitensi e i civili europei che, durante il secolo XIX, avevano esteso la loro miserabile concezione delle cose in tutto il pianeta. Che la schiavitù, antica o moderna, è detestabile, nessuno lo nega. Tuttavia, bisogna domandarsi se le cose sono migliorate per il lavoratore attuale. La fine della schiavitù non c’è mai stata, nonostante lo continuiamo a credere, dopo il risultato della Guerra di Secessione degli Stati Uniti. Questo episodio locale è servito prima di tutto a liquidare la lotta tra due concezioni economiche molto differenti con la vittoria del capitalismo industriale tale come lo conosciamo. Culminava, in questo modo, durante la seconda metà del secolo XIX, un processo che era iniziato molto prima, agli inizi dello stesso secolo, con le prime leggi britanniche contro la tratta e la creanza degli schiavi. Curiosamente i britannici erano stati i maggiori negrieri e coloro che avevano ottenuto il maggiore beneficio dalla tratta. Perchè questo interesse più o meno repentino doveva terminare con un negoziato molto soddisfatto? Perchè la industrializzazione, che era iniziata in Inghilterra a partire dagli immensi benefici ottenuti precisamente dal lavoro servile e dalla vendita degli schiavi, aveva manifestato una serie di realtà completamente nuove nell’universo del lavoro e del commercio. La principale e più importante constatazione, fatta nelle fabbriche del Regno Unito, è che un operaio stipendiato lavora meglio, è più affidabile e più economico di uno schiavo. Dall’altra parte, la ferma determinazione britannica di terminare con la competenza “sleale” che per il suo commercio in espansione rappresentava il lavoro schiavista in altre nazioni. Bisognava convincere il mondo della bontà dell’economia capitalista, con il suo mercato di lavoratori liberi. Liberi, anche se sfruttati oltre ogni misura, come mai era stato uno schiavo qualsiasi. Durante il secolo XIX andava stabilendosi il cambiamento necessario della mentalità per adattare la produzione, l’economia, e tutta la società a queste nuove regole di gioco che sono perdurate fino ad oggi. Il concetto di lavoro è stato elevato alla categoria della virtù e allo stesso tempo terminava con la piaga della schiavitù che, certamente, aveva i suoi detrattori come li aveva avuti in tutte le epoche. Certe interpretazioni del socialismo hanno anche contribuito a questo processo, con la sua mitologia del lavoratore come eroe della società. E in questo modo venivano poste le fondamenta del mondo contemporaneo. Il processo era stato rapido e in un certo senso facile ma, certamente, aveva comunque ottenuto delle resistenze. I proprietari degli schiavi, per esempio, non vedevano di buon occhio questa nuova filosofia sociale, e in Spagna addirittura era stato realizzato un partito di negrieri. Inoltre i nuovi lavoratori, (i proprietari) erano liberi, ma in realtà vivevano sotto un regime di sfruttamento disumano, e la sua estrema povertà li legava alle fabbriche e alle botteghe con più solidità rispetto alle vecchie catene. La sofferenza del lavoratore durante la Rivoluzione Industriale costituisce la base del movimento operaio, una forma organizzata e persistente della resistenza che, curiosamente, non era esplosa (salvo casi sporadici come Spartaco) durante i secoli della schiavitù. Il processo continuava ad avanzare nei secoli XIX e XX, in parte perchè non mancava di fondamenta morali: la schiavitù era insostenibile non solo economicamente, ma anche dal punto di vista sociale e umano. Dall’altro lato, il cambio di regime della massa operaia era stato accompagnato da alcune “migliorie” che in parte erano il risultato della propria lotta sociale, ma anche l’apporto interessato dei grandi capitalisti. L’educazione obbligatoria, la sanità universale, il servizio militare non classista, le progressive imposte, i trasporti pubblici, la polizia civile, tutta la batteria dei diritti e dei servizi pubblici che andavano conformando, lentamente e con grande sforzo, il cosiddetto Stato del benessere, dovevano e devono nonostante un lato oscuro: formare una massa operaia non efficiente, ma coniata dalle origini per essere pezzi sani e controllati e produttivi della grande catena di montaggio nella quale andava convertendosi tutta la società. Una società concepita come macchina, nella quale ogni essere umano è solo un elemento intercambiabile, prescindibile, con una vita utile e un prezzo calcolato in anticipo. Questo è il gran risultato del capitalismo: la disumanizzazione di Tutto. Non è strano che sia il mondo capitalista, il portabandiera della democrazia e i diritti umani sono quelli che hanno generato le peggiori dittature e commesso le guerre più selvagge di tutta la storia. Inoltre dopo tutti questi processi che erano accorsi nel secolo XX e avevano posto la nostra specie al bordo della estinzione, il processo non era terminato. Nonostante i proclami della I Internazionale a favore della emancipazione dell’operaio, della sua lotta per liberarsi dalle catene del lavoro, e dai brillanti argomenti sul carattere alienante del lavoro stipendiato da parte dei noti autori come Proudhon, Marx o Paul Lafargue, dopo le diserzioni della socialdemocrazia e la vittoria della rivoluzione bolscevica quasi nessuno aveva mantenuto la proposta iniziale del socialismo, cioè, la definitiva liberazione dell’essere umano: quella dal lavoro. Per questo motivo invece, durante il XX e anche nel XXI secolo persisteva la maligna idolatria di questo concetto che portava agli estremi deliranti che attesta che anche oggi i ricchi lavorano. Una massa operaia inesauribile, assorbente e alienante con l’unico obiettivo di mantenere la macchina in funzione, senza una finalità chiara e senza un progresso definito (al di là delle invenzioni tecniche). Il risultato: una umanità sempre più sconvolta. Oggi nell’apogeo della tecnologia, proporre la fine della civilizzazione del lavoro per sostituirla con una cultura dell’ozio e della creazione, molto più umana e produttiva, continua a essere una cosa rara e mal vista. Al contrario, sono stati accentuati tutti i vizi del capitalismo fino agli estremi della pazzia. Se la educazione pubblica era stata all’origine una intenzione umanista, oggi con o senza piani Bologna, non cerca nemmeno di dissimulare che lo scopo determinante del sistema educativo non è altro che disciplinare i figli dei lavoratori e generare “professionisti” tra i rampolli delle classe abbienti, per corrispondere a una società ogni volta più disuguale e classista. Allo stesso modo, la sanità sembra orientata più come una officina per le riparazioni che come un sistema che garantisce la salute comune. Il trasporto pubblico fomenta l’espansione urbana e allontana le persone invece di avvicinarle. La polizia, che storicamente era sorta come parte della protezione civile e dell’ordinamento amministrativo della res publica, sotto il concetto della protezione del cittadino, non nasconde la sua funzione pretoriana e repressiva a favore dei più abbienti e della proprietà privata. E quindi la desiderata società globale è diventata un tormento ossessivo del controllo, della produzione e del consumo. Negli ultimi anni il fenomeno del declassamento nelle società sviluppate ha fomentato questa situazione. La classe operaia, che costituisce la maggior parte dell’umanità, ha creduto di essere la classe media e ha adottato i vizi di questa casta grigiatsra che è distinta solo, come indica il suo nome, dalla completa mediocrità. Lo schiavo e l’operaio sperano nella rivoluzione e nell’orgoglio del lottatore, ma il homo urbano contemporaneo aspira solo a consumare sempre di più e non ha altra scelta che il denaro. Denaro del quale mai dispone in quantità sufficiente, ma che adora, e in tutto questo le classi condividono la fede, come l’unico vero Dio. Il servum romano e medievale, il lavoratore antico , che sia stato o no uno schiavo, non sempre è stato incatenato, non viveva soggetto agli orari rigidi e al suo calendario di lavoro, era stipato di feste e giorni di riposo. Il lavoratore attuale non conosce il riposo. La sua mal pagata giornata è prolungata negli straordinari che regala il padrone in cambio del privilegio di poter lavorare. E nei suoi momenti liberi è sottomesso a una routine stancante dell’ozio-consumo che lo rimanda ancor di più, a queste catene invisibili dalle quali la maggioranza non riesce ad allontanarsi per tutta la vita. Charlie Chaplin aveva riflettuto magistralemnte nel film “Tempi moderni” sostenendo: Il lavoratore della società industriale è lo schiavo più schiavo di tutte le ere, e non può essere considerato neppure essere umano. E’ solo un ingranaggio, e come tale, mutevole, e prescindibile. La schiavitù industriale è il gran regalo quotidiano che ha fatto a tutti noi il capitalismo. Dietro lo splendore di una società tecnica, piena di luce e di concetti belli,è nascosto il peggior momento di tutta la storia della civilizzazione. La paura lo domina interamente. Paura dello Stato e delle sue forze repressive, paura della disoccupazione, della miseria, della delinquenza, delle malattie, del clima. L’etimologia del Tripalium forse è falsa, ma la società idolatrica del lavoro è diventata la vita dell’essere umano con un tormento peggiore e più duraturo di quello di Sisifo: ansietà, ossesione, angoscia, prodotta da una precarietà eterna che frena tutti ad accedere al falso paradiso del consumismo. E adesso il padrone non è nemmeno obbligato a dare vitto e alloggio allo schiavo. In tempi remoti i padroni più spregevoli, risparmiavano “ahorro” il vecchio schiavo. Da qui deriva il termine “ahorrar” risparmiare, e in questo modo, quando il servo non poteva lavorare più, i padroni evitavano di fargli pagare la manutenzione e l’alloggio a coloro che erano stati suoi servi. Una società sana deve aspirare ad abolire il lavoro, come era stato suggerito l’ultima volta a Maggio del 68. Per questo motivo inventiamo macchine per lavorare sempre meno. Certamente non sono mai esistiti tanti lavoratori che lavorano come lavorano oggi. Che cosa manca? Dietro la paura dei poveri c’è la paura di essere ancora più poveri.

Lo scorso dicembre MSF aveva lanciato una allerta sulla situazione e la mancanza di mezzi per far fronte all’urgenza. Due mesi più tardi, l’epidemia del morbillo ha continuato a colpire migliaia di bambini nella provincia orientale dell’Equateur a Nord del paese. Estremamente contagioso, il morbillo può generare delle complicazioni mediche gravi e la mortalità può arrivare fino al 25% dei casi. Di fronte alle carenze del sistema sanitario, Medici Senza Frontiere (MSF) tenta di combattere questa epidemia. Da marzo 2012, l’organizzazione ha già preso in carica più di 18.500 malati e ha vaccinato più di 440.000 bambini. “Numerose piccole tombe sono state scavate di recente lungo le strade”  testimonia Nathalie Gielen, responsabile di una équipe di MSF, di ritorno dalla zona sanitaria di Djolu nella provincia dell’Equateur, 

”In un villaggio abbiamo contato 35 decessi”


Un padre che aveva perduto i suoi figli nelle ultime tre settimane ha spiegato che di villaggio in villaggio c’è l’eco di una sola parola: morbillo. “Le persone sono afflitte e disperate chiedono aiuto”. La crisi continua dal 2010 “Questa situazione e l’ultimo sviluppo di una epidemia continua che tocca l’insieme del paese dal 20101 e che è particolarmente mortale con i bambini al di sotto dei cinque anni di età” spiega Amaury Grégoire, capo della missione aggiunta di MSF. “E’ inaccettabile vedere persone che muoiono ancora di morbillo nel XXI secolo. Esiste un vaccino molto efficace e a buon mercato, che protegge dal morbillo dopo una unica dose. Tuttavia, in Paesi come la RDC centinaia di migliaia di bambini non sono mai stati vaccinati e continuano a morire di una malattia dalla quale è facile premunirsi”. Il sistema sanitario è fuori moda per l’ampiezza dei bisogni. Nelle loro attività, le strutture affrontano regolarmente la mancanza di medicinali. Sono anche rapportati a importanti deficit nelle risorse umane qualificate. Il loro accesso e  i loro rifornimenti sono resi estremamente difficili a causa dell’assenza di rotte praticabili.

La nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU contro la Corea del Nord include una delle più dure sanzioni mai imposte da questa organizzazione, ha annunciato l’ambasciatrice dell’EE.UU davanti all’ONU, Susan Rice. La risoluzione che è stata discussa oggi martedì, 5 marzo, ha promosso delle sanzioni contro la Corea del Nord a un nuovo livello”, ha affermato l’ambasciatrice dell’EE.UU, davanti all’ONU. La Russia e la Cina hanno annunciato che sono disposti a appoggiare detta risoluzione. Secondo l’informe il rappresentante permanente della Russia all’ONU, Vitaly Churkin, all’agenzia russa Itar-Tass, ha riferito che la votazione del documento sarà portata a termine giovedì, 7 marzo, e successivamente il testo del Consiglio di Sicurezza sarà studiato dagli esperti di detto organismo. Il Consiglio di Sicurezza ha condannato energicamente la terza prova nucleare realizzata dalla Corea del Nord lo scorso, 12 febbraio, impegnandosi a prendere misure contro Pyongyang a causa degli ultimi eventi, che tutte le potenze mondiali, compresa la Cina, hanno denunciato. Pyongyang ha indicato da parte sua un atto di difesa propria contro le ostilità dell’EE.UU, e ha minacciato l’ingresso di forti rappresaglie se sarà necessario. Le dichiarazioni della Rice, sono giunte solo ora dopo che le autorità nordcoreane avevano promesso il cessate il fuoco tra le due Coree in seguito alle sanzioni internazionali e agli esercizi militari congiunti con l’EE.UU, e con la Corea del Sud.

Un apparecchio Fokker50 della compagnia aerea africana (CAA), che è una compagnia congolese e caduto a picco questo lunedì, 4 marzo, nel tardo pomeriggio a Goma, capitale provinciale del Nord-Kivu a est del RDC mentre iniziava le manovre di atterraggio per cattive condizioni metereologiche. Secondo le prime informazioni raccolte sul luogo dell’incidente, l’aereo veniva da Lodja, nel Kasai-Orientale, ed era diretto a Goma. Trenta passeggeri erano a bordo. Cinque corpi sono stati recuperati dalla carcassa dell’apparecchio che è andato completamente distrutto. Tre sopravvissuti sono stati immediatamente condotti in ospedale. L’aereo è caduto su una abitazione sita in un quartiere residenziale presso la sede della Commissione elettorale nazionale indipendente verso le 17:55 ora locale (16:55 GMT). Il servizio della protezione civile a causa del buio e a causa della mancanza di materiale adeguato ha incontrato molte difficoltà nel ritrovare gli altri passeggeri.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale e nei tre anni successivi, gli alleati vittoriosi avevano portato a termine la più grande migrazione della popolazione: tredici o quattordici milioni di persone di origine tedesca residenti nei paesi occupati dell’Europa dell’Est, venivano espulsi dalle loro abitazioni e obbligati ad andare in una Germania in rovina. Messi sui camion o sui treni per il bestiame, gli stessi che erano stati usati per trasportare gli ebrei, si ammalarono, patirono la fame e subirono delle violenze. In altri casi, non erano stati espulsi direttamente ma passarono settimane e mesi in campi di concentramento o in campi nazisti. Nella conferenza di Potsdam (1945) erano riuniti Harry S. Truman, Winston Churchill, sostituito più tardi da Clemente Attlee e da Josef Stalin per elaborare il Trattato di Pace e discutere i dettagli del dopo Guerra e la ipocrita espulsione e migrazione forzata. La proposta era partita da Stalin che già la aveva messa in pratica anteriormente, ma comunque era stata appoggiata dall’EE.UU e dall’Inghilterra, solo la Francia che non partecipava alla Conferenza aveva rifiutato la proposta. La misura era stata proposta come l’unica soluzione per prevenire la violenza sulla minoranza etnica tedesca nei paesi occupati (Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria) e la creazione degli Stati etnicamente omogenei. Realmente era stata fatta una pulizia etnica. Dalle parole di Churchill: L’espulsione è il metodo che, secondo le nostre possibilità, sarà la più soddisfacente e duratura. Le popolazioni non saranno mescolate tra loro causando problemi eterni. Sarà fatta una pulizia. Nella pratica, la misura adottata a Potsdam era solo una ratifica di una politica di fatti consumati che l’Esercito Rosso aveva messo in pratica avanzando verso la Germania. Certamente alcuni residenti nei paesi occupati sfruttarono questa circostanza durante l’occupazione e dal momento che, dopo la fine della guerra, c’erano stati alcuni casi isolati di vendette tra la popolazione civile, le misure adottate non potevano essere giustificate. La migrazione forzata, che secondo la dichiarazione di Potsdam, doveva essere ordinata e umana, era diventata una crisi umanitaria, i rifugiati arrivavano in una Germania devastata. Alla fine del 1947, il Consiglio del controllo Alleato dichiarava: L’opposizione a tutte le migrazioni obbligatorie future della popolazione, in particolare la migrazione forzata delle persone dalle loro abitazioni occupate da generazioni.

“Non temere d’ora in poi sarai pescatore di uomini” disse Gesù a Simone, testimonia il Vangelo secondo Luca. Nella società di oggi raccogliendo le reti non troviamo una pesca abbondante, ma una melma malsana le cui radici sprofondano nei mali etnici, nelle carestie, nelle violenze, negli abusi, e nella corruzione, nella disuguaglianza tra i popoli, e alla base di tutto questo c’è l’indifferenza, la debolezza non solo delle istituzioni governative, politiche, economiche e culturali, c’è molto di più c’è l’indifferenza verso il prossimo, verso noi stessi perchè il prossimo siamo noi. I discepoli avevano un esempio da seguire: Dio. Alla nostra società quale esempio è rimasto da seguire? Se guardiamo nelle reti la pesca non offre esempi ma la presa di coscienza di un putridume che oramai soffoca e annienta lo stato sociale. Il dolore è il megafono di Dio per risvegliare un mondo sordo, che si specchia e riflette negli spettri oramai radicati nella nostra società. Quante volte abbiamo assistito a scene di furti, ubriachi, barboni e altri spettri buttati lì per strada. Quante volte abbiamo visto tante cose malsane e la omertà, la paura dei pregiudizi ha bendato i nostri occhi con un velo di pietoso silenzio. Tutto questo è per mancanza di esempi, se facciamo vincere l’omertà e l’indifferenza il cammino verso la pace non avrà mai una sua evoluzione.Tenta perchè se nella vita non hai mai tentato non hai mai vissuto, è da noi che parte l’esempio per un futuro migliore senza avere paura dei pregiudizi altrui, a qualunque religione appartenete pregate, a qualunque idea politica o culturale appartenete tentate di ripristinare tutto quello che abbiamo ormai perso. Non scaviamo nel fango torniamo a raccogliere i frutti nel giardino dell’amore, della pace e della speranza.

Il lavoro dei bambini nell’allevamento, è molto esteso e largamente ignorato, cita un primo studio mondiale pubblicato dalla FAO sul lavoro dei bambini nella filiera dell’allevamento. La pubblicazione che porta il titolo Children’s work in the livestock sector. Herding and beyond( il Lavoro dei bambini nel settore dell’allevamento e oltre) indica che nell’agricoltura esiste un gran numero di bambini che lavorano. D’altra parte, a livello mondiale, il bestiame rappresenta circa il 40% dell’economia agricola. Secondo la pubblicazione, gli sforzi mirano a ridurre il lavoro dei bambini nell’agricoltura in generale e l’allevamento in particolare richiede la complicità diretta dei Governi, delle cooperative agricole e delle famiglie rurali allo scopo di trovare delle soluzioni alternative a delle pratiche spesso motivate dalla lotta alla sopravvivenza. Lo studio sostiene che il problema dei lavori pericolosi o potenzialmente nocivi sono basati sui minori e nella filiera dell’allevamento ha ricevuto meno attenzione rispetto a altre filiere agricole anche se molti più sforzi sono stati realizzati dalle organizzazioni internazionali, dai governi dalla società civile e dalle famiglie rurali per lottare contro questo fenomeno. “La riduzione del fenomeno del lavoro minorile nella agricoltura non è solo una questione dei diritti dell’uomo, è anche uno degli elementi suscettibili nel garantire una sicurezza alimentare e uno sviluppo rurale veramente duraturo”, ha dichiarato M. Jomo Sundaram, vice direttore generale della FAO responsabile del Dipartimento dello sviluppo economico e sociale. “Il lavoro minorile silura le opportunità di un decente lavoro da offrire ai giovani, soprattutto quando interferisce con la loro educazione scolastica”, ha aggiunto M. Sundaram. “L’importanza crescente dell’allevamento nella agricoltura, gli sforzi spiegati per ridurre il lavoro minorile devono essere concentrati prima nei fattori che conducono a affidare ai minori i lavori nocivi o pericolosi pensando che questo è un mezzo di sopravvivenza delle famiglie rurali povere”. Lo studio della FAO compila e analizza le informazioni disponibili a partire dai documentari e dalle consultazioni con le organizzazioni e gli esperti nell’allevamento e nel lavoro minorile. Le conclusioni dello studio alimenteranno i dibattiti durante la terza Conferenza Mondiale sul lavoro minorile che sarà svolta a ottobre prossimo in Brasile.

Un bel giorno, un tipo francese chiamato Monet aveva lavorato su un quadro che lui aveva chiamato ” Impressione: sole nascente. Da quel giorno era iniziata una nuova corrente artistica chiamata Impressionismo. Quello che ‘più o meno’ messo a confronto perchè in questo niente è conosciuto dell’arte, sono le frontiere tra i movimenti e le tendenze diffuse, fino a dipendere in un dato momento dal numero dei distillati del critico o dello storico di turno. Comunque nel bene e nel male, il termine Impressionista era diventato un termine valido per riferirsi a uno stile pittorico dove l’importante non era essere fedeli al modello o al paesaggio, ma plasmare ‘l’impressione’ che lasciava nell’artista. Tutto ciò non era molto gradito alle nonne alle quali sembrava un’arte buona ma impresentabile dove i ritratti dei loro nipoti rappresentavano quello che l’artista vedeva nel suo essere artista. Nonne a parte l’impressionismo non ha lasciato un gran pugno di opere maestre da parte di pittori come Monet, Manet, Renoir, Degas, Cézanne, che terminarono per definire e incalzare l’arte pittorica verso i cammini dove l’interpretazione personale ogni volta era più influente. Se noi siamo nonne che abbiamo bisogno di ritratti fedeli dei nostri nipoti, non è una cattiva idea comunque visitare una delle esposizioni aperte a Madrid in rapporto a questo movimento. Da una parte il Museo Thyssen con la mostra dell’Impressionismo e aria libera. Dall’altra Da Corot a Van Gogh , e la Fondazione Mapfre con gli Impressionisti e postimpressionisti. L’ideale è visitare entrambe per lasciarsi impressionare dalla loro bellezza, invece di caricare gli occhi e l’anima di impressioni.

Questo rapporto fa parte dell’insieme dei numerosi studi che ha condotto l’ONUDC sul tema delle minacce della criminalità organizzata nel mondo. Questi studi descrivono i meccanismi delle bande, dei flussi illeciti e discute il loro impatto potenziale sul Governo e sullo sviluppo. Il loro ruolo principale è quello di fornire una diagnostica, ma anche di esplorare le implicazioni di questi risultati in termini politici.

Epitome analitica


E’ da tanto che l’Africa dell’Ovest focalizza l’attenzione delle Nazioni Unite, ma è solo di recente che la comunità internazionale ha riconosciuto l’ampiezza del problema che costituisce la criminalità organizzata nella regione. Questa presa di coscienza ricolloca essenzialmente sul fatto che un flusso di contrabbando in particolare, in questo caso la cocaina, ha una proporzione così grande che il suo valore di vendita in Europa è superiore al budget della sicurezza nazionale di numerosi Paesi della regione. Un’altra evidente minaccia che riporta alla cocaina è la criminalità organizzata con ben altre forme che mettono comunque in pericolo la stabilità della regione. Questi problemi sono a loro volta la causa e la conseguenza della debolezza del Governo una dinamica che è stata esaminata in questo rapporto. Per meglio comprendere il flusso di cocaina, bisogna addentrarsi nel suo contesto storico. Durante l’ultimo decennio, il mercato mondiale della cocaina ha subito una trasformazione spettacolare. Dopo vari anni di flessioni, il consumo della cocaina negli Stati Uniti D’America ha subito una caduta brutale a iniziare dal 2006, cioè quando è entrata in vigore la strategia della sicurezza nazionale del Messico. Al contrario, quella dell’europa è raddoppiata nel corso degli ultinmi dieci anni, e la cocaina è più cara in Europa che negli Stati Uniti. I servizi europei di repressione hanno preso coscienza di questa minaccia verso il 2000, ed è diventato sempre più difficile introdurre la droga direttamente nel continente europeo. I trafficanti di cocaina in America del sud hanno messo le loro radici in una zona di transito oltre l’Atlantico e hanno scoperto l’Africa dell’Ovest.

Introduzione

Questo rapporto riguarda l’Africa dell’Ovest, un insieme di 16 nazioni che contano circa 325 milioni di abitanti. Tutti questi paesi sono affetti dalla povertà tra quelli più poveri del mondo. La regione soffre anche di una instabilità politica, circa un terzo degli Stati hanno subito un colpo di stato nel corso degli ultimi quattro anni. La criminalità organizzata in Africa dell’Ovest è diventata un soggetto di preoccupazione internazionale nell’anno 2000 quando degli importanti carichi di cocaina erano stati scoperti in transito verso l’Europa. Ulteriori studi condotti dall’ONUDC hanno rivelato che alcuni problemi della criminalità organizzata transnazionale che minacciano la stabilità e lo sviluppo della regione, comprendono i furti e il contrabbando del petrolio grezzo, il traffico di armi, la tratta delle persone, il traffico degli emigranti, i rifiuti tossici, le medicine fraudolente, le sigarette, e lo sciacallaggio delle risorse naturali.

Flusso I: Cocaina dalle Ande verso l’Europa, tramite l’Africa dell’Ovest

I pochi flussi transanazionali di contrabbamdo non hanno suscitato tanta inquietudine quanto quelli della cocaina che transitano attraverso l’Africa dell’Ovest. Intorno al 2005, è stato evidente che enormi volumi di droga, rappresentavano miliardi di dollari, ed erano spediti nelle regioni più instabili del mondo.

Flusso II: Metanfetamine dall’Africa dell’Ovest verso l’Asia dell’Est

La complicità dell’Africa dell’Ovest nel mercato transnazionale della droga avviene da almeno 70 anni. Tradizionalmente, dai Nigeriani, del sud est del paese, passava la cocaina e l’eroina in seguito dalle diaspore che vivevano in prossimità delle zone di produzione (come il Karachi, San paolo e Bangkok) verso altre comunità generate dalla diaspora nei paesi consumatori. Le sotto-regioni dell’africa occidentale avevano in questo traffico un ruolo minore che era limitato a offrire uno scalo aereo o a riciclare i profitti. La situazione cambierà radicalmente quando la regione sarà trasformata in una zona importante per il traffico di cocaina nella metà degli anni 2000. E’ senza dubbio poco sorprendente che i trafficanti cercano delle nuove fonti di ritorno, adesso che i profitti generati dalla cocaina hanno iniziato a cedere. Per la prima volta dispongono oggi di elementi di informazione che testimoniano una produzione di stupefacenti a grande scala nell’Africa dell’Ovest. In questo caso parliamo di metanfetamine, una droga che presenta numerosi vantaggi in rapporto alle droghe di origine vegetale.

Flusso III: Traffico illecito degli emigranti dall’Africa dell’Ovest verso l’Europa

Il traffico illecito degli emigranti opera spesso lungo le linee di clivaggio che separano le regioni che hanno dei livelli di sviluppo molto differenti, come nel caso dell’Europa occidentale e l’Africa dell’Ovest. Ogni anno migliaia di clandestini tentano la traversata del Sahara o quella del Mediterraneo, a dispetto delle enormi difficoltà che possono incontrare, nella speranza di arrivare in Europa. Vengono aiutati, e il fatto di fornire questa assistenza per tirarli in inganno costituisce una infrazione penale del traffico illecito degli emigranti. Fino ad un recente periodo, circa il 9% degli emigranti in situazioni irregolari dettate ogni anno in Europa provenivano dall’Africa dell’Ovest. Questo flusso migratorio è diminuito in virtù della recessione economica, ma può ritornare ad essere ampliata in ogni momento, sotto l’effetto degli avvenimenti geopolitici imprevedibili (come la recente crisi libica). Il mezzo più semplice del suo installo illegale nel territorio di uno Stato è quello di introdursi attraverso un aereo munito di un visto a durata determinata e di restare nel Paese anche dopo che il visto è scaduto che è stato preso sotto ogni legalità, acquisito attraverso dei mezzi fraudolenti o falsificati. Viene ignorata la proporzione esatta degli emigranti clandestini che tentano la sorte, ma secondo le ultime stime, rientrano nell’ordine dal 75 al 90%. I trafficanti guadagnano aiutando i candidati a partire e a procurarsi i visti attraverso i mezzi fraudolenti e spiegano loro come non insospettire gli agenti della polizia di frontiera.

Flusso IV: Traffico delle armi nell’Africa dell’Ovest

Dopo la Guerra fredda, c’è stato un periodo dove l’Africa dell’Ovest riceveva tonnellate di armi di origine straniera. Quest’epoca ha avuto termine, quando l’offerta regionale bastava a soddisfare la richiesta locale. Il numero delle guerre civili in Africa è diminuito dopo gli anni 90. Parallelamente, le armi introdotte illegalmente durante questi anni non sono sparite e sono sempre riciclate all’interno della regione. Le armi che caratterizzano i vecchi conflitti soprattutto nei gruppi desiderosi di fomentare una rivoluzione. Per gli usi correnti, la prima fonte delle armi sembra essere gli stock dei pubblici ufficiali che sono stati comprati legalmente, e poi sono stati immessi nei mercati illeciti. I criminali sembra che possano procurarsi tutto quello di cui hanno bisogno presso le forze di sicurezza locali e comprare o affittare le armi tramite elementi corrotti della polizia e delle forze armate. Le importazioni delle armi non sono fatte tramite corrieri clandestini, e sono effettuate attraverso vie commerciali abituali, prima di essere introdotte nei gruppi criminali e nei gruppi ribelli attraverso gli ufficiali corrotti o la complicità del Governo.

Flusso V: Medicinali essenziali fraudolenti dall’Asia del Sud e dell’Est verso l’Africa dell’Ovest

Numerosi flussi di contrabbando analizzati in questo studio possono influire sul corso degli avvenimenti geopolitici a grande scala: il traffico della cocaina ha accentuato l’instabilità nella Guinea Bissau, il traffico delle armi da fuoco ha suscitato la ribellione nel Nord del Mali, la pirateria marittima minaccia il commercio nel Golfo di Guinea. Tutti questi esempi dimostrano che la criminalità transnazionale organizzata ha preso delle proporzioni tali che costituiscono oramai una vera minaccia per la sicurezza nell’Africa dell’Ovest. Le conseguenze dell’importazione dei medicinali essenziali fraudolenti sono lontani dall’essere anche visibili. I benefici che derivano da questo traffico sono troppo frammentari per fare la fortuna del funzionario corrotto, e troppo modesti per suscitare l’interesse dei gruppi armati non statali. Questi effetti sono più sottili e quasi impossibili da misurare: lo stato dei malati è stato degradato, i più poveri muoiono, e come accade in molti casi la stirpe resiste.

Flusso VI: Pirateria marittima nel Golfo di Guinea

Gli atti di pirateria osservati nell’Africa dell’Ovest risultano, essenzialmente dai tumulti legati all’industria petrolifera nella regione. Infatti dall’esplosione del mercato nero per il petrolio nell’Africa dell’Ovest, gli attacchi recentemente perpetrati nella regione bersagliavano le navi che trasportavano i prodotti petroliferi. Se questi mercati paralleli non esistevano, i pirati non avevano alcun interesse a commettere tali attacchi. Alcuni elementi portano comunque a pensare che il petrolio dell’Africa dell’Ovest può essere esportato di contrabbando fuori dalla regione dell’Africa dell’Ovest. La metà della popolazione dell’Africa dell’Ovest, vive in Nigeria e il paese fornisce più del 50% del PIL della regione, I prodotti petroliferi sono all’origine del 95% degli incassi provenienti dalle valute estere del paese e l’80% di questi incassi derivano dal budget. L’industria petrolifera, che costituisce il primo settore delle attività della regione, è minacciato dopo venti anni dalla criminalità transnazionale organizzata.

Conclusioni: La cocaina ha suscitato la più grande attenzione a livello internazionale ma i problemi della criminalità organizzata che affliggono l’Africa dell’Ovest sono molteplici. Alcuni, come i medicinali fraudolenti, possono costituire una minaccia alla sanità pubblica molto più importante di quella posta dalle droghe illecite. Come anche il traffico delle armi da fuoco possono attivare dei sollevamenti violenti possibili. Inoltre la pirateria legata al petrolio, può essere sviluppata a tal punto da rappresentare dei problemi molto più importanti di quelli che la situazione lascia intravedere. Ognuno di questi problemi richiede una risposta adeguata dal momento che ciascuno dei beni che li riguardano corrispondono a delle fonti di offerta e richiesta distinte. Ciascuno dei flussi studiati in questo rapporto costituisce dei problemi indipendenti, ed è tutto possibile a causa della debolezza dello stato del diritto. Questa debolezza rende la regione vulnerabile a ogni sorta di contrabbando

L’accordo quadro destinato a riportare la pace nell’Est della Repubblica democratica del Congo è stato firmato questa domenica, 24 febbraio, dalla maggior parte dei capi di Stato africani. Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon ha salutato l’accordo e ha anche sottolineato :” che non è che l’inizio di un approccio globale che avrà bisogno di un impegno sostenuto”. Il documento vieta ai paesi stranieri di sostenere i movimenti ribelli. Questa volta, l’accordo è stato adottato. Questa domenica, 24 febbraio, undici Paesi africani hanno firmato a Addis Abeba l’accordo quadro destinato a riportare la pace nell’Est della Repubblica democratica del Congo (RDC), regione minata da oltre dieci mesi da nuove violenze. La firma del patto prevista all’origine il mese scorso, è stata rinviata per chiarire la questione del comando della nuova forza regionale che deve essere spiegata nell’Est del RDC per combattere contro i gruppi armati installati nella regione.

“Il debutto di un approccio globale”

Il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, presente alla cerimonia della firma, ha salutato questo accordo sottolineando “che è il debutto di un approccio globale che avrà bisogno di una diligenza sostenuta” da parte dei paesi della regione per placare questa zona ricca di risorse minerarie e disastrata da nemurose ribellioni. Il Presidente della RDC, dell’Africa del Sud, del Mozambico, del Ruanda, del Congo e della Tanzania sono arrivati a Addis Abeba in vista della firma di questo accordo. Erano anche presenti, i rappresentanti dell’Uganda, dell’Angola, del Burundi, del CentroAfrica e dello Zambia.

Il documento incoraggia una serie di riforme

Il documento vieta ai Paesi stranieri di sostenere i movimenti ribelli e incoraggia una serie di riforme in vista della instaurazione di uno Stato del diritto nell’Est del RDC dove le instituzioni governative sono particolarmente deboli, secondo le fonti vicine al dossier. Il Ruanda e l’Uganda sono stati accusati in particolare di sostenere il Movimento del M23 che ha per un breve periodo conquistato Goma la principale città dell’Est del RDC alla fine del 2012, prima di accettare di ritirarsi in cambio dell’apertura dei negoziati con il regime di Kinshasa. I due Paesi comunque smentiscono una complicità del RDC.

“Scrivere una pagina più gloriosa di quella degli ultimi due decenni”

Il Presidente ruandese, Paul Kagame, ha assicutrato da parte sua, ” di approvare senza riserve” l’accordo di Addis Abeba, perchè ” da tale avanzata reale verso la pace regionale e la stabilità il Ruanda ne trae solo un beneficio”. Allo stesso tempo ha fatto appello a ” unirsi con sincerità ai reali problemi dei diritti, della giustizia e dello sviluppo e trovare delle reali soluzioni per il popolo che aspetta dalle autorità un ruolo dirigente”, infne ha fatto una allusione apparente all’assenza dello Stato di diritto nell’est del RDC e al trattamento riservato in questa regione alla minoranza tutsie, che ha stretti legami con il vicino Ruanda.

Dire che l’iPhone ha cambiato per sempre la telefonia mobile non è una novità, ma dire “l’iphone mi ha cambiato la vita” è unico e insolito. Il soldato nordamericano Joel Stubleski è debitore a vita al suo iPhone che ha cercato di frenare e deviare una pallottola che era diretta all’arteria femorale della sua gamba sinistra, che, attraversandola significava morte sicura. Il 14 maggio del 2012, il giovane Stubleski, era a est dell’Afganistan pronto per il ritorno negli Stati Uniti, ma la sua base militare aveva subito una imboscata da parte dei talebani. Durante i bombardamenti aveva sentito una forte puntura e un calore al muscolo sinistro. “Subito sono caduto al suolo e non riuscivo a camminare” ha raccontato. I suoi compagni, hanno cercato di metterlo al riparo durante il combattimento per metterlo sull’elicottero. Per verificare la gravità della ferita, i dottori hanno rotto una parte del pantalone e hanno trovato il suo iPhone con il foro del proiettile: ” I medici che erano in attesa erano rimasti paralizzati e mi hanno detto: questa è la cosa più incredibile che abbiamo mai visto”. L’équipe medica ha raccontato al fortunato militare che se non era per il suo cellulare che portava con sè la pallottola andava direttamente a rompere la sua arteria femorale. Stubleski attualmente vive in Alaska, e nonostante sono passati 9 mesi dall’attacco, ancora oggi ha dolori alla gamba e a causa della ferita non riesce a correre e a praticare lo skate. A 22 anni ha già vissuto una delle esperienze più estreme che un essere umano può affrontare, ma ha assicurato che cerca di non ricordare il brutto della guerra e con le sue nuove amicizie scherza dicendo che devono rimpiazzare i giubbetti salvagente con l’iPads. Un altro dei motivi che lo rende contento è che ha già un nuovo iPhone5 con una carcassa speciale che ” ricorda” il suo vecchio iPhone4. Ciao Joe!

A causa degli addestramenti di routine militari annuali tra la Corea del Sud e gli Stati Uniti,la Corea del Nord, ha manifestato le sua bituali obiezioni sabato, 23 febbraio. Infatti ha minacciato una “distruzione miserabile” se la sua controparte del sud “scatenerà una guerra aggressiva attraverso l’organizzazione delle imprudenti manovre militari congiunte, in questo momento pericoloso”. Nonostante la sua abitudine, la minaccia della Corea del nord arriva, dopo una prova nucleare clandestina di due settimane, la quale è stata preceduta dal lancio di un missile di larga portata capace di trasportare una testa esplosiva. La detonazione della carica nucleare è stata la terza nella storia di Pyongyang, e la prima sotto il dominio del leader supremo Kim Jong Un. I militari della Corea del Sud hanno reagito con addestramenti militari, incluso una esibizione pubblica dei nuovi missili incrociatori che hanno una precisione millimetrica. Le prove della Corea del Nord hanno scatenato una ondata mondiale di condanne, incluso quelle provenienti dalla Cina, come anche i piani delle nuove sanzioni contro Pyogyang. La Corea del Nord ha esposto le sue obiezioni agli esercizi chiamati Key Resolve e Foal Eagle, programmati per marzo e aprile, al Comandante James D. Sherman, secondo come rapporta l’agenzia statale delle notizie KCNA. Il messaggio è stato lanciato per telefono in lingua inglese, ha riportato l’agenzia di stampa della Corea del Sud Yonhap. E’ stata anche condannata la minaccia di nuove sanzioni sulle recenti azioni della Corea del Nord. Una commissione militare delle Nazioni Unite ha informati Pyongyang degli addestramenti di routine nei 2 mesi successivi, in accordo con una dichiarazione congiunta degli ufficiali militari degli Stati Uniti e della Corea del Sud. La Commissione ha anche riferito alla Corea del Nord che gli esercizi “non sono rapportati alla situazione attuale della penisola coreana”. Circa 10.000 truppe statunitensi parteciperanno al Foal Eagle dal 1 marzo al 30 aprile. Key Resolve avrà 10.000 soldati sudcoreani e 3.500 militari statunitensi, come anche le truppe dell’ONU e i supervisori neutrali, durante gli addestramenti che saranno svolti dal giorno 11 al 21 marzo.

Nella pagina di “Flickr”, l’Autorità Metropolitana dei Trasporti di New York, “MTA” ha pubblicato le fotografie sugli sviluppi del megaprogetto ato ad ampliare la metro di New York, la maggiore opera realizzata nel mondo e nel trasporto pubblico della città. Questo allargamento arriverà fino alla stazione Grand central e avrà otto tunnel che permetteranno ai treni di arrivare alle quattro piattaforme delle due stazioni. Il lavoro ha avuto i suoi albori nell’anno 2006 ed è stato così complicato che il tempo stimato per portare a termine il progetto è tra il 2014 e il 2019. I nuovi tunnel andranno da Sunnyside, a Queens al Gran Central, dove 24 treni faranno circa 162.000 viaggi al giorno. La metro di LOng Island, LIRR trasporta in media 81 milioni di persone. Comunque è sempre la stessa impresa ferroviaria degli Stati uniti che continua a funzionre sotto il suo nome originale Sono presenti 24 stazioni del LIRR e più di 1.100 chilometri di rete.

La notizia trapelata da alcuni giorni della chiusura del Parco Archeologico di Segobriga costituisce una catastrofe per la cultura e il turismo di Castilla-La Mancha. L’immagine del territorio della regione già molto travisato da ogni tipo di ritaglio e di notizia negativa, resta colpita da una decisione profondamente errata. E’ più di un punto della catena di applicazione dello smontaggio di uno Stato sviluppato alla sua auto-svalutazione e retrocesso a situazioni appartenenti a vari decenni fa. Per quanto riguarda la cultura, e per quanto riguarda la parte concreta che corrisponde all’archeologia, la chiusura dei campi archeologici, e per essere più precisi, iniziata dalla vecchia amministrazione, rappresenta lo stato calamitoso di buona parte dei Musei della Castilla-La Mancha tra i quali alcuni magnifici esempi sono La Cuenca o la Città Reale, e alla clausura dei restanti Parchi Archeologici viene aggregata Segobriga. Il modello dei Parchi Archeologici nella regione, chiamamoli così o no, ha il suo senso: l’esistenza di un monumento congiunto antico o medievale, uno per provincia come reparto politico, che poteva attrarre i visitatori. All’inizio del secolo XX, Arthur Evans, aveva progettato nell’isola di Creta, a Cnosso il primo congiunto con alcune caratteristiche simili al modello di attrazione del turismo culturale che era andato estendendosi, cercando di includere i contenuti del patrimonio archeologico nel turismo di “massa”. Tuttavia i Parchi Archeologici se vogliamo chiamarli così o in altra maniera, sono naturalmente costosi. Quattro pietre, una sopra l’altra, formano una fila di mura che sono molto affascinanti per gli studiosi, ma non sono una attrazione per il grande pubblico. Questo è stato il problema che in uscita avevano i Parchi Archeologici nelle quattro province, che richiedono alcuni presupposti per la loro remonumentalizzazione andando oltre ogni possibilità.

Segobriga è unica.

Al contrario Segobriga ha altre condizioni. L’esistenza ben riconoscibile dei suoi due grandi edifici per gli spettacoli, il teatro e l’anfiteatro sono abbastanza potenti per attrarre l’attenzione dei bambini e degli anziani, degli specialisti e dei pochi studenti. A tutto questo bisogna unire un altro fattore di estrema importanza e cioè la sua vicinanza a Madrid, che permette la visita di un solo giorno alle famiglie. Tutto questo spiega che entrambi gli edifici, insieme ai mulini del Quichotte, o al passaggio del Tajo per Toledo sono stati una icona della regione. Oltre a ciò, un elemento che colloca C-LM nella mappa culturale, e che permette di mettere in evidenza, che non solo i Visigoti e la loro capitale regia, ma anche la stessa regione sono stati una importante romanizzazione. A cagione di ciò, Segobrida è risaltata ampliamente su tutti gli altri congiunti, con un numero superiore di visitatori nei vari decenni. Aggiungendo a tutto ciò, il terreno d’indagine, e la ricostruzione del passato. La conversione in Parco Archeologico ha permesso a Segobriga non solo di contenere riunioni scientifiche, o la costruzione del suo centro espositivo o l’ingresso dei visitatori ma soprattutto di sviluppare una serie di scavi archeologici di importanza trascendentale e che non potevano essere senza Segobriga. Inoltre è stato scoperto il terzo e grande edificio dello spettacolo, il circo, mettendo allo scoperto il meraviglioso Foro romano, con i suoi impianti pubblici annessi, e sono state recuperate sculture e togati, e una meravigliosa collezione epigrafica che mostra la straordinaria importanza della élite locale in rapporto a Roma, e il desiderio dei membri del Governo romano di esercitare la loro autorità sulla città. La pubblicazione scientifica di tutti questi ritrovamenti ha posto nella mappa internazionale la città romana di Segobriga e C-LM. La prima chiusura degli scavi, l’ultima è stata realizzata nel 2010, e adesso la chiusura definitiva del Parco Archeologico, costituiscono una notizia penosa per l’immagine di C-LM.

La Regione afflitta


Per queste e altre molte ragioni, per quanto riguarda il sociale, la società non ha nulla da dire a riguardo? e per l’aspetto culturale, incluso quello economico, la decisione della chiusura di Segobriga è catastrofica, e naturalmente ciò è stato dettato con chiarezza dalla propria regione dove è posta. Questa chiusura va accompagnata alla decisione del saluto di colei che è stata con efficacia la sua direttrice per più di dieci anni e mezzo, una prestigiosa professionista e investigatrice che ha partecipato alla internazionalizzazione di Segobriga. E’ una chiusura “temporanea” ma la futura gestione sarà privata del campo archeologico. Permettetemi di indicare che tutto questo non ha senso. Segobriga non è un Porto d’Avventura, e nemmeno deve esserlo. Dal punto di vista strettamente economico, Segobriga, non può essere in se stessa redditizia, non può mantenersi con le entrate e gli oggetti, una situazione simile ce l’hanno il 90% dei beni culturali della Spagna. Sotto un sofisma entusiasto della privatizzazione è stato progettato un semplice sproposito

Con un secolo e mezzo di ritardo, lo Stato del Mississipi sta per ratificare ufficialemte l’abolizione della schiavitù. Tra l’altro è l’unico Stato degli Stati Uniti dove era ancora è vigente. Tutto questo grazie a Steven Spielberg che con il suo film ‘Lincoln’ candidato al Premio Oscar del 2013, ispirato a due accademici che hanno dichiarato di indagare sull’affare nei registri storici. Il ritardo dello stato del Mississipi è dovuto a un errore, che è stato identificato dagli studiosi, Ranjan Batra, del dipartimento di neurobiologia della Università del Mississipi e il suo collega Ken Sullivan, che hanno investigato sulla applicazione della cosiddetta decimo terza ammenda, che abolisce la schiavitù negli Stati Uniti. Il film ‘Lincoln’ racconta la storia delle difficoltà del Presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln per ottenere che il Congresso approvava la decimo terza ammenda che ordinava la liberazione degli schiavi mettendo fine alla schiavitù. Con la sua retorica e il suo carisma aveva mobilizzato l’opinione pubblica e con la sua egemonia aveva fatto in modo che la Camera dei Rappresentanti dava i voti necessari per ottenere più avanti la misura.

Come avvenne!

Come racconta il quotidiano locale ‘The Clairon Ledger’, il dottor Batra aveva visto la pagina uscontitution.net per indagare sulla storia della abolizione della schiavitù negli Stati Uniti dopo la Guerra Civile americana. Aveva trovato, che dopo l’approvazione della ammenda nel Congresso del 1864, la maggior parte degli Stati la avevano ratificata nel 1865. Solo in pochi non avevano aderito. Stati come il Delaware, il Kentucky e il New Jersey la avevano approvata negli anni successivi. Il Mississipi, aveva aderito alla decisione generale nel 1995, ma un errore non aveva potuto rendere ufficiale il verdetto. La ratifica non era mai stata notificata ufficialmente dall’archivista dell’EE.UU, che era stato incaricato di incorporarla nel registro federale in quanto non la considerava ufficiale. Lo Stato meridionale era rimasto con un asterisco marcato nella lista di coloro che avevano abolito la schiavitù. Il professor Batra ha informato il suo collega Ken Sullivan della sua scoperta e hanno allacciato dei contatti con l’ufficio del registro federale e agli inizi del mese di febbraio, il direttore dell’ufficio Charles A. Barth, aveva confermato la risoluzione facendo arrivare un documento al segretario di Stato Hoseman. “Con questa azione lo Stato del Mississipi ratificava la decimo terza Ammenda della Costituzione degli Stati Uniti”, spiega la missiva.

FANTASMA DELLA STORIA

Non è molto chiaro ancora perchè mai sono stati inviati i documenti per rendere ufficiale la risoluzione della liberalizzazione degli schiavi. Il Mississipi è uno di quegli Stati che aveva rifiutato la ammenda che dotava tutti i cittadini senza distinzione di razza e con gli stessi diritti e privilegi e dove esisteva più disuguaglianza tra le razze. Lo Stato meridionale era fiorito da quando aveva impiegato la manodopera degli schiavi nella bottega di cotone. L’industria liderava l’economia e gli immigranti bianchi dominarono le terre dei nativi e la economia del luogo. Per allora, il sud degli Stati Uniti era appoggiato alla Gran Bretagna nella Guerra Civile, che girava intorno alla questione razziale. Con la abolizione della schiavitù nello Stato del Mississipi, 148 anni più tardi alcuni possono pensare, che è stato diffuso un altro fantasma di un passato che aveva perseguitato il sud nella sua lotta contro il razzismo anche nel secolo XX. Anche se, un ( inattuale) asterisco accompagna il nome dello Stato del Mississipi nella lista che aveva consultato Batra in unconstitution.net, le parole del registro federale sono già un sollievo per gli accademici che sono riusciti ad arrivare al punto finale di questo pezzo di storia.

Sei cisterne sotterranee di residui radioattivi nell’impianto nucleare più contaminato degli Stati Uniti hanno riportato delle fughe, ha annunciato venerdì, 22 febbraio, il governatore di Washington, Jay Inslee. Inslee ha avvisato che è un evento preoccupante, ma ha aggiunto che non c’è nessun pericolo per la salute umana.La settimana scorsa una fuga di rifiuti radioattivi è stata riscontrata in uno dei dieci serbatoi dei magazzini della Riserva Nucleare di Hanford nel sud dello Stato di Washington. I contenitori, che hanno oltrepassato i venti anni di vita prevista, contengono milioni di litri di un “miscuglio” molto radioattivo dopo decenni di produzione di plutonio per le armi nucleari

Nel Parlamento Britannico a Londra c’è un affare che ha causato una enorme confusione e non ha nulla a che vedere con le nuove legislazioni o la politica: è l’accento dei deputati scozzesi che, sembra, poco capiscono. Sappiamo già che nella lingua inglese uno degli accenti più inintellegibili è quello scozzese, ma è dato pensare che i politici, abituati come sono ai dibattiti, sono anche abituati alle loro distinte forme di parlare. Non è così. O almeno questo è quello che ha dichiarato alla BBC, Lorraine Sutherland, editrice di Hansard, l’Informe Ufficiale del Parlamento, che è incaricata di trascrivere testualmente i dibattiti parlamentari. L’errore più recente racconta la Sutherland, è avvenuto questo mese quando un reporter di Hansard ha dovuto inviare una nota al deputato scozzese Jim Sheridan al quale è stato chiesto cortesemente di spiegare perchè aveva fatto riferimento al Partito Nazionale Scozzese (SNP) con “Big fairies” (che in inglese significa “le grandi fate”, ma anche può essere usato come un insulto omofobico). Nella registrazione del dibattito vengono riprodotte grandi risate dei parlamentari dopo l’affermazione di Sheridan. La risposta di Sheridan è stata che non ha dichiarato “big fairies” ma “big fearties” che viene usato per descrivere la gente che ha paura.

Faires o fearties?

Secondo Lorraine Sutherland, questo è senza dubbio un errore colmo di satira. “Sono rimasta sorpresa come tutto ciò è stato ampliamente commentato nelle reti sociali” ha affermato “perchè è stata una comunicazione privata tra il reporter di Hansard e un deputato”. E’ un fatto comune, ha aggiunto, in Parlamento c’è uno scambio di citazioni costanti e i reporter di Hansard fanno una domanda quando non hanno capito qualcosa. Tuttavia il caso delle “big fairies” ha continuato ad essere commentato quando un’altra deputata scozzese, Pamela Nash, ha messo su twitter una fotografia relativa alla domanda e ha aggiunto ” è la nota di Hansard più divertente che ho visto fino ad ora”. “Dobbiamo dare a questi reporter lezioni di gergo scozzese” ha commentato. Ma non sono solo gli accenti scozzesi a causare spesso confusione. C’è per esempio l’accento dei “Geordies” (l’apodo della gente di una zona del nordest dell’Inghilterra). Nel Parlamento i deputati espongono i problemi di ciascuna della loro regioni e devono farlo tra le risate, risatone, e interruzioni e un gergo che solo loro capiscono.

Difficile lavoro

Come segnala l’editrice di Hansard il lavoro dei suoi giornalisti, che devono mantenere la coerenza delle loro trascrizioni in mezzo a questo baccano, senza dubbio è molto complicato. “Non è un lavoro facile. Richiede una enorme abilità e molta energia. E certamente molta capacità di giudizio” spiega Sutherland. “Il nostro lavoro è quello di trascrivere ciò che dice la persona che ha la parola, che suole essere quella che ha il microfono. Le smentite, le interruzioni, le risate non vengono in nostro aiuto nella maniera più assoluta ma in generale riusciamo a trascrivere il dibattito in modo corretto”. Secondo la Sutherland esistono molti esempi di vari errori di ” ascolto” tra quello che viene trascritto e quello che viene detto. E infatti, a Hansard hanno iniziato a compilare una lista che hanno chiamato ” errori della Camera dei Comuni” ma recentemente è stata ” un poco trascurata”. C’è un esempio in questa lista, dice Lorraine Sutherland, che ha coinvolto Tony Banks, deputato laburista e posteriormente Ministro dello Sport del Governo di Tony Blair. “Come viene ricordato Tony Banks è un cavaliere che veste sempre molto elegante e sofisticato, e in una occasione stava facendo una dichiarazione quando un altro deputato liberale democratico lo ha interrotto”. “Il nostro reporter allora aveva inviato una nota a Tony Banks dove chiedeva al deputato. “did he call you a Marxist-Leninist stooge? (Lo chiamo un seguace dei marxisti-leninisti?)”. “E Tony Bancks in risposta dichiarava “no it was much worse than that! He said I was wearing a Marks & Spencer’s suit’ (No è stato molto peggio di questo, Chiedo se porta un vestito di( negozio) Marks&Spencer)”. La confusione più recente ha generato una serie di commenti nelle reti sociali. Ed è chiaro che nemmeno gli stessi britannici capiscono i loro propri accenti. “La gente di Hansard chiede sempre chiarimenti a meno che non parlano con un accento estremamente ‘posh’ (di alta classe)” ha spiegato il deputato Jim Sheridan dell’agenzia Deadlinenews. Robin Sones, ha detto su Twitter “Nemmeno io sapevo che Jim Sheridan aveva detto “fearties”. Questo significa che nemmeno l’accento di JS (Jim Sheridan) è così forte. Forse l’équipe di Hansard ha bisogno di essere un pò più vario”.

Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha manifestato la sua intenzione di combattere con più aggressività le continue sfide cibernetiche che affronta il suo Governo, l’impresa privata e altre istituzioni del Paese. Obama cerca l’autorità per prevenire gli obiettivi che secondo lui sono hacker o attacchi della pirateria informatica che hanno intenzione di attaccare o in qualche modo infiltrarsi nei sistemi informatici della nazione. La strategia non solo presenta problemi di tipo costituzionale e legale. C’è un fattore speculativo, che non può sapere con esattezza chi sono i veri autori di un attacco o c’è anche il dubbio se un attacco preventivo è una misura di dissuasione effettiva. Dall’altra parte gli analisti indagano se la pirateria cibernetica realmente è una minaccia contro la sicurezza nazionale o un sabotaggio che costa un patrimonio al Governo e all’impresa privata.

Potenziale minaccia


Le informazioni sulla attività di spionaggio cibernetico sono stati intensificati, in particolare da quando una firma della sicurezza informatica radicata negli Stati Uniti segnalava una divisione segreta dell’esercito cinese come uno dei “gruppi di spionaggio cibernetico più prolifici del mondo”. Il Governo di Pekino ha condannato l’accusa, ma il Pentagono i rispettosi quotidiani come il The Times e il The Washington Post hanno anche riportato di essere stati oggetto di innumerevoli attacchi cibernetici che pensano siano stati originati in Cina. In quest’ultimo caso è stato opinato che l’infiltrazione è stata prodotta con l’intenzione di conoscere le fonti giornalistiche e indagare sul materiale relativo al contenuto delle sue informazioni sulla corruzione all’interno del Governo cinese. Ma al di là di rubare i segreti di Stato e dell’industria o di curiosare negli archivi delle varie istituzioni, nei dipartimenti della Difesa e della Sicurezza Interna nell’EE.UU la preoccupazione risiede sempre di più nella crescente capacità degli agenti governativi e non governativi di usare internet per causare danni fisici. I pregiudizi possono andare dall’aprire dighe per causare gravi inondazioni fino a ostacolare piante nucleari, con la possibilità che venga prodotto un “Pearl Harbor cibernetico”, come aveva avvertito l’anziano segretario di Stato, Donald Rumsfeld, Pearl harbor è stato l’attacco devastatore imprevisto che il Giappone aveva lanciato contro la flotta marina dell’EE.UU, nel Pacifico durante la Seconda Guerra MOndiale.

Prima di tutto Colpire

I RISCHI DI UNA ATTACCO CIBERNETICO PREVENTIVO

Il Presidente Obama utilizza la analogia di lottare contro la proliferazione nucleare per giustificare il diritto a effettuare gli attacchi preventivi cibernetici. Allo stesso modo alla sua amministrazione non piace essere coinvolta in grandi operazioni militari senza l’uso dei drones, con i cibernetici preferiscono una strategia più raffinata e di alta tecnologia, ha commentato Richard Weitz, analista in temi di sicurezza e di difesa dell’Istituto Hudson. “Nell’ambito cibernetico domina la postura offensiva. E’ meglio colpire per primi in modo da poter puntare meglio il danno e l’avversario non può contro attaccare con efficacia”, ha riferito Weitz alla BBC Mundo. “Un altro vantaggio di avanzare per primi è quello che l’attacco può essere effettuato senza che l’obiettivo possa essere messo al riparo da chi lo attacca” ha aggiunto l’analista. Un esempio di tutto ciò è l’attacco del virus Stuxnet contro i computer del complesso di Natanz, in Iran. Anche se ogni cosa fa pensare che era stata una operazione congiunta tra l’EE.UU e Israele, i quali sono i più interessati a interrompere il programma nucleare iraniano, la stampa internazionale specula che sono stati loro, ma nessuno dei due Governi lo riconosce. Tuttavia il tema della attribuzione presenta dilemmi per la politica degli attacchi preventivi. Esistono difficoltà nell’identificare esattamente da chi e da dove ha avuto origine l’attacco. Come puo essere prevenuto un potenziale attacco e entrare in azione per annullare le sue capacità? Questo è il problema che è emerso negli attacchi che sono stati riportati contro il Pentagono, The New York Times e The Washington Post. Dal momento che gli infiltrati cercavano materiale rapportato alla Cina e alle indagini sulla corruzione dei funzionari di questo Governo era stato pensato a autori cinesi. Non può essere affermato con sicurezza che è il Governo cinese”, ha precisato Richard Weitz, “è certo che gli attacchi sono avvenuti durante l’orario diurno in Cina ma non è certo se è stata la classe militare cinese o qualche hacker patriota che ha avanzato tutto ciò alle spalle del Governo. Questo è un problema.”

Chi è l’obiettivo?

Di Hackers pulluala il mondo, individui che penetrano nei sistemi tramite i loro computers in qualche angolo del pianeta che usano “innocentemente” un sito pirata per scaricare materiale audiovisivo, un attivista che filtra l’informazione classificata dal Governo e dalle imprese o sono leggittimi estremisti impegnati nel fare del male. Tutti sono nel mirino degli attacchi cibernetici preventivi e qui rientra una politica debole, ha commentato alla BBC Martin Libicki, esperto in ciberguerra della Corporation Rand e docente dell’Accademia Navale degli Stati Uniti. “E’ molto facile sbagliarsi in queste questioni. Dal momento che queste decisioni vengono prese in segreto, chi c’è a capo di tutto ciò per autorizzare un attacco anticipato contro un bersaglio sospetto? ha chiesto. “Un evento che è successo dieci anni fa (l’invasione dell’Iraq) ha insegnato a noi qualcosa sulla raccolta delle informazioni. Anche Libicki ha il dubbio che gli attacchi preventivi sono la maniera più fruttifera per combattere la cibersicurezza. Questi ha spiegato che un hacker ha bisogno di tre elementi: un computer, una connessione di rete e di informazioni sull’obiettivo. “Un operativo della unità cibernetica del Pentagono può disconnetterlo temporaneamente da internet o distruggere il suo computer, ma questo, l’hacker, può essere rimpiazzato con US$500 e usare una delle migliaia di connessioni della rete. Nè l’hacker, nè la sua conoscenza possono essere distrutti in questo modo”, ha espresso l’esperto di RAND. L’unica cosa che può essere fatta è dissuadere un hacker con la minaccia di ucciderlo o togliergli la libertà ma niente di tutto questo accade, in particolare se è sotto la tutela di qualche Governo, sostiene Libicki, che considera anche esagerato l’allarme sulle potenziali strategie che possono produrre le infiltrazioni cibernetiche. “Nel corso dei miei studi ventennali ho conosciuto un evento, un attacco contro un edificio in Brasile, che è stato considerato un attacco cibernetico” ha assicurato. “In questo momento tutto è possibile”.

Il prezzo dell’hacker

Richard Weitz, dell’Istituto Hudson, ha riconosciuto che alcuni considerano che la minaccia del cosiddetto ciberterrorismo può essere esagerato, ma ha anche affermato che è ben noto che i cinesi e i russi stanno sviluppando capacità cibernetiche e tutto questo crea un dilemma. Qualche volta bisogna risolvere il dilemma affermando che bisogna avere le prove sufficienti per attribuire l’attacco, ma i dubbi persistono” riflette. “E’ simile a quanto era stato pensato prima dell’11 settembre, la gente dibatteva se il terrorismo era una realtà. Dopo quegli attacchi sono state attuate misure di sicurezza e adesso pensano che c’è stata una reazione smisurata e non vogliono ripetere la stessa cosa in ambito cibernetico”. Ad ogni modo, l’analista dell’Hudson pensa che la ricerca dei poteri speciali non è necessariamente una politica espressa da Obama ma una manifestazione pubblica del suo diritto ad agire come Presidente se è opportuno. “E’ più un annuncio per coloro che pretendono di attaccare e che dicono “Attenzione possiamo essere soggetti a delle rappresaglie”. Tuttavia qualsiasi misura viene presa bisogna fare i conti con i costi, ha considerato Martin Libicki. “Il Congresso afferma che gli hackers cinesi costano un bilione di dollari ed è una cosa stratosferica che bisogna attuare” ha sostenuto. Cosa sono 1.000 milioni. Vale la pena iniziare una ciberguerra se esistono altri affari più importanti che vogliamo mantenere con i cinesi? L’incognita è quanto costa un hacker: non lo sappiamo”. Per l’esperto il maggior sforzo bisogna applicarlo nella difesa, con maggiori e minori sistemi di sicurezza, ma anche attuare nuove leggi. “Possiamo arrivare a un livello strategico ma comunque bisogna calcolare realmente che cosa verrà vinto alla fine. Esisteranno delle eccezioni, ma comunque bisogna trarre le somme”.

La forma più rapida e di grande effetto per diventare ricco nel secolo XXI è quella di fondare una impresa tecnologica di successo. Non bisogna fare altro che gettare una rapida occhiata alla lista delle maggiori fortune che pubblica ogni anno la rivista Forbes per comprovarlo. Bill Gates (Microsoft) occupa il secondo posto, Larry Ellison (Oracle) il sesto, Sergey Brin e Larry Page (Google) al 24 posto, Jezz Bezos (Amazon) al 26 posto, Mark Zuckernerg (Facebook) il 35 posto. Aggiungendo Michael Dell, Steve Ballmer, Paul Allen. In definitiva, i primi cinquanta posti della lista dei multimilionari è stracolma di una infinità di nomi dell’industria tecnologica. Tutti questi magnati uperano i 15.000 milioni di dollari e presentano esagerati patrimoni che arrivano a più di 60.000 dollari come quello del fondatore di Microsoft. Alcuni, come lo stesso Gates, dedicano gran parte del loro denaro a scopi umanistici, ma non hanno la vena filantropica sviluppata. Altri preferiscono sciupare assegni per i loro capricci.
Vuoi sapere che destino hanno i “verdi” di ognuno? Dai uno sguardo.

SERGEY BRIN
Il cofondatore di Google è anche dietro la start-up 23 andMe, che ha creato insieme a sua moglie Anne Wojcicki. Attraverso Google Ventures, il ramo del capitale del rischio dell’onnipotente cercatore, finanzia le indagini genetiche di questa impresa per arrivare al Parkinson. Sua madre aveva sofferto di questa malattia e, come il buon figlio prodigo, ha fatto di tutto per aiutarla. Infatti hanno fatto alcune scoperte interessanti.

JEFF BEZOS

Distilla solidarietà, quella del fondatore di Amazon è più eccentrica e capricciosa. Per esempio, Bezos ha speso più di 30 milioni di euro per costruire un orologio gigante che rintoccherà ogni decade, secolo o millennio nel corso dei prossimi 10.000 anni. In aggiunta ha anche posto le sue uova nella cesta di Blue Origin (una impresa dedicata ai viaggi speciali) e ha contrattato una équipe di esperti per cercare nei fondali marini i motori che avevano spinto l’Apollo 11 nello spazio. Una cosa che certamente sono riusciti a fare.

MARK ZUCKERBERG

Il giovane fondatore di Facebook ha posto nel suo mirino filantropico l’educazione e la salute, due pilastri del benessere sociale di Newark. Non è che esista un vincolo speciale tra il multimilionario e questa città del New Jersey, ma Zuckerberg non lascia niente al caso e ha preso questa decisione dopo un anno di indagini cercando un luogo più adeguato. Anche durante qest’anno ha appoggiato la ‘Giving Pledge’, una campagna iniziata da Warren Buffet e da Bill Gates allo scopo che gli abbienti offrano la maggior parte del loro denaro per scopi benefici.

DUSTIN MOSKOWITZ

Sebbene il suo nome ha un eco minore tra i mezzi di comunicazione, Moskowitz è un altro dei quattro fondatori di Facebook, concretamente colui che è continuato a stare al fianco di Zuckerberg quando Harvard aveva lasciato andando nella impresa Palo Alto. Più tardi, nel 2008, aveva abbandonato la onnipotente rete sociale per fondare Asana, anche se ancora detiene un rispettabile 7,8% delle azioni.Tra le altre cose è diventato, secondo Forbes, il multimilionario più giovane del mondo realizzandosi da solo (è nato otto giorni dopo Mark). Come il suo vecchio socio, Dustin ha investito parte del suo denaro in cause sociali, specialmente nella lotta contro le malattie che danneggiano maggiormente il Terzo Mondo (per esempio, la malaria). Attraverso la sua fondazione, Good ventures, Moskowitz ha finanziato progetti raccomandati da GiveWell, una ONG diretta da sua moglie.

BIZ STONE

Cofondatore di Twitter, dedica parte della sua fortuna alla protezione degli animali. Insieme ad un altro fondatore, Evan Williams, è arrivato a finanziare una impresa dedicata alla produzione di carne ‘falsa’ che ha lo stesso sapore di quella di un normale pollo.

BILL GATES

E’ noto il lavoro filantropico di Bill e di sua moglie Melinda, battezzati come personaggi dell’anno nel portale della rivista Time e sono stati inclusi tra i candidati al Premio Nobel per la Pace in varie occasioni. Attraverso la sua fondazione, il cofondatore di Microsoft ha investito in cause relative alla sanità, all’educazione o alla alimentazione. Anche se, in questi ultimi tempi c’è un affare più sporco che pone molte preoccuppazioni: reinventare il gabinetto. Gates ha organizzato un concorso per attirare idee su come “catturare e processare le scorie umane e trasformarli in risorse utili”.

PAUL ALLEN

E qui arriva l’altro cofondatore della Microsoft, che lontano dall’operato della filantropia di Gates, è dedito ad altri capricci. Club sportivi professionali, un Museo del Rock and Roll e aerei della Seconda Guerra mondiale rientrano nelle sue spese multimilionarie. Tuttavia di tanto in tanto è dedito a qualche opera sociale, come l’investimento di quasi 375 mila euro che ha destinato all’Istituto Allen per la Neuroscienza, che lotta contro le malattie come l’Alzheimer della quale soffriva sua madre e pretende di replicare il cervello umano in macchine super intelligenti.

Quando aveva 11 anni Jane Goodall aveva letto la storia di Tarzan e aveva deciso che doveva andare in Africa e vivere con gli animali. Vari decenni dopo era diventata una storia viva della scienza e della primatologa che aveva cambiato il nostro concetto sulle scimmie. Dopo una vita dedicata a studiare la natura, fino ad arrivare all’età di 80 anni, Goodall ha visto passare davanti ai suoi occhi la storia dell’Africa mentre studiava gli scimpanzè e scopriva che erano molto più vicini a noi di quant crediamo. Nel corso della sua visita presso la National Geografic di Madrid, Goodall aveva insistito sulla necessità di convincere i più giovani che distruggere il nostro pianeta è una cattiva scommessa difendendo i diritti dei mammiferi euteri o primati. ” Non possiamo considerare le scimmie uguali agli umani” assicurava nella conversazione con lainformacion.com, “ma possiamo estendere a loro il rispetto che noi abbiamo per noi stessi. Meritano compassione e non la tortura, lo stesso che con gli esseri umani”. Sulla situazione economica attuale, Goodall ha ricordato che c’è gente che attraversa un brutto periodo, ma considera che la maggior parte può scoprire che è capace di vivere con poco. “Questo è quello che dobbiamo imparare a capire”, ha insistito, ” che in un pianeta con scarse risorse, l’idea della crescita economica illimitata non ha senso”.

Malgrado la contestazione dei giornalisti, all’Assemblea Nazionale sono state adottate martedì scorso, 12 febbraio, le modifiche alla legge organica della HAAC (Alta Autorità Audiovisuale e della Comunicazione) Una novità che rinforza i poteri di questa istituzione che regola la stampa nei confronti degli organi dei media che possono perdere le provvigioni sui loro scoop con una semplice decisione della HAAC. Riuniti mercoledì, 20 febbraio, per definire una posizione comune da adottare perchè questa legge modificata non non rientri nella fase di applicazione, otto organizzazioni della stampa togolese, dopo il rifiuto “hanno convenuto una lettera comune da inviare al Presidente della Repubblica per invitarlo a impiegare le sue prerogative costituzionali allo scopo di chiedere una rilettura della nuova legge”. Allo stesso tempo nella strategia da spiegare e la cui finalità è “la rilettura del testo adottato “hanno scritto un appello indirizzato alla stampa togolese nel suo insieme, a prendere parte sabato, 23 febbraio 2013, a partire dalle ore 15, presso il centro Comunitario di Tokoin, alla Assemblea generale”. Una rilettura che in ogni caso è ancora possibile, dal momento che della legge da poco più di una settimana vertendo sulle comunicazioni elettroniche, adottate il 17 dicembre 2012, è ripassata davanti ai deputati per una rilettura in vista di una modifica, facendo un gioco di passa mano rapidamente riuscito. In questa lotta il Consiglio Nazionale dei patroni della stampa (CONAPP) il Sindacato nazionale dei giornalisti indipendenti del Togo (SYBJIT), i Sindacati degli Agenti d’Informazione, i Tecnici e i Giornalisti degli Organi Pubblici (SAINT JOP), le Reti Africane dei Giornalisti sulla Sicurezza umana e la Pace (RAJOSEP), l’Osservatorio dei Media per la Democrazia e il Buon Governamento (OMDG), SOS Giornalisti in pericolo, Giornalisti per i Diritti dell’Uomo (JDHO), e l’Associazione dei Giornalisti Sportivi del Togo (AJST) hanno ricevuto il sostegno da parte delle varie organizzazioni sorelle del mondo intero.

Non si muore per una giusta causa e la lotta dei minatori o meglio la loro morte non ha portato a nulla. Sono stati uccisi e poi buttati come sacchi di spazzatura lungo la scarpata, un bambino piange, e quella foto rimarrà sempre qui nella camera cerebrale della mia mente. Si muore di morte bianca, si muore per avere un salario più decente. E’ questa la battaglia di tanti minatori che subiscono incessantemente ore e ore di lavoro, che vengono mal pagati e subiscono una mala sanità. Delle mie lacrime per una foto forse non importa a nessuno o forse sì, ma credo che a questo mondo a causa di un demanio troppo sporco e non parlo solo dei beni statali parlo del demanio culturale, morale che abbiamo perso. Parlo di verità sempre nascoste che solo i nostri colleghi reporter mettono in mostra e anche loro vengono calpestati e aggrediti. Dov’è finita la santa processione di leggi che tutelano il cittadino il lavoratore. Siamo tutti immersi nell’ombelico del mondo ma lo stiamo rovinando con queste prese di posizione e di potere. Sono morti e non torneranno dalle loro madri, mogli e figli sono morti per lottare per sanare una insana costituzione sono morti per il prossimo come Cristo fece sulla Croce. Cristo è morto per noi, ma noi questo lo abbiamo dimenticato. Troppe cose si dimenticano perchè fanno parte di un passato che noi ciechi delle nostre coscienze omettiamo ad ogni angolo della strada. Siamo ciechi e affamati, siamo i gechi e i vampiri di un società malsana. Il denaro, questo sporco e lurido denaro da cui dipende la vita, la morte e le nostre coscienze e soprattutto l’amore  è per i soldi che ci diamo tanto da fare. Non lottiamo per la vita lottiamo per la morte e questo ci deve far pensare 

Non c’è nessun politico nella Storia della Spagna tanto venerato quanto il decimosesto Presidente dell’EE.UU. La figura chiave della sua storia rappresenta uno dei miti patriottici nonostante sia stato il leader delle due bande, L’Unionista, durante la Guerra di Secessione dell’EE.UU. guerra fratricida che aveva affrontato gli Stati del Nord contro i secessionisti del Sud associati sotto la bandiera confederata. Il regista Steven Spielberg ha reso attuale il politico repubblicano con il suo ritratto “Lincoln (2012), che indaga sulla questione della abolizione della schiavitù e della decimo terza Ammenda. L’Avventura della Storia recupera la figura di Lincoln con un testo della storiografa Aurora Bosch, docente di Storia contemporanea della Università di Valencia, che ritratta gli aspetti meno conosciuti della sua personalità come la sua intensa e caratteristica malinconia e le sue frequenti depressioni causate da alcuni traumi famigliari come la morte di suo fratello o quella dei due suoi figli, o come la traiettoria politica e le sue origini come uomo di legge. Lincoln aveva saputo unire le differenti tendenze del partito repubblicano e le divisioni delle fazioni del Nord e del Sud, diventando un leader consistente e valido, nel momento più drammatico di tutta la storia dell’E.UU, durante l’ultima guerra che era esplosa nel suo territorio. A capo della vittoria del Nord sul Sud dopo che la guerra era diventata una causa ideologica con la Dichiarazione di Emancipazione che liberava gli schiavi del sud nel 1863 e dopo aver approvato nel congresso la Decimo terza Ammenda che aboliva la schiavitù permanentemente e solo sulla base dei suoi poteri speciali nel corso della guerra. Inoltre, nel numero 172, un altro articolo, di Fernando Calleja, professore di Storia contemporanea della Università Carlos III di Madrid, spiega la cruciale Battaglia di Gettysburg, come punto di inflessione della Guerra di Secessione dove la vittoria dell’Esercito federale aveva condannato in gran misura il confederato dal momento che non era capace di tornare a realizzare una offensiva di grande entità.

In Zambia, i lavoratori del settore minerario del rame continuano a essere esposti agli abusi, ha dichiarato Human Ruight Watch oggi, mercoledì 20 febbraio 2013. Nuove ricerche realizzate da HRW hanno rivelato che il Governo del Presidente, Michael Sata, durante il suo mandato a settembre del 2011, aveva promesso di dare priorità ai diritti sul lavoro, avanzando alcuni progressi e sostenendo la sorveglianza nelle miniere, ma l’applicazione delle leggi nazionali sul lavoro concepite per proteggere i diritti dei lavoratori resta insufficiente. A novembre del 2011, HRW, ha pubblicato un rapporto che descrive le violazioni dei diritti sul lavoro nel quadro delle filiali zambiane della China Non-Ferrous Metal Mining Corporation (CNMC), una impresa pubblica rilevata dall’organo esecutivo supremo della Cina, il Consiglio di Stato. Nel quadro del suo studio realizzato ad ottobre del 2012, HUman Rights Watch aveva constatato che una parte di queste filiali della CNMC avevano operato dei progressi notevoli sul piano della riduzione delle ore lavorative e il rispetto della libertà di associazione, ma anche che i minatori continuavano a essere rapportati a delle pietose condizioni di sanità e di sicurezza come anche sottoposti alle minacce della direzione se cercavano di far valere i loro diritti. Il Governo dello Zambia non è intervenuto come doveva essere per sedare questi problemi, ha sottolineato HRW. “Il Presidente Sata aveva condotto una campagna populista basata sulla protezione dei lavoratori, la mancanza di un progresso significativo nel settore minerario è risultato deludente” ha spiegato Daniel Bekele, direttore della divisione Africana della Human Rights watch. “Sebbene le filiali della CNMC avevano rimediato ad alcune violazioni dei diritti sul lavoro decretati da Human Right watch nel 2011, i minatori sono ancora esposti a importanti rischi sul piano della sanità e della sicurezza”.

I distruttori endocrini sono alcuni composti chimici capaci di simulare il comportamento degli ormoni. Tra questi sono presenti gli acidi ftalici, che sono impiegati nell’industria come emollienti della plastica, il benzofenone che è rinvenuto tra i filtri ultravioletti delle creme solari, i parabeni, usati per estendere la caducità dei prodotti cosmetici come gli shampoo, o il bisfenolo A (BPA) presente nella plastica (policarbonato e resine epossidiche). Negli ultimi anni, queste sostanze sono state l’oggetto di una attenzione crescente per determinare i loro effetti nelle varie maalattie, specialmente quelle collegate ai problemi metabolici. Il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), e la Organizzazione Mondiale della Sanità hanno annunciato il contenuto di un informativa rilasciata dagli specialisti per valutare le evidenze scientifiche in rapporto agli effetti di queste sostanze. Una delle sue principali conclusioni è stata che questi composti chimici sono una “minaccia globale” da cui dipendiamo. Il documento annota l’esistenza di circa 800 componenti che causano o c’è il sospetto che possono produrre alterazioni nella regolazione ormonale. Solo una “piccola frazione” di questi avvertono gli investigatori, sono stati analizzati per comprovare gli effetti che provocano nella salute delle persone. Nel 2002 è stato elaborato un rapporto simile a quello sopra citato. Allora, non era stato possibile andare oltre la ” debole evidenza” che esistevano questi effetti e dai quali la salute era stata affetta negativamente a causa dell’esposizione ai distruttori endocrini. Dieci anni dopo, i risultati sono radicalmente distinti. Gli analisti pianificano apertamente che sono emersi nuovi indizi i quali vincolano questi componenti chimici apportando problemi riproduttivi (ossia l’infertilità, i tumori o le malformazioni), o hanno effetti sulla tiroide, sul funzionamento cerebrale, l’obesità e il metabolismo. L’attività distruttrice, insistono gli analisti, non risiede solo nell’alterare i meccanismi di azione degli estrogeni e degli androgeni o l’attività della tiroide. Per questo motivo, gli specialisti convocati dall’OMS e dalle Nazioni Unite progettano l’insorgere di possibili vincoli con problemi riproduttivi maschili o femminili (non solo negli esseri umani, ma anche in quelli che vincolano le cadute demografiche delle specie animali). Gli analisti alludono anche alle alterazioni rapportate con lo sviluppo neuronale, (scompensi immunitari o metabolici). Includendo i tumori causati da alterazioni ormonali, malgrado la disinformazione che, indicano, esiste sull’origine di queste neoplasie. Previ lavori: Già è stato messo in evidenza che alcuni dei distruttori ormonali sono dietro i processi di accumulazione della quantità di grasso nel corpo.

Dopo lo sbarco in Normandia, detta Operazione Overlord, l’offensiva alleata aveva subito un importante rovescio, mentre un mese più tardi, le forze aereotrasportatrici britanniche cercavano di prendere il ponte di Arnhem (Olanda). Hitler aveva deciso di lanciare una offensiva sul Fronte occidentale per stabilizzarlo e centrarsi nella zona orientale, dove l’Esercito Rosso spingeva con molta forza. Nel mese di dicembre del 1944, i tedeschi lanciavano l’offensiva delle Ardenne (Belgio). I Panzer avevano seminato un grande caos tra le file alleate lasciando molte unità isolate in mezzo ai boschi e catturando mille prigionieri. Tre soldati statunitensi, dei quali uno era rimasto ferito , avevano smarrito la strada nel bosco che tra l’altro non conoscevano. La neve arrivava fino alla rotula e a causa della caligine la visibilità era incerta.Vagando per ore e cercando le loro Unità l’unica cosa che avevano incontrato era una piccola baita con il comignolo che fumava. Era la Vigilia di Natale. Nella piccola casa di legno c’erano un bambino di 12 anni, Fritz Vincken, e sua madre impegnata a preparare la cena, alla quale i soldati avevano chiesto aiuto e la donna aveva acconsentito e aveva preparato per loro il desco e il fuoco per riscaldarsi, nonostante sapeva che chi offriva rifugio agli alleati veniva punito con la fucilazione. Mentre la donna curava le ferite di un soldato statunitense la casa veniva assalita da quattro soldati tedeschi. Tutti erano già pronti con le armi in mano e avevano iniziato a gridare, in pochi minuti la situazione era cambiata e sembrava non più la Vigilia di Natale ma una vera mattanza. La madre del piccolo posta tra i due gruppi imprecava di abbassare le armi. Il silenzio aveva calmato per alcuni minuti gli animi e nonostante l’indecisione tutti avevano acconsentito. I tedeschi non stavano molto meglio degli statunitensi e anche loro cercavano un rifugio per trascorrere la gelida notte. Alla fine, riuniti a tavola madre, figlio e entrambi i gruppi dei soldati avevano condiviso la cena e il calore del fuoco. La mattina seguente, quando il ferito stava già molto meglio, i soldati tedeschi prendendolo in spalla lo avevano trasportato fino alle trincee degli alleati e avevano dato il congedo. Dopo la pubblicazione della storia di Fritz Vincken in una rivista americana e in un documentario trasmesso in televisione, la famiglia di un soldato americano che aveva lottato nelle Ardenne aveva stabilito dei contatti con il canale televiso, informando che suo padre per anni aveva raccontato quella storia. Nel mese di gennaio del 1996, Fritz andava a conoscere a Maryland Ralph Blank dipingendo ancora una volta la storia con velo di emozione.

ANTECEDENTI

Nelle elezioni del 1932, il Partito Nazional Socialista dei Lavoratori, (Partito Nazi) era la forza più votata, e il Presidente Hindemburg nominava cancelliere Hitler. La propaganda del Partito Nazi alimentava il sentimento di umiliazione tedesca dopo la sua sconfitta nella Prima Guerra Mondiale. Le dure condizioni imposte dagli Alleati e la perdita degli antichi territori (a favore della Cecoslovacchia e della Polonia) avevano causato un amaro risentimento. Nella conferenza di Munich del 1938, la Germania recuperava i Sudeti ( zona di frontiera con la Slovacchia) su consenso della Francia e della Gran Bretagna. La debolezza degli occidentali aveva fatto crescere Hitler e aveva creato dei dubbi su Stalin. Le ideologie marxiste e nazi, diametralmente opposte, convergevano in interessi comuni e erano arrivati a un Accordo. Hitler aveva già pensato di invadere la Polonia, ma doveva cercare i pretesti che giustificavano l’occupazione, poi detto e fatto, bisognava recuperare il corridoio di Pomerania (in Prussia) e il porto baltico di Danzing (antico territorio tedesco, attualmente controllato dalla Polonia). La passività della Francia e della Gran Bretagna e le ambizioni annessionistiche della Germania per l’Ovest e della Unione Sovietica per l’Est (parte della Polonia era sotto il controllo russo), collocavano Varsavia nel centro dell’uragano. Il 25 agosto del 1939 il Ministro degli Esteri russo, Molotov, e il suo omologo tedesco Ribbentrop, firmavano un patto di non aggressione. La sentenza della Polonia era stata firmata. Hitler sapeva che prima o poi la Francia e la Gran Bretagna intervenivano nella questione, e quindi l’invasione della Polonia era servita come prova di fuoco per la Wermacht (forze armate tedesche). La prima data per l’invasione della Polonia era il 23 agosto del 1939, ma era stata posticipata con la promessa della Gran Bretagna di aiutare la Polonia. Dopo varie manovre diplomatiche, la data definitiva era stata stabilita, il 31 agosto del 1939.

PROTAGONISTI

. Tedeschi: Adolf Hitler, Wilhelm Keitel, (capo dell’alto comando delle forze armate), il maresciallo del campo Walter von Brauchitsch ( comandante capo dell’Esercito), il colonnello generale Franz Halder (capo dello stato maggiore generale), il colonnello generale Gerd von Rundstedt (esercito del sud) e il colonnello Fedor von Bock (esercito del nord)

. Polacchi: il generale Edward Rydz-Smigly (comandante capo polacco) e il generale Tadeusz Kutrzeba (comandante della controffensiva del Bzura).

La guerra era iniziata il 1 settembre alle 4, quando il vecchio corazzato Schleswig-Holstein apriva il fuoco contro la guarnigione polacca di Westerplatte, il “Verdun polacco” resisteva per una settimana ai bombardamenti (da parte della Luftwaffe) e ai repentini assalti della fanteria. La difesa di Mokra: esiste una leggenda sulla carica della cavalleria polacca contro i Panzer ( veicolo da combattimento blindato) che esalta il valore dei cavallerizzi di fronte ai carri armati. Anche se l’esercito tedesco era più poderoso di quello polacco non era mai stata realizzata una tale carica, anche se a Mokra era stato effettuato un duro affronto tra la Brigata della cavalleria Wolynska contro la quarta divisione Panzer. La Cavalleria aveva riportato perdite importanti per il cattivo coordinamento degli attacchi dei carri e della fanteria tedesca. I polacchi erano appoggiati al treno blindato Smialy (treno con due auto blindate e due cannoni) che erano efficaci contro la corrazzata dei Panzer, ma erano molto vulnerabili agli attacchi degli Stuka (bombardieri in picchiata). La Francia e la Gran Bretagna avevano dichiarato guerra alla Germania il 3 settembre del 1939. Ma la mobilizzazione delle sue truppe era stata molto lenta. I polacchi erano rimasti soli.

Fronte di Varsavia: il 7 settembre le Divisioni Panzer I e IV arrivavano alle porte di Varsavia. Il maresciallo Rydz-Smigly, aveva deciso di trasportare il suo quartier generale da Varsavia a Brzesc-nad-Bugiem. I carri armati, senza l’appoggio della fanteria, avevano subito abbastanza ritiri nella periferia di Varsavia da parte della artigliera mimetizzata per le strade. La IV Panzer era stata chiamata verso ovest per far fronte alla controffensiva polacca del Bzura.

CONTROFFENSIVA DEL FIUME BZURA: era la prima battaglia dove l’esercito polacco aveva sfruttato la superiorità numerica. Il 9 settembre 3 divisioni della Fanteria e 2 brigate della Cavalleria combattevano contro 2 divisioni tedesche, e alla fine erano stati vinti e catturati 1.500 prigionieri. Ma all’attacco della Divisione Panzer I e IV di Varsavia avevano legato le mani ai polacchi. Dopo una settimana di intense lotte e ripetuti bombardamenti degli Stuka, l’Esercito polacco veniva barricato (1.200 prigionieri). I tedeschi erano concentrati nell’assedio di Varsavia.

Assedio finale a Varsavia: il 15 settembre, la IV divisione Panzer ritornava a Varsavia, con le difese già molto danneggiate, erano riusciti ad entrare, ma dovevano aspettare la Fanteria per lottare casa per casa. Il giorno 21 settembre i tedeschi riuscivano a chiudere la capitale circondandola con 13 divisioni. Dopo vari giorni di resistenza all’assedio, il 25 settembre, conosciuto come “Lunedì nero”, 1.200 aerei bombardavano la città con la metà delle sue bombe di scorta per la compagnia polacca, e riscontrando la morte di molti civili.
La sera del 26 settembre Juliusz Rommel, capo dell’esercito polacco, inviava i parlamentari per discutere i termini della resa. Il 27 settembre Varsavia capitolava e 140.000 soldati venivano rilasciati. L’ultimo polacco, Kock, cadeva il 6 ottobre.

L’ESERCITO ROSSO: Il 17 settembre l’esercito Rosso iniziava a invadere la Polonia dell’est. Tutto era stato pattuito nell’accordo Molotov-Ribbentrop, ma Stalin era in ritardo a causa dell’incertezza sulla reazione delle potenze occidentali e in parte per il conflitto con il Giappone. Firmato l’armistizio con il Giappone e dal momento che la Francia e la gran Bretagna non reagivano, Stalin decideva di mobilitare l’Esercito e prendere parte della torta.

La superstizione , consideriamola giusta come un parafuoco dei nostri comportamenti. Una storia raccontata dall’Audace Machado, con un Apprendista che esplora i corridoi di questo mondo. Quel sabato,l’Apprendista aveva trascorso il suo tempo con degli amici “Da Domino” un ristorante alla moda a Kabondo. C’era anche Jean-Marie, soprannominato Bobolo. Nella tarda notte, in pieno CAN, Bobolo, vicino e amico dell’Apprendista, che era un uomo di grande cultura, e che andava a dormire presto e non era mai annoiato, rientrando dal ristorante, aveva visto delle prostitute lungo la via. Preso dal terreno di gioco chiamato “parquet” avevano stabilito la loro posta d’attesa strategica: lungo la salita della Camera di Commercio e dell’Industria, sono inevitabilmente illuminate dalle frasi delle auto. Bobola aveva approfittato della passeggiata di ritorno per raccontarmi la storia di un attacco che aveva subito la famiglia di suo fratello. Alto funzionario dell’ONU in Costa D’Avorio, era venuto a sapere che la sua famiglia a Bujumbura stava per subire un “attacco”da parte di persone che dicevano di essere delle forze dell’ordine. Questi uomini, che dicevano di cercare i malfattori nascosti nel quartiere, erano arrivati precipitosamente sul portone di sua moglie. Raccontando questa storia, Bobolo subitamente aveva fermato il suo cammino. “Hai visto lì?” aveva detto. L’Apprendista: Cosa vuoi dire? e Bobolo: ” No io passo da un argomento all’altro ma tu hai visto quella? è decisamente nuda!” L’Apprendista inizia a ridere. Bobolo:”Io non sono credente, io credo di vedere lì ciò che io non avevo mai visto in vita mia… in pieno centro? voglio dire che la prostituzione esiste ancora, ma ciò che io vedo, un pò più lontano della Banca Nazionale è un malessere che colpisce questo paese. Il giorno dopo, al mercato centrale. In auto arieggiava una canzone, le parole dicevano: Bene Maligno chi può dire onestamente dove sono successi questi fatti” Bobolo tutto ad un tratto: E’ morto!” L’Apprendista: Chi è morto?” Bobolo: “Pierre Bachelet!” E la canzone continuava: ” ma sfidiamo chiunque che facendo dei nomi, non veniamo ingannati dai nomi o dalle opinioni, ricordateci” Il giorno dopo la domenica, l’Apprendista riceve un sms: “Il mercato centrale è in fiamme” E’ la fine del mondo!” Superstizione, o solo la tranquillità della coscienza aiuta noi ad avanzare. Quelle prostitute hanno una coscienza tranquilla? Tutto il mondo assiste a questo fenomeno: i cittadini ordinari e le autorità. Hanno anche loro una coscienza tranquilla?

A causa della presenza del batterio Escherichia Coli o comunemente detto E. coli riscontrato in alcuni alimenti serviti ai bambini che beneficiano del programma “Pasti caldi”, detto programma è stato sospeso. L’Escherichia Coli è un batterio che vive nel tratto digestivo di noi esseri umani, ma anche di diversi animali. Qualsiasi cibo che entra in contatto con la carne cruda può infettarsi e a sua volta infettare noi, può accadere per esempio bevendo acqua o cibo contaminato dalle feci degli esseri umani o degli animali. Il programma dei “Pasti caldi” nelle scuole delle Zone di educazione prioritaria (ZEP) è stato sospeso con effetto immediato a Mauritius. La decisione è stata presa dopo una riunione tenuta al Ministero dell’Istruzione mauriziana. Le analisi dimostrano il rischio di intossicazione in più scuole. Prontamente, una riunione è stata convocata, sabato, 16 febbraio, nel pomeriggio, presso il Ministero dell’Istruzione di Phoenix. L’obiettivo era di prendere conoscenza dei risultati delle analisi affettuate nelle scuole di ZEP in più regioni dell’isola sulla scia dei casi di intossicazione alimentare che hanno infettato un centinaio di bambini della scuola primaria di Bambous, giovedì, 7 febbraio 2013. Il risultato di queste analisi dimostra la presenza del batterio E. Coli. Ciò lascia credere che le norme igieniche non sono state rispettate durante la preparazione dei pasti. Questi risultati hanno dunque spinto il Ministero a mettere temporaneamente, un termine a questo programma.

ALTERNATIVA

“In seguito ai casi di intossicazione alimentare presso la scuola di Bambou A e in seguito ai risultati delle analisi approfondite effettuate dal Ministero della Sanità, dove viene confermata la presenza del batterio E.Coli con un tasso che oltrepassa le norme accettabili in alcuni campioni, il Comitato ha deciso di sospendere la distribuzione dei pasti caldi, con effetto immediato, in tutte le scuole ZEP. Nel frattempo, le disposizioni informano che saranno serviti in alternativa dei pasti composti da pane, burro, formaggio, e frutta agli alunni, a partire da lunedì 18 febbraio fino a nuovo ordine”, dichiara il Ministero dell’Istruzione in un comunicato emesso sabato 16 febbraio. Il Ministero dell’Istruzione precisa che nell’ottica, “di una eventuale ripresa del programma dei pasti caldi nelle scuole ZEP” saranno imposte nuove condizioni in cucina.

Nella Repubblica democratica del Congo, la località di Punia è di nuovo sotto il controllo delle Forze armate delle Repubblica democratica del Congo (FARDC). Questa località di Maniema ricca di miniere, era stata conquistata sabato, 16 febbraio, dalle milizie dei Raia Mutomboki, un gruppo che affronta regolarmente l’armata. L’affronto ha riportato due decessi. I rinforzi del FARDC, venuti dalla provincia orientale, hanno conquistato la città di Punia (a est della RDC) nella tarda mattinata di domenica 17 febbraio. Il nuovo capo delle forze terrestri, il Generale Olenga, ha organizzato la contro offensiva. Secondo il portavoce del Governo, Lambert Mende Omalanga, durante i loro combattimenti per la ripresa del controllo della città dalle forze regolari non sono mancati danni umani. Punia era stata occupata sabato, 16 febbraio, dagli uomini armati, reclama il gruppo Raia Mutomboki, i quali accusano l’armata regolare di essere liberi di infastidire la popolazione locale, e hanno aggiunto che non hanno opposto resistenza al potere di Kinshasa. Tuttavia secondo Lambert Mende Omalanga, le loro motivazioni sono tutt’altro . ” Sono i giacimenti minerari di questa città che, come in altre contrade del paese, sono ambiti dai vari gruppi armati”. Lambert Mande Omalanga, portavoce del Governo della Repubblica democratica del Congo (RDC) afferma: ” Queste persone vogliono prendere possesso di queste miniere, e parlano di politica perchè non è giustificabile moralmente dichiarare che hanno ucciso persone solo per le risorse naturali.

Alla sessantesima seduta della sessantasettesima sessione, dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite tenuta, il 20 dicembre del 2012, è stata adottata per la prima volta e all’unanimità, una risoluzione sulle mutilazioni dei genitali femminili dal titolo ” Intensificazione dell’azione mondiale che mira a eliminare le mutilazioni dei genitali femminili” e il progetto è stato presentato a Burkina Faso in nome del gruppo Africano. Per questa risoluzione, che è stata condivisa da più di due terzi dei suoi membri, l’Assemblea generale ha esortato gli Stati a condannare tutte le pratiche nocive per le donne e le giovani donne, in particolare le mutilazioni dei genitali femminili, siano esse praticate o no in un centro medico. La richiesta agli Stati di prendere tutte le misure necessarie per preservare le donne e le giovani donne da queste pratiche, promulgando e applicando le leggi in vigore contro questa forma di violenza. L’Assemblea generale incita anche, gli Stati a fornire le adeguate protezioni e a assistere le donne e le giovani donne che hanno subito o che rischiano di subire la mutilazione di genitali, e a applicare le sanzioni potenziando i programmi d’informazione, di sensibilizzazione, di educazione scolastica e non, per promuovere la partecipazione diretta delle ragazze e dei ragazzi, allo scopo di associare alle azioni di prevenzione e di eliminazione delle pratiche tradizionali nocive, in particolare le mutilazioni dei genitali femminili. L’Assemblea generale invita, inoltre, gli Stati, gli organismi delle Nazioni unite, la società civile e tutti gli attori a celebrare la Giornata mondiale della tolleranza zero verso le mutilazioni dei genitali femminili il 6 febbraio e a utilizzare questa giornata per promuovere le azioni di lotta contro i flagelli e prega il Segretario generale delle Nazioni unite di presentare, alla sessantanovesima sessione, un rapporto pluridisciplinare approfondito sulle cause profonde della pratica delle mutilazioni dei genitali femminili e i suoi fattori, e a dare il suo contributo, la sua prevalenza nel mondo e a testimoniare le conseguenze arrecate alle donne e alle giovani donne. Prendendo la parola davanti all’Assemblea, dopo l’adozione della risoluzione, il Rappresentante Permanente di Burkina Faso dopo le Nazioni unite, l’ambasciatore Der Kogda, ha indicato che la risoluzione costituisce non solo un messaggio politico forte che impegna l’insieme delle comunità internazionali, ma è allo stesso tempo un messaggio di speranza per milioni di ragazze e di donne che rischiano ogni anno di subire questa pratica discriminatoria che dimora sempre nel tabù, in nome della tradizione e falsamente della religione.

La Banca Africana dello Sviluppo (BAD) ha onorato le popolazioni autoctone dell’Africa dedicando loro il giorno 11 e 12 febbraio a Tunisi un Forum dal tema” Le questioni di sviluppo delle popolazioni autoctone in Africa”. Per due giorni, degli specialisti hanno discusso dello sviluppo che riguarda queste popolazioni. Ciò significa proporre delle soluzioni pragmatiche alle loro preoccupazioni di riconoscimento, di preservazione del loro ambiente naturale, e soprattutto la loro inclusione nel processo globale dello sviluppo nelle loro rispettive regioni. Chi sono le popolazioni autoctone? Che cosa significa il concetto autoctono? Sono delle questioni che hanno strutturato i primi dibattiti. Questo approccio di definizione concettuale è stato uno degli ultimi punti di scoglio maggiore. “Noi siamo tutti autoctoni di qualche parte”, ha scherzato Kahinda Otafire, il Ministro ugandese della Giustizia e degli Affari costituzionali, prima di indicare che la creazione e la distribuzione delle ricchezze costituiscono piuttosto la posta principale dello sviluppo delle comunità locali africane. Una posizione condivisa in parte dal Ministro delegato della Direzione dei lavori genio e degli Affari tradizionali dello Zambia, Berinda Kawandami, che ha reso omaggio alle 73 tribù e ai 237 capi tradizionali del suo Paese. Kawandami ha insistito sulla necessità di creare per ogni comunità, delle opportunità economiche innovatrici e specifiche. La questione dell’integrazione economica è stata largamente discussa, perchè queste popolazioni subiscono l’emarginazione o comunque sono spogliate dei beni, delle terre, delle quali o dei quali dicono di essere i veri proprietari. Questo tema ha ricevuto il consenso di tutti i partecipanti al Forum. Per l’Economista e Vice Presidente del BAD, Mthuli Ncube, bisogna affermare che le popolazioni autoctone africane, non sono delle vittime, ma dei partners che beneficiano dello sviluppo del continente. Bisogna aggiungere che la questione delle popolazioni autoctone è al centro delle preoccupazioni del BAD, che non cessa di promuovere la ” crescita inclusiva”. Il Forum ha visto la partecipazione degli esperti internazionali, dei rappresentanti delle comunità autoctone, dei Ministri africani e dei funzionari del BAD.

Le Nazioni Unite hanno annunciato, sabato, 16 febbraio, la firma dell’Accordo di Pace sul conflitto nella Repubblica democratica del Congo (RDC) per sabato, 24 febbraio, a Addis Abeba. Secondo Martin Nesirky, il portavoce del segretario generale dell’Onu, ” Tutti i Presidenti invitati hanno garantito la loro partecipazione, o tramite un rappresentante abilitato a firmare l’Accordo”. il Patto censito permetterà di portare la pace nell’Est del paese, in preda ai gruppi armati locali e stranieri. Ban-ki-Moon, ha inviato, venerdì scorso, gli inviti ai partecipanti alla convention di Addis Abeba, ha indicato Martin Nesirky per l’AFP. Il segretario generale dell’ONU ha, espresso la sua intenzione di andare lui stesso nella capitale etiopica per l’occasione, come riferisce la stessa fonte. L’Accordo dovrà essere firmato dalle Nazioni Unite, dai Paesi della Conferenza Internazionale della Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) e da alcune Comunità che sostengono lo sviluppo dell’Africa australe (SADC). E’ anche previsto che i paesi della regione rispettino ogni sovranità dei paesi vicini. Ciò comporta, ugualmente, in natura e in virtù dei comandamenti lo spiegamento della forza internazionale neutra nell’Est del RDC. Il testo doveva essere firmato, fin da gennaio a Addis Abeba, ai margini del Summit dell’Unione Africana (UA). Tuttavia, la sua firma è stata rinviata a un’altra data. Eri Kaneko, portavoce del segretario generale dell’ONU che aveva annunciato questa decisione, non ha esposto le ragioni dell’annullamento, precisando molto semplicemente che è “un soggetto complesso”. Per l’ONU la forza internazionale neutra, sarà integrata nella Missione delle Nazioni Unite per la stabilità del RDC (Monusco) Ma alcuni paesi come l’Africa del Sud, la Tanzania e il Mozambico, che forniranno la maggior parte degli effettivi della nuova brigata, stimano che questa forza dovrà essere posta sotto un comando autonomo. Questa unità di intervento, composta da quattro mila soldati, è chiamata a smantellare i gruppi armati che operano nell’Est del RDC, precisamente i ribelli delle forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FDLR) e del M23. Lo spiegamento di una forza internazionale neutra tra il RDC e il Rwanda era stata proposta durante il Summit interministeriale degli Stati del CIRGL, a luglio 2012 a Addis Abeba. Alla fine di ottobre, i Ministri della Difesa del CIRGL avevano adottato, a Goma, il piano di operazione della forza, ma il suo finanziamento e la data effettiva del suo spiegamento non erano stati definiti.

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I siamesi sono quei gemelli i cui corpi continuano a rimanere uniti dopo la nascita con una frequenza di un caso ogni 200.000 nascite. Se oggi giorno, con la tecnologia del secolo XXI e continuando a dipendere dagli organi che li tengono uniti, è una operazione rischiosa, in questa storia parliamo addirittura del XVII secolo. L’autore di questo miracolo, perchè nel secolo XVII bisogna catalogarlo così, è stato il chirurgo e ostetrico svizzero, Johannes Fatio nato nel 1869. Fatio era nato a Berna, aveva seguito gli studi di medicina in questa città e aveva ottenuto il dottorato alla Università di Valenzia (Francia). Aveva concentrato il suo lavoro nei problemi e nelle malattie infantili, diventando uno stimato pediatra. Inoltre, aveva pubblicato vari studi e libri sui trattamenti adeguati che, a causa dei temi alieni alla medicina, sono stati distrutti. Era stato uno specialista nella piccola chirurgia fino al 1689 quando gli era stato affidato l’arduo compito di separare le siamesi Elisabet e Catherina. La fortuna aveva voluto che erano siamesi dette xifópagos, generalmente uniti solo dal tessuto blando e che condividono organi vitali, come in questo caso, il fegato ma sappiamo già che questo organo è capace di rigenerarsi completamente. Comunque poco dopo il loro battesimo perchè pensavano che non sopravvivevano alla operazione, Fatio e una équipe medica di Basilea, avevano realizzato con successo l’intervento separando Elisabet e Catherina. Tuttavia nel momento più brillante della sua carriera Fatio era impegnato in temi politici e il Governo della sua città era formato da un Consiglio che a poco a poco iniziava a sgretolarsi cadendo nelle mani delle poderose corporazioni di bancari e alti commercianti, che erano riusciti a ripartire il potere tra pochi. Nel 1961, era esploso il caos più totale il popolo cercava di recuperare il potere e all’inizio era così, ma la città non tardava a essere recuperata dai potenti e Fatio, a capo dei rivoltosi, era stato incarcerato, torturato e assassinato. I suoi libri sono stati confiscati e bruciati dalle autorità. e’ stato salvato solo il ‘The Helvetic Reasonable Midwife’( La logica dell’ostetrico Elvetico) scritto dopo l’intervento dei siamesi, ma non è stato mai pubblicato fino al 1752.

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Desmond Dooss, è stato un soldato degli Us Army che durante la Seconda Guerra Mondiale, è diventato il primo obiettore di coscienza che ha ricevuto la Medaglia d’Onore per aver salvato più di 75 soldati feriti mettendo a rischio la sua vita. Desmond Dooss è nato il 7 febbraio del 1919 a Lynchburg(Virginia). I suoi genitori, Tom e Bertha Dooss, lo avevano allevato sotto la dottrina e le credenze della Chiesa Avventista del Settimo Giorno. Fin dalla sua tenera età, Desmond era stato molto influenzato dalla Bibbia e dai suoi insegnamenti, in particolare dal comandamento non uccidere. Ad Aprile del 1942, Desmond aveva rifiutato il servizio militare, ed è per questo motivo che era stato listato come obiettore di coscienza ( anche se a lui piaceva farsi chiamare cooperatore di coscienza in modo che poteva servire a Dio e il suo Paese). Iscritto al Corpo Medico della 77.ma Divisione della Fanteria, e la stretta osservanza degli insegnamenti religiosi, incluso il rispetto del sabato (Shabat) come giorno di riposo, veniva messo in ridicolo dalle continue burle dei suoi compagni e dagli atti indisciplinati davanti ai suoi superiori. A maggio del 1945, nell’assalto anfibio degli alleati all’isola di Ryukyu di Okinawa, un battaglione dei Marines era stato inviato a prendere una posizione giapponese su una scarpata di 120 metri. Dopo aver scalato la parete, erano stati accolti da un intenso fuoco nemico. Doos aveva visto come alcuni dei suoi compagni cadevano a terra invece di mettersi al riparo, come invece avevano fatto molti altri, ed era riuscito a estrarre da quella topaia più di 75 Marines feriti, trascinandoli o caricandoli sulle spalle uno ad uno fino al bordo della scarpata da dove erano scesi con le corde. Per alcuni giorni, aveva continuato a assistere i feriti non badando al pericolo che lo circondava, fino a quando il 21 maggio, vicino a Shuri, una granata lo aveva sopraggiunto alle gambe e mentre lo stavano per trasportare su una barella, Doos aveva notato che un altro soldato stava in condizioni peggiori e gli aveva dato la precedenza sulla barella. In quel preciso istante un’altra pallottola lo feriva al braccio fratturandogli un osso. Non riuscendo a stare in piedi, ferito a un braccio e senza l’aiuto di nessuno, Doos per forza di cose era venuto meno al suo giuramento, infatti aveva preso un fucile per impiegarlo come stampella e trascinando il peso del suo corpo era riuscito ad arrivare fino all’ospedale di campagna. In quel momento per tutti i soldati che lo avevano preso in giro Doos era diventato un simbolo di coraggio e di determinazione. A ottobre del 1945, Desmond Doos riceveva la Medaglia d’Onore dal Presidente Harry S.Truman durante una cerimonia alla casa Bianca. Doos era tornato dal Pacifico malato di tubercolosi, e nonostante le cure antibiotiche a cui era sottoposto, aveva perso un polmone. Nel 1970, a causa di un eccesso di antibiotici accidentale, era diventato sordo. Trascorse il resto della sua vita come un uomo umile morendo all’età di 87 anni, il 23 marzo del 2006. E’ stato il protagonista del libro “L’eroe più improbabile” (1967) e del documentario “L’obiettore di coscienza”(2004).

Wikileaks è una organizzazione internazionale, non-profit che pubblica informazioni segrete, fughe di notizie, dei media classificati da fonti anonime. E’ stata fondata da Julian Assange, e ha pubblicato mille indirizzi di posta elettronica della impresa statunitense di Inteligence e Spionaggio Stratfor legati con vari Paesi Latinoamericani. Il sito Wikileaks ha pubblicato più di cinque milioni di e-mail segrete della sede centrale del Texas dell’impresa statunitense Stratfor. Secondo il sito fondato da Julian Assange, gli archivi rivelati mettono allo scoperto “la rete di Stratfor composta da informatori, la sua struttura composta da subornazione , le sue tecniche di lavaggio di questi pagamenti e i suoi metodi psicologici” impiegati per ottenere dette informazioni. Tra gli archivi filtrati che constano di 57.000 indirizzi di posta elettronica di Stratfor sul Brasile, c’è un messaggio abbastanza duro su questo Paese, dove una fonte critica la Marina del Paese, presentando le sue deduzioni fatte a partire dalle loro conversazioni con il personale militare. “Quello che hanno iniziato a fare con i sottomarini nucleari, non ha senso”, informa. Wikileaks ha rivelato quasi 6.500 documenti sul Nicaragua, 13.500 sull’Ecuador, 9.500 sul Paraguay, 9.100 sull’Uruguay, 7.700 su Panama, quasi 8.000 sull’HOnduras, e 16.500 sulla Bolivia, 18.300 sul Perù e 27.300 sull’Argentina congiuntamente con la Cina che, secondo i documenti, “hanno rapporti tesi dopo le misure prese dal Governo argentino che limitano l’ingresso dei prodotti cinesi”. Almeno 231 di questi sono dedicati a un tema molto sensibile per un Paese come le isole Falkland. Ore prima il dirigente filogovernativo Luis d’Elia, aveva assicurato che la “Cia aveva contattato la Stratfor per monitorare le sue attività e i suoi rapporti con l’Iran. Tra gli archivi filtrati dedicati al Messico, che comprendono il 2011, figura un informe degli analisti di Stratfor, dal titolo “Il Messico e lo Stato Fallito Revisionato” . I suoi autori affermano che “il traffico di droga” ha cambiato le istituzioni messicane in maniera drammatica, ma che “paradossalmente anche il narcotraffico stabilizza il Messico”. Tra i documenti pubblicati figurano circa 36.000 e-mail collegate con la Colombia, in alcuni dei quali sono menzionati supposti incontri con gli alti funzionari colombiani e statunitensi sull’addestramento delle persone per “operazioni speciali”. Tra i 41.000 indirizzi di posta elettronica di Stratfor che sono, al momento, stati filtrati da Wikileaks sul Venezuela figura ogni tipo di speculazione : pronostici sulla situazione economica del Paese, avvisi sulla nazionalizzazione del settore privato nel Paese, rumori sul commercio con l’Iran o teorie sulla natura della malattia di Chavez. Le informative della impresa statunitense contengono, inoltre, informazioni sull’Esercito venezuelano, sulla Aviazione militare, la Marina, l’industria degli armamenti e dettagli militari di Caracas. I messaggi relativi al Cile parlano dello scandalo delle spie di questo Paese con il Perù. Secondo Stratfor una fonte militare sua, ha assicurato che le tensioni tra i due Paesi rispetto a ciò non sono “gran cosa” e che il Perù dovrà comprare più armi. Un altro tema cruciale che rivelano gli indirizzi di posta elettronica sono le risorse di gas e petrolio nel Paese, le miniere e l’industria chimica i suoi mercati, che sono indagati sotto le petizioni di vari clienti della compagnia statunitense. In una di queste e-mail sulla Bolivia dell’anno 2011, compare la supposizione che il Governo boliviano stà barattando l’idea di estromettere la USAID (Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale) dalla Bolivia “perchè l’USAID ipoteticamente appoggia le proteste indigene in Bolivia”.

Due decadi or sono la storia di El salvador è stata marcata dalla guerra civile. EE.UU. ha partecipato attivamente a questo conflitto perchè temeva che il “contagio comunista” poteva arrivare alle sue frontiere, afferma l’esperto Roberto Cañas. Negli anni ottanta El salvador ha vissuto una prolungata crisi politica marcata da sanguinosi affronti tra le truppe governative e le truppe del Fronte Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale. In questo conflitto, che è stato considerato anche ideologico, le autorità salvadoregne sono rimaste alleate con L’Amministrazione statunitense, mentre l’opposizione di sinistra ha continuato la sua visione comunista. Il docente e investigatore universitario che ha firmato gli accordi di pace di El Salvador, Roberto Cañas, ha dichiarato per RT che la partecipazione dell’Amministrazione dell’EE.UU. nel conflitto armato salvadoregno ” è stato un fattore che ha prolungato la guerra”. Per l’Amministrazione del Nordamerica il problema del conflitto armato in Centroamerica, come in Nicaragua e come in El salvador, è stato un problema di sicurezza nazionale ed era visto secondo la dottrina Nordamericana come parte dell’espansionismo sovietico-cubano nella regione, ha sottolineato l’esperto. “L’Amministrazione Nordamericana cercava di detenere le lotte che insorgevano in Nicaragua e in El salvador perchè pensavano che poteva avere un effetto di dominio”. Gli intenti della presenza statunitense nella politica dell’America Latina sono giustificati non solo perchè temevano il propagarsi del comunismo nel continente, ma anche perchè poteva minacciare le sue frontiere, sostiene Cañas. ”Era una fantasia, una incertezza ma l’Amministrazione Nordamericana in questo modo era estesa e per questo motivo cercavano di detenere le lotte che insorgevano in Nicaragua e in El Salvador perchè pensavano che potevano scatenare un effetto dominante che poteva far cadere il Nicaragua, El salvador, il Guatemala, fino a corrompere anche le frontiere del Messico e minacciare le frontiere dell’EE.UU.” continua l’esperto spiegando la sua visione. Sebbene il conflitto non è mai stato dichiarato in maniera ufficiale, il costo umano e la partecipazione statunitense nella consulenza e nell’addestramento degli squadroni della morte ancora causano oggi testimonianze che sfidano la logica e i diritti umani “EE.UU. ha partecipato al conflitto salvadoregno per impedire l’espansione comunista”

Amnesty international ha scelto il giorno di San valentino, 14 febbraio, per celebrare la Festa degli innamorati e per lanciare la sua nuova campagna “Il mio corpo, i miei diritti” che mira a istituire i diritti di riproduzione e sessuali delle donne. Questa campagna che è un grido contro la violenza sulle donne, testimonia che un miliardo di donne, cioè una donna su 3 nel mondo è stata violentata, percossa o ha subito degli abusi, o meglio un miliardo di madri, ragazze, sorelle, compagne e amiche hanno subito delle violenze, e il prossimo 8 marzo sarà per l’occasione per celebrare la Giornata internazionale delle donne. Alla sessione marocchina di Amnesty international, il tema è stato centrato sugli obiettivi che sono stati chiaramente annunciati. “Il mio corpo, i miei diritti” è anche e soprattutto una campagna che vuole far capire che la donna è responsabile del suo corpo. “Attraverso questa mobilitazione mondiale alla quale ha aderito anche Amnesty Rabat, facciamo appello ai Governi di proteggere e di promuovere i diritti sulla riproduzione e sulla sessualità delle donne, attraverso l’informazione, la sensibilizzazione, e l’educazione sessuale. In Marocco è stato fatto poco per le donne che muoiono in strada, o in ospedale dove vanno a dormire. Molte ragazze, ragazze madre, hanno scoperto di essere in fase di gestazione a causa di una malsana educazione sessuale. C’è ancora troppa violenza riguardo a questo tema. Le marocchine, come tutte le altre donne del mondo, devono decidere del loro corpo. Tutto questo è parte integrante dei diritti umani della donna. “Qui è altrove continuano a rifiutare questo diritto a metà della società, in nome della religione, e delle credenze ancestrali” spiega Touria Bouabid, coordinatrice del programma educazione ai diritti umani in Amnesty International del Marocco. “Milioni di donne muoiono a causa di politiche pubbliche inefficaci”.

Il Governatore del Conackry, Sékou Resco Camara, è stato incolpato e ascoltato questo giovedì, 14 febbraio, dal tribunale di prima istanza di Dixinn. Secondo un informe della FIDH, l’accusato ha risposto a lungo alle accuse di tortura pronunciate contro di lui, e contro il Generale Nouhou Thiam, anziano capo dello stato maggiore delle Forze Armate e contro il Comandante Aboubacar Sidiki, anziano aiuto capo del Generale Sékouba Konaté. La Federazione Internazionale per la difesa dei diritti dell’uomo ha salutato “questa importante avanzata ” nell’inchiesta giudiziaria che riguarda i casi di tortura commessi a Conakry a ottobre del 2010. Souhayr Belhassen, Presidente della FIDH ha sostenuto che l’accusa del Governatore è un segnale importante nella lotta contro l’impunità. L’apertura dell’inchiesta avvenuta a maggio del 2012 e l’audizione delle parti civili, hanno dato alle vittime la speranza di ottenere giustizia. L’accusa di un alto responsabile è una nuova tappa cruciale in questa indagine giudiziaria” ha continuato Souhayr Belhassen. Per Thierno Maadjou Sow, Presidente della OGDH, “nessuno è al di sopra della legge nemmeno le stesse Forze dell’ordine” “Nella memoria della difesa dei diritti dell’uomo in Guinea, non si ricorda un processo così celere per dei fatti così gravi che vede coinvolti gli alti responsabili militari” ha proseguito. Patrick Baudouin, Presidente d’onore della FIDH, sottolinea che questa accusa non è che una prima tappa. “L’accusa di Camara, che beneficia della presunzione legale di innocenza e che andrà a difendersi in questo processo, è una prima tappa”. Bisogna ancora stabilire chi sono gli altri responsabili, compresi quelli che appartengono a una gerarchia inferiore, allo scopo di concludere l’istruttoria e arrivare a un processo giusto e equo in termini logici”, precisa Baudouin. A ottobre del 2010, secondo le informazioni trasmesse dalla giustizia, le guardie vicine al Presidente a interim della transizione hanno arrestato e detenuto arbitrariamente numerose persone e li hanno sottoposti a degli atti di tortura in presenza e secondo le istruzioni di Sékou Resco Camara, del Generale Nouhou Thiam e del Comandante Aboubacar Sidiki Camara, ha concluso De Gaulle.

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Il Tribunale di Washington ha imposto al Governo russo una multa quotidiana e a oltranza di 50.000 dollari, per non aver restituito alla comunità ebraica hasidica dell’EE.UU. la ‘Biblioteca di Schneerson’. Mosca considera la decisione “giuridicamente nulla” Gli archivi in questione sono una collezione di circa 12.000 libri antichi ebraici e di circa 50.000 documenti storici, incluso 381 manoscritti. Tutti i documenti sono stati riuniti nel XX secolo dal leader spirituale degli ebrei hasidici, Iosef Itzjak Schneerson a partire da una collezione che risale al XVIII secolo. Gli ebrei hasidici considerano la Biblioteca una cosa sacra. “E’ una indignazione che un Tribunale di Washington ha preso questa decisione senza precedenti che può causare conseguenze più gravi. Imporre multe a uno Stato sovrano contraddice le regole del diritto internazionale. Questo verdetto ha un carattere extraterritoriale ed è giuridicamente nullo” ha dichiarato il Ministero degli Esteri russo in risposta alla decisione della giustizia statunitense di sanzionare Mosca per non aver compiuto la sua prescrizione del 2010, che richiede la devoluzione degli archivi di Schneerson all’EE.UU. I diplomatici russi, hanno avvertito, in aggiunta, che se le autorità statunitensi decideranno di confiscare i beni russi che non sono sotto l’immunità diplomatica, come sollecita la comunità ebraica hasidica come ” misura precauzionale”, in risposta saranno avanzate prese di posizione drastiche. All’inizio della Prima Guerra Mondiale, Schneerson aveva depositato una parte della sua collezione in alcuni magazzini di Mosca, per salvarla. Con l’arrivo dei bolscevichi al potere, la collezione era stata nazionalizzata (1918). Lo stesso Schneerson in fuga dalla URSS, aveva lasciato la maggior parte dei suoi archivi a Mosca, a disposizione della Biblioteca Nazionale russa. Negli anni novanta, la sede del movimento hasidista ( allestita a New York, a Brooklyn, dallo stesso Schneerson che era fuggito in EE.UU. agli inizi della Seconda Guerra Mondiale), reclamava la sua eredità alle autorità russe. A partire da allora, la giustizia statunitense ha pronunciato varie sentenze a riguardo. Tuttavia, nessuna di queste è stata accettata dalla parte russa, la quale considera la Biblioteca Schneerson patrimonio culturale nazionale e di proprietà dello Stato.

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Immaginate che siete stati sfrattati. La tua famiglia è sulla strada, e la legislatura del tuo Paese non ti offre protezione, di nessun tipo. che fai? A chi ti rivolgi? Immagina adesso di essere incinta, ma non puoi accedere all’assistenza sanitaria della quale hai bisogno per sopravvivere senza prima aver corrotto qualche funzionario del settore ospedaliero dal momento che non puoi permettertelo economicamente. A chi fai ricorso? Quotidianamente viene violato il diritto delle persone alla educazione, a uno stile di vita adeguato, all’acqua, ai servizi sanitari, alla salute e alla alimentazione, specialmente per chi vive in povertà. In passato, tutti, chi più chi meno, siamo riusciti ad avvicinarci a questo mondo dove c’era la garanzia dei diritti fondamentali. Questi diritti, conosciuti come diritti economici, sociali e culturali, sono essenziali per vivere con dignità, sicurezza e libertà. Nonostante ciò, con troppa frequenza i Governi si limitano a garantirli a parole, nonostante che del diritto internazionale godono dello stesso status anche gli altri diritti umani, come il diritto alla libertà di espressione. Inoltre chi vive in povertà e ha visto i suoi diritti svanire, incontra gravi difficoltà di accesso alla giustizia.

SFRATTO FORZATO IN NIGERIA

Gli esempi sono molti: Nigeria, il 28 agosto del 2009 il Governo locale di Port Harcourt ha emesso un ordine giudiziale, ha demolito uno stabile nella zona costiera lasciando senza tetto più di 13.000 persone. Slovenia: a molte famiglie rumene che vivono in fabbricati informali viene negato l’uso dell’acqua e dei servizi sanitari, e la lista continua. Nel 2008, l’Onu aveva creato un meccanismo chiamato Protocollo Facoltativo del Patto Internazionale dei Diritti Economici, Sociali e Culturali(Protocollo), allo scopo di offrire ai cittadini una maggiore protezione dei loro diritti. E’ un meccanismo legale che permetterà alle persone di accedere al sistema della Giustizia dell’Onu se sono stati violati i loro diritti e il Governo del loro Paese non attua questo tipo di giustizia. Questo meccanismo aspira a diventare una pietra miliare in materia dei diritti umani, poiché servirà a fare giustizia e a offrire una vita degna a milioni di persone di tutto il mondo. Il Protocollo può arrivare ad essere un mezzo fondamentale affinché i cittadini, in particolare quelli che vivono nella povertà, facciano sentire l’eco dei loro diritti ai loro Governi, e se non sarà così la violazione dei diritti continuerà a lievitare fino ad rimanere completamente impunita. Il Protocollo ha bisogno della ratifica di 10 Paesi per entrare in vigore e nonostante la sua attuazione è disponibile dal primo semestre del 2009, l’avanzamento è stato scarso.

RATIFICA DEL PORTOGALLO

Il 28 gennaio,tuttavia, abbiamo ricevuto la buona notizia che il Portogallo è diventato il nono Paese che ha ratificato il Protocollo, e ciò significa che manca un Paese perchè il Protocollo entri in vigore. La grande decisione del Governo del Portogallo è stata salutata con grande approvazione, dimostrando un compromesso serio e pieno in materia dei diritti umani. E’ stato molto importante il nono posto occupato dal Portogallo collocandosi tra i primi dieci Stati che hanno ratificato il Protocollo poichè il disimpegno è un elemento chiave nell’impulso dei negoziati all’interno dell’ONU presieduto dal gruppo di lavoro incaricato di redarre il Protocollo. Gli otto Stati che hanno aderito, prima del Portogallo, sono: l’Argentina, la Bolivia, la Bosnia e Herzegovina, l’Ecuador, El salvador, la Mongolia, la Slovacchia e la Spagna. E’ sconcertante l’assenza dei Paesi africani e la presenza di solo uno stato Asiatico nella lista. Il Protocollo entrerà in vigore tre mesi dopo la ratifica dei dieci Paesi, ma sarà legalmente vincolante negli Stati che hanno aderito allo stesso, ciò significa che milioni e milioni di persone non potranno sfruttare il Protocollo fino a quando il loro Governi non avranno deciso di assumersi le loro responsabilità. Speriamo, e crediamo, che la cruciale ratifica da parte del decimo Stato arrivi al più presto, ma fino ad allora, possiamo solo chiedere di unirti al nostro appello per far capire al Goberno del tuo Paese l’importanza del Protocollo. Facciamo dei diritti economici, sociali e culturali una realtà uguale per tutti non solo per i pochi fortunati

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Un nuovo rapporto descrive la fame, la violenza, e la migrazione della popolazione.

Un rapporto pubblicato lo scorso mercoledì,  13 febbraio, da Medici Senza Frontiere mette in risalto la violenza, la migrazione del popolo e le penurie delle derrate alimentari, gli aspetti importanti e ricorrenti del paesaggio umanitario in Somalia. Il rapporto dal titolo " Hear my voice" (solo in inglese) verte sulle testimonianze di oltre 800 pazienti somali che frequentano le strutture mediche di MSF in Somalia e i campi dei rifugiati etiopi. I pazienti descrivono un sentimento ricorrente di grande vulnerabilità e la loro lotta costante per colmare i bisogni essenziali come la nutrizione, le cure sanitarie e la protezione dalla violenza. "Mentre il Governo somalo e la comunità internazionale hanno una visione futura più promettente per la Somalia, centrata sulla stabilità e lo sviluppo, noi non possiamo dimenticare che migliaia di persone sono sempre esposte a una violenza e che loro hanno disperatamente bisogno di aiuti urgenti", ha spiegato Joe Belliveau, responsabile delle operazioni presso MSF.

LA NECESSITA' DI UN AIUTO UMANITARIO INDIPENDENTE

Più della metà delle persone interrogate hanno lasciato le loro case e quasi la metà di loro hanno subito delle violenze e  vivono nella paura di essere aggrediti a causa della loro migrazione. Un terzo degli sfollati sono partiti a causa di una  penuria delle derrate alimentari. "Manca la sicurezza, il nutrimento, l'umanità, la libertà e il fatto di essere separati dalle loro famiglie sono le prove più difficili da superare. Sono stata sfollata più di dieci volte in vita mia. Mio marito è morto durante un attacco e i miei due figli sono deceduti per malnutrizione" racconta la testimonianza di una donna di 25 anni di Djouba. "Hear my voice" sottolinea l'importanza di continuare a offrire un aiuto umanitario alle numerose regioni del centro-sud della Somalia e assicurare che la sua dimora autonoma resti indipendente da ogni influenza politica.

MSF in Somalia

MSF lavora assiduamente in Somalia dal 1991 e non riceve da nessun Governo o da altra istituzione i finanziamenti per i suoi progetti nel Paese. Malgrado una riduzione delle sue attività durante gli ultimi due anni per ragioni di insicurezza e per gli attacchi contro chi opera in MSF, l'organizzazione continua a fornire le cure mediche a centinaia di migliaia di somali nelle dieci regioni della Somalia come anche nei paesi vicini del Kenia e dell'Etiopia. Il 13 ottobre 2011, due membri del MSF, Montserrat Serra e Blanca Thiebaut, sono state prelevate dai campi dei rifugiati a Dadaab, in Kenia. MSF crede che i due colleghi sono prigionieri in Somalia e reclama la loro scarcerazione senza nessuna condizione. 

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Il Presidente afgano, Hamid Karzai, ha ricevuto una pioggia di critiche per aver cercato di vincere le elezioni presidenziali dell'Afganistan tramite l'appoggio di una legge che legalizza le violazioni in seno al matrimonio e proibisce alle donne di uscire dalle loro case senza autorizzazione previa dei loro consorti, ha avvisato l'Onu. Karzai ha firmato la legge il mese scorso nonostante la espressa condanna degli attivisti dei Diritti Umani e alcuni Primi Ministri che hanno denunciato che la legge è una burla nei confronti dei Diritti Umani basici contenuti nella Costituzione del Paese, citano le informazioni del giornale " The Guardian" per Europa Press. Tuttavia il documento finale non è stato ancora pubblicato, ma la legge contiene gli articoli che proibiscono espressamente alle donne di uscire dalle loro case senza il permesso del marito e che, al tempo stesso non possono rifiutare di fare sesso con il proprio coniuge. Un informe elaborato dal Fondo dello Sviluppo delle Nazioni Unite per le Donne (UNIFEM) avvisa che la normativa garantisce la custodia dei congiunti unicamente ai loro padri o nonni.

" Peggio dei Talebani"

La senatrice Humaira Namati, membro della Camera Alta del Parlamento afgano, ha segnalato, da parte sua, che la legge è "peggio dei talebani" riferendosi al periodo del loro mandato governativo fino a quando furono rovesciati nel 2001 da una offensiva nordamericana. " Colui que aveva parlato (durante questo periodo) chiaramente fu accusato di attentare contro l'Islam" ha aggiunto la senatrice afgana. La Costituzione del Paese permette agli Shias( i fedeli di Ali), che rappresentano circa il 10% della popolazione, di avere più di una famiglia secondo la legge tradizionale Shias. Tuttavia la Costituzione e i vari trattati internazionali firmati dall'Afganistan garantiscono l'uguaglianza dei diritti tra donne e uomini.
Shinkai Zahine Karokhail, come altre donne parlamentari hanno denunciato che dopo un accordo iniziale raggiunto dal Presidente afgano, le autorità passarono la legge con una velocità senza precedenti e senza essere discussa. "La approvarono come se era una negoziazione segreta", ha denunciato. " C'erano numerosi punti che volevamo cambiare ma non riuscimmo a discuterli perchè (Karzai) voleva accontentare gli Shia prima dei comizi" ha puntualizzato. Sebbene il Ministero della Giustizia afgano aveva confermato che Karzai aveva firmato la legge il mese prima, c'era confusione sul contenuto totale della norma, della quale gli attivisti a favore dei Diritti Umani hanno richiesto una copia. In tal senso, il Ministero ha ricordato che la legge non sarà resa pubblica fino a quando non saranno trovate delle soluzioni sui " problemi di carattere tecnico". 

Il Segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, salutando con un video messaggio la Giornata internazionale dedicata alla memoria delle vittime dell'Olocausto, in onda in occasione della cerimonia di New York il 25 gennaio ha dichiarato: E 'un grande piacere salutare tutti gli amici delle Nazioni Unite che hanno presenziato alla celebrazione della Giornata internazionale dedicata alla memoria delle vittime dell'Olocausto. Apprezzo in particolare i sopravvissuti dell'Olocausto e della Seconda Guerra Mondiale e i veterani che hanno aderito a questa solenne cerimonia. Signore e signori, il coraggio è un bene raro e prezioso. Oggi celebriamo chi ha avuto il coraggio di osare. Durante la Seconda Guerra Mondiale, gli ebrei,i rom e i sinti, i prigionieri di guerra sovietici e tanti altri che non sono riusciti a conformarsi alla ideologia perversa di Hitler di perfezionare la razza ariana e che sono stati sistematicamente uccisi nei campi di sterminio come Auschwitz-Birkenau. Ma alcuni sono stati in grado di evitare il massacro.Sono scappati perchè poche anime coraggiose rischiano la loro vita e quella delle loro famiglie per salvare gli ebrei e le altre vittime perseguitate da morte quasi certa. Alcuni hanno messo al riparo le vittime designate nelle loro case, altri hanno aiutato le famiglie a ottenere un passaggio sicuro. Alcuni dei tanti soccorritori hanno raggiunto una importanza iconica. Ma molti sono noti solo a coloro le cui vite sono state salvate. L'Osservanza di quest'anno ha lo scopo di dare a questi eroi non celebrati il ​​riguardo che meritano. Ringrazio il Giusto Yad Vashem che tra i Programmi delle Nazioni, festeggia il suo cinquantesimo anno, per identificare e premiare loro. L'Olocausto e il programma delle Nazioni Unite hanno prodotto un pacchetto di formazione ai soccorritori che saranno impiegati nelle classi di tutto il mondo. Mi congratulo anche con un altro partner fondamentale, l'United States Holocaust Memorial Museum, per il suo ventesimo anniversario. Il tema di "Never Again: What You Do Matters" risuona profondamente. Gli atti di genocidio illustrano le profondità del male a cui gli individui di intere società possono arrivare. Ma gli esempi di uomini e donne coraggiosi che celebriamo oggi dimostrano anche la capacità del genere umano di desiderare un notevole bene, anche durante il più oscuro dei giorni. In questa Giornata Internazionale, ricordiamo tutte le persone innocenti che hanno perso la vita durante l'Olocausto, e cerchiamo di essere ispirati da coloro che hanno avuto il coraggio di farlo - la gente comune che ha preso misure straordinarie per difendere la dignità umana. Il loro esempio è rilevante oggi come sempre. In un mondo in cui gli atti estremisti della violenza e dell'odio catturano i titoli dei giornali quasi quotidianamente, dobbiamo rimanere sempre vigili. Dobbiamo avere tutti il coraggio di prendersene cura, in modo da poter costruire un mondo più sicuro, meglio di oggi.

 

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Il documentario “Punne”(Albino) diretto da Pepo Ruiz, racconta il lavoro della ONG ANPRAS (la Associazione Nazionale per il reinserimento degli Albini Senegalesi), ed è stato realizzato in Senegal per aiutare mille albini a lottare contro la stigma sociale e le conseguenze fisiche di questa malattia genetica. Secondo i dati dell’Organizzazione, il 99% degli Albini subsahariani muoiono di cancro all’epidermide e circa cento vengono uccisi ogni anno. Ogni 5.000 abitanti in Africa c’è un Albino. Quasi 14.000 vivono nella zona subsahariana. Soffrono di problemi alla vista e il sole gli provoca delle ulcere, scottature, melanomi, e cecità, ma la società e la superstizione fanno il resto. Il film “Punne” (Albino), del regista, Pepo Ruiz, narra la lotta degli attivisti per combattere l’emarginazione dei mille albini che vivono in Senegal. Alcuni di loro che sono partecipato al film, testimoniano che è una cosa straziante. ”Il problema reale a cui faccio fronte ogni giorno è il sole che brucia la mia pelle. Per questa ragione non frequento la scuola. Una volta che sono scuola trovo difficoltà a leggere la lavagna”, spiega la giovane senegalese, Kadietou Bahayoho, di 15 anni,raccontando un giono normale della sua vita.Finora ho ricevuto il sostegno della ANPRAS, ma da mesi gli aiuti non arrivano. La ragione, spiega Aboubakary Sakho, è che bisogna pagare la dogana perchè non c’è nessun tipo di esonero e a volte queste medicine o creme sono restituite ai donatori. Questa situazione è molto diiffiile da capire, perchè nell’Africa subsahariana, quasi il 99% degli albini muoiono di cancro alla pelle” informa l’attivista. Nel documentario, Aboubakary Sakho, narra la sua esperienza personale e la sua lotta quotidiana contro la superstizione e la emarginazione. “Per me essere Albino è più che una discapacità, perchè qui nel momento in cui la gente vede un albino,ti guardano in negativo. La stigmatizzazione è così forte che non vieni identificato neanche in seno alla tua famiglia”. Aboubakary, assicura che “ancora esiste la credenza che l’albinismo è il rimedio o la medicina di tutto. Ho sentito dire, ed è provato misticamente, che avere
relazioni sessuali con un albino può essere una soluzione per l’AIDS”. Come prova della stigmatizzazione di queste persone, viene calcolato che sono uccisi circa cento bambini.Il documentario “Punne” fa parte di una campagna di consapevolezza della Fondazione per la Giustizia ed è stata molto onorata nella V edizione del Festival del Cinema e dei Diritti Umani. Come anche spiega il regista, Pepo Ruiz,” la situazione degli albini è molto più che drammatica. Sono stato testimone di questa tragedia perchè ho potuto camminare per strada con uno di loro insieme alla sua famiglia e ho visto come la gente li evita, li maledice, e li insulta”. L’Albinismo è una malattia genetica dovuta all’assenza della melanina nell’epidermide, ed ha come conseguenza la fragilità capillare e degli occhi. Gli Albini sono i soggetti più esposti ai raggi solari. Il cancro della pelle è una delle conseguenze, oltre che ad ulteriori complicazioni oftamologiche se non c’è un corretto seguito.

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Nel suo rapporto, rilasciato al Consiglio di sicurezza sulla situazione dei bambini vittime dell’Armata di resistenza del Signore(LRA), il Segretario generale Ban Ki-moon, ha sottolineato che il gruppo armato resta uno dei peggiori autori dei crimini commessi contro i bambini. Il rapporto documenta le violenze commesse contro i bambini e le misure prese contro la minaccia che ha rappresentato LRA, nel triennio 2009-2012. Nel corso di questo periodo, almeno 591 bambini, di cui 268 sono donne, sono stati sequestrati e rinchiusi con la forza nei ranghi della LRA, principalmente nella Repubblica democratica del Congo(RDC), ma ugualmente nella Repubblica Centroafricana e nel Sud Sudan. “LRA continua a nuocere l’Africa centrale causando enormi sofferenze ai bambini” ha dichiarato il rappresentante speciale del Segretario generale per i bambini e i conflitti armati, Radikha Coomaraswamy, durante una conferenza stampa svolta presso la sede dell’ONU a New York. Tutte le giovani donne citate nel rapporto hanno sposato forzatamente alcuni dei combattenti del gruppo armato e quelle che sono riuscite a fuggire con i loro bambini nati dalle violenze, sono state stigmatizzate dalle loro comunità di origine. Il numero dei bambini uccisi o mutilati sembra, strano ma vero, essere diminuito dopo il 2008, grazie alla presenza dei Caschi blu e delle forze di sicurezza, ma anche dopo la fuga di numerosi abitanti dalle zone dove opera LRA. “Sono incoraggiato dall’attenzione internazionale che riconosce i maneggi della LRA e le azioni intraprese contro i bambini” esprime felice Coomaraswamy Nel rapporto, il Segretario generale ha salutato gli sforzi delle forze armate ugandesi e quelli dell’Unione africana nell’affrontare la minacce poste dalla LRA e offrire una protezione alle popolazioni civili. Tuttavia,il rapporto sottolinea che non possono restare impuniti i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, compreso le gravi violenze sui minori”. “Sono contrario all’adozione della legge che offre una amnistia agli autori dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità” ha concluso e evidenziato M.Ban

“Spogliati e non parlare, altrimenti caccio via te e tua madre. Tu ben sai che non avete altro luogo dove andare!” E’ quello che mi diceva il mio patrigno tutti i giorni prima di violentarmi.
Il mio calvario è durato 8 mesi. Mi chiamo Zawa e sono originaria di Bambo, località sita a 180 chilometri dalla città di Goma, nel territorio di Rushuru a Nord del Kivu,una delle tre province a est della Repubblica Democratica del Congo. Mia madre mi ha avuta quando lei viveva ancora con i genitori.
Si è sposata quattro anni più tardi.Tre bambini sono nati da questa unione.
All’inizio la vita in famiglia era piacevole. Ho avuto un’infanzia piena di sogni. Malgrado noi vivevamo in un villaggio, avevo sempre ciò che gli altri bambini della mia età non avevano intendo vestiti, scarpe e altri accessori. Avevo anche creduto che il marito di mia madre era il mio vero padre. Come mi sbagliavo!I miei sogni sono sfumati 10 anni più tardi. Una sera dopo cena, ho sentito che nella camera dei miei genitori c’era una grossa lite. Alcuni minuti dopo, mia madre è uscita di casa e tutti mi dicevano che sarebbe ritornata il giorno dopo. Mi sono addormentata e un pò più tardi colui che chiamavo papà è venuto nel mio letto,confusa su ciò che lui voleva quando mi accarezzava gli ho chiesto di fermarsi ma lui ha continuato. Mi ha raccontato che aveva comprato me e mia madre, e quando mia madre si negava ero io che dovevo pagare il prezzo.Ciò voleva dire che dovevo dargli il mio corpo. Mi imponeva il silenzio e nessuno aveva il diritto di essere messo al corrente. Mi ha violentata per tutta la notte. Alle prime ore del mattino, mi ha strettamente obbligata a non parlare. Aveva promesso di uccidermi se io gli disobbedivo. E mi aveva anche promesso che a me e a mia madre ci avrebbe cacciate di casa. Per lui il matrimonio con mia madre aveva solo un obbligo il suo benessere. Sanguinavo e avevo dei forti dolori. Era come se la mia testa stava per esplodere. Avevo regolarmente delle vertigini e avevo paura di tutto quello che si spostava. La notte seguente, mi ha di nuovo violentata con le stesse minacce. Mia madre è tornata due giorni dopo.Per paura non le ho raccontato niente. Non osavo nemmeno guardarla in faccia Avevo vergogna e avevo l’impressione che tutto il mondo mi guardava e sapeva ciò che mio padre mi aveva fatto. Ero colpevole. Mi ha obbligata a portargli da mangiare ai campi tutti i giorni ed era sempre sotto minaccia. E tutti i giorni nei campi lui mi violentava e non tornava a lavoro il pomeriggio quando io ero lì. A volte, quando mi violentava, inseriva dei pezzi di legno nel mio ano. Mi sodomizzava e introduceva degli oggetti nella mia vagina, e mi proibiva di piangere. Era molto doloroso ma non perdevo conoscenza. Avevo perso il gusto di vivere e mi rimproveravo della situazione. Dal momento che nel mio villaggio, le persone credono che una donna è violentata perchè conduce una malavita, ho spesso pensato al suicidio.Un giorno, dopo che il mio patrigno ha di nuovo abusato di me nei campi, ho deciso di farla finita. Ma mi sono detta, che prima di uccidermi, dovevo confessare i miei peccati a Dio, gli avrei detto che non desideravo più stare al mondo, e che ne avevo abbastanza di quel supplizio. E così è stato, sono andata in Chiesa,ma durante il tragitto avevo visto un ufficio aperto alle donne. Davano apparentemente dei consigli alle vittime di violenza sessuale. Avevo detto a mia zia che volevo parlare con quelle donne che mi erano sembrate gentili ma mia zia me lo aveva sconsigliato dicendomi che erano donne libere e che non bisognava ascoltarle. Non sono cosa mi ha spinto ad entrare un giorno in quell’ufficio. Ho trovato due donne e quando ho iniziato a raccontare la mia storia mi sono sciolta in lacrime. Si sono avvicinate e mi hanno stretta tra le loro braccia e hanno provato a rassicurarmi.Ho impiegato tempo prima di calmarmi. Mi hanno dato fiducia e ho parlato con la direttrice dell’associazione .Le ho raccontato tutta la storia nei minimi dettagli. Era la prima volta in otto mesi che mi sentivo a mio agio, e parlare del mio orribile vissuto a qualcuno che mi aveva ascoltata attentamente mi rassicurava. Mi hanno detto che la loro associazione mi aiutava a risolvere il mio problema e che il mio calvario era finito. Mi dicevano che dovevo tornare a casa e che se il mio patrigno tentava di violentarmi di nuovo, dovevo urlare per farmi sentire e soprattutto ne dovevo parlare con mia madre. Ho spiegato che questo era impossibile , e allora mi hanno consigliato di parlarne con una persona di fiducia nella mia famiglia, preferendo mia madre. Una volta rientrata a casa, ho trovato mia madre a pulire, e l’ho guardata come non facevo da tanto tempo, mi ha detto che avevo una buona cera e che era contenta di vedermi. Avevo paura di parlarle e non le ho detto niente. Il giorno dopo, il mio patrigno mi ha chiesto di raggiungerlo ai campi. Ho rifiutato davanti a mia madre. Lui non ha detto niente e se ne è andato. Confusa, mia madre mi ha chiesto perchè avevo mancato di rispetto a colui che mi considerava come sua figlia. Non so da dove mi è venuto il coraggio, ma le ho raccontato tutto. Mia madre è scoppiata a piangere e mi ha chiesto delle spiegazioni e io non me lo sono fatta ripetere due volte.Era disperata e non capiva come era potuto succedere tutto questo. Siamo andate da mio nonno al quale mia madre ha spiegato tutta la situazione. Mio nonno, ci ha imposto il silenzio e ci ha detto di aspettarlo che andava a Tongo. E’ tornato dopo alcune ore con la polizia nazionale che hanno arrestato il mio patrigno e lo hanno portato a Tongo per essere processato. E conformemente alla legge sulle violenze sessuali gli hanno dato 20 anni di prigione e attualmente è detenuto alla prigione centrale di Muzenze a Goma. Per paura delle rappresaglie dei membri della famiglia del mio patrigno, che hanno condannato mia madre, perchè secondo loro è per merito suo che il loro figlio e fratello sono stati rinchiusi, mia madre ed io siamo venute a stare a Goma. Ho cercato di dimenticare il trauma subito. Ma ciò che mi aiuta ad andare avanti e vedere che giustizia è stata resa”