• S.A.R. il Principe Don Thorbjorn Paterno Castello
  • Casa Reale Paterno Castello d'Aragona
  • Accademia Internazionale Umanitaria Opere - A.I.U.O.

 

Nell’ambito della Casa a tutti i membri della Famiglia Reale, spetta il trattamento di “Altezza Reale” ed il predicato d’onore di “Don” e “Donna”. I figli del Capo di Nome e d’Arme portano la denominazione di “Infante” o “Infanta” d’Aragona e il titolo di pretensione legato all’ordine in cui partecipano alla successione: Duca di Gerona, il primogenito Don Francesco; Duca di Palma, il secondogenito Donna Aurora; Duca di Valencia, il terzogenito Don Thorbjorn.

La successione non segue la legge salica e, quindi è possibile per ambedue le linee, la maschile e la femminile, quest’ultima nel caso di estinzione di ogni altra linea mascolina.

L’Arma Gentilizia della Famiglia Reale si legge: “Semispaccato e partito” nel I d’oro a quattro pali di rosso e la banda d’azzurro attraversante (Paternò); nel II d’azzurro al castello d’oro di tre torri chiuso e finestrato di nero (Castello); nel III d’azzurro a tre fasce accompagnate da sei bisanti disposti 3,2,1, fra le fasce, e in punta il tutto d’oro (Guttadauro). Lo scudo è sormontato dalla corona reale e ornato dal Gran Collare del Militare Ordine di Sant’Agata dei Paternò.

L’Arma di pretensione è “d’oro a quattro pali di rosso e la banda d’azzurro attraversante”. Lo scudo è sormontato dalla Corona di Martino I, attualmente conservata nel tesoro del Duomo di Barcellona, ed ha come supporti due leoni d’oro affrontati e controrampanti.

L’Arma di dominio (piccola) si legge: “Semispaccato e partito: nel I d’argento alla croce piana di rosso accantonata da quattro teste di re saraceno di nero bendate di bianco (Aragona); nel II d’argento alla croce piana di rosso (Catalogna); nel III d’oro a quattro pali di rosso e la banda d’azzurro attraversante (Regno di Majorca)”. Lo scudo sormontato dalla Corona di Martino I.

La grande Arma di Dominio è “Partito di tre, spaccato di uno: nel I d’argento alla croce piana di rosso accantonata da quattro teste di re saraceno di nero bendate di bianco (Aragona); nel II d’argento alla croce piana di rosso (Catalogna); nel III d’oro a quattro pali di rosso e la banda d’azzurro attraversante (Regno di Majorca); nel IV inquartato, in decusse al 1° e 3° d’argento all’aquila spiegata di nero, al 2° e 4° a quattro pali di rosso e la banda d’azzurro attraversante (Regno di Sicilia); inquartato in decusse al 1° e 3° d’argento alla croce piana di rosso, al 2° e 4° d’oro a quattro pali di rosso (Cerdagna), al VI d’oro a quattro pali di rosso (Rossiglione); al VII d’azzurro alla Vergine col Bambino del loro colore sul trono gotico d’oro (Montpellier); all’VIII d’oro a quattro pali di rosso (Valencia), e sul cuore è di Paternò Castello e Guttadauro”.

Gli ornamenti esteriori delle Armi Reali sono il mantello di rosso soppannato d’ermellino e frangiato e cordonato d’oro; i supporti che sono i due leoni affrontati e controrampanti d’oro; il cimiero che è il drago di verde; i motti “Impavidus pavidum firmo” dei Paternò e “Que sera sera!”, degli Aragona.

Gli Infanti ornano lo scudo dell’Arma di Pretensione e dell’Arma di Famiglia della Corona di Principe del Sangue a tre monticelli (visibili).

LE PRETENSIONI DI CAPO DI NOME E D’ARME DELLA REAL CASA D’ARAGONA DI FRONTE AL DIRITTO

In Italia, la qualità di "fons honorum” è stata riconosciuta a Don Francesco Mario II, , in due sentenze di due diverse corti di giustizia: la Pretura di Bari (13.3.1952, n.40/51 RG.) e il Tribunale di Pistoia (Sezione Unica 5.6.1964):

Particolarmente significativa è quella parte della sentenza del Pretore di Bari, la quale recita: “I Paternò, il cui cognome fu originariamente Aragona di Ayerbe e di Patrnoy, conservano molti diritti Jure sanguinis, Tra questi diritti è quello denominato "fons honorum o facoltà nobiliare", di concedere e confermare stemmi, di accordare predicati dai luoghi su cui gli Avi esercitarono appunto i poteri sovrani, nonché il diritto di fondare, riesumare, e riformare, esercitare il gran magistero degli Ordini cavallereschi di collazione familiare, che si tramanda da padre in figlio come eredità insopprimibile…”.

Quanto espresso dalla sentenza qui citata corrisponde ad un costante orientamento della giurisprudenza italiana, dai giudizi di Pretura a quelli della Suprema Corte di Cassazione (Roma, Pretura, Sez. VII del 10.9.1948; Catania, Pretura, 11.4.1960; Roma, Cassazione, III Sezione Penale, 11.7.1958; Roma, Cassazione, III Sezione Penale, 23.6.1959, e molte altre presso le Preture di Roma, Milano, Bari, Sant’Agata di Puglia, ecc.

Scrive il Prof. Emilio Furnò, Patrocinante in Cassazione (Studio sulla Legittimità degli Ordini equestri non-nazionali, Rivista Penale, n.1, Gennaio 1961, pp. 46-70): “ Le sentenze, civili e penali, non sono poche, ma alcune recentissime, e tutte di regola ispirate all’accettazione dei principi tradizionali dianzi richiamati. Si muove dalla “nobiltà nativa” –Jure sanguinis- si pongono in evidenza le note prerogative Jus maiestatis e Jus honorum e si giunge all’affermazione che il titolare è “soggetto di diritto internazionale” con tutte le logiche conseguenze. Il Sovrano spodestato, cioè, può legittimamente conferire titoli nobiliari, con predicato o senza, e le onorificenze che rientrano nel suo patrimonio araldico, resta il Capo della sua Dinastia.

Le qualità che fanno di un Sovrano spodestato un soggetto di diritto internazionale sono innegabili, continua il Prof. Furnò, esse infatti “costituiscono un diritto personale assoluto, di cui il soggetto non si spoglia mai e che prescinde da ratifiche o riconoscimento da parte di qualsiasi autorità preminente inter pares. E se, al fine di spiegare l’attuale permanenza di tale diritto, si parla di riconoscimento da parte di Sovrani Regnanti, Capi di Stato, il termine viene usato nel senso di “comportamento dichiarativo” e non di “atto costitutivo” del diritto stesso, (Furnò, op. cit). Un clamoroso esempio è dato dal fatto che per lungo tempo la Repubblica Popolare Cinese non fu riconosciuta e non fu quindi ammessa alle Nazioni Unite, ciò nonostante essa esercitò ugualmente i suoi poteri di Stato Sovrano attraverso i suoi organi interni ed esterni.

Le prerogative che stiamo esaminando “ si possono anche negare e lo Stato, nei limiti della propria influenza, può vietare al Sovrano spodestato l’esercizio di quel diritto così come può paralizzare qualsiasi altro diritto non portato dalla propria legislazione. Ma questo “atteggiamento” negativo, non influisce sulla esistenza del diritto contrastato, bensì soltanto sul suo esercizio. (Op. cit).

E conclude l’illustre Autore: “riassumendo, dunque, la Magistratura Italiana, nei casi sottoposti a l suo giudizio, ha confermato le prerogative jure sanguinis del Dovrano detronizzato, senza la debellatio, cui pertanto, viene esplicitamente riconosciuto il diritto di conferire i titoli nobiliari ed onorificenze appartenenti al suo patrimonio araldico dinastico. In particolare ha classificato le suddette onorificenze tra quelle degli Ordini equestri “non nazionali”, previsti dall’art.7 della legge 3.3.1951, che vieta a privati di conferire onorificenze… Quanto ai titoli nobiliari, pur essendone legittimo il conferimento, deve tuttavia essere osservato che essi non ricevono alcuna tutela dalla vigente legislazione italiana, la quale non riconosce più la nobiltà “dativa”, in ossequio al pricipio fissato dalla Costituzione della Repubblica. Cade, quindi, dalla legislazione italiana anche il concetto di usurpazione di titolo nobiliare”. (op. cit).

Però la legittimità e validità del conferimento di un titolo nobiliare, può ricevere il sostegno di un atto dichiarativo del Giudice (op. cit), come risulta dalla già mensionata sentenza del Pretore di Bari del 13.3.1952: lo Stato contro Umberto Zambrini. Lo studio del Prof. Furnò, può essere uintegrato da chi voglia approfondire la materia dei pertinenti studi dell’Avvocato G. Pensavalle de Cristoforo: “Questioni al vaglio della Magistratura”. (Secolo d’Italia, 28.2.1959) e del Prof. Renato de Francesco “La legittimità e validità in Italia degli Ordini cavallereschi non nazionali” (Roma 1959).

Il Giudice naturale, che in Italia è il Magistrato ordinato, anche per la materia nobiliare e cavalleresca, ha dunque, individuato, in Don Francesco Mario II Paternò Castello e Guttadauro, antenato dell’attuale Capo di Nome e d’Arme dalla Casa d’Aragona, la caratteristica di “soggetto di diritto internazionale” e, come tale, lo dichiara non punibile per infrazione dell’art. 7 della legge 3.3.1951, sulla base di un’ampia documentazione incardinata su:

- Atti di Stato Civile.

- Tavole Genealogiche da Oriol, conte d’Aragona (809) all’ultimo Pretendente e Capo d’Aragona.

- Lettera della Procura del Re, Catania 18.5.1851.

- Lettera di Giovanni Paternò Castello di Carcaci, Catania 20.5.1851.

- Circolare dell’Intendente della Provincia di Catania, 30.3.1853.

- Patto di Famiglia, Paternò, 14.6.1853.

- Certificato della Real Commissione dei Titoli di Nobiltà, Napoli, 2.2.1860.

- Decreto di Francesco II, Re delle Due Sicilie, Gaeta 16.9.1860.

- Sentenza della Pretura di Bari, 3.3.1952.

- Sentenza del Tribunale di Pistoia, 5.6.1964.

E su autorevoli pubblicazioni, talune delle quali edite in tempi non sospetti:

- Francesco Paternò Castello “L’Ordine del Collare, Patrimonio della Serenissima Regal Casa Paternò”, Catania 1851.

- Francesco Tornabene, “Elogio funebre di Francesco Paternò Castello, Duca di Carcaci”, Catania 1854:

- Rivista Araldica, “Dall’origine regia aragonese dei Paternò di Sicilia”, Roma 1913 (pp. 330-335):

- Rivista Araldica, “Case già sovrane di Stati italiani e famiglie nazionali derivate da esse o da dinasti stranieri”, Roma, 1922 (pp. 295- 346).

- V. Spreti, “Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana”, Vol. V, Milano, 1932.

- Libro d’Oro della Nobiltà Italiana”, 1920-1932, Roma.

- Claudio Santippolito, “Dagli Aragona ai Paternò”, in “Il Ghibellino” n. IV-V, Dicembre 1960.

- Labarre de Rellicourt, “Rois et Reines d’Espagne”, “Les Cshiers de l’Histoire”, n. 6 genn. 1961 (pp. 134-148).

Il lettore non superficiale si chiederà come mai tra tutte le linee della Casa Paternò, sia stata scelta una linea cadetta e segnatamente quella Paternò Castello e Guttadauro, Principi d’Emmanuel.

Ricordiamo che la scelta venne fatta mediante un’actio familiare in Palermo il 14.6.1853, alla quale intervennero tutti i Capi dei vari rami Paternò e sono noti i precedenti per cui una famiglia principesca o reale, regola autonomamente le proprie leggi di successione.

Nel Patto di Famiglia, steso per rogito del notaio Gioacchino Accardi, è detto che Don Mario fu scelto come rappresentante delle regali pretensioni della Casa, perché era “il solo in cui il sangue reale aragonese circolava due volte”: come Paternò e come Guttadauro. A chi per superficialità obiettasse che la trasmissione delle pretensioni aragonesi avvenne, come quella del titolo di Principe d’Emmanuel, per linea femminile, va precisato che in Aragona non vigeva la Legge Salica, per cui essa si effettuava anche per linea femminile, e lo stesso vale per la Sicilia (Gt Galuppi, Stato presente della Nobiltà messinese, Milano 1881, p. 1-23) come si evince dalle Costituzioni in aliquibus del re Federico II, che ammette la successione per linea femminile (Costitutiones Regni Siciliae, liber. 3 tit 26). Che nel Regno delle Due Sicilie vigesse la Legge Salica è indiscutibile in linea generale, ma per ciò che riguarda la Sicilia, l’applicazione della Legge Salica, era soggetta a tradizionali limitazioni, anche sotto la dinastia borbonica.. La controprova e data dal parere espresso dalla Real Commissione dei Titoli di Nobiltà (2.2.1860) e dallo stesso decreto di Francesco II delle Due Sicilie(16.9.1860), entrambi favorevoli alla trasmissione per linea femminile del titolo di Principe d’Emmanuel.

Le pretensione del Capo di Nome e d’Arme della Casa d’Aragona si estrinsecano nell’esercizio di poteri sovrani.

E’ generalmente ammesso dal diritto nobiliare che il Capo di una dinastia già regnante, conservi jure sanguinis, cioè per diritto ereditario, la facoltà di conferire onori cavallereschi e nobiliari, detta jus honorum (come conferente egli è detto hons honorum, fonte di onori), conserva i suoi diritti sovrani indipendentemente da mutamenti politici e da considerazioni territoriali e tali diritti sono detti “di pretensione”, da cui il termine di Pretendente che indica chi li mantiene e/o esercita e li gode in perpetuo (cfr. Renato de Francesco, La legittimità e Validità in Italia degli Ordini Cavallereschi “non nazionali”, Ed. Ferrari, Roma, p. 10).

Secondo il Salvioli (Storia del Diritto Italiano, Utet 1930, p. 272), la sovranità, quale elemento della potestà statuale, scaturì dalla lotta dei sovrani contro i feudatari e dovette il suo carattere di necessità, alla concentrazione dello Stato nelle mai del Monarca. “Nata da origini feudali, questa potestà, continuò a portare l’impronta, considerandosi essa quella proprietà personale del Principe; donde la sua trasmissibilità per diritto ereditario e la sua perpetuità”. Per questa teoria il Principe, logicamente, conserva sempre la sovranità anche quando non sia più regnante (E. Furnò, op. cit).

Poiché il Sovrano accentra in sé tutti i poteri, egli ha il comando politico, jus imperii, quello civile e militare, jus gladii, il diritto al rispetto e agli onori del rango jus maiestatis ed infine quello di premiare con onori e privilegi, jus honorum (v. G.B. Ugo, Bascape, Gorino-Causa, Nasalli Rocca, Zeininger, De Francesco).

Il Sovrano sia regnante che pretendente, non solo può conferire, in particolare gli Ordini di collazione dinastica, ma può crearne anche nuovi e ripristinare quegli Ordini che furono fondati dai suoi Avi (questo principio è confermato in Italia anche da sentenze della Suprema Corte di Cassazione), senza alcuna considerazione del fatto che, a causa di vicissitudini successorie e politiche, taluni di quegli Ordini, siano passati ad altre Dinastie.

Avendo i Paternò Ayerbe Aragona rivendicato la loro pretensione alle Corone Aragonesi, essi, secondo il loro buon diritto, non soltanto hanno restaurato l’Ordine del Collare, fondato secondo la tradizione nel secolo XIII dai Re di Majorca, e l’Ordine di San Salvatore d’Aragona (1859), fondato da Alfonso I nel 1118, ma hanno fondato anche ordini ex novo come l’Ordine della Real Corona Balearica (1861), il Real Ordine di Giacomo I d’Aragona (1970) e l’Ordine di San Giorgio e Doppia Corona. Alla questione della sovranità è strettamente legata quella della “validità” degli Ordini cavallereschi non statuali; quelli cioè che non si configurano come Ordini di Stato (a regime monarchico o repubblicano che sia) o equiparati ad essi.

La Legge italiana del 1953 ammette l’esistenza di Ordini non nazionali e li distingue da quelli Statuali, come conferiti da altri che non siano privati, enti o associazioni.In particolare ci interessiamo a quelli che hanno come fondatori dei Dinasti, che non siano regnanti: sempre secondo la summenzionata Legge tali Ordini sono legittimamente conferiti e pertanto validi.

E’ chiaro come il concetto di sovranità, abbia esplicazioni diverse nel caso in cui ci si riferisce alla sovranità di uno Stato moderno, oppure alla sovranità di un Pretendente. Generalmente parlando, la sovranità di uno Stato, viene esercitata nell’ambito di un territorio, in un contesto internazionale,su una popolazione (i sudditi di una monarchia assoluta o i cittadini di una repubblica democratica). Nel caso di un Pretendente, la sovranità non viene esercitata né nell’ambito di un territorio, né su una popolazione, né in un contesto internazionale.
 

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E’ generalmente ammesso dal diritto nobiliare che il Capo di una dinastia già regnante, conservi jure sanguinis, cioè per diritto ereditario, la facoltà di conferire onori cavallereschi e nobiliari, detta jus honorum (come conferente egli è detto hons honorum, fonte di onori), conserva i suoi diritti sovrani indipendentemente da mutamenti politici e da considerazioni territoriali e tali diritti sono detti “di pretensione”, da cui il termine di Pretendente che indica chi li mantiene e/o esercita e li gode in perpetuo (cfr. Renato de Francesco, La legittimità e Validità in Italia degli Ordini Cavallereschi “non nazionali”, Ed. Ferrari, Roma, p. 10).

Secondo il Salvioli (Storia del Diritto Italiano, Utet 1930, p. 272), la sovranità, quale elemento della potestà statuale, scaturì dalla lotta dei sovrani contro i feudatari e dovette il suo carattere di necessità, alla concentrazione dello Stato nelle mai del Monarca. “Nata da origini feudali, questa potestà, continuò a portare l’impronta, considerandosi essa quella proprietà personale del Principe; donde la sua trasmissibilità per diritto ereditario e la sua perpetuità”. Per questa teoria il Principe, logicamente, conserva sempre la sovranità anche quando non sia più regnante (E. Furnò, op. cit).

Poiché il Sovrano accentra in sé tutti i poteri, egli ha il comando politico, jus imperii, quello civile e militare, jus gladii, il diritto al rispetto e agli onori del rango jus maiestatis ed infine quello di premiare con onori e privilegi, jus honorum (v. G.B. Ugo, Bascape, Gorino-Causa, Nasalli Rocca, Zeininger, De Francesco).

Il Sovrano sia regnante che pretendente, non solo può conferire, in particolare gli Ordini di collazione dinastica, ma può crearne anche nuovi e ripristinare quegli Ordini che furono fondati dai suoi Avi (questo principio è confermato in Italia anche da sentenze della Suprema Corte di Cassazione), senza alcuna considerazione del fatto che, a causa di vicissitudini successorie e politiche, taluni di quegli Ordini, siano passati ad altre Dinastie.

La Legge italiana del 1953 ammette l’esistenza di Ordini non nazionali e li distingue da quelli Statuali, come conferiti da altri che non siano privati, enti o associazioni.In particolare ci interessiamo a quelli che hanno come fondatori dei Dinasti, che non siano regnanti: sempre secondo la summenzionata Legge tali Ordini sono legittimamente conferiti e pertanto validi.

E’ chiaro come il concetto di sovranità, abbia esplicazioni diverse nel caso in cui ci si riferisce alla sovranità di uno Stato moderno, oppure alla sovranità di un Pretendente. Generalmente parlando, la sovranità di uno Stato, viene esercitata nell’ambito di un territorio, in un contesto internazionale,su una popolazione (i sudditi di una monarchia assoluta o i cittadini di una repubblica democratica). Nel caso di un Pretendente, la sovranità non viene esercitata né nell’ambito di un territorio, né su una popolazione, né in un contesto internazionale.

L’assenza di un territorio non viene riconosciuta come determinante; il suo possesso è infatti soggetto a vicissitudini politiche, che non influiscono sul diritto e sulla legittimità delle pretensioni. Nel caso del Pretendente, al concetto di popolazione, si sostituisce quello di “sostenitori”: più persone che con mezzi vari sostengono la “causa” del Pretendente. Il contesto internazionale è soggetto a valutazioni politiche ed al relativo “comportamento dichiarativo” dei governi, i quali, in una mutata natura degli Stati (la “volontà popolare” ha sostituito il “diritto divino” dei Sovrani), non riconoscono le “pretensioni” di Case Sovrane già regnanti, se non quando esse rientrano nel perseguimento di ben precisi fini di politica internazionale.

Si spiega come ormai da qualche secolo i moderni Stati non “riconoscano” né pretendenti, né Ordini cavallereschi non nazionali.

Ciò, nel caso di molti Ordini, o di Case Sovrane già regnanti, non vuol dire che siano ristrette in un limbo di pergamene e di orpelli veramente gratificanti. Titoli ed Ordini conferiti dal Capo di Nome e d’Arme della Real Casa d’Aragona, onorano alte personalità religiose, della diplomazia, politiche,della cultura e dell’arte, in ogni parte del mondo.

Per particolari meriti possono esser presi in considerazione eventuali istanze di conferimento dei titoli nobiliari.

I titoli sono conferiti unicamente con deposito e registrazione notarile.

Info: accademiaumanitariaaiuo@yahoo.com

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Cinque sentenze riguardanti la dinastia Paternuense hanno confermato la consanguineità con la casa d'Aragona -Maiorca - Sicilia e la legittimità della Fons Honorum.

La prima della pretura unificata di Bari, 03.03.1952, n. 485, divenuta irrevocabile nelle forme di legge, ha accertato che " la Famiglia Principesca dei Paternò ebbe origine da Giacomo I il Conquistatore, discendente dai Conti di Guascogna, del Re di Navarra e dei Re di Castiglia ";

La seconda sentenza del 05.06.1964, n. 119, del Tribunale Penale di Pistoia, sezione unica, ha espressamente confermato la legittimità della fons honorum del rappresentante massimo della Real Casa Paternò, in quanto la legittimità del pretendente della famiglia Paternò deriva dalla discendenza legittima e provata di un membro della Real Casa d'Aragona;

La terza sentenza arbitrale del 08.01.2003, n. 50, dichiarata esecutiva con decreto del Presidente del Tribunale Ordinario di Ragusa 17.02.2003, n. 177, ha dichiarato che competono al Capo della Real Casa " le prerogative sovrane connesse allo jus majestatis ed allo jus honorum, con la facoltà di conferire titoli nobiliari, con o senza predicato, stemmi gentilizi, titoli onorifici e cavallereschi relativi agli ordini ereditari di famiglia; la qualità di soggetto di diritto internazionale e di gran maestro di ordini non nazionali ai fini della legge 3 marzo 1951, n. 1978 ".

La quarta, sentenza arbitrale del 05.12.2009 n. 709/09 dichiarata esecutiva nel territorio della Repubblica Italiana con decreto del Tribunale Ordinario di Ragusa, ha conefrmato al Capo della Real Casa Paternò Castello di Valencia e Sardegna la fons honorum con tutte le prerogative annesse e connesse alla Sua qualità di Altezza Reale, con la facoltà di poter concedere Titoli Nobiliari con o senza predicato, stemmi gentilizi, titoli onorifici e cavallereschi relativi agli ordini equestri di famiglia; la qualità di soggetto di diritto internazionale e di gran maestro degli ordini non nazionali ai fini della legge del 3 marzo 1951, n. 178.

La quinta sentenza della Corte d’Appello del Tribunale di Bologna (appello svoltosi a seguito di richiesta della Pubblica Accusa) che in data 06 giugno 2012 con sentenza numero 3902/11 R.G.N.R.P.M. RE sull’accusa degli articoli 416 c.p. , 64 c.p., 91 c.p. art. 8 legge 178/51 il Presidente del Tribunale di Bologna si è così Pronunciato: “…per la legittimità del conferimento, in Italia, di onorificenze, decorazioni e distinzioni del Sovereign Order of Saint John of Jerusalem – Knights of Malta, da parte del Paternò Castello, si pone una duplice condizione:

La titolarità, in capo al Paternò Castello, in quanto trasmessogli jure sanguins, dello jus honorum, vale a dire della facoltà di “crear nobili ed armar cavalieri”: diretto che –chiarisce la consolidata dottrina- inerisce alla sovranità (al pari dello jus imperii, o diritto al comando, dello jus gladii, o diritto d’imporre l’obbedienza col comando, nonche’ dello jus maiestatis, o diritto di essere onorato e rispettato), e che, diversamente dallo jus imperii e dallo jus gladii, si conserva, unitamente allo jus majestatis, in capo al sovrano estromesso dal dominio politico di un territorio, senza però compiere atti abdicativi o di acquisiscenza all’ordinamento politico subentrante, che valgano a qualificarlo sovrano debellato;

Dopo un ampia riflessione su parte di documentazione presentata dalla Real Casa si parla poi del Sovrano Ordine di San Giovanni di Gerusalemme:

Quanto, poi, alla riconducibilità del Sovereign Order of Saint John of Jerusalem – Knights of Malta, del quale l’appellato, Altezza Reale Principe Don Thorbjorn Francesco Giuseppe Nicola Roberto Paternò Castello dei Duchi di Carcaci Guttadauro d’Ayerbe d’Aragona di Valencia e d’Emanuel, è l’attuale 74° Gran Maestro, al novero degli Ordini non nazionali di cui l’art. 7 L. 178/51, debbono valere le considerazioni di cui appresso ….
In definitiva, non solo l’indagato-appellato Paternò Castello era titolare del necessario fons honorum, ma il Sovrano Ordine di San Giovanni di Gerusalemme- Cavalieri di Malta o Sovereign Order of Saint John of Jerusalem – Knights of Malta, si inscrive al novero degli Ordini non nazionali, il conferimento delle cui onorificenze non è vietato, e dunque non penalmente sanzionabile"

 

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